foto ALDO AGNELLI Enrichetta indica il papà
Mamma Papà
ENRICHETTA DESTEFANIS RAPALINO BENEVELLO
Giugno 1936
Nata a Benevello in Località
Cascinotto da
Viberti Maria ed Enrico
Destefanis.
La mamma era nata in località “Pela”
di Alba dove la famiglia era a Mezzadria. Raccontava che quando si sposò erano
ancora in 18. Si sposò giovane prima del 1915 e dopo due anni il marito partì
per la guerra. Ebbe undici figli ma due
morirono in tenera età.
Diceva sempre che partorì 5 degli undici figli a giugno
proprio nel mese dei Bigat!
ENRICHETTA RACCONTA
Mio papà Enrico è l’uomo con la mantellina della fotografia
di Aldo Agnelli.
Quando indossava la mantellina, noi bimbe (5) e fratelli
(4) ridevamo e fuggivamo per il gran gesto che effettuava! Partecipò alla
guerra del 1915 /18
https://youtu.be/PqKtT10fUK8
Papà Enrico zoccoli e scarponcini
Ho un bellissimo ricordo del
mio papà: a tutti noi figli realizzava gli zoccoli per andare a scuola e sotto
metteva dei chiodi affinchè avessero miglior tenuta ( ricordo ancora il rumore
che facevamo a camminare!). Quando ebbi sei anni, prese un bastoncino di legno
e mi misurò il piede, andò ad Alba e mi acquistò un bel paio di scarponcini.
Quando tornò e me li fece misurare ero la felicità in persona. Li rimirai per
tutta la Domenica e il Lunedì mattina li indossai per andare a scuola.
Purtroppo era piovuto e la mamma me li fece togliere perché li avrei sporcati!
Massima delusione, mi avviai tutta triste con gli zoccoli, ma appena sullo
stradone incontrai il papà che mi disse perché non avevo gli scarponcini nuovi.
Gli spiegai che la mamma non voleva li sporcassi, e luimettendomi una mano
sulla spalla mi disse: <vèn vèn andoma a bitèiè, se i sé sporco ij
polidoma!> Vieni vieni andiamo a metterli. Se si sporcano li puliremo!>
Mi sentii la bambina più felice della terra.
MIA SORELLA ED IO
Da piccoline si aiutava mamma
e papà ma appena riuscivamo combinavamo marachelle.
Una volta, a Marzo andammo ad
aiutare a raccogliere i pezzi di legno dei pali della vigna che erano stati nel
terreno e che sarebbero serviti come legna per la stufa. Quando la mamma ci
disse di andare a casa, io e mia sorella Giovanna del 1938, la più piccola, non
ascoltammo di andare dall’anziana vicina Pinota, ma pensammo di organizzare una
merenda speciale!
Ci prendemmo del pane e
scendemmo in cantina dove sapevamo che la mamma teneva “ra chindija”: era una
pietanza che si preparava quando si uccideva il maiale e veniva conservata
nella vescica essicata. La si conservava in cantina dove in un angolo c’era un
pozzo che fungeva da Frigo. Noi mangiammo un po’ di quel buon cibo e poi decidemmo di bere anche un po’ di vino.
Scegliemmo però di non prenderlo dalla bottiglia perché il papà se ne sarebbe
subito accorto. Utilizzammo un imbuto e togliemmo il “pojorin”( Zipolo o
spinella) della botte! Il vino ci spruzzò i vestiti ed io spaventata e
preoccupata per le sgridate dei genitori urlai alla sorellina di andare a
chiamare Pinota! Quando arrivò ero
riuscita a rimettere la “spina” ma ero disperata per il danno fatto. Fui
consolata da Pinota ma beccai una solenne punizione.
A 6 7 ANNI SI LAVORAVA GIÀ!
