martedì 16 aprile 2024

SOMENZI ELIA ANNICCO (CREMONA) 1928

 


ELIA SOMENZI -MEGHI MO- DONATO BOSCA – SINDACO GIGI FERRO 16 AGOSTO 2012

https://umanitanova.org/elia-somenzi/

 

ELIA SOMENZI 1928 ANNICCO (Cremona)

Ciao Elia Buon viaggio e Buona Luce!

Ti conobbi alla Canova di Neive il 16 agosto 2012, ti diedi un passaggio in auto per tornare ad Alba e durante il tragitto mi raccontasti alcuni fatti della tua gioventù che mi rimasero impressi e per quello mi proposi di venire ad ascoltarti con più tempo. Tu mi desti il N. di telefono ma mi anticipasti, con molta umiltà, che mi avevi raccontato già tutto. In effetti, ricordo che parlasti ininterrottamente, narrando e commentando e mi dispiacque di doverti lasciare in via P. Ferrero ad Alba, avrei ancora voluto ascoltarti. Mi annotai, subito alcuni nomi e parole della tua Testimonianza "fiume" e le tenni per trascrivere, eccole ora le posto in tuo Ricordo e so che ti faranno piacere. Ti chiedo scusa per non aver trovato il modo di riascoltarti e di non aver scritto prima di te. Ti prometto che per quanto mi sarà possibile racconterò la tua Storia sia su Face Book e nelle scuole dov'è porterò i miei "video testimonianze"

Il NONNO, MILANO, DON BUSSA, SUOR ANGELICA, IL PADRE CON IL CAMION, EBREI, GIUDEI, BAMBINI IN SVIZZERA, TREVIGLIO, BOTTE, DIFFICOLTÀ A PERDONARE!...............

Grazie Elia, non presenzierò al tuo Funerale, ma ti ricorderò insieme a tutti I PARTIGIANI CHE HO CONOSCIUTO. BEPPE

<Ho avuto modo di conoscere il fascismo nel 1933. Avevo 5 anni. Allora abitavo ad Annicco, in provincia di Cremona. Avevo uno zio che aveva un’officina per macchine agricole e un giorno ero in cortile che giocavo ed ho visto arrivare I carabinieri, che allora portavano il cappello col pennacchio. Sono entrati nell’officina e ne sono usciti con un giovane di 19/20 anni ammanettato.Quando sono andati via sono corso da mio nonno e gli ho chiesto cosa aveva fatto quel ragazzo, se aveva rubato, se aveva ucciso qualcuno e lui mi ha risposto;< no, vedi, quel ragazzo lì una sera era a ballare, in una “balera”, sono entrati due carabiieri e lui ha fatto questa battuta: diga un scapelot a chel cappellon lì”, ed è stato denunciato come pericoloso sovversivo, contro stato, governo contro tutto ed è stato portato all’isola di Ponza, in mezzo ad altri antifascisti. Allora mio nonno ha cominciato a raccontarmi cos’era il fascismo e cos’era successo in quegli anni. Poi nel ’34, ci siamo trasferiti a Milano perchè mio padre ERMANNO SOMENZI(convinto antifascista) era ispettore di tutte le filande di Veneto, Lombardia e Piemonte. A Milano , mio padre è stato contattato da Don Bussa, il prete dell’Oratorio del rione Isola, quartiere popolare, primo perchè Don Bussa cercava posti di lavoro per I ragazzi /e del quartiere e poi si è cominciato a parlare del problema ebraico. Più che ebrei li chiamavano giudei, tant’è che uscivano le prime caricature di questi personaggi grassi e con il naso adunco.. Io ho fatto la prima elementare metà a Milano e metà a Treviglio.In quei tempi si faceva prima ,seconda e terza con la Maestra e qurta e quinta con il Maestro. Un giorno ho sentito le Maestre che dicevano: < noi che insegnamo il fascismo ai nostri ragazzi e poi invece quando vanno in quarta e quinta tutti quei maestri lì che sono dei socialisti distruggono il nostro lavoro> A quell’epoca non davo peso a quelle cose , poi finita la quinta mi sono iscritto all’Avviamento Professionale, ne’38/’39, però tutte le mattine passavo a salutare la maestra che mi aveva aiutato ad inserirmi nella comunità trevigliese quando ci eravamo trasferiti. Una mattina passando, ho visto che non c’era più e mi hanno detto: < ..è molto malata, non guarirà mai più>. Ho capito poi perchè non è mai più guarita, aveva una malattia che si chiamava”Mauthausen”!.Due Prof. dell’avviamento , la Prof. di francese e il Prof. di Scienze, anche loro si “ammalarono” di quella malattia lì, e poi mi spiegarono che erano ebrei.Diversi compagni di scuola sono spariti anche lorro nei campi di concentramento. Quello che a me ha fatto specie è che dicevano che nessuno sapeva di queste cose. Non è vero che non sapevano, per me fingevano di non sapere perchè quando ha cominciato a partire la prima tradotta da Milano, dal famoso binario 21, e nelle stazioni, dai finestrini buttavano biglietti per comunivare la loro destinazione, tanti li raccoglievano, li leggevano e li gettavano via!. E con il passar del tempo la faccenda si ingrandì: proprieari di appartamenti che venivano mandati via e gli appartamenti divenivano proprietà dei fascisti, negozi I cui proprietari ebrei sparivano e poi diventavano proprietari I fascisti, e così si arricchivano! Così adagio adagio siamo arrivati al punto delle Leggi razziali!. i

IO A TREVIGLIO

Treviglio era punto di riferimento delle varie stazioni, Milano-Brescia-Venezia, Milano -Treviglio Cremona, Milano-Treviglio -Bergamo. Iniziarono ad arrivare tanti ragazzi, militari che scappavano. Io e dei miei amici abbiamo fatto il giro di Treviglio e abbiamo raccolto tanto vestiario da fornire ai militari in fuga, così quando sono arrivati I nazisti hanno trovato solo divise e I militari vestiti in borghese erano fuggiti attraverso le campagne.

