lunedì 14 ottobre 2024

EIRALE GIUSEPPE BORGOMALE 1921

 


 


EIRALE GIUSEPPE “PINOTO”

https://youtu.be/7Zl8PilCEMo    

INTERVISTA 7 LUGLIO 2017

BORGOMALE ”VILLAIO” della leva del 1921, dice che di nove coscritti è rimasto solo lui.

<La mIa fortuna fu nell’essere risultato “rivedibile” alla Visita di Leva. Altrimenti ”sarìa co partì mì pèr rà Russia” (Sarei partito anch’io per la Russia). Così partii soldato con un anno di ritardo e fui arruolato nella Guardia di Frontiera. Ero al confine con la Francia, presso un Forte con altri 15 compagni a effettuare il Servizio di guardia. Intanto che eravamo lassù, avvenne “ro sbandamènt”(lo sbandamento dell’8 settembre) e scendemmo, prima a Sant’Anna di Vinadio e poi a Borgo San Dalmazzo. Prendemmo il treno ma quando fummo a Cuneo trovammo già i tedeschi che arrestavano i militari. Mi nascosi nella zona W.C. del treno e attesi che il treno ripartisse. Rimasi nascosto con altri 7/8 militari della zona di Alba trattenendo il fiato e sperando di non essere individuati. Quando il treno a tarda notte si mosse fummo più tranquilli! Scesi a Mussotto dove avevo una zia e mi feci dare degli abiti borghesi, quindi mi avviai per raggiungere Borgomale. Dei miei compagni qualcuno andò in Alba , fu arrestato dai tedeschi  e deportato in Germania. Due di questi morirono in prigionia.

Giunto a casa, scelsi di non andare con i Partigiani e di aiutare la famiglia. Non fu facile poiché bisognava continuamente nascondersi per evitare di essere presi dai nazifascisti che effettuavano rastrellamenti alla ricerca di “ribelli” e giovani in età di leva o come me ”Disertori”.

Ricordo che un giorno andai con la famiglia a lavorare in una “Riva” sotto casa, quando fu Mezzogiorno i genitori e la sorella tornarono a casa. Attesi che la sorella venisse ad avvisarmi se tutto era tranquillo, poiché avevamo notato che nel nostro cortile vi erano i fascisti che con il cannocchiale osservavano alla ricerca di Partigiani. Dopo un po’ la sorella venne ad avvisarmi che se ne erano andati e quindi potevo tornare a casa. Quando fui alla cima del pendio per entrare nel cortile vidi un tedesco che attraversava  e veniva nella mia direzione per piazzare la mitraglia, fui sorpreso ma continuai e andai dove avevo un mucchio di letame e presi a caricare la carriola. Sentii lo sguardo del militare ma non mi voltai e procedetti nel lavoro. Il tedesco non mi disse nulla e dopo un po’ se ne andò. “se antèss momènt là rèisso sagname r’avrìo troamne manch na stissa!”( Se in quel momento mi avessero prelevato il sangue non ne avrebbero trovato una goccia).

Un’altra volta, io e due miei compagni fummo avvisati che stavano arrivando i Repubblichini e tedeschi “mèscià”(mischiati,insieme). Era l’ultimo giorno di Carnevale e con i compagni al mattino avevamo aiutato il vicino di casa a “massé èr crin”, già pregustavamo la festa che sarebbe seguita all’uccisione del maiale, e invece dovemmo nasconderci. Ci eravamo costruiti un nascondiglio che aveva delle feritoie nel muro posto sulla strada e così potevamo vedere l’arrivo della colonna. I repubblichini avevano una fisarmonica e fecero festa proprio dal vicino dove avremmo dovuto essere noi a mangiare e bere. Avevamo una gran voglia di menar le mani, ma dovemmo attendere che se ne andassero per uscire e festeggiare anche un po’ noi!.>

IL PARTIGIANO “CELSO”  GANDOLFO

 PARTIGIANO GANDOLFO CELSO nome di battaglia”CELSO” BORGOMALE 22/06/1924

Meccanico Aggiustatore

ALPINO II RGT ARTIGLIERIA

PARTIGIANO 6° DIVISIONE GARIBALDI DAL 09/09/’43 AL 27/04/’44

CATTURATO A SANTO STEFANO BELBO IL 27 APRILE 1944 

DEPORTATO E DECEDUTO A GUSEN MAUTHAUSEN

PINOTO:<Ricordo che Celso era un mio vicino di casa e amico. Lui dopo l’otto Settembre andò con i Partigiani Garibaldini e mi diceva sempre di aggregarmi. SeppI che durante un’azione a Santo Stefano Belbo, Celso con un altro compagno “ran faje frègg” (li hanno freddati, uccisi).> Dalle mie ricerche ho scoperto che Celso fu catturato e deportato a Mauthausen Gusen(sotto campo terribile! Vedi racconti di Salvetti Renato).

