lunedì 17 ottobre 2011

Nonno Nando racconta





Torniamo a giocare con gli aquiloni!!
Vorrei dedicare questi racconti di vita di Nando Mossio e Magda Cagnasso ai ragazzi e ragazze che non leggono e non trovano il tempo per ascoltare i racconti dei nonni, dei genitori o delle persone più grandi. Vorrei augurare loro di ritrovare la capacità di soffermarsi a sentire chi ha vissuto un’infanzia e adolescenza senza telefono né televisione e ha potuto gustare  una vita fatta di valori che li hanno resi capaci di essere felici e hanno imparato ad amare la natura e a gioire per le piccole cose .Queste vite semplici non vanno dimenticate e possono essere di grande aiuto per dare un senso e una regolata al vivere frenetico dei nostri tempi. A chi leggerà consiglio di immergersi nei tempi dei narratori e provare a immedesimarsi come nel vedere un film, sarà possibile provare sensazioni dettate da valori umani sempre più      
dimenticate nel nostro mondo “sbarlusant, ric ed ciolèire ma vod peid in balon volant”.
Torniamo a giocare con gli aquiloni! E a incantarci davanti "a i'arc an cièl"
 
FAMIGLIA MOSSIO DELLA BOSIA CASCINA” BSOL”

PADRE: LUIGI                      MADRE: LUCIA(Ciin)
FIGLI: FELICE(MIO PADRE),FERDINANDO(Mè PARIN),GABRIEL(PADRE DI Suor Emma),FRANCESCHIN(PADRE DEI MOSSIO DI RODELLO),LUIGIA,CELESTINA.

Mossio Felice nasce a Bosia nel 1870,si sposa con mia madre Porro Paola(1884) nel 1905.
Generano Luigi(1907),Ferdinando(1909),Marcellina(1911),Pietro(1913),Aurelia(1917),
Annibale(1922)Disperso in Russia
Nel 1914,mio padre,Felice si trasferisce da masoè(mezzadro) con mia madre ,presso la cascina”Maian” e vi rimane fino al 1920 ,quando si sistema alla cascina Langa fino al 1924.Le altre sistemazioni sono alla cascina Viarascio e quindi nel paese di Bosia alla cascina del Fré.Nel 1930, mentre ero militare si trasferirono alla Cascina Masseria di Arguello.

Vrova andé a sfojé ra meira
Mi ricordo che una volta,avrò avuto circa tre anni,loro dovevano andare a “sfoiié ra meira” dai vicini e io volevo anche andare .Le tentarono tutte per convincermi a rimanere con mio fratello Luigi: andarono a prendermi”in pom” una mela ,”der nos”delle noci,ma io non mi capacitavo. Infine “mè pore u rà ficamie” mio padre mi ha sculacciato, e così mi ha convinto.




M’èntrova nèn ra stoira ed Roma!!
Del periodo della scuola ricordo che una volta mi avevano dato da studiare la storia di Roma e “a m’entrava nen! Non riuscivo ad impararla!., così decisi di non andare a scuola e andai a nascondermi nella vigna fino a mezzogiorno. Destino volle che mio padre incontrasse la maestra che gli chiese perché non ero a scuola e lui stupito mi attese a casa con la cinghia dietro la schiena e dopo avermi chiesto perché avevo marinato la scuola mi fornì una dose di cinghiate sul sedere. Da quella volta non mancai più da scuola!! Anzi,presi in terza mio fratello Luigi,che era più grande di 2 anni! Lo bocciarono due volte!!
Fu la prima e ultima volta che mi picchiò. Mio padre mi voleva un gran bene, anche perché io lo seguivo molto.La mamma mi mandava con lui all’Osto(osteria) perché “chiel o beiviva an poch!”Lui beveva un po’! Con gli amici faceva la partita a tresette ed erano capaci di bersi una bottiglia ciascuno! Poi, “bele cioch”(ubriaco) se non lo accompagnavo a casa non riusciva a rientrare.


Dvan ai beu (Davanti ai buoi)

A quel tempo ,1917,si usava così, appena terminate le scuole mio padre mi mandò da servitò alla Cascina Bsol a Bosia dal “Cé”(nonno Luigi) per fare il garzone “èr tocao” “dvan ai beu”  Mio padre se ne era andato dalla famiglia a 14 anni per fare il servitò, in seguito mise su famiglia e prese prima la cascina Majan e poi la Cascina Langa da masoé (mezzadro).

R’infruensa Spagnola (l’influenza Spagnola)
Fu il periodo dell’epidemia di influenza Spagnola. Mia madre venne a chiamarmi(con er scialèt ansre spole a rè vnime a ciamè) poiché mio padre e il fratello erano a letto febbricitanti. Fortunatamente,nella mia famiglia nessuno morì di Spagnola. Quella volta venne il medico che girava tra Cerretto Arguello Bosia Benevello Borgomale tutto con il calesse a cavallo e mi diede un passaggio fino al mulino di Campetto poiché avevamo finito la farina.Mi caricarono un sacchetto da undici chili di grano e così andai a farlo macinare.


Gistò da servitò: (Sistemato da garzone) incarico “ tocào”

Quando ebbi 16 anni, nel 1925 ,mio padre “o rà gistone da servitò” ci ha sistemati da garzoni,io a Costepomo e Vigin(Luigi) a Castino. Guadagnavo 320 Lire all’anno ma rimasi un mese e poi dopo Natale ,con la scusa di tornare a prendermi degli abiti scappai e neppure accompagnato dal papà non volli rimanere. Soffrivo la malinconia di casa(magonava!),ero troppo distante. Tornando, mio padre mi disse:”Tant et giust da n’atra part, a cà et ten nen!” Tanto ti sistemo da un’altra parte,a casa non ti tengo. “E o ra fà parèi!”E ha fatto così!
Mi sistemò presso una famiglia di Borgomale alla Cascina Priosa. Erano solo”chiel e chila” (lui e lei) e andavo davanti ai buoi con lui o al pascolo con lei ,e a sboré ra feuja per i bigat (a raccogliere le foglie di gelso per i bachi da seta).Lui era un po’ sbrajasson(irascibile),ma lei mi voleva proprio bene e di nascosto dal marito mi dava r’euv sbatù (l’uovo sbattuto).Un po’ per lei e un pò perché dalla Priosa vedevo La Bosia, rimasi volentieri per un anno.


Er papà o fòva er ghirbine (Il papà fabbricava le ceste)
Mio padre sapeva fare tutti i mestieri, dal minusié ar caglié ar saroné ar cadreghè (falegname, calzolaio, carraio, impagliatore di sedie. Inoltre era bravissimo nel fabbricare le GHIRBINE ed doi mani – er toalete. Faceva cuocere i pali “BROPE” di castagno nel forno,Quindi si sedeva su una panca che aveva un pedale per fermare la bropa e con il coltello a due manici pelava i pali e otteneva gli “SCROS” (CORTECCE). O TAJAVA QUATR E QUATR OT SCROS e o ‘ncaminova a ‘ntersé er fond ( iniziava a intrecciare il fondo).Poi metteva quattro assette e “o tessiva i scros come fé na sesta” fino al bordo dove inseriva due manici di salice curvati. Mi sembra di vederlo mentre lavora. Aveva “na vos fausa ma o cantova:Rosin Rosin campme giù er ciavin che veui avni a dorme ansém a tì” .