Quando cominciavano a passare le prime tradotte noi procurammo di far saltare I binari e così questi vagoni carichi di ebrei o di soldati italiani venivano messi sui binari morti. Io avevo delle amiche, allora si diceva “la davano via” “prostitute o  escort” (nome d’arte bellissimo, perchè frequentano certi personaggi. Io ho detto a queste ragazze che noi le avremmo pagate se si portavano via le sentinelle, se le portavano in campagna.Loro mi risposero: “ voi rischiate la vita, noi lo facciamo gratis”. Poi ho capito perchè lo facevano gratis: uriacavano le sentinelle e rubavano loro tutto, portafogli, orologi , catenine! Erano super! Sovente I ferrovieri ci fornivano degli attrezzi e così noi riuscivamo a scardinare I portelloni. Era una cosa impressionante vedere cosa trasportavano: erano tutte persone in piedi, perchè non potevano sedersi tanto erano stipati.. gente già morta a terra, soprattutto bambini di pochi mesi di un anno o due. Queste persone non scendevano, ci davano I loro bambini e ci dicevanodi salvare almeno I loro piccoli.. Da lì abbiamo iniziato a organizzarci, con Don Bussa e con mio padre, per portare questi bambini in Svizzera. Allora a Treviglio vi era la”CASA DEI VECCHIONI”, CHE ADESSO è LA casa di riposo. Era gestta da Suor Angelica che ci aiutava a nascondere I bambini. Da lì, avendo mio padre il permesso di trasportare I cascami della seta, la seta e I bozzoli, con un camion col motore a fuococioè a legna, caricavamo le balle creando una specie di corridoio dove nascondevamo I bambini e in questo modo si faceva il percorso. Don Bussa aveva preparato una casa delle vacanze per I bambini dell’Isola Serina nelle Valli Bergamasche, così a volte li portavamo lì, oppure da Treviglio li portavamo nel quartiere dell’Isola dove vi erano tante persone che li accoglievano in casa in attesa di poter andare in Svizzera, Quando era il momento opporuno, si partiva da Milano e attraverso Varese si andava a Cadegliano. Qui vi era una signora che aveva lavorato in filanda a Lavena e non lavorando più faceva la contadina. Lei aveva preparato nel fienile, in mezzo alle balle di fieno, un corridoio con dei giacigli dove metteva a riposare I bambini in attesa di portarli in Svizzera.

Io avevo avuto la fortuna di conoscere tutti I sentieri della guerra del 15/18 che mi aveva mostrato un signore anziano che viveva dei prodotti del bosco, Attraversavamo questi camminamenti, e d’accordo con un capo dei contrabbandieri e con dei pescatori avevamo appreso quale era il punto in cui loro andavano in Svizzera.Inoltre questo uomo ci diceva quando era il momento di portare I bambini verso la frontiera. In quegli anni, fino alla fine della guerra, su tutto il confine c’era una rete metallica alta 5 metri con dei campanelli, e bastava toccarla per farla suonare e richiamare le pattuglie.. Questi collaboratori andavano verso Luino, facevano suonare I campanelli così le pattuglie correvano verso Luino, che era a dieci km. lasciando sguarnita la rete dove passavamo noi attraverso l’apertura che avevano preparato loro. Si spostava una specie di cespuglio enorme, e sotto era stato scavato. In quel punto, il fiume Tresa che sfocia nel lago di Lugano, non aveva più il “letto” normale ma si allargava in tutta la campagna, quindi era bassissimo e si poteva passare a piedi, anche con bambini piccoli. C’erano dei camminamenti interrotti in cui si facevano 4 o 5 km tutti sotto terra.Sopra si sentivano I cani delle pattuglie naziste e fasciste  , che captavano la presenza di persone, ma non capivano dove fosse l’ingresso. Era un inferno sentire quei cani abbaiare.

I PRIMI CONTATTI CON EBREI

I primi contatti con gli ebrei furono tramite mio padre che li conosceva nelle Filande e poi con I contatti che aveva Don Bussa a Milano. Don Bussa cominciò a portarli a Serina e noi li portavamo sopra Porta Ceresio e di lì a Serpiano. Da Serpiano vi furo casi in cui qualcuno per prendere soldi dai nazifascisti li portò indietro e li fece arrestare! Invece le famiglie di confine li accettavano e proteggevano.

La prima accoglienza era a Treviglio nel “Ricovero dei vecchioni”; poi un’ altro luogo di accoglienza era a all’Isola, quartiere molto solidale con case di ringhiera. Nell’Isola non poteva entrare nessuno. Quando arrestarono don Bussa e fu portato in caserma dalle brigate nere, tutto il quartiere si presentò davanti alla caserma, e tieni conto che allora l’Isola era il quartiere della malavita milanese. Andarono tutti con un fiore in mano. All’Isola avevano tutti paura ad entrare, carabinieri e fascisti non sono mai entrati. Io all’Isola avevo tanti amici ed era pericoloso avvicinarsi ai miei amici perchè chi veniva da me con brutte intenzioni veniva fatto fuori.

Don Bussa 

https://it.gariwo.net/giusti/shoah-e-nazismo/don-eugenio-bussa-106.html 

Anche I contrabbandieri ci aiutarono sempre, oltre a portarci roba da mangiare dalla Svizzera, ci insegnarono percorsi che non esistevano su nessuna carta. Anche I pescatori non so quante volte ci salvarono dai rastrellamenti coprendoci con delle reti e su grandi barche ci portavano in Svizzera.  

LA RAGAZZINA CON L’OMBRELLO

Una sera , ai primi di marzo del ’44, mentre tornavo dalla Svizzera, è scoppiato un temporale e allora mi sono fermato sotto il portico di una villa, quando a un certo punto è uscita una ragazzina con l’ombrello e mi ha fatto entrare in casa. C’era il camino acceso, mi sono asciugato e poi mi ha chiesto se volevo qualcosa da bere, mi ha portato un bicchiere di Martini bianco. Quel Martini lì è rimasto l’aperitivo di tutta la mia vita….

Poi sono arrivati I genitori, lei ha spiegato loro chi ero e cosa avevo fatto e mi dissero di fermarmi a dormire per la notte. Era una famiglia ebrea scappata da Ferrara, poichè in quella città avevano già ucciso o deportato tantissimi ebrei. Io dissi lo che li avrei portati in Svizzera, ma il ppadre mi rispose che preferiva rimanere lì poichè si sentiva al sicuro in quanto nessuno li conosceva. Periodicamente passavo a salutarli quando andavo in Svizzera.

Si era cominciato con l’aiutare gli ebrei, ma dopo portammo in svizzera anche molti italiani antifascisti, quelli che non si erano presentati al proclama di Graziani, che erano scappati dall’esercito, renitenti.

DENUNCIATO E PICCHIATO

Ai primi di Luglio 1944 fui denunciato, perchè erano usciti I volantini in cui si promettevano 5000 Lire a chi denunciava gli ebrei o chi li aiutava. Fui preso dalla x Mas, volevano sapere dove avevo nascosto I bambini, mi diedero un sacco di botte, poi mi consegnaronoin mano al federale delle brigate nere di Bergamo  Resmini, questi era amico di Tremaglia, nostro benemerito ministro, e lì nuovamente presi così tante botte che non auguro a nessuno. Fui messo in prigione in attesa di essere deportato in Germania e lì incontrai quattro Anarchici di Carrara anche loro in attesa di essere deportati.

