TROIA GIUSEPPE 1925
GORZEGNO
Nel 1939 Beppe lavorava
in fabbrica, ma a Gorzegno Zio Teresio e magna Rozeta rimasero soli. Fu l’anno
in cui partì soldato il cugino Giovanni e così chiesero a Beppe di far da
Mazoé(mezzadro). Si produssero 167 quintali di grano. Lo tagliarono tutto a
mano. Venne ad aiutarlo Vigin drà Meuja. Beppe gli imprestava i buoi e lui in
cambio portava la mietilega che richiedeva 4 buoi. Occorreva trainarla con i
buoi oppure con il trattore Pavesi a valvole. Così dal ‘39 al ’41 la terra
della Cascina Galliano la lavorarono Beppe con Barba Loizin e sua moglie che
poi si ammalò e ancora giovane morì. In seguito la prese da mezzadro “Ernesto
dr’uss” (dell’uscio)che era addetto ai Servizi Sedentari poiché zoppo. Per
convincerlo a lavorare la loro terra, i Galliano gli diedero, nel contratto, un
bue e un vitello. Furono consigliati da Magna Limpia che è ricordata anche da
Beppe del Cardin come donna saggia e buona. Beppe di Monesiglio, sorridendo ricorda
che il vitello lo addebitarono a lui e loro fecero bella figura!
Dopo la parentesi da mezzadro Beppe si trasferì in una casa a Plodio insieme a Marco suo fratello più giovane e siccome a Plodio vi era solo la classe terza, lo condusse a frequentare la quarta e la quinta a Carcare dove lavorava lui in fabbrica. La cascina dove abitavano era a San Giuseppe di Carcare e lui e il fratello Marco avevano diritto a 35 chilogrammi di Grano. Fu proprio mentre andava al mulino a macinare che avvenne l’incontro con i nazi-fascisti. Si era accordato con la buon’anima di Cesare èd Cesco èr Miriné soprannominato “Man mocia” (mano tagliata) poiché si era maciullata la mano lavorando e gliel’avevano mozzata. Aveva trovato il sistema di andare a macinare ben tre volte al mese correggendo il giorno della macinazione sulla tessera annonaria. Andando il giorno 4 del mese, tornava il 14 e poi il 24 e Cesare fu ben contento di macinargli più grano. Addirittura si complimentò con Beppe e gli disse: <Crroste, tè pì anteligènt che mi!.>(sei più intelligente di me).
AL MULINO DA "MAN MOCIA"
Stava appunto recandosi con la bicicletta e un carrettino a macinare, quando giunto in località Manera trovò i tedeschi. Avevano fermato la corriera e Beppe non si avvide del posto di blocco altrimenti avrebbe gettato sacco di grano e bicicletta con annesso carretto nella cunetta e si sarebbe dato alla fuga, invece fu fermato e imprigionato come renitente alla leva.
DEPORTATO
Caricato su di un carro bestiame fu trasferito prima in Austria e poi in un campo dove vi era solo la costruzione della stazione ferroviaria e il resto erano baracche di legno dove si dormiva ammucchiati come le bestie. Era d’inverno, nevicava in continuazione e i prigionieri venivano inviati a pestare la neve per battere le piste per le slitte trainate dai cavalli. Non li lasciarono mai andare alla stazione né seppero mai il nome di quel campo.
Lo Stalag 319 era dislocato nella zona di Chelm (Polonia orientale), istituito e funzionante da luglio 1941 ad aprile 1944, era uno dei più grandi campi di prigionia tedesco, a 50 km dal confine con la Bielorussia e 25 km dal confine con l’Ucraina, senza baracche, i prigionieri scavarono fosse per ripararsi dal freddo.) Qualcuno disse che si era in Russia.
Rimase quattro mesi in quel campo e poi fu trasferito con tanti altri a
Holm. In questa città vi erano molte fabbriche e qualcuno fu destinato a
lavorarvi. Beppe e altri otto compagni di prigionia dovevano recarsi, dopo
l’adunata, a lavorare sulla ferrovia. Dovevano portare i secchielli con i sassi
da mettere sotto le traversine. Erano guardati a vista dai soldati tedeschi e
non potevano né fermarsi né parlare tra loro. Una mattina Beppe si presentò
all’adunata con la giacca sbottonata. L’addetto al controllo gli staccò il
bottone e gli fece rapporto, inoltre gli puntò il coltello alla gola e
insultandolo pensò di impaurirlo. Andò al lavoro e trovato un filo di ferro si
cucì il bottone, al rientro, alla sera fu chiamato a rapporto dal Maresciallo
il quale provò a staccare il bottone ma vedendo che non si staccava rise della
astuzia di Beppe e lo lasciò andare senza punirlo. Tuttavia Beppe comprese di
averla scampata e non si presentò mai più con la giacca aperta. Aveva
capito che in quel posto si rischiava la
vita per una stupidaggine.
Da mangiare veniva data
una ciotola di zuppa di cavolo al giorno e una pagnotta di pane di segale da
dividere in dieci, gli abitanti della baracca. La pagnotta non era un chilo per
cui a turno uno la tagliava e poi “is tirava ra busca”(si tirava a sorte con un
filo di erba o paglia). Beppe ricorda che quel mangiare per dei giovani di
diciotto, vent’anni era veramente poco. Prima che arrivassero gli americani, i
tedeschi rinchiusero Beppe e altri quattrocento compagni in un capannone in
cemento all’ultimo piano, dove vi era un enorme mucchio di patate. Per la
grande fame si ridussero a mangiare patate crude ma non si toglievano
assolutamente la fame.
La guerra finì e Beppe pensò fossero terminate anche le difficoltà e le sofferenze. Non fu così. Giunse a Genova e poi da Savona a Saliceto viaggiando tutta la notte. Affamato e mal ridotto come era, tribolò a trovare qualcosa da mangiare e così scelse di andare a Dogliani dagli zii. Quelli come lui, che non vollero fermarsi in quarantena e avevano solo piacere di rientrare a casa, subirono ulteriori umiliazioni. Erano schivati e guardati con diffidenza. Arrivato a Dogliani verso le 23.00, la magna Rosa si affacciò alla finestra e gli disse che non lo conosceva e non gli avrebbe aperto. Cercò di convincerla dicendo che era il fratello di Ginin ma la zia insistette a dire che non avrebbe aperto. Anche lo zio Gigi si fece alla finestra e non lo riconobbe, fortunatamente Giovanni, il nipote di 14 anni capì che era "Barba Beppe" e gli fece aprire. Era proprio malconcio e irriconoscibile! Si fermò la notte ma ripartì al mattino presto e sempre a piedi raggiunse Niella Belbo scendendo in Valle Bormida dalla strada “dèr cianele”. Qui fu riconosciuto dalla nipote Maria Galliano. Le peripezie non erano ancora terminate, essendo stato arrestato come disertore, doveva ancora assolvere il servizio Militare. Gli toccò partire militare ed effettuare una ferma di 17 mesi anziché 18. “Parla pà ”commentò Beppe! Uno sconto di un mese doveva compensare un anno di prigionia e stenti in Germania!
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