Quando si aveva sei sette anni
si andava già nei campi a lavorare. Ognuno di noi aveva il proprio bastone per
voltare il fieno, r’amssoirin (falcetto per l’erba), il rastrello, appesi sotto
il portico. Io andavo davanti alla mucca mentre il papà arava. A differenza di
mia sorella Giovanna non avevo paura, e mi piaceva stare all’aria aperta.
I BACHI DA SETA
Tenevamo in casa i bachi da
seta che davano tanto lavoro ma fornivano il primo reddito per la famiglia.
Appena “sciodì” (nati) erano
piccolissimi. Li allevavamo con le foglie del “Mo” Gelso e gliele tagliavamo
con le forbici affinchè potessero mangiarle. Senza timori né “schinfié”
(provare schifo) sollevavamo i bruchi con le mani e cambiavamo la lettiera
sporca.Era bello vederli arrampicarsi ai rametti predisposti e iniziare a
fabbricare i cochèt (bozzoli). Quando i bozzoli erano terminati venivano
raccolti e passati in un attrezzo che con delle spazzole li ripuliva. Venivano
poi messi dentro degli alti cestoni e portati al mercato ad Alba per essere venduti.
QUANTA FATICA
Non avevamo macchine e
occorreva svolgere tutti i lavori a mano. Inoltre vi erano gli imprevisti che
rendevano difficile il lavoro. Ad esempio per caricare il fieno nei prati
ripidi, si spianava il carro effettuando
dei buchi per le ruote della parte alta, però a volte, procedendo in strade
sconnesse si rovesciava, e così occorreva nuovamente caricare il fieno.
MIETERE A MANO NEL CAMPO
RIPIDO
Sono ancora andata a mietere a
mano e ricordo che avevamo un campo molto ripido nel quale venivano ad aiutarci
i due cognati che essendo mancini avevano più facilità a tagliare. Si facevano
èr Giavéle( bracciata di messe formata dai mannelli di ogni taglio) e le
legavamo o col grano intrecciato o con la “tortagna” ramo di castagno, poi si
facevano èr “capale” che erano piccole biche formate da 12 “Cheuv”(covoni)
messe a croce. Le biche non le portavamo subito a casa.
A SPIORÉ
Siccome non si sprecava nulla,
ricordo che il papà mandava noi bambine a raccogliere le spighe tralasciate.
Era un lavoro faticoso poiché si doveva andare su e giù per il campo a cercare
le spighe. Ricordo che una volta, stanca di girare dissi a mia sorella:
<prendiamo un pù di spighe da un covone così facciamo prima!> Astutamente
tagliammo i mazzetti di spighe da assomigliarle a quelle lasciate e tornammo a
casa.In quel modo il papà ci fece i complimenti!
SI VIVEVA DI POCO E NON SI
SPRECAVA
Si allevavano le pecore per il
latte e le tome, per la lana, si tenevano le galline per le uova, ma si vendeva
molto per ragranellare qualche soldo! Non si faceva la fame, ma non si sprecava
nulla.
La mamma filava la lana che
teneva nella “Roca”, il filo scendeva col
“fus” e ne faceva un “limissèl”
( gomitolo) e ci realizzava le
maglie, le calze ed altro.
I MEZZADRI
Nel paese vi erano due o tre
famiglie un po’ più benestanti, le altre erano tutte che vivevano con i
prodotti dell’allevamento e della campagna. Vi erano molte famiglie di
mezzadri, e ricordo che si fermavano un anno e poi facevano “san Martin”
trasloco con uno o due carri. I figli dei mezzadri venivano poco a scuola e noi
bambine ad inizio anno scolastico ci chiedevamo se ci sarebbero stati dei nuovi
compagni!
LE VIJÀ
Con l’inverno, arrivava il
tempo delle veglie di sera. Per non consumare tanta legna nel focolare o sfufa
in cucina, si andava nella stalla dove vi era il caldo naturale prodotto dagli
animali. Il papà, finchè fummo piccoline, allargava un po’ di paglia, si
inginocchiava e raccontava, con noi sedute e attente alle sue storie. Una che
ricordo maggiormente e che ho persino trascritta per una nipote, è quella de:
“IL RE E LA NAVE CON LE RUOTE”
https://youtu.be/hMxTZrbup5k
Vi racconto una storia dei
tempi passati.