I partigian ran pione èr crin…ma ra part der padron!!

Mi ricordo che nell’inverno del  ’44 avevamo ucciso il maiale.Eravamo alla Masseria di Arguello. Venne Augusto ‘d Pianfré a gistéro (a fare i salami).Stavo mangianda r’oiròt, ii ruva er partigian Moreto con otri tre.Mangio e beivo con noi, dop er Moreto om dis: Bèica Nando, e rò ra squadra a ra Srea(Cerretta) e antria che ei porteisa da mangé. Mi rò dije slarganda i bras: Lasme in bon e pijte sa part ed crin da Gisté A jera ra part der padron!(Con er Moreto soma sempre andò d’acordi).(Stavamo mangiando r’oriòt ,e arriva il Partigiano Moretto con altri tre,mangiano e bevono con noi.Poi mi dice,:guarda Nando,ho la squadra alla Cerretta e dovrei portare loro da mangiare.Io gli ho detto:Lasciami una ricevuta  e prenditi la parte di maiale ancora da lavorare.Era la parte del padrone! (con il Moretto siamo sempre andati d’accordo). 



Pinin er mascon birichin
Una volta caricai il carro di” scros ed pin” da portare al panettiere di Cravanzana. R’ava na bela caria ed fas de scros(avevo un bel carico di fascine di cortecce). Mi avviai dalla Cascina Langa e quando fui a cinquecento metri un gatto attraversò la strada e senza spaventare i buoi ra carà a ré anversase. Strano,perché i buoi non si erano spaventati e il carico era ben sistemato! Inizio a ricaricare le fascine, quando da una riva appare Pinin ,un vecchietto che viveva da solo in un Ciabòt(casotto).Mi salutò e mi aiutò a caricare.Tirai bene le corde e ripartii. Feci tre o quattrocento metri e”te lì natr gat” (ecco un altro gatto) e si rovesciano nuovamente le fascine.Sacramentando un po’ mi rimetto a caricare ed ecco dinuovo arrivare Pinin che mi aiuta. Aveva tutte le mani insanguinate eppure continuò ad aiutarmi. Per fera curta, e rò anversa ra carà quatr vote prima ed rivè a Cravansana e sempre Pinin o rà gitome a cariè.(Per farla corta,ho rovesciato il carico quattro volte prima di arrivare a Cravanzana, e sempre Pinin mi ha aiutato a caricare.)
Quando arrivai dal panettiere gli raccontai l’accaduto e lui mi confermò che Pinin o jéra in mascon Birichin ) Ma mi e ròva già mangiò ra feuja!(Pinin era una masca scherzosa. Ma a me era già venuto il dubbioò)


sabato 15 ottobre 2011

Maria 'd Giribaldi






https://youtu.be/UF5oR10XAxc                 

 https://youtu.be/WE2Smw_hOPs               
Il mio nome è Mariateresa Boccucci. Sono nata nel 1911 all’ospedale di Bra e dopo tre giorni mi hanno portata in un famiglia di cognome Taretto a Gorzegno. A seconda dell’umore mi piace dire :
“ran butame nom Maria e dop ran campame via “oppure “Ran nen campame via perché iera propi bela”. La famiglia che mi accolse aveva già sette figli , io ero la più piccola e mi volevano proprio bene .”Im davo tanti vizi ,scapiz iera ra pi cita!
Tra me e mio fratello vi erano sei mesi  e lui era “Mè fratel ed pipin” .
L’unico che mi preoccupava era il messo comunale che veniva a portare “i biet d’ra taia” e mi diceva “seti brova? Sednun tornoma portete a r’ospidol” Allora correvo dalla mamma e le chiedevo : Perché mi dice così ,io non voglio andare via da qui. Lei mi consolava stringendomi e dicendomi :
“stai tranquilla ,lui scherza.” Diversamente mi hanno sempre considerata come una loro figlia e sorella.
Abitavamo in una cascina distante un’ora di cammino da Gorzegno e dovevamo passare nel bosco per arrivare al Fiume Bormida e attraversarlo. Io e mio fratello Giovanin andavamo a scuola e tutte le mattine facevamo quella strada.Tuttavia la scuola non era obbligatoria e sovente la perdevamo perché c’era da lavorare e infatti io sono andata a scuola fino a quattordici anni .
Una volta io e Giovanin arrivammo al Bormida e si mise a piovere a dirotto, siccome un’inondazione precedente aveva sollevato la “pianca” per attraversare , si era creato un riparo e mio fratello disse di metterci sotto in attesa che smettesse di piovere. Fortuna volle che un pescatore che ci aveva visti scendere venisse a cercarci e ci fece attraversare in tempo prima che arrivasse la piena e inondasse tutto. Quel signore era un amico di mio padre e ci accompagnò a scuola , ma piovve per qualche giorno e per andare a casa occorreva passare dal ponte di Le vice facendo un giro molto lungo, allora andò ad avvisare i nostri e accompagnò mio fratello che piangeva e voleva tornare a casa. Io mi fermai a Gorzegno da conoscenti che avevano delle figlie che mi fecero giocare .