DRAGO ALDO TREZZO TINELLA 1932

 


          DRAGO ALDO TRIFORAO con l'amico Carlo


                                 https://youtu.be/yEVSh0lz-QA      

 

ALDO DRAGO : l’intrepido Trifolao, dagli 8 agli 80 anni con più di duemila cani!”costumà” Addestrati.

Sono quasi settant’ anni che vado per tartufi, ho iniziato verso gli otto anni con mio padre quando si abitava ai Bordin di Treiso e devo dire che di “ trifore è rò rancane!” (di tartufi ne ho trovati!). La salute mi ha sempre accompagnato e ancora adesso, che ho ottant’anni, se qualcuno volesse fare una scommessa a chi arriva prima, a piedi, da qui (Val Tinella) fino a Mango sarei disponibile. Però non trovo nessuno! Forse han “pao èd pèrde”(hanno paura di perdere!). Una ventina di anni fa eravamo al Sergentin (cascina di Val Tinella) si faceva ancora “ra rosa a poé” (il gruppo a potare), eravamo in ventitre, qualcuno lanciò la scommessa a chi riusciva a portare due sacchi di guano da 50 chili dalla Cascina èd Gori al cortile del Sergentin e ritorno. Accettammo la sfida in una decina ed io che ero il più anziano completai il percorso degli ottocento metri con il quintale in spalla, mentre gli altri li persero per strada. La scommessa consisteva in una cena che mi fu offerta in Pertinace.

Duemila cani “costimà”addestrati da tartufi

Ho addestrato cani per dei Tedeschi, per gente di Tortona ,Vercelli e ultimamente per un gruppo del Sud Africa e uno della Norvegia.

Non vi svelerò il segreto per addestrare i cani ma vi dirò soltanto che “mi ai can èi veui bèn!” (io ai cani voglio bene!),parlo con loro e loro mi ascoltano. Basti dire che non ne ho mai perso uno. Purtroppo me ne hanno ucciso alcuni con il boccone avvelenato e ho persino pianto.

          Na trifora grossa pèi d’na mica èd pan!


                

Quella notte Lila annusò davanti a me, diede due raspate e si fermò, mi guardò e io le dissi “ a rè fora neh!?”,diede un’altra raspata e si rannicchiò ai miei piedi, allora mi inginocchiai e tolsi un po’ di sabbia con le mani per una superficie di venti centimetri, ne scalfii un pezzo e assaggiai, era proprio un tartufo. Non usai “èr sapin”(lo zappino), feci un buco molto grande ed estrassi “na bianca”(una trifola bianca)di un chilo e due etti. La vendetti al Commendator Ponzio.

          Tante soddisfazioni ma anche molti rischi.


Una mattina, era dalle otto di sera che giravo, incontrai due cacciatori, uno di questi fece un salto per scendere uno scalino di terra ma gli partì il colpo: non aveva la sicura! La rosa di pallini mi investì, ma devo ringraziare il giubbotto bagnato che aveva rallentato i pallini. Ne ho ancora sottopelle, ma lo spavento fu grande poiché sputavo sangue. I due cacciatori subito mi accompagnarono al Pronto soccorso e il Dottor Bubbio con la sua esperienza ci tranquillizzò. Spiegò che il giubbotto mi aveva salvato ma un pallino mi aveva centrato la faccia cicatrizzando la ferita esterna e lacerando l’interno della bocca. Infatti avevo una ferita nella guancia interna. Mi andò bene e son qui a raccontarlo! Dopo l’antitetanica mi accompagnò a casa mio fratello e ripartIi per tartufi preoccupando non poco il cacciatore che venuto a vedere come stavo non mi trovò a casa. Sgridò mia moglie perché mi aveva lasciato andare, “ah o rè sagrinasse bèn!”(ah era molto addolorato) per non avermi trovato! Come risarcimento per il danno procuratomi, mi avrebbe fatto assumere da Miroglio o alla Ferrero, ma non avendo la macchina e non essendoci la comodità della “corriera” rimasi a fare il contadino. Certo se avessi accettato il posto in fabbrica ora avrei una pensione ben più alta di quella dei Coltivatori, ma non avrei più trovato tanti tartufi!