Un Re mandò in giro i suoi
soldati a dare un annuncio per tutto il paese. Partirono i soldati con l’avviso
che diceva: <Se ci sarà un uomo capace di realizzare una nave che galleggi
sull’acqua e che proceda sulla terra, questi diventerà lo sposo di mia figlia
la Principessa>.
Due fratelli udirono il
comunicato. Il primo andò subito a vedere se aveva il necessario per costruire
la nave. Il mattino dopo, partì molto presto e andò nel bosco per tagliare gli
alberiper le assi e si portò il pranzo. A mezzogiorno, mentre mangiava arrivò
una vecchina e gli chiese se le dava un pezzo di pane perché aveva tanta fame.
Lui le rispose malamente che non ne aveva nemmeno per sé! La vecchina gli
chiese cosa facesse con quel legname, ma lui non le disse la verità bensì che
voleva realizzare dei mobili. La vecchina se ne andò e l’uomo tornato nel bosco
scoprì che le sue piante erano state trasformate in mobili. E così non riuscì a
costruire la nave. Tornò a casa deluso ed arrabbiato e il fratello gli disse
che il giorno dopo sarebbe andato lui. Partì e anche lui tagliò tanto legname,
si portò da mangiare e anche a lui intanto che mangiava apparve la
vecchina.Anche a lui chiese se le dava del pane e questi, più gentile le disse
che anche se non aveva molto avrebbero diviso a metà il pranzo. La donna poi
chiese cosa ne facesse di tutto quel legname, ma questo giovane le disse la
verità. La vecchina ringraziò e se ne andò, l’uomo tornò nel bosco e trovò la
nave realizzata. Vi salì sopra e si avviò per andare dal Re. Per strada vide un
tale che aveva le ruote sotto le scarpe e che correndo a zig zag inseguiva una
lepre, lo fece salire con lui.Viaggiarono un po’ e trovarono un tale presso un
laghetto che beveva e videro che ad ogni sorsata il laghetto si svuotava. Anche
a questo disse di salire con loro sulla nave che lo avrebbe portato in un bel
posto.Più avanti trovarono un uomo coricato a terra a si fermarono per vedere
se stesse male, ma questi disse che aveva seminato il grano e stava ad
ascoltare se stesse nascendo. Anche questo personaggio fu invitato a salire
sulla nave. Ripartirono e giunti in prossimità di un bosco videro un uomo che
aveva una lunghissima corda e l’aveva messa attorno a delle piante quindi
tirava e le abbatteva. Anche questo fu fatto salire e con tutti si presentarono
dal Re che non voleva credere fosse riuscito a raggiungere lo scopo della gara
e cioè costruire la nave che andava sulla terra e sul mare ed era restio a dare
la figlia in sposa. A quel punto volle metterlo alla prova con altre gare che
consistevano nello sfidare i”Campioni
del Re.” Come prima gara avrebbe dovuto misurarsi con l’uomo più veloce del Re.
Si fece gareggiare il compagno che aveva le ruote sotto alle scarpe. Avrebbero
dovuto andare a prendere l’acqua per la Regina e portarla nel più breve tempo
possibile. Vinse l’amico del costruttore della nave.
La seconda prova consisteva
nello sfidare l’uomo del Re che aveva fama di avere un udito finissimo. Anche
qui vinse l’amico che ascoltava nascere il grano.
La terza prova consisteva
nello sfidare il soldato del Re che era capace di bere una brenta di vino in
pochissimo tempo. L’uomo che prosciugava il laghetto riuscì a bere la brenta in
meno tempo e vinse, A questo punto il Re fu sempre più adirato e non voleva in
nessun modo concedere la figlia in sposa. Allora, quelli della nave decisero di
circondare il castello con la loro lunga corda, la legarono alla nave e
partirono con il castello e tutti gli abitanti…..e vissero tutti felici e
contenti.