Mio padre oltre al contadino faceva anche il “resiin” cioè segava i tronchi e otteneva le tavole che utilizzavano per fabbricare le case , i mobili anche le bare e infatti diceva che a malincuore aveva dovuto preparare la cassa quando morì sua mamma. Era un lavoro faticoso e pericoloso perché doveva preparare dei ponteggi e poi tutto a mano dopo aver segnato i tronchi con un filo rosso che indicava dove segare, procedevano con una sega a due manici uno da sopra e uno da sotto a tagliare le assi. Purtroppo morì a cinquantaquattro anni mentre abbatteva un albero. Era andato con mio fratello ad abbattere degli alberi di proprietà di un signore che gli aveva commissionato delle assi e accadde che per evitare che l’albero gli cadesse addosso arretrò e inciampò battendo la testa. Morì immediatamente e ricordo ancora mio  fratello che venne a darci la notizia dell’incidente. Era disperato , ma non ci fu nulla da fare. Erano tempi duri ma la fame ce la siamo sempre tolta,rimasti senza padre si tirò avanti con le pecore e con la campagna finchè si sposarono tutti e rimanemmo io Giovanin e la mamma . Io non andai mai da “serventa” e andavo a lavorare a ore  finchè conobbi mio marito che era con la sua famiglia da “masoé” a Levice.
Il nostro matrimonio fu celebrato a Gorzegno . Il mio futuro marito venne a prendermi con la macchina , una Topolino e venne solo mio fratello. Quando fummo in Chiesa il parroco disse che ci volevano i testimoni e allora Carlin andò all’osteria  e fece venire l’oste e un suo amico , ma al termine della funzione dovemmo andare a Niella perché il parroco aveva i registri là. Così salimmo tutti sulla Topolino, sposi testimoni e Reverendo e andammo a firmare a Niella, quindi finalmente andammo a Le vice dove mia “madona” aveva preparato pranzo. A quei tempi si usava così, senza viaggio di nozze  e iniziai la mia vita a Levice nella nuova famiglia dove c’erano i suoceri che io ho sempre chiamato papà e mamma, un cognato sposato e una cognata da sposare.
Quando mio marito fu richiamato Militare dovetti aggiustarmi per farlo tornare almeno per la Licenza agricola di un mese poiché eravamo a Giugno e c’erano i lavori della mietitura.Così mi fu indicato di andare prima a Cravanzana dal Maresciallo dei Carabinieri e poi a Cuneo e Mondovì per ottenere la licenza. Ebbene con l’aiuto di mia suocera riuscii a farlo tornare almeno per i lavori. In quei  tempi per ottenere delle pratiche bisognava sempre portare qualcosa e allora mia suocera mi mise una “bella pola antra sesta con er cuverc” per la signora del Maresciallo e poi per il Maggiore del Distretto Militare e ottenni la licenza .Senza niente magari non sarebbe rientrato.
Dopo tre giorni dalla mia richiesta arrivò ma rimase solo trenta giorni giusti e dovette rientrare . Si era nel 1943 e fu subito preso prigioniero. Lo portarono in Germania in un campo di concentramento ed ebbe molte difficoltà oltre a patire il gran freddo, poiché lo mandarono a lavorare in una fabbrica e gli davano niente da mangiare,”mac dra brodela”. Fortunatamente erano in tre della stessa zona e si facevano coraggio a vicenda. Quando tornò raccontò che dalla finestra della baracca dove erano tenuti prigionieri videro una barbabietola e si ingegnarono di prenderla unendo le cinture ma allorché l’ebbero tra le mani risultò marcia , un’altra volta recuperarono una “reiz ed co” e la ripulirono bene e quindi ne fecero tre pezzi giusti . Eh se la videro proprio brutta! Poi lui “me Carlin”chiese e ottenne di andare a lavorare in campagna e così riuscì a vivere un po’ meglio. Andava a lavorare in una cascina dove c’erano il marito che era proprio cattivo ma la moglie e la cognata erano buone e gli volevano bene. Rischiò di essere accoltellato dal fattore perché non riusciva ad arare nel terreno gelato ma se la cavò lottando e togliendogli il coltello. In un’altra occasione,mentre lavorava in un campo con il proprietario della cascina furono mitragliati da un aereo che uccise un cavallo e ferì il tedesco e l’altro cavallo, lui non fu colpito per miracolo. In seguito finì la guerra e con i suoi amici decisero di ritornare a casa a piedi, “pori cristian i son rivò rovo pi gnun garèt”.   

Io la guerra l’ho vista anche qui, poiché su a Levice passavano i tedeschi e ci mettevano una gran paura. Quando vedevamo le autocolonne nello stradone sapevamo che sarebbero arrivati in cascina,sparavano alle galline e poi volevano gliele facessimo cuocere. I tedeschi cercavano i partigiani e una volta arrivarono e videro mio cognato che era riformato, lo presero e si fecero dire dove era il sentiero che portava ai partigiani e quando si resero conto che lui aveva indicato sbagliato lo buttarono in un “rivass”. Avevamo una gran paura anche perché loro parlavano tedesco e non li capivamo. In un caso un tedesco mi seguì nelle camere sopra dove c’era mia cognata che aveva partorito ma a causa di un’infezione dovette rimanere quaranta giorni a letto, questo militare voleva sapere dove era mio marito,fortuna che mi venne in mente di prendere la cartolina che indicava che era prigioniero in Germania e riuscìi a spiegarmi così si calmò e dandomi una mano sulla spalla disse: “ capito ,tranquilla, solo mangiare allora”. Io avevo già  due “masnà “ che impaurite non si staccavano dalle gonne !
A volte arrivavano anche i partigiani che avevano fame e in due casi ci portarono via i vitelli che noi avevamo per allevare, ma cosa vuoi fare “lor ravo fam”!

Finita la guerra mio marito tornò e si riprese a lavorare un po’ più tranquilli . Allevavamo i bachi da seta per la produzione dei bozzoli e li mettevamo in tutte le camere. Era un lavoro che durava solo tre mesi ma era molto impegnativo.
Si comprava “ra smenz” che veniva venduta in sacchetti di tela con ¼ di oncia o 1 oncia e noi ne prendevamo tre once!
Un anno mio marito costruì una grande terrazza davanti a casa e sotto ci mettemmo “tute pontà per i bigat”, e ci arrangiavamo a proteggerli dal vento con delle lenzuola e coperte. Per far schiudere le uova di baco li mettevamo in una tasca di stoffa e mia “madona” se li appuntava con un ago nell’interno del vestito affinché stessero al caldo naturale. In ventidue giorni loro schiudevano ed era ora di metterli nelle “panere” grandi ceste con il manico. Appena nati i bachi sono neri e per estrarli dalla “sacocia” tasca di tela si prendevano le foglie del “mo” gelso alle quali  si attaccavano e venivano depositati nelle ceste. Ogni otto giorni fanno “la dormia” la dormita e dormono della prima, della seconda ,della terza e della quarta e poi maturano ed è ora “d’enrameie” di mettere i rami attorno ai quali loro fabbricano il bozzolo.Noi usavamo le piante secche dei”cisi”,quando le piante erano essiccate, durante l’inverno ,nella stalla ,gli uomini “sboravo er piante “ ripulivano le piante e facevano dei fasci di “ramaset” utilizzati per costruire i “candlin” dei candelabri sui quali si arrampicavano i bachi per “travaié”. Quando hanno fatto le dormite e sono maturi , i bachi hanno la seta che li soffoca e quindi hanno bisogno di metterla fuori e fabbricare il bozzolo.
                     

Maria 'd Giribaldi



martedì 11 ottobre 2011

DROCCO Carolina e MARIAROSA1910



CAROLINA E LA FIGLIA MARIAROSA

https://youtu.be/KDxpoSvD17I                                               VOLEVO STUDIARE DA MAESTRINA



Angiolina Carolina Drocco di San Benedetto Belbo        classe  1910  
1899 La leva dei "soldati bambini"

Dico sempre che vivo di ricordi (E di….pastiglie!medicine) e ho la fortuna di ricordare da quando avevo cinque –sei anni. Purtroppo sono cose tristi ,perchè ho vissuto la storia di due guerre.
Per quella del 1915 partirono
uomini nati tra il 1879 e il 1899(la leva dei  “soldati bambini “) e tantissimi non tornarono.
                            