Siccome vi erano solo due carabinieri di guardia, attendemmo il momento opportuno e riuscimmo a fuggire. Da Treviglio andammo verso Serina dove c’era la casa di Don Bussa, poi andammo su al mio paese e ci sistemammo là. In questo modo eravamo in contatto con mio padre e quando c’erano bambini da portare in Svizzera eravamo pronti! Avevamo formato questo piccolo gruppo convinti che quando il gruppo Partigiano si ingrandiva vi er sempre dentro la spia.

 

 

INIZIO DEL PARTIGIANATO

La nostra attività fu questa fino a fine luglio ’44, poi iniziò l’attività di Partigiano. Peridicamente ci spostavamo perchè I contrabbandieri ci avevano consigliato di non battere sempre lo stesso passo. Erano sempre loro che ci portavano prodotti dalla Svizzera zucchero, caffè, pesce secco ed altro per il nostro sostentamento.

Ci consigliarono di spostarci al Ponte di Turbigo, sulla sponda piemontese del lago Maggiore, e anche lì come al mio paese avemmo parecchi scontri con i nazifascisti perchè era una zona molto controllata in quanto confinante con la Svizzera.

Poi la guerra non finì il 25 Aprile, si combattè ancora e in qualche posto fino a fine maggio, perchè la Wehrmacht ha mollato subito tutto, le SS no. La  Wehrmacht ci chiedeva il permesso di passare e ci consegnava le armi. Le SS non volevano mollare, a Milano si è combattuto fino a metà maggio. Poi c’erano I fanatici, a cui Mussolini aveva detto “ ci troviamo in Valtellina per rifare l’Italia”. I miei amici di Carrara sono andati verso casa loro, ed io sono andato a Milano, dov’erano I miei amici e abbiamo combattuto ancora. 

venerdì 5 aprile 2024

BONA GIOVANNI ARGUELLO 1930

 


                             



                               NONNO GIOVANNI BONA CHE HO RINOMINATO

 

LE ALLUVIONI DELLA MIA VITA

Mio papà e mia mamma si sposarono nel 1928 a Lequio Berria . La mamma veniva dalla Cascina Massa che dista tre chilometri dalla Chiesa e mi raccontava che quel giorno di fine Febbraio venne “in Fiocon” una nevicata che li costrinse a mettersi i “sòcro” zoccoli per raggiungere il paese. Io sono nato al mulino di Arguello dove mio padre e mio padrino Barba Paolin(il papà di Witer) facevano i miriné i mugnai. Nel 1926 ebbero grandi problemi in quanto oltre a perdere entrambi i genitori ci fu una alluvione che li costrinse a costruire un bastione di pietre con delle gabbie di ferro che proteggesse il mulino poiché Belbo aveva deviato il suo corso proprio verso il mulino. Fu un lavoro massacrante e lungo e proprio per questo non si trovavano manovali. Chi veniva lavorava una giornata, poi a "masanté" maneggiare quei massi si stancavano tantissimo e non tornavano il giorno dopo! 


                    MULINO DI ARGUELLO

IL DISASTRO DEL 1948

Un’altra alluvione che ricordo io è successa nel 1948. A Settembre, dopo un’estate di siccità ,a causa della quale non si poteva più macinare, alle sei di mattina iniziò a piovere impetuosamente a intervalli di un quarto d’ora. Il papà “o cisava” chiudeva la paratia affinchè l’acqua del Belbo non raggiungesse il canale della ruota del mulino ma alle sette avevavamo già l’acqua contro la casa. Belbo aveva saltato paratie e bastione. Piovve violentemente fino alle quattro del pomeriggio e poi continuò. Verso sera prendemmo  “er bestie” gli animali e salimmo nelle casetta su per la strada di Arguello.  Lavorammo otto giorni per ripristinare il bastione e il canale anche assumendo dei “manoà” manovali che però venivano solo una giornata perché il lavoro era massacrante:bisognava sollevare a mano massi di  pietra per sistemarli nelle gabbie di filo di ferro.

Quando finimmo di ripristinare accadde cosa mia nonna aveva previsto. Iniziò nuovamente a piovere alle otto di mattina e a mezzogiorno e mezzo mio padre avendo visto da una posizione elevata che a un chilometro, dove il Belbo si incanalava per portare acqua al mulino, era saltato il bastione e la paratia decise di andare via e portammo gli animali alla Masseria.



                IL FIUME BELBO A CAMPETTO

 

Il PONTE DI NAPOLEONE

Fu un’alluvione disastrosa, lungo tutto il Belbo non rimase una pianta da frutta né un “mo” gelso e fino a Canelli non rimase un ponte tranne quello di Campetto che fu fatto costruire da Napoleone. Quando l’acqua si ritirò vi era solo sabbia  ghiaia e “tronch” tronchi . 

Tornammo a sistemare il canale per poter macinare per l’Autunno poiché la gente veniva a macinare per farsi un po’ di scorta per l’Inverno. Il lavoro di arginamento tenne finchè non arrivò l’alluvione del 1968. .Dopo le catastrofi del ’26 e del ’48 nel 1952, scegliemmo di allontanarci dal Belbo e sia io che mio cugino Witer che nel frattempo aveva preso il mulino der Paré sotto Cerretto Langhe, vendemmo e ci trasferimmo noi ad Arguello e lui a Cerretto.

 

 

LE MIE SCUOLE

Nato nel 1930 al mulino di Arguello frequentai l^ 2^ 3^ classe ad Arguello, la quarta a Cravanzana e la quinta a Cerretto. Siccome mia mamma voleva farmi studiare diedi l’esame di ammissione ad Alba ma ,in attesa che finisse la guerra mi fecero ripetere nel 1941 la classe  quinta ad Arguello . Siccome la guerra non cessava e i pericoli per scendere ad Alba erano tanti (tra bombardamenti, repubblichini Tedeschi e partigiani) mi mandarono a imparare il mestiere di sarto “a ‘mprende a cuse”.

 

NESSUNA “COCCOLA E PAURA DI NIENTE

Fin dalla prima classe ero da solo,a salire, dal Mulino ad Arguello,eppure non mi hanno mai accompagnato,”vissi gnun e‘coccole nessuna e se avevi paura ti arrangiavi!. Partivo che era ancora notte e con trenta centimetri di neve si andava ugualmente e non son mai stato assente. Mio padre mi metteva le fasce ai piedi e mi infilava gli zoccoli. In quei tempi non c’erano soldi per comprare le scarpe!