Posti da cinghiali

Due anni fa mi è successa bella. Andai nello Rian (rocca) dei "Parod", che è proprio impervia. C’era tutto un “bossoré”(intrico di rovi e bossi) con il sentiero dei cinghiali, questa cagnetta novella “Lila” entrò nel sentiero, lo risalì per un po’ e tornò scodinzolando. Capìi che aveva annusato il tartufo e mi infilai con lei nel tunnel procedendo tutto piegato,quando fummo sul posto lei raspò e la fermai. Ubbidì come sempre e estrassi un bel tartufo di un etto. Il problema era uscire da quell’intrico, pensai un attimo e non trovai altra soluzione che proseguire nel sentiero dei cinghiali finchè sbucai alla località Parodi con la cagnetta che mi seguiva. Impiegai un’ora faticando ma il tartufo l’avevamo trovato.

 

 

Èr sogn ‘n trà carzà!( un sonnellino nella carreggiata)

Una sera, verso le nove arrivai ai Toninèt e i cani del cortile si misero ad abbaiare. Avevo già trovato i tartufi e non avevo piacere di farmi vedere, così, mi accucciai con la cagnetta nella fossa che aveva creato il carro e attesi che i cani si zittissero. Mi addormentai e quando riaprii gli occhi il prato attorno a me non era più verde bensì bianco “èd bruna”(di brina), non portavo l’orologio ma compresi che stava facendo giorno. Attraversai il Tinella e mi avviai verso i Barich per passare nella rocca di Neviglie, molto buona da tartufi. Neanche quella volta non presi il raffreddore!

La frana mi scoprì i tartufi

Dopo una settimana di pioggia, neppure le raccomandazioni di mia moglie mi trattennero dall’uscire con Zor, il mio cane, per andare nella rocca èd Rivaerta. Attraversai il Tinella che gonfio d’acqua, se sbagliavo la pietra mi avrebbe trascinato fino a Neive. Mentre a metà della rocca tiravo fuori un tartufo che Zor aveva fiutato sulla sponda vicino all’acqua, mi cade un ramo sulla schiena e il cane era agitato. Alzo gli occhi e vedo che si era staccata una frana grande come una casa che si portava dietro pini pietre e terra. Con un balzo ci riparammo sulla costa, appena in tempo per evitare di essere travolti. Certo ci fu lo “sbaruv!”, ma risalìi la rocca e proprio dove si era staccata la frana trovai più di chilo di tartufi.

 

Tartufi e pesci

Sempre in quell’anno, nella settimana di Natale, volli andare nei miei “Reu”, ma, tornando, per non farmi vedere da quelli del Sergentin, decisi di tenere il sentiero del Tinella. C’era il ghiaccio sul bordo del torrente e nonostante fosse ancora buio, con la Superpila(pila da trifolao),vidi un bel pesce che sgusciava sotto una pietra. Alzai la pietra e con grande sorpresa ne trovai altri otto dentro una piccola pozza, erano “Quaiastr” (cavedani) di tre, quattro etti l’uno. Li infilai nella tasca “cassadora”(posta dietro la schiena) e uscii dall’acqua bagnato fino alla pancia, con Zor che mi guardava stupito. Svuotai i gambali, mi tolsi le calze e mi avviai verso casa con il mio bottino di tartufi e pesci, il campanile di Trezzo batteva le otto.


 



domenica 13 ottobre 2024

DOVA PEPINO 1929 CASTAGNOLE LANZE

 

Dova Pepino 1929 Castagnole Lanze

 



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 DOVA LOREDANA:

Intervista al papà Pepino: Ho chiesto a mio papà, classe 1929 di ricordare il rastrellamento del Dicembre 1944. La località Pallareto è a circa 3 Km da Castagnole e lui ogni mattina andava a prendere il latte per i suoi datori di lavoro in bicicletta; all'epoca era garzone nel calzaturificio Masengo.