La storia era lunga e il papà
ce la raccontava a puntate, ogni sera un pezzetto.
Quando poi diventammo grandi,
a otto nove anni, durante le veglie lavoravamo anche noi a maglia con ferri per
fare calze e scapin, mentre gli uomini preparavano (i Candlin) i ramoscelli per
i bachi, o facevano scope e cestini con i gorèt( rami di salice)
LA TERRIBILE SUOR MARIANNA
Ho proprio un brutto ricordo
della Maestra Marianna.
I bambini più discoli venivano
portati fuori dall’aula e costretti a rimanere inginocchiati sugli scalini
della canonica. Al termine della lezione li chiudeva nel “Croton che serviva da
legnaia”.
Le prime attività di scrittura
che eseguivamo erano la compilazione di pagine di “aste”. A volte ci penso e
sorrido al ricordo di quell’unica matita e quaderno. Eppure eravamo ugualmente
allegri e felici. Oggi che si ha tutto, forse troppo non vi è più l’allegria e
l’amicizia di un tempo.
FEBBRAIO 1945
In quel giorno che i
nazifascisti uccisero Oreste e Giacinto ricordo che papà era andato alla Messa
delle Funzioni dette delle “quarantore”. Noi bambini ci preparavamo ad andare a
scuola, ma da dietro alla Chiesa della Madonna della Langa iniziarono a
sparare. Mamma, sentendo gli spari, ci disse che non saremmo andati a scuola.
Mio fratello Domenico, spavaldo , disse che lui sarebbe passato “ bèn ancontra
ao rivass!” ( bene contro la riva) per non farsi vedere! Ma la mamma ci tenne a
casa. I soldati presero giovani e vecchi che incontrarono e li obbligarono ad
andare a piedi fino a Castino. Presero anche mio padre e fummo in apprensione
poiché non sapevamo dove li avessero portati. Aspettammo il papà tutto il
giorno e la notte poi al mattino, una mia sorella con altri del paese si fecero
coraggio e si avviarono per portar loro qualcosa da mangiare. Quando furono al
ponte di Campetto incontraro mio papà ed altri che ritornavano. Ines e altri
più giovani, li tennero ancora prigionieri e li portarono a Lequio poi a Diano
d’Alba e fino ad Alba.
Mio padre raccontava che la
prima cosa che chiese a mia sorella, quando si incontrarono a Campetto, fu se
mio fratello Edoardo del 29 ed un altro del 27 fossero salvi. Quando fu
incolonnato sentì un milite che diceva: “ non cercate di scappare poiché due li
abbiamo già ammazzati”. Lui temeva per i due figli, ma loro erano rimasti
nascosti. Invece Oreste e Giacinto furono visti mentre raggiungevano il
nascondiglio che si erano realizzati nel cortile. I militi giunsero dall’alta
Localita detta “erba fresca” e li individuarono. Li costrinsero ad uscire , li
fecero procedere fin sullo stradone e poi li uccisero. ( vedi racconti di Mario
Eirale e Ines Rapalino)
Ricordo anche i consigli della
maestra che quando si sentivano degli spari ci mandava a casa prima del termine
della lezione. “Bambini, non passate dalla strada pe ritornare!” e così noi, impauriti prendevamo le
scorciatoie attraverso i prati che erano più in basso.
NEL 1954 LA SCUOLA POPOLARE
Grazie alla Maestra Marina,
nel 1954, noi ragazze e ragazzi potemmo frequentare un anno di scuola che ci
permise di migliorare le nostre conoscenze. In molti infatti avevamo
frequentato solo fino alla quarta classe. Fu un perido molto utile e piacevole
ed avemmo un bellissimo rapporto di amicizia con la Maestra Marina che ancora
oggi a 90 e più anni ricorda quella esperienza. Sapendo che avevo conservato i
quaderni me li chiese li copiò e me li ritornò per Posta con una bellissima
dedica.