Arrivavo a scuola con i piedi bagnati,poiché dopo 5 minuti di cammino le fasce erano fuori e fradice e mi tenevo i piedi umidi fino alle due quando arrivavo a casa. Eppure la neve non mi ha mai fatto paura , in quanto si abitava in un posto dove le comodità non esistevano e i buoi e la carretta erano usati per lavoro e necessitavano di uno davanti e uno dietro per “saré” frenare in discesa e “ molé ra saroira”allentare in salita.

 

Ra calà con i beu e o lezon

SPAZZANEVE CON BUOI 

Se venivano solo 30 o 40 centimetri di neve “a se sciancava a pé” si faceva il sentiero a piedi o la si toglieva con la pala, se venivano 50 o 60 cm si usavano “ra leza “spazzaneve e i buoi. In salita la tenevamo chiusa e in discesa salivamo in due o tre per schiacciare e mettevamo una pietra pesante sulla  punta. Mi ricordo che un anno nevicò solo due volte ma entrambe le volte ne vennero un metro e quindici. Impiegammo due giorni a spalare, dovevamo fare un sentiero abbastanza largo  e in più avevamo la strada di Arguello fino alla Masseria, verso Cravanzana fino alla Cà Bianca e verso Cerretto fino ai Parodi, dove mi son sposato io. Bisognava pulire le strade poiché la gente veniva a macinare con un sacco di meliga o grano in spalla e se trovava la neve poi non veniva più. Il nostro mulino con quello di Campetto era quello che macinava di più nonostante di mulini sul Belbo ce ne fossero tanti.

 

I MIEI MAESTRI SARTI

 



PER STIRARE LE MANICHE



Il primo Marzo del 1945 iniziai la scuola da Sartò qui ad Arguello da Lorenzo Gatti.

Dopo sei mesi “Iè tacaje d’andè a Tirin, e mi son sta sensa maestro”. (Decise di andare a Torino e io rimasi senza maestro.) Trovai un sarto a Montelupo che aveva già un apprendista di Lequio Berria .Andavo al Lunedì e tornavo a casa il sabato , o a piedi o in bicicletta. Il sarto era  nella Borgata Brantegna.    

Ci mantenevamo da casa eh! La mamma mi preparava del  coniglio e altre vivande per tutta la settimana.

.Dal primo Settembre  del ’45 a Settembre del ’46 rimasi a Montelupo ma il fratello del sarto si ammalò di Tubercolosi e i “mè “ “i miei genitori “chiesero consiglio ar Professor d’Alba  e decisero di tenermi a casa ..

 

 

TRE ANNI PER IMPARARE IL MESTIERE

 

L’apprendista di Lequio Berria era Mario Delponte  e aveva quasi terminato il suo percorso per imparare il mestiere. Lorensin tornò ad Arguello e  gli insegnò a tagliare le stoffe e lui fu pronto a lavorare. Io venni ancora un anno e mezzo a “cuse” a cucire ed ebbi il mestiere. Agli inizi imparai a usare “ra gugia e er dià” l’ago e il ditale per cucire ,in seguito mi fecero “perfiré” sopraffilare poiché non c’erano ancora le macchine che cucivano a punto “Zic zac”. Per cucire a sopraggitto un paio di pantaloni occorreva più di un’ora! Ci sono quattro pezzi e bisogna “Perfireje tut antorna per nen chi se sfira la stofa.” Cucirli tutto intorno affinchè non si sfili la stoffa..In seguito ho imparato a cucire a macchina e a “Fé er braje”a fare i pantaloni. Le giacche a quei tempi si producevano  tutte a mano. Antava amprande a pèrfiré er pince davanti, a piché er matalote e er paramonture, a fissé er plastro ,a ambastì re spaline con r’ovatta e a apliché na mania.”Bisognava imparare a sopraffilare le pieghe che ci sono davanti, a piccare i risvolti anteriori, a fissare la tela rigida del davanti, a imbastire le spalline con l’ovatta e ad applicare la manica .Dopo aver imbastito tutto ,fatto la prova e applicato la fodera occorreva cucire tutto a mano in modo definitivo. A cucire una giacca compreso il “punto mosca” del collo ci volevano due ore e mezza ,”ma a esse lèst.! Ma a essere svelto! Una giacca tutta cucita a mano richiedeva due giorni di lavoro, mezza giornata i pantaloni e “mesa giornà per er corpèt” e mezza giornata per il panciotto.

 

 


 


 

 

 

UN LAVORO COMPLICATO

 

In tanti anni di lavoro il lavoro più delicato che feci fu la “vesta ar Parco Don Odello Parroco di Arguello.Lui era gentilissimo . Molte volte mi prestò la sua Topolino che pur più vecchia e “Marandà” (Malmessa)della mia partiva sempre al primo colpo,la mia “A fava sempre tribulé”.(faceva tribolare)

Aveva piacere che gli realizzassi una veste e insistè talmente che mi ingegnai di fargliela. Tribolai ,ma prendendo spunto da alcuni libri, la preparai e lo feci contento.

SENZA CORRENTE ELETTRICA!

Dopo qualche anno di lavoro acquistai una macchina da cucire di seconda mano solo a pedale poiché  non era ancora arrivata la luce e così pure usavo i ferri da stiro con la brace o da piastra .Bisognava fare attenzione ,perché se le piastre erano troppo calde rischiavi di sprecare tutto!

Quando poi arrivò la luce acquistai una macchina professionale che ho ancora adesso e che permette di cucire anche stoffe spesse per i “Paltò” cappotti.

 

ADESSSO HO SMESSO!

Per tanti anni ho avuto clienti da tutti i paesi dei dintorni, poi con l’avvento “der robe fàte” dei vestiti già pronti, realizzavo solo più pantaloni e abiti per persone fuori misura e che avevano piacere facessi loro degli abiti su misura.

Qualche hanno fa ho deciso di smettere il lavoro di sarto e avvisati i clienti più affezionati ho chiuso con il cucito.

 

Giovanni Bona di Arguello da Miriné e Sartò è andato in pensione e fa solo più il nonno di Michele e gli insegna qualche "trucco" segreto della palla pugno e pantalera . Il suo segreto per stare in forma però è :Mai sté frèm! Mai stare fermo!