PEPINO: Quel giorno andai in bicicletta a Pallareto da Rochèt a prendere il latte per Masèngh, dove lavoravo. Mi avevano realizzato un tascapane di stoffa con le bretelle,In quel modo il bottiglione non batteva contro il ferro della bicicletta  e rimaneva sulla schiena! R’ava zà sciapaine un ed pinton!( gliene avevo già rotto uno bottiglione!).

Andavo tutti i giorni poiché i Rocca avevano la mucca e vendevano il latte!

Ritornando verso Castagnole sentii fischiare dei proiettili, ma subito non pensai fossero diretti a me, avevano mitragliato “dar Brich ed Neive, da

Montobert! Quando lasciai la strada bianca ed imboccai quella asfaltata capii che avevano mitragliato me! Perché non vedendomi più aveano smesso di sparare! Comunque portai il latte a Masengo e poi andai a casa.

Era l’otto dicembre e mi dissero che erano passati i “repubblican” ed avevano cercato nelle camere e antèr guardarobe e avendo trovato i miei pantaloni e scarpe volevano sapere dov’ero, perché ero già abbastanza grande! Mia mamma disse che ero andato a Messa, ed era vero poiché ero veramente in Chiesa, andavo ancora a “sèrve Messa” ! Dopo un po’ di insistenza ci credettero e se ne andarono, senza venirmi a cercare!

Quando tornai seppi che avevano effettuato un Rastrellamento e collegai con la mitragliata che avevo sentito! I repubblichin erano già a Montobert !

Quel giorno portarono via Barba Sandro, Pierino ‘d Gianuss e parecchi altri, li rinchiusero nelle scuole del paese alto e quindi li deportarono a Torino alla Caserma di Via Asti. I Parroci di Castagnole Alto Don Bernocco e quello di San Bartolomeo Don Pavia andarono a Torino a prelevarli. Riuscirono a far rilasciare qualcuno come lo zio Sandro( il marito di magna Maria), ma altri come Pierino Gianuzzi e uno dei fratelli Benso che avevano arrestato nel “Pastino del Forno”, finirono in Germania. Nonno Serafino era del 1892 e non lo portarono via.

Di quando avevo 5 anni ricordo il Caglié Fiorin che aveva il laboratorio lì vicino a Masenta!

 

sabato 12 ottobre 2024

MARASSO MARIAROSA "ROSINA " BALLURI di Neive

 



MARASSO MARIAROSA “ROSINA”

 

https://youtu.be/kwYiz-gvPzk           

ricordo 8 dicembre 1944 nazifascisti a Neive

 

https://youtu.be/l9E1q8TQi04       

Uccisione di Gagliardi e Rossi

 

RICORDO DELL’8 DICEMBRE 1944 A NEIVE

L'8 Dicembre 1944 andammo, naturalmente a piedi, da qui borgata Starderi, alla Chiesa del Capoluogo di Neive, nonostante ci fosse" ne snui ed fioca!" Un mezzo metro di neve! 

Don Bollano, come tutti gli anni, celebrava una Funzione per la Benedizione dèr masná (bambini). A metà della funzione il Sacrista avvisò il Parroco che i nazifascisti(tedesch) avevano invaso il paese! Il Parroco ci disse di tornare alle nostre case e nascose parecchi giovani nel locale del Campanile e cantina ma molti furono arrestati e rinchiusi nelle cantine del castello. Anche qui agli Starderi da Carlino vi era il comando dei nazifascisti e portavano quelli che "rastrellavano". Una volta vennero qui da noi a perquisire la casa, ma i nostri uomini erano nascosti nel fieno sulla "travà". Entrarono in casa e si fecero accompagnare da Maria,


la mamma di Mauro e mia sorella che a quel tempo era ancora da sposare. Lei accese una candela e salì la scala per accedere alle camere sopra. Quando fu nella camera dove su una sedia vi erano i pantaloni e le scarpe di nostro fratello Maria sentì che un milite diede uno schiaffo alla candela e disse agli altri di andare che lí non c'era nessuno! Aveva visto gli abiti da uomo e non volle che li vedessero gli