Mio zio era del 1899 e a soli 17 anni  perì nella battaglia del Monte Grappa. Ricordo come fosse ieri Zio Gepin, il cognato di mio papà, che pur del 1879 e con quattro figli venne a salutare e a chiedere di” dare un occhio” alla sua famiglia. Non tornò! Ricordo un vicino che anche lui con tre figli venne a salutare e morì dilaniato da una granata. Abbracciando papà che piangeva gli disse : “non tornerò” e fu così.
O polenta o castagne!!
In quei tempi nelle nostre campagne vi erano solo donne, anziani e bambini. Non posso dire di avere fatto la fame poiché da mangiare o era polenta o erano castagne ma si mangiava,certo erano tempi difficili. Per avere qualche soldo per l’inverno si “colatava “ addestrava il bue al giogo e lo si vendeva. Si tiravano a casa fino a cinquecento Lire per le esigenze invernali.Poi c’erano le patate ,che lungo il Belbo venivano proprio belle, si conservavano i cavoli i”poret” porri e con il lardo del maiale si facevano delle buone “bagne” sughi. Mio padre si era costruita una “Topa” Tagliere per tritare la carne di maiale con l’accetta e impiegava una settimana a preparare degli ottimi salami che facevamo durare tutto l’inverno. Poi naturalmente ,ogni famiglia aveva sette otto pecore e un po’ di galline.A quei tempi il merluzzo era considerato “il salame dei poveri”,come anche le acciughe si usavano per la Bagna caoda.Adesso costano più della carne!! Un po’ di vinotto lo producevamo nella vigna che avevamo alla Borgata Moretti. Il papà era orgoglioso della sua vigna e la teneva come un giardino.

La penna e i pennini in premio agli scolari migliori!
 Iniziai la prima elementare a cinque anni anche se la scuola a quei tempi non era obbligatoria. Mio padre, che era analfabeta, diceva:< Non voglio che tu debba vergognarti come succede a me quando firmo con la croce.!> Ebbi la fortuna di avere come maestra la figlia del proprietario della cascina dove eravamo da Mazoè (mezzadro). Nonostante fossi stata ammalata venne a darmi lezioni a casa e non persi l’anno. Ho sempre avuto una buona memoria e la maestra vedendo che imparavo con facilità propose  di farmi studiare da Maestrina ma mio padre piangendo disse che neppure vendendo tutto ciò che possedeva non sarebbe riuscito a mantenermi gli studi. Occorreva andare in collegio a Mondovì  dagli otto ai diciotto anni e pertanto nonostante mi piacesse studiare frequentai fino alla classe terza. Bisogna dire comunque che non avevamo tante materie ma con una buona maestra si imparava a leggere scrivere e fare di conto anche solo nei tre anni. La maestra per invogliarci a imparare ci dava dei premi, certo erano piccole cose: qualche pennino o penna , ma per noi erano importanti. In seguito, quando avevo ormai dieci anni le scuole diventarono obbligatorie e la maestra soddisfatta commentò “Finalmente posso andare a prendere a casa gli allievi che non frequentano! e vanno al pascolo invece di venire a scuola”.




                        La zappa e il badile! Altro che trattore!
                                           
 Il lavoro nei campi era molto faticoso, quando ero piccola vedevo lavorare la terra con il badile e la zappa, poi con i buoi e l’aratro di legno. Occorrevano comunque tre persone, uno davanti ai buoi, uno a toccarli e uno all’aratro. Mio padre fu il primo in paese a comperare l’aratro in ferro che proveniva dalla Germania. Venivano tutti a vederlo e controllarlo, ma non tutti potevano permetterselo.
Quando ero bambina non c’erano le discoteche e la sera papà voleva che si dicesse il Rosario. Per far presto, siccome avevo qualche “fiammetta” che mi aspettava fuori, tentavo di recitarlo mentre lavavo i piatti, ma il padre non permetteva, così prima il Rosario poi i piatti, dopo i” moròsot” fidanzatini che aspettavano entravano in casa e allora si giocava, ed eravamo felici con niente.

STORIE DI MASCHE

LA VOCE DAL BOSCO Dèr monije ( delle monache)  

 Tornando a casa, mio padre incontrò un agnellino nero riccio e proprio bello. Lo sollevò e se lo mise sul collo pensando che qualcuno lo avesse smarrito, e intanto che procedeva gli diceva: sai che sei proprio bello, chissà come ti cercherà il tuo proprietario? Quando fu all’imbocco della strada dei "Muretti" (frazione di San Benedetto Belbo)sentì una voce provenire dal Bosco delle Monije che diceva: ”Eleonora chi è che ti porta?” L’agnellino rispose: ”O re Carlo ‘d Gioanin ‘d pajin” Mio padre si spaventò e lasciò cadere l’agnello che scappò e non fu mai più visto. Si dice che nel paese vivesse una "Masca che faceva sia del bene che del male!"


Garibaldi di Bonvicino : Guaritore- Mascone 

Il vicino di mio padre, avendo male ad una gamba fece venire Garibaldi di Bonvicino che aveva fama di essere un buon guaritore. Questo venne e lo guarì, gli fu promesso che come paga gli avrebbe fatto avere due sacchi di grano. Alla trebbiatura i sacchi non gli furono recapitati e il vicino di mio padre tornò ad avere male alla gamba. Il mio  papà tornò da Garibaldi a pregarlo di venire nuovamente a guarire l’ amico , ma il guaritore disse di riferire che siccome non era stato pagato come pattuito, non sarebbe tornato. Il vicino rimase zoppo fino alla morte, lo ricordo ancora. Si diceva che Garibaldi fosse una Masca e quando fu in punto di morte dovette venire il Prete ad aiutarlo a morire. Dovette bruciare certi libri che Garibaldi possedeva e consultava.

 


STORIE DI VITA NELLA GUERRA 

Anche quando mi sono sposata ho sempre mantenuto la devozione alla Madonna , già avevo Maria Rosa,e avevo l’incarico di dirigere il Santo Rosario alla Cappella che a quei tempi era intitolata a San Luigi e oggi è dedicata al Sacro Cuore. Venivano anche i bambini ,naturalmente per giocare, era l’occasione per stare con gli altri bambini del paese.

Una sera dovevo ancora mungere la mucca e le pecore e dissi a Maria Rosa che non saremmo andate alla Cappella per il Rosario. Lei , chiaramente, aveva piacere di andare per giocare con le amichette e cominciò a insistere e supplicarmi dicendomi che sarebbe andata a mungere le pecore. Figuriamoci, avrà avuto sei o sette anni! , e dopo la mia definitiva decisione di non andare , corse in camera sbattendo la porta. Non aveva ancora terminato di cambiarsi che sentimmo due forti colpi.

 

MARIA ROSA : Io pensai fosse stato il “ pruz” (interruttore della luce a pulsante) che avesse battuto contro il ferro della testiera del letto, seppi poi che erano stati due colpi di arma da fuoco.