Giovanni, Angelo “o Cit”, Italo , Reste



 

https://youtu.be/7Ceg5SQV6-s                    

 BONA GIOVANNI RICORDO DEI TEDESCHI IN BELBO

BONA GIOVANNI  ARGUELLO 1930

MIO PADRE PRESO DAI NAZIFASCISTI

NEL RASTRELLAMENTO DEL 20 11 1944

Io nel 1944 avevo 14 anni, ne dimostravo 17, 18 e pesavo 65 Kg, così non credevano che avessi solo quell’età! Mostravo la carta d’identità ma per non rischiare di essere arrestato o essere preso come ostaggio preferivo andarmi a nascondere quando effettuavano i rastrellamenti. Quella Domenica sera del 16 Gennaio 1944 mio padre, tornando dall’osteria del paese vide che a Cerretto erano arrivati i nazifascisti, comprese perché i partigiani avevano preparato il profondo fosso in fondo alla strada che da Cerretto scende in Belbo. Prevedendo che sarebbero arrivati anche da noi al Mulino del Belbo accelerò il passo e giunto a casa disse:

< Sarà meglio che nascondiamo qualcosa prima che arrivino!>

Prendemmo un po’ di lenzuola, biancheria e coperte e le mettemmo in un “cofo”(baule)


e lo nascondemmo sotto una catasta di “Fass èd méjrasson” (Fasci di piante di meliga). Al mattino alle sei scese per vedere se vi erano dei rumori e vide che c’era un autoblindo con una dozzina di camion e una compagnia di soldati che stavano scendendo. Si barricò in casa, ma non fece a tempo di avvisarci che sentì battere alla porta. Erano i tedeschi che erano scesi da Cerretto e dovevano andare al Brich Cisterna. Avevano già preso uomini in ostaggio a Cerretto (come già detto da Cavallo Italo e Mario Cavallotto ‘d Fantin) e facevano portare loro le cassette delle munizioni. Presero anche lui e solo più tardi noi ci accorgemmo che non tornava. Ci preoccupammo ancora di più quando sentimmo che i Partigiani, che erano in tanti a Cravanzana, iniziarono a sparare con le mitragliatrici alla testa dello squadrone sbucato alla Cascina della Cà bianca. Fortunatamente mio padre si trovò a fianco ad un interprete che capiva l’italiano e riuscì a spiegargli che non aveva potuto avvisare i famigliari e questi si sarebbero preoccupati. Mosso a compassione, questo gli fece segno di andarsene. Ringraziò e prese a tornare indietro, anche se altri soldati volevano rifilargli cassette di proiettili. Rischiò e riuscì a tornare al mulino. Al pomeriggio vennero altri tedeschi, avevano un ferito ma l’auto non funzionava, così obbligarono il nostro mezzadro “Vigio cagatreno” ad attaccare i buoi e a trainarla in paese a Cerretto. Temevamo che una volta arrivati in paese sequestrassero i buoi, e invece lo lasciarono ritornare con le bestie. Io e mio padre vedemmo tutto dal nascondiglio nella vigna sopra il mulino. In quei tempi avevamo tutti dei nascondigli perché se ti prendevano ti incolonnavano e ti deportavano in Germania. Quasi tutte le famiglie avevano costruito dei rifugi-nascondigli dove nascondere giovani che erano in età di servizio militare o anche sbandati dopo l’8 settembre 43.

Noi lo costruimmo nella vigna sopra il mulino. Realizzammo un fossa dove ci stessero due o più persone, la ricoprimmo con “drè steppe” assi a loro volta nuovamente mimetizzate con terra e letame, poi avevamo praticato un foro per entrare che richiudevamo con una grande pietra che simulava la continuazione del muro della Piovà(terrazzamento). Lo utilizzammo parecchie volte anche per nascondere dei militari sbandati che sarebbe stato pericoloso lasciar dormire in cascina. A questi fornimmo abiti borghesi da sostituire con quelli militari che venivano bruciati o nascosti,

 

STERMESSE     NASCONDERSI

Piovà                  TERRAZZAMENTI

 Fé COMPASSION

 




 

https://youtu.be/8yElceoF398 NASCONDIGLI

Al Mulino di Arguello avevamo preparato un nascondiglio tra il ”Rodon” (RUOTA A PALE DEL MULINO AD ACQUA) e il muro Avevamo costruito con delle assi un gabbiotto dove VITER , mio cugino andava a nascondersi quando arrivavano i nazifascisti. Così non veniva in mente a nessuno di andare a vedere in quello spazio. Una volta li vedemmo che scendevano dalla strada che arriva da Cerretto, sembravano distanti, demmo l’allarme ma quando furono dalle case di Pianponga non li vedemmo più! Erano talmente tanti che i primi girammo gli occhi e ce li trovammo già davanti al mulino che piazzavano le mitraglie. Ci fecero andare tutti nel cortile e chiesero dove erano i Partigiani. Io e tutti dicemmo che non li avevamo visti. Per spaventarci il comandante piantava certe urla in tedesco! Quella volta lì da noi non presero nessuno  invece arrestarono due che abitavano in una “ciaborna di solo due stanzette una sotto e una sopra” che era poco distante da noi lungo il Belbo. Questi vestivano come dei partigiani e davano nell’occhio. Li fecero procedere davanti a tutti e salirono verso Cravanzana. Gli ostaggi li facevano camminare davanti così se qualche Partigiano sparava loro erano protetti e allertati!

Un altro nascondiglio lo costruimmo dalla casa qui sopra chiamata dèr Murin perché era anche nostra e ci andavamo quando c’era rischio di alluvioni. Dietro questa casa andando verso il bosco c’era uno “Scao” (essicatoio) e c’erano dei muri per terrazzamenti” Piovà ” ,  tra un muro e l’altro facemmo un scavo grande come una stanzetta e lo ricoprimmo con assi e ramaglie. Ci entravano 4 o 5 persone, quanti eravamo quelli che dovevano nasconderci al mulino.

                     ESSICATOIO      "SCAO"

Eh dei bei sbaruv !(spaventi) ce li siamo presi tra sbandà, republican, tedesch e Partigian! Una volta arrivarono dei soldati sbandati dalla Francia e ci chiesero di dar loro degli abiti civili, in modo che potessero proteggersi dai nazifascisti. Noi li vestimmo con quanto avevamo e loro ci lasciarono le loro divise. Ci sbrigammo a metterle in un sacco e a nasconderlo, ma i Partigiani vennero e se lo fecero consegnare, ce lo togliemmo volentieri, ma così rimanemmo senza abiti civili e senza quelli militari che sarebbero potuti servire come stoffa a fine guerra!

 


mercoledì 3 aprile 2024

SANDRI AMABILE BENEVELLO 1920



 

 



                                    

 

 

 

 

     TESTIMONE DELLA MEMORIA


 Il  nonno si chiamava “Loizin” Sandri ed  era il primogenito di quattro fratelli. La sua famiglia viveva nella borgata denominata “ Sandrin”di Benevello, quando si sposò comprò un “Ciabot” in Località “Erba fresca” e si trasferì con la sua famiglia.

Il  padre, Giuseppe detto Condo,  era del 1890 e partecipò alla Grande Guerra come gli altri suoi due fratelli.

Sotto le armi rimase sei o sette anni. Fu richiamato e combattè sul Carso raggiungendo per meriti e anzianità il grado di Sergente.

 Rientrò alcuni mesi prima dei fratelli che furono prigionieri. Rientrato conobbe (un’arditera) un’ereditiera, mia madre Ferrero Carmela), e si “sposò nella roba”. Mia mamma aveva perso il padre di 40 anni ed era la più grande con tre fratelli e sorelline piccole, aveva 18 anni. Avevano una discreta cascina in Località “Coste” e avevano bisogno per tirare avanti di un uomo per i lavori. Si sposarono e papà rimase per sette anni da mezzadro-proprietario con la famiglia della suocera. Intanto il nonno Sandri divise la proprietà tra tutti i figli e figlie e a mio padre toccò un po’ di terra e due camere dove siamo ora.       

                             


                                                              

 

ALL’ACNA DI CENGIO

 

Dopo la guerra, mio zio andò a lavorare presso la fabbrica di Sostanze chimiche di Cengio. Una volta disse a mio padre che se voleva avrebbe fatto assumere anche lui. Subito, mio padre, un po' deluso dal lavoro di campagna decise di provare. Si recò a Cengio e si rese conto che non sarebbe stata la scelta giusta. Vide gli operai che uscivano dalla fabbrica ed erano tutti "gialli" in viso, si respirava un'aria maleodorante e si convinse che non valeva la pena andare a morire per qualche soldo in più! Disse: reù pi car meure an mez ar ronze ma con aria bona!> preferisco morire in mezzo ai rovi ma  con aria buona!> E così continuò a fare un po' di muratore e lavoro in campagna. Anche mio zio dopo un po' di anni di lavoro a Cengio, se ne andò a Torino dove si comprò una casetta che non si godette molto perchè morì per un tumore, forse procurato da quei gas e porcherie respirate all' ACNA!

 

 

 

 

IL PINO DEL “PILON”


Il pino all’incrocio della frazione Catoni di Lequio Berria è sicuramente “secolare”. Io ero bambino e mio padre raccontava che gli successe un fatto strano! Nei pressi del pino vi era un campo che il padre andò a “lavoré” (arare con “ra rivolta”(aratro) ed essendo giunta la sera e non avendo terminato lasciò l’attrezzo nel campo. Al mattino ritornò e non trovò l’aratro, guardandosi attorno, alzò gli occhi e lo vide sopra quel pino che era già alto com’è ora!

Chissà se qualche “masca” o qualche umano avesse realizzato lo scherzo! Fu un lavorone districare il”voltin dal Pino!

Dove c’è il Pino è località “Pilon” ma nemmeno mio padre ricorda ci fosse un Pilone votivo nei pressi!



Anche in località “Croce”, non si sa perché fu messa la croce! Io chiedevo al nonno e al padre ma non sapevano darmi risposta. Quando tornai dalla prigionia trovai la Croce marcita e caduta. Decisi di costruirne una e feci il piedestallo che vi è tuttora.

Ho sempre pensato che certi “simboli” se sono stati messi ci sarà stato un motivo e mi piace Onorare la Memoria di chi li costruì.

 

 

 

LA SCUOLA DI “MATELOTTI”

La scuola fu costruita che io ero bambino e ricordo che andai ad aiutare. Parteciparono tante persone della zona. Quando andai a scuola, nella nuova costruzione venne una maestra di Somano: Prassede. Sposò poi Ghistin ‘d Chin di Lequio Berria, ricordato perché fu un “giocatore di carte” !

 

Maestra Prassede Paolazzo Somano 1914 Lequio Berria 2014 e il Partigiano “Luigi”


A quel tempo le scuole iniziavano ad Ottobre, eravamo del ‘44 in piena guerra civile. Noi maestre e maestri eravamo obbligati ad avere la tessera del “fascio” e a portare,cucito sul grembiule nero o sulla giacca la “M” . Per me era l’ iniziale di Maestra/o, ma per molti altri ricordava il capo del fascismo. Quel Mattino ero arrivata di buon’ ora alla scuola di San Frontiniano di Arguello dove avevo avuto Incarico di insegnante. Avevo un buon passo e non temevo di far brutti incontri poichè ero conosciuta da tutti come la fomna’d monsù Cagnass! Passando per il sentiero della Rombada arrivavo rapidamente al Lavatoio dèr noz(delle noci) dove vi erano gli orti dei Secco del Bricco, quindi salivo al Bricco dove vi erano i Partigiani e attraverso la strada scendevo al Grop. Incontravo i miei piccoli allievi e allieve del Bricco, della Cerrata e del Grop che pascolavano le pecore e mi salutavano festosi dicendomi: as voghima dop signora maestra! E io: non tardate e non fatevi mangiare il libro dalla pecora!. Loro ridevano divertiti. Avrebbero portato a casa le pecore e sarebbero venuti a scuola dopo il pascolo mattutino. Quando iniziarono ad arrivare, io avevo già preparato le lezioni diversificate sui loro quadernini neri poichè erano di diverse età,ed ero già uscita ad attenderli. Da sotto il gelso li vedevo spuntare dal sentiero del “Fossà” e li riconoscevo ormai tutti e 35 anche se erano pochi i giorni di scuola trascorsi insieme. Nel primo gruppo, notai, vi era uno più grande col fucile a tracolla. Attesi che si avvicinassero al bivio e riconobbi un mio ex allievo di Lequio Berria. Pensai venisse a salutarmi, invece lui scese per la strada del Belbo che passa tuttora nella frazione Arditao proprio sotto San Frontiniano. Chiesi a Carlo del Bricco ed ebbi conferma che era “Luigi” ‘d Panfron. Carlo mi disse che andava a massé un “fascista”! Dissi ai bambini di entrare e chiesi a Carlo di andare alla Lavagna come capoclasse poichè io dovevo parlare con Luigi . Imboccai rapidamente la “sternija che porta al bivio del Brichètt e giunsi dalle case d’Arditao proprio mentre arrivava Luigi. Con le mani sui fianchi lo apostrofai chiedendogli:

<Non si viene più a salutare la tua maestra?>

Lui impacciato: < Sarei passato dopo, ora ho un ordine da assolvere!>

ed io < euh là! I comandi te li dà solo il tuo cervello e comunque prima vengono i sentimenti del cuore!> Mi guardò con due occhi pieni di luce, compresi che aveva capito. Mi sorrise e mi chiese se poteva venire a salutare i miei scolari. Certo che si gli risposi, e ci avviammo per la strada da cui era venuto, risalimmo ar “foss” dopo che Luigi ebbe nascosto il “moschetto” nel Crotin ( Piccola Grotta ancora oggi visibile) . Nella vigna del “fossà” strizzò l’occhio a Dolfo che astutamente gli chiese: èti pèrdì èr moschètt? (hai perso il moschetto?)Procedendo nella capezzagna arrivammo dal Mo(gelso) e Luigi si sfogò raccontandomi che Gavarin gli aveva ordinato di andare ad ammazzare un fascista a Cravanzana. Mi confidò che non ne era troppo convinto ma il Capo voleva metterlo alla prova. Io lo ascoltai in silenzio e quando terminò : < Luigi hai fatto la cosa migliore, chi siamo noi per togliere la vita ad un nostro simile?>

Mi guardò e: < devo dire una cosa ai ragazzi del Brich!> intendeva Carlo, Mario ed altri a cui aveva confidato dell’incarico
avuto. 