 

CAROLINA: In quel periodo i partigiani avevano iniziato a funzionare! Arrivò mio marito e gli dissi se aveva sentito gli spari e se non fosse andato a vedere cos’era successo ma lui più saggio, mi rispose che era meglio non rischiare.

Il giorno dopo portai le pecore al pascolo nel campo lungo il torrente Belbo e il proprietario del prato aldilà del Belbo mi chiamò per farmi vedere che c’era un mucchio di terra fresca con due grosse macchie di sangue. 

SAN BENEDETTO BELBO INCENDIATO DAI NAZIFASCISTI


Il 20 Novembre 1944 arrivarono i tedeschi e bruciarono quasi tutte le case del paese di San Benedetto Belbo Presero in ostaggio 54 padri di famiglia con uno o due figli piccoli. Questo avvenne perché i Partigiani avevano ucciso un colonnello tedesco che comandava i presidi di Alba e Ceva. Dei due militari uccisi con il comandante furono subito ritrovati i corpi, invece il colonnello non fu trovato. Interpellati i Partigiani di Cortemilia dissero di averlo lasciato dove era stato ucciso. Evidentemente fu soltanto ferito e si trascinò nei pressi di quella casa che era lì vicino. Emilio, che abitava in quella casa lo trovò morto e per timore che incolpassero lui dell’uccisione, non disse nulla e coprì il corpo con molto fogliame così che non fu rinvenuto. I tedeschi avvisati che le uccisioni erano avvenute nel territorio di San Benedetto, presero in ostaggio 54 padri di famiglia compresi il Parroco e due giovani, avvisarono gli anziani e le donne che se non avessero consegnato il corpo del loro comandante avrebbero ucciso gli ostaggi e “cancellato dal calendario” il paese di San Benedetto Belbo, non avrebbero lasciato neanche una gallina. Allora ci demmo da fare e avendo saputo che vi era stata una bambina che aveva visto qualcosa, inviammo un gruppo di persone (tra le quali vi era una mia nipote(anche lei già deceduta)  da quell’uomo, di nome Emilio(dico il nome perché è già morto!.  Lo pregarono in ginocchio di dire dove aveva nascosto il corpo del tedesco, ma lui negò sempre. Mia nipote capendo che aveva paura di ritorsioni usò parole dure: <Noi sappiamo che siete stato “voi”(un tempo si usava il voi nel rivolgersi ad una persona anziana) a nascondere il corpo, e comunque ce ne andiamo, sappiate però che 54 padri di famiglia con dei bimbi piccoli saranno uccisi, e voi li avrete sulla coscienza!>. Se ne andarono ma videro che l’uomo entrò in casa e parlò con la moglie, quindi richiamò mia nipote e le altre donne e uomini e disse:<Se mi promettete di non fare assolutamente il mio nome e di non intromettermi in nulla, vi indico dove è nascosto il cadavere, andatelo a prendere e portatelo ai tedeschi!> Un uomo, Emilio Canonica, andò dove aveva indicato e disse di averlo rinvenuto lui casualmente.

EMILIO CANONICA

Tuttavia bruciarono tutto, quel giorno tutta la valle Belbo fu invasa dal fumo e non si vedeva a due metri di distanza. L’odore acre di bruciato ci rimase nella memoria insieme al terrore che ci procurarono quei soldati che con lanciafiamme e bombe incendiavano fienili e abitazioni, entravano e buttavano fuori mobilio e vestiario e come furie distruggevano senza pietà.

Incolonnarono quei 54 uomini compreso il Parroco e due vecchi che poi lasciarono indietro perché avevano già ottant’anni, e li fecero procedere fino alla Madonnina dei Piani passando per le vie del paese affinchè vedessero di cosa erano capaci.

Noi abitavamo nell’ultima casa verso il Belbo e arrivarono alla sera tornando indietro dopo avere bruciato e distrutto tutto. Un soldato mi puntò il mitragliatore alla schiena, ancora oggi mi viene freddo in quel punto a raccontarlo, e mi spinse a entrare in casa. Sempre usando l’arma mi costrinse a girare nelle misere camere e ad aprire e rovesciare cassetti e ripiani dei pochi mobili che avevamo. Io non so cosa cercassero, poi mi sospinse nuovamente fuori e stava per ordinare a un soldato di usare il lanciafiamme, quando intervenne la mia bambina: Rosa. Lei era stata testimone di quelle orribili scene e intervenne staccandosi dalle mie gonne e  lanciandosi coraggiosamente verso il comandante tedesco. Piangendo gli urlò: <….mio zio l’avete portato in Germania, mio papà l’avete portato via stamattina, adesso ci bruciate la casa, ma cosa vi abbiamo fatto?> Quel tedesco, colpito dalle parole di Rosa, fermò il soldato con il lanciafiamme e chiese? < avete documenti?> Rosa rispose correndo a prendere la cartolina scritta dallo zio e proveniente dal campo di prigionia. Il tedesco la lesse, ordinò al soldato di andare e accarezzando Rosa le disse: <non piangere biondina, anch’io ho una bimba in Germania, e non la rivedrò più!> Girò i tacchi e fece per andarsene, io gli chiesi:< dove avete portato mio marito e gli altri uomini?> Lui, non riuscendo a pronunciare Murazzano disse:< …a Mulano!> e noi capendo Milano ci disperammo ancora di più…..

 

 


domenica 9 ottobre 2011




Maestra Ruffino(Boffa) Vincenza            Nome di Battaglia : Mary
ALBA 2008 Intervista video registrata e trascritta da Beppe Fenocchio 

L’infanzia a Cottà di Neive
Io sono nata a Cottà , una bellissima frazione che dista due chilometri e mezzo da Neive. Questa borgata mi è rimasta nel cuore e avessi potuto non l’avrei mai lasciata.
La mia mamma era vedova di guerra ma volle che avessimo un tracciato educativo scolastico e pertanto sia io che mio fratello frequentammo fino alla classe terza la scuola di Cottà e quindi la quarta e la quinta a Neive. Negli anni trenta quaranta eravamo pochissimi che frequentavamo la scuola fino in quinta.
Io , a differenza di mio fratello non andai all’asilo e come ho detto frequentai la quarta e quinta avendo come maestra la Signora Molino , mio fratello ebbe il Maestro Balbo .                                                    .

 


Andavamo a scuola a piedi e con gli zoccoli percorrevamo i  due km. e mezzo in gruppo in quanto da Cottà eravamo parecchi. Mia nonna ,per farmi felice mi aveva comperato gli zoccoli con la pelliccia ed era un lusso! Il nonno mi fabbricava il “sep”dello zoccolo quando si rompeva. Usava il legno di gelso e con i rami realizzava i cestini e le ceste per l’uva ,con il legno del tronco produceva gli zoccoli. Ai Cottà vivevo con i nonni materni , poiché la mamma lavorava a Torino come persona di servizio. Quando rimase vedova ,  andò ad abitare ai Cottà e quando mi partorì prese un bimbo a “balia”,aveva esigenza di collaborare per guadagnare per il nostro sostentamento poiché non aveva la pensione.





Il papà a Redipuglia                         
Io sono nata tre mesi dopo la morte di papà, morì in seguito alle ferite riportate durante la prima guerra mondiale. Era ufficiale dei Bersaglieri,  del drappello con Mussolini e fu tra i primi bersaglieri che liberarono Trieste , fu ferito al cuore , la pallottola entrò nell’ansa dell’aorta e fu dato per morto . Questo successe sul Carso. Al termine della battaglia gli infermieri passarono per raccogliere i feriti e i morti . Mio papà fu messo sotto altri soldati morti. Il Cappellano sentì un gemito e lo comunicò al Capitano medico Dott. Velatta ,  sarà poi medico condotto di Neive. Il dottore prestò le prime curea papà   e lo fece ricoverare presso l’ospedale di Udine , in seguito fu mandato a casa in convalescenza. Essendo un Ufficiale, terminata la convalescenza fu richiamato e fu in quel periodo che con il drappello di Bersaglieri entrò in Trieste. La testimonianza di quell’impresa esiste tuttora a Redipuglia dove vi è una lapide con i nomi e le fotografie dei bersaglieri che liberarono Trieste. Mamma ci portò a Redipuglia , io avevo nove anni e mio fratello dodici e ricordo una fatica grande per raggiungere il Sacrario ma anche una grande emozione.
Non aver conosciuto papà è stata per me una ferita che mi sono portata per tutta la vita. Chiedevo sempre con insistenza alla mamma informazioni di papà ma soprattutto chiedevo a mio fratello. Lui era nato nel 1923 e si ricordava tutto di papà , mi diceva che lo prendeva sulle spalle e lo portava a raccogliere le ciliegie, i pocio”nespole , e io ero un po’ gelosa . Papà mi è mancato tanto e infatti lo sognavo sovente ma non lo vedevo, mi parlava sempre dall’altra camera!

I medich di paese
Un fatto importante della nostra vita fu l’arrivo del Dott. Velatta  che dalla Val Sesia vinse il concorso per medico condotto a Neive e curò mio padre . Fu grazie alle sue testimonianze che quando papà morì , mamma fu dichiarata vedova di guerra e non di invalido di guerra. Il Dottor Velatta era fascista ma fu una persona di grande umanità e bontà. Quando ebbi sei anni mi ammalai di convulsioni e il Dott. Velatta mi curò rimanendo giorno e notte finchè ritenne che ero fuori pericolo. Su interessamento del Dottore ,mio fratello frequentò le scuole per i figli di militari a Moncalieri. Nel frattempo, il fratello di mia mamma ,Don Boffa, fu nominato parroco di Cortemilia e fece tornare da Torino mia mamma. Allora avevo sei anni e ricordo che feci la prima Comunione a Cortemilia. Qui  ebbi nuovamente le convulsioni e fui curata dal Dottor Molinaris, il nonno di Raoul. In seguito tornai a Cottà per le scuole .

Che importanza ha la razza con l’ammissione al Liceo?
Terminata la quinta classe andai a sostenere l’esame di ammissione al Liceo classico di Alba, e già allora vi fu una cosa che mi seccò molto, mi richiesero la documentazione di razza ariana fino alla settima generazione. Il Podestà di Neive , Tullio Grasso , papà della Maestra Dina e del Maestro Igino , non voleva farmi la dichiarazione , perché mio zio Centin Boffa non era Fascista e non volle mai partecipare all’addestramento militare. In seguito al suo rifiuto vennero a prenderlo e gli fecero bere l’olio di ricino, mi ricordo che lo legarono al fico e gli fecero trangugiare l’olio. Fu da questo fatto che scattò in me la scintilla che mi fece diventare antifascista. Vedere dei Fascisti in divisa che cercavano di estorcere a mio zio la promessa che il sabato successivo sarebbe andato alla parata militare e vederlo dire : < biteme an person , feme lo che vori ma mi tant e ven nen!>  fu per me un insegnamento di coerenza morale che mi educò per sempre.
La mamma riuscì ad ottenere il documento di razza Ariana grazie all’interessamento del Dott. Velatta , che essendo Fascista convinse Tullio Grasso a rilasciarlo.
A sostenere l’esame di ammissione eravamo io , Ines Grasso , Elda Boella, e altri cinque. Risultai la seconda , nonostante andassi a scuola a piedi con gli zoccoli e fossi della frazione Cottà .
Gli studi superiori
 Rammento ancora quelle lunghe camminate nella neve.Ricordo che un anno era più alta di me e mio zio Centin non vedendomi arrivare veniva incontro.
Quando lo zio Don Boffa fu trasferito parroco a Salmour , io e la mamma lo seguimmo e frequentai tre anni di Ginnasio a Cherasco ,poi dovendo scegliere la scuola superiore scelsi Ragioneria a Bra poiché ad Alba non c’era. Nel frattempo mio zio ebbe il Beneficio di Don Boella a Neive ,ma la mamma non volle che andassi a Bra poiché eravamo nel periodo della resistenza e avevano abbattuto il ponte. Lei non voleva che prendessi il traghetto . Nuovamente fu determinante l’interessamento di Velatta, la mamma era determinata a farmi perdere l’anno ,ma ai Santi incontrammo il Dottore che rimproverò la mamma di non farmi perdere l’anno e fu così che con l’aiuto di Don Boffa e del Professor Corino diedi l’esame integrativo e passai all’Istituto Magistrale di Alba. Le difficoltà alle Magistrali furono tante poiché non avevo le basi di Latino e di Grammatica e tuttavia studiavo molto e andavo molto bene di Matematica. Soffrivo molto il confronto con mio fratello che era veramente un’aquila e la mamma me lo faceva pesare. Se prendevo nove di matematica mamma mi smontava dicendomi:<tò fratel o pia des !> , una volta portai a casa un cinque di grammatica, mi diede uno schiaffone che mi fece sbattere contro il muro e mi venne un gran bozzo.
Mamma dovette farci anche da padre e pertanto era molto severa , ci voleva un bene dell’anima , fece tanti sacrifici ma fu inflessibile.

Dilia e Augusto ed Pianfré





Augusto
Sono nato in Aure (frazione di Arguello) nel 1926 ,qui, vivevano ben 33 persone. In famiglia eravamo nove , papà ,mamma ,tre fratelli e quattro sorelle. Da bambino giocavo con poche cose ,perché (smore = giocattoli) non ne avevo. Appena sono stato capace mi costruivo (dei caross= piccoli carri di legno, Parette =delle palette di legno per giocare con la terra e le pietre).
Dilia
Giocattoli non ne avevamo e quindi ci arrangiavamo a costruirceli, prendevamo due assette di legno, le inchiodavamo e mettevamo le ruote e le barre per trasportarlo. Prendevamo esempio dai carri e carrette che usava il papà.   
Foto Dino Volpe
Augusto
Con la mia famiglia, siamo sempre stati in Aure a coltivare la terra
finchè ognuno di noi figli e figlie si è sposato . Io sono venuto a vivere qui a Pianfré (Frazione di Lequio Berria) e sono ancora qui.
Non ho fatto il servizio militare perchè avevo due fratelli in guerra,e pertanto sono stato esonerato.
Durante la seconda guerra mondiale , anche in questi posti così isolati, abbiamo avuto tanti problemi. Difficoltà, perché arrivavano i Tedeschi , i Partigiani , i Russi e tutti volevano mangiare e bere.

Dilia :
Una volta sono arrivati dei Russi e avevano tantissime armi, io ero piccola e mi facevano tanta paura. Le posarono sotto il tavolo,un mucchio! ci fecero capire che se davamo loro da mangiare e bere non ci avrebbero fatto niente, ma come facevi a stare tranquilla , avrò avuto dodici o tredici anni.



Dilia:
Un altro motivo di timore era quando arrivavano i Tedeschi e guardavano il foglio di quanti eravamo in famiglia ,e se mancava qualcuno erano grane. 
Augusto:
Sì i Tedeschi avevano fatto compilare uno stato di famiglia in ogni casa ,quando passavano volevano vedere il foglio e sapere dove era chi mancava da casa.
Mio fratello Armando aveva terminato il militare,aveva già il congedo in mano a Borgo San Dalmazzo e invece è partito per l’Africa (16 mesi) ,poi è andato in Francia e infine in Russia da dove è tornato con i piedi e un dito della mano congelati. Riuscì ad arrivare a Rimini dove lo curarono ma mentre era in Ospedale ebbe una paralisi, meno male che era ancora sotto cura!Caterina di Cantabusso e Marina del Bricco andarono a trovarlo.
Mio fratello Mario andò in guerra in Albania.


Il Carnevale 

Per parlare di cose più allegre, mi ricordo del Carnevale. Si preparavano “er raviore”(i ravioli) i taiarin (i taglierini) in tutte le case e si andava a mangiare a pranzo da una famiglia e a cena da un’altra.


Dilia:
Alla sera si organizzavano dei balli in casa. I suonatori erano locali e ci divertivamo così, ballando.

Augusto:
In zona avevamo tre suonatori di fisarmonica. Uno abitava in una casa qui alla cascina der Posèt ed era “Giolo” suonava con questo ritmo”tre tome tretome tretome”!






Dilia :
 Conosceva e  suonava tre pezzi “doi istess e un precis”(due uguali e uno identico).
Augusto:
Poi c’era Adriano che abitava al Bricco di Arguello e abitava con uno di nome Anselmin e lo faceva dormire nella greppia insieme all’asino, infine alla cascina “Roé” (Roero) viveva Giorsèt che aveva sposato la sorella di Celin . Giorsèt era un suonatore già un po’ più moderno e veniva a suonare in un salone grande delle  case che sono ormai diroccate nella borgata qui sopra. Tutti i sabato lui veniva a suonare in questo salone, portava sua moglie Ginota e organizzavano una serata di ballo. Suonava la fisarmonica e si radunava un po’ di gente delle cascine dei dintorni. A differenza di Giolo der Posèt sapeva suonare e potevi ballare.
Dilia: si ballava tutta la notte alla luce del lume!                                                                        
acetilene e lume a petrolio                                      
Augusto:Erano tempi brutti, ma forse più belli di adesso,perché avevamo niente , però tutti erano allegri e tutti cantavano e ballavano. Certo ,in seguito c’è stato il periodo della guerra che ha toccato tutte le famiglie e son cambiate un po’ le abitudini, tuttavia vi erano Vigin ed Mini, Gioanin di Cavalot er pare ed Renso, Remigio e Carlucio dra Braja, che organizzavano delle ”Sarabande”( Serate di gruppo) a cantare e avevano delle gran belle voci.  Era veramente bello sentirli! Vigin ed Mini, quando gli naquero le due “matote” (bimbe), voleva festeggiare cantando e siccome la moglie Maria gli disse di non disturbare le bambine lui disse: “Anlora andoma a canté da Gusto ed Pianfrè, là son tuti già grand !”Allora andiamo a cantare da Augusto di Pianfré, là i bambini sono già grandi!(la cascina Pianfré è in una posizione più isolata). Non andavano né da Vigina der Saré né in Aure da Paolin perché la moglie non gradiva e poi era un po’ tirchia!
Dilia: Una volta,era Carnevale, io, Carla (moglie di Augusto) e altre siamo andate a prendere le uova nel loro “Gioch” (pollaio) e le abbiamo portate a lei perché le cucinasse, se ne accorse dopo e ci rimase male ma Paolin invece ci rise sopra!
Augusto:
Si, Paolin era da compagnia!
Tiravamo avanti così, lavorando e divertendoci. Ogni Sabato ci riunivamo in questo salone da Filipin di Pianfré e si ballava, a volte c’erano anche i cantori e così la festa era più bella ancora.
Bravi cantori erano Remigio e Carlucio dra Braja ,  Carlucio dra Srà(Cerrata) zio di Alfonso e figlio ed barba(zio) Galon( aveva sposato la sorella di mio papà.) Galon e mia zia ebbero tre figli ma dopo la guerra del 1915 con la Spagnola(epidemia influenzale) morirono tutti. Adottarono una ragazza senza famiglia, di nome Finin che contribuì a rendere meno triste la loro vecchiaia.
Dilia : Finin era piccolina ma proprio simpatica, lei scherzava, se poteva fare qualche “marminela”(birichinata) la faceva e teneva allegra la famiglia.
Ogni sera si andava a “viè” nelle stalle , si giocava a carte, si raccontavano storie …..
Augusto:Magari a Mezzanotte ci veniva voglia di preparare “doi friceu”(due frittelle) e allora si andava a prendere una bottiglia d’olio e si friggevano sulla “Stiva”.(stufa di ghisa)
Un’altra occasione per fare festa era lo”Spojè i canon  ed meira”(sollevare le foglie delle pannocchie di granoturco), ci si trovava nel cortile e cantando si lavorava, però per ballare occorreva terminare la meliga e prepararla per metterla  a essiccare legata ai pali di castagna sulla facciata delle cascina e sta meira non finiva mai, allora qualche giovane per poter ballare metteva le pannocchie tra le foglie o come è successo ai Giameis (Frazione Giamesi) le hanno buttate nel pozzo. Certo che quella fu una birbonata grossa, ma c’era qualcuno che pur di iniziare a ballare le studiava tutte.

I primi soldi della stagione arrivavano con i “cochèt”(i bozzoli dei bachi da seta). I bachi da seta li ho ancora tenuti qualche anno qui in Pianfré. Si vendevano a San Pietro e, a volte, con un quarto di oncia di “smens”(uova di baco da seta) facevi venticinque kilogrammi di bozzoli ma a volte i “bigat” (bachi da seta) marcivano tutti e allora non avevi nulla.
Dilia:
L’allevamento dei bachi era un lavoro grande e delicato.  Quando erano piccoli si tenevano in una cesta , venivano nutriti con la foglia di “mo” ( gelso) tagliata fine , facendo attenzione di non far prendere “ra corènt ed marin”( il vento di Scirocco ) che poteva farli morire. Man mano che crescevano venivano messi su delle
“Pontà d’as”(ponti di assi di legno), ogni ponte aveva un piano da 5 assi,si occupava una camera intera.
Augusto:
In alcune annate, con un’oncia di semente si ottenevano ottanta chilogrammi di bozzoli. Nel 1936, io avevo dieci anni , mi ricordo che con mio fratello Toni abbiamo portato i sacchi di “cochèt” fino a Lequio dove c’era uno di nome Cico il quale con le mule portava il papà a venderli ad Alba.
Tornati a casa ci raggiunse un brutto temporale, grandinò e apparentemente non sembrò granché ma il giorno dopo andammo a vedere le vigne: un paesaggio desolante, aveva pelato tutto, c’erano solo più “i scaloss”( i pali di sostegno), in quell’anno non ci fu vendemmia , eravamo o a San Giovanni o a San Pietro. “Bonor chi iera i sod di cochèt”(meno male che c’erano i soldi dei bozzoli) perché quella grandine portò via anche il grano!
”La tempesta”(la grandine)nel 1965 nuovamente ci portò via sia l’uva che il grano. Ero andato a tagliare il con mio fratello Giovanin nel campo vicino al “ciabot”, avevamo fatto due o tre “cabale” (mucchi di grano) con le “giavéle” “fasci”   quando cominciò a piovere e il cielo lasciò cadere dei pezzi di ghiaccio che facevano male, fortuna che riuscìi a ripararmi in un “voltin” (riparo a forma di piccola volta in pietra),ma sentìi mia cognata Agnese che chiamava a gran voce “so om”(suo marito) e così  passando rasente ai muri delle “piovà” arrivai dalla stalla altrimenti “am masava” (mi uccideva). Giovanin si era attardato a formare le Cabale e poi si era ritirato nel ciabot.
Dilia:
Quanto lavoro si faceva “rispet adess” (in confronto ad oggi!) .
Si tagliavano le spighe a mano e si facevano “le giavéle”che venivano legate con le “tortagne”(rami flessibili di salice) ,se pioveva occorreva girarle per farle asciugare , poi si formavano le “cabale” nel campo oppure la “borla”(mucchio più grande)  ,era necessario non farlo essiccare troppo  altrimenti si perdeva una parte di grano nel campo. In seguito lo si portava nel cortile e con il “ribat” (pesante tronco di legno dentato) si “bativa”(trebbiava).
Augusto: Con il passare degli anni iniziammo ad avere la maggior parte del grano nei campi aldilà del Belbo e lo si portava alla cascina della Cà Bianca dove veniva la trebbiatrice .
Fino a qualche anno fa andavo nelle famiglie a “massé er crin” e a “rangero” e così ho potuto conoscere tantissime persone delle zone di Arguello, Cerretto, Sinio,  Bossolasco che si ricordano di me e mi conoscono ancora, ma io non li riconosco più a meno che non mi dicano di dove sono. Non posso ricordarmi di tutti, anche perché in certe annate, io e il mio socio uccidevamo fino a 110 maiali e voleva dire andare presso circa un centinaio di famiglie. In certe cascine stavamo fino a tre giorni, come ad esempio da Chiavarino a Bossolasco. Loro erano tre fratelli e tenevano tre maiali, sono sempre andato io a “rangeie e masseie” e mai che ci siano stati dei problemi. Vigin ed Ciavarin veniva a prendermi alle cinque di mattina e aspettava che terminassi di “ciadlé er bestie”.
Mio “cé” “o r’ ava na man a fé i saram e mi e ro amprendì da chiel” , di salami ne ho fatti tanti e “iè  mai andaine gnun a mar”.C’è stato un periodo che allevavo dodici maiali e poi facevo salami e mai che se ne siano guastati.
Bisogna farli asciugare in una camera che non sia troppo fredda ma che sia umida. Andavo sempre a Gottasecca a sistemare il maiale a uno che poi è andato a Ricca e ricordo che quando andò ad abitare a Ricca li fece asciugare in una camera che aveva una parete con un termosifone, io lo sconsigliai ma lui non mi ascoltò.
Un sabato ,mentre andavo al mercato ad Alba passai e mi disse di andare a vedere i salami, erano tutti da buttare via! Il caldo del termosifone aveva fatto staccare e seccare la pelle dei salami che così erano irranciditi.

Nel 1936/37 vennero il Chirurgo Carusi e un altro medico a operare a casa mia mamma che aveva la pleurite , dopo l’intervento nei giorni successivi gonfiò in tutto il corpo , allora partirono mio fratello Toni e mio cugino Giovanoto e andarono dal settimino di Cessole. Questi diede loro delle erbe e disse di farle bollire e somministrarne tre cucchiaiate.Così fecero e il giorno dopo lei era guarita, scampò ancora parecchi anni.
L’intervento ci costò sedicimila Lire, mio padre diceva: “con seddesmila lire podavo catè quatr cobie ed bo ed 100 e passa
milia! “ (con sedicimila lire avremmo potuto comprare quattro coppie di buoi di 100 e più miriagrammi)
Eravamo d’inverno e il Dottor Alfonso Busca di Feisoglio ,che aveva in cura la mamma ci consigliò così, di far venire a effettuare l’intervento a casa. Per curare la mamma ,il Dottor Busca venne 51 volte, lasciava il motorino al di là del Belbo e veniva in Aure a Piedi. Disse a mio padre “ e ro fo 51 vire ma t’emno paghi mac 50.” In quei tempi là non esisteva la mutua e bisognava pagare tutto.

Una volta ad Arguello vivevano tante persone e c’erano delle borgate che adesso sono scomparse o è rimasta qualche casa diroccata. Il mulino d’Arguello era abitato,poi c’era la cascina del mulino, quella dello Scopton , la cascina di Cavallo da Bulot, la Masseria dove hanno abitato a lungo Nando,Pietro e Annibale, l’Arditao dove c’erano le famiglie di Filipin, Dolfo,Giovanin..Al Brichett vivevano Giovanin e Ceco .
Noi della Borgata di Aure  andavamo a scuola ad Arguello poiché il territorio del comune la comprende e anzi anche il pian del Giribec è sotto Arguello. Una volta , la strada che scende in Belbo aveva il ponte e poi si saliva per un sentiero verso il paese.
Quando c’era il ponte questa strada era molto battuta anche per andare a Cravanzana e nel periodo della Fiera di Cravanzana un’ora prima che facesse giorno era già piena di gente che portava gli animali !