Carlo Secco Arguello 1936 ci confermò il racconto della Maestra!

Gli feci segno di entrare e salimmo i tre scalini che portavano alla piccola aula. I bambini furono stupiti al vederlo e tutti lo conoscevano. Rivolto a Carlo: < ho deciso che non vado ad uccidere nessuno ed ora torno a dirlo al mio capo.! E se non mi vuole più nel gruppo partigiano vuol dire che mi nasconderò> così fece e mi risulta che continuò a militare con Gavarin fino al termine della guerra. Seppi che il capo gli affidò spesso incarichi da porta ordini e gli disse: <Bravo hai deciso con la tua testa e per questo sei da ammirare!> Gavarin stesso mi incontrò a Lequio e mi fermò: <Brava maestra! Luigi o ra amprendì pì da chila che dao so comandant! (Brava maestra, Luigi ha imparato più da lei che dal suo Comandante!> 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

Amabile: partii soldato quando non avevo ancora vent’anni, ebbi abbastanza fortuna poiché svolsi tre anni di servizio Militare relativamente vicino a casa. Fui inquadrato nella Guardia di Frontiera e svolsi Servizio nelle Caserme di Vinadio, Sant’Anna di Vinadio e Colle della Lombarda. Il Corpo della Guardia di Frontiera era chiamato “Ra Vidoa”(la vedova), poiché aveva la divisa degli Alpini ma col cappello senza Penna! Certo, non avere la penna degli Alpini mi dispiaceva un po’, poi tutto passò!

Con l’otto Settembre , data che segnò l’inizio dello “Sbandamento” tornai a casa e come per tanti giovani, fu l’inizio di un periodo di paure per i Rastrellamenti operati dai nazifascisti.

Quando si capiva che arrivavano i repubblichini o i nazisti, si scappava e ci si nascondeva nei boschi o in nascondigli predisposti.

 

Il tredici Febbraio 1945 io e Massimo ‘d Pascol

mio vicino di casa, che combinazione vuole sia qui oggi a confermare, avendo avuto notizia del rastrellamento in atto su tutte le Langhe, con altri 4 o 5 giovani , salimmo sul brich dell’”Erba Fresca” per avvistare i nazifascisti e poi fuggire a nasconderci, ma non si fece in tempo, fummo colti di sorpresa (“pèid saràm” (come salami).Ci facemmo catturare come degli sciocchi!) Avremmo potuto nasconderci, come avevano fatto altre volte, ma”èr dèstin !”(il destino ) volle che ci piombassero addosso . Non ci perquisirono neppure, intimarono di alzare le mani, di incolonnarsi e di seguirli. Io e Massimo assistemmo impotenti all’arresto di molti altri giovani e meno giovani, tra i quali vi furono anche gli amici e vicini Oreste Sandri e Giacinto Gallesio che furono poi uccisi sullo stradale per Benevello. Il triste “Corteo” fu fatto avanzare fin sulla strada affinchè facesse da “Copertura” e infatti appena da Benevello partirono i colpi di alcuni “Folaton” “sconsiderati” Partigiani, per rappresaglia uccisero Giacinto e Oreste che collaboravano come Staffette con i Partigiani.

Con molti altri ci fecero procedere a piedi, prima fino a Diano e poi fino a Bra dove vi era la Caserma dei  nazifascisti. Alcuni, dopo interrogatori e grazie all’intervento delle famiglie, furono rilasciati e poterono ritornare a casa, io fui caricato su di un camion e trasportato a Torino, da dove con delle tradotte fui trasferito in Germania. Dapprima fui in un campo di concentramento a Dresda in Sassonia quindi  finii a Chemnitz.


 I prigionieri erano assegnati a vari Arbeitskommandos (distaccamenti di lavoro) per essere impiegati in varie aziende o nelle fattorie della zona. Il campo fu liberato dalle forze americane nel marzo 1945.

Il campo era presso la Friedrich-August Kaserme a Dresda, e nel Lager ricordo che conobbi le “cimici” che fastidiosissime mi procurarono terribili pruriti e irritazioni anche dolorose. La permanenza in quel campo durò solo qualche giorno ma fu sufficiente a farmi comprendere che la prigionia non sarebbe stata per nulla divertente  

                            

Dopo le foto, il libretto di lavoro e il numero di matricola fui portato a lavorare in una grande officina militare  dove si riparavano gli automezzi militari.

Sul posto di lavoro vi erano i militari con fucile e il cane che ti controllavano e se sgarravi erano botte, ma se svolgevi i tuoi compiti non succedeva nulla.  Lavoravo ad una “fossa” ed ero sempre sotto agli automezzi, mi usciva solo la testa! In quella grande officina, vi erano prigionieri italiani, francesi, cecoslovacchi e di altre nazionalità, ero con un francese che mi faceva da interprete essendo da più tempo prigioniero. Il mangiare era poco e ci si arrangiava rubacchiando qualche patata nei campi. Nei primi mesi di “prigionia” ,  con i miei compagni, ero libero di uscire e girare per il paese( che era come Alba) e si andava nelle osterie dove si beveva una birra e si mangiava una patata lessa! E quindi si rientrava al dormitorio. Negli ultimi mesi neppure le trattorie funzionavano, per timore dei bombardamenti e perché non avevano nulla da somministrare. Nonostante si facesse la “fame” mi abituai e non sentivo neppure più l’esigenza di mangiare, e comunque il peso corporeo si ridusse di una quindicina di chili!

I tedeschi  ci davano per il sostentamento due panini di segala alla settimana e dall’Italia arrivavano per essere distribuite le sigarette Tre stelle e Africa. Ricevevo due pacchetti di sigarette al mese, ma non fumavo e così le vendevo ai francesi che mi davano un chilo di pane ogni otto sigarette. Per effettuare questo scambio, io e altri andavamo di sera a raccogliere “èr ciche”(i mozziconi di sigarette) così da averne per il “commercio”!


Chemnitz 3 Dicembre 
Cara famiglia dopo il nostro lungo silenzio rivengo mandandovi la nostra buona salute. Ci troviamo sempre insieme io e fratello Luigi e anche Torchio, spero in voi tutti ottima salute. Non ci sarebbe alro piacere di vedere un vostro scritto. appena riceverete se vi è possibile ci manderete un pacco dper vestirci. maglie, mutande e qualcosa da mangiare e fumare. Qua il clima è assai freddo e noi abbiamo niente.

TORCHIO GIOVANNI -04-1915 Borgomale Cuneo

Caporale 2 Rgt.Alpini

CATTURA Fronte Italiano Data cattura 09-09-1943

Data rientro26-06-1945

Liberato il 21 aprile 1945.

Stalag XI B/ZKZ E poi  Mauthausen

Stalag XI B

Fu un campo per prigionieri di guerra tedesco, situato nei pressi di Fallinbostel, nella Bassa Sassonia.

Alla fine del 1940 erano lì internati circa 40 mila militari.

Solo 2.500 di loro erano però alloggiati nel campo; la maggioranza era invece stata assegnata a vari Arbeitskommandos (distaccamenti di lavoro) e impiegati in varie attività produttive (aziende agricole e industrie) presenti nella zona.


Noi in fabbrica bollavamo la carolina all’entrata e all’uscita e al termine della settimana ci davano una piccola “paga”. Io ho portato a casa dei soldi tedeschi che ho conservato. 

 


I FRANCESI RICEVEVANO PACCHI DA CASA

Cosa mi dispiaceva era che mentre i prigionieri francesi, che erano già da un anno in prigionia, ricevevano pacchi con cibo e vestiario da casa, noi italiani non abbiamo mai ricevuto nulla, nonostante da casa dicessero di aver spedito!

Quando finì la guerra ci incamminammo per venire a casa e dopo aver chiesto la direzione percorremmo una decina di chilometri orientandoci con l’autostrada. Poi gli americani ci fermarono e ci portarono in un capannone che era stata una fabbrica di munizioni. Avevano portato fuori tutti i macchinari e realizzato dormitorio e refettorio. Ci davano da mangiare e a noi abituati a quel poco pane nero, sembrava incredibile ricevere quei bei panini bianchi. Rimanemmo là circa un mese. Eravamo liberi di uscire e noi si andava a cercare qualcosa da mangiare: patate, frutta. Gli americani ce ne davano, ma non ci bastava. Purtroppo eravamo in una zona al confine con l'Austria e coltivavano solo patate, orzo, Segala e poca verdura. Si era in tanti e successero anche fatti brutti. Un nostro amico di Torino più anziano perché richiamato un giorno andò in un orto a prendere dell' insalata e rimase fulminato perché il proprietario aveva messo la corrente elettrica per impedire che gli rubassero l'insalata! Con la rugiada il nostro amico che aveva anche famiglia, rimase ucciso. Fu penoso e noi lo portammo in Chiesa e poi al Cimitero. Un'altra volta andammo in 4 o 5 a mangiare ciliegie da alcuni alberi. Uno di noi salì  sull'albero e ci buttava giù le ciliegie, quando ad un certo punto arrivò il proprietario urlando in tedesco e con un grande bastone. Noi che eravamo sotto fuggimmo allontanandoci, ma il giovane sopra l'albero non riuscì e dovette attendere un bel po' prima di escogitare un sistema per fuggire. Attese il momento propizio e si gettò sull'uomo che cadde e non riuscì a colpire il nostro amico che più rapido scappò nonostante le urla del tedesco.

I DEABATE.               

La famiglia DeAbate, da Torino, nel periodo della guerra si trasferì a Benevello, erano antifascisti e due dei fratelli organizzarono una Banda di partigiani. Durante la guerra ebbero anche una sorella che morì colpita da un proiettile.

  


DEABATE ARGENTINA DI CRISTINA E LUIGI

BENEVELLO (CN/I) il 24/05/1929

Scolaro

BENEVELLO (CN/I) il 25/11/1944



DEABATE LUIGI 0/09/1924 ALBA (CUNEO)

Nome di battaglia AUGUSTO

PARTIGIANO COM 6° DIV GARIBALDI

FORM AUT Dal 01/10/1943 Al 01/01/1944

COM 6° DIV GAR Dal 02/01/1944 Al 07/06/1945

UFF.ADD. AL COM Dal 02/01/1944 Al 07/06/1945

Luogo di deportazione GERMANIA Dal 07/04/1944 Al 10/06/1945

ARRESTO/DEPORTAZIONE

 

DEABATE CARLO 05/03/1919 ALBA (CN) -

AERONAUTICA

1^AVIERE DI GOVERNO

Nome di battaglia CARLO DI BENEVELLO PARTIGIANO COM 2° DIV LANGHE

Prima formazione COM 2° DIV LANGHE Dal 22/05/1944 Al 08/05/1945

 CAPO SQUADRA Dal 22/05/1944 Al 08/05/1945

 

La loro squadra ebbe per un po' la base in una casa disabitata qui sopra di noi all'"Erba fresca" e li aiutammo dando loro da mangiare. Certo, non erano tanto ben visti dai contadini perchè qualcuno dei loro partigiani rubacchiava anche!

Al termine della guerra per andare a Torino alla sfilata del 25 Aprile presero un Birocin( calesse) e il cavallo. Pensammo di non rivederlo più e invece dopo qualche settimana ci riconsegnarono tutto. 

         


MASSIMO “ ‘d PASCOL”      Noi avevamo un cavallo che era una meraviglia, sarà stato 90 miria 900kg. Era una "macchina da lavoro" docile e ubbidiente era mai stanco.Mio padre svolgeva attività di trasporto per conto terzi e trasportava due volte a settimana carichi di legname fino a 200 Miria ad Alba.

Andava anche a falciare per altri con la macchina, una delle prime qui da noi, e aveva adattato l'attacco ad un stanga per i buoi a due per il cavallo e questo lavorava che era un piacere vederlo! Quando i Partigiani vennero a farsi prestare il cavallo, mio padre lo diede a malincuore perché era proprio affezionato e perché temeva di non rivederlo più! Ben, lo riportarono ma da 90 Miria sarà ancora stato 30 Miria! Il padre lo curò e nutrì ma non fu più come prima! Quando prendemmo il  cingolino , uno dei primi in zona, il papà non perdeva occasione per rimpiangere il suo cavallo. Una volta piovve tanto e non riuscimmo a portare il cingolo da lá sotto casa al portico e da ignoranti, invece di coprirlo mettemmo uno straccio nel tubo di scappamento e così si rovinò il motore! Non so quante volte il padre ci disse:< r'aissu vù Er mè caval r'avriu portaro a cá! Avessimo ancora avuto il mio cavallo saremmo riusciti a trainarlo a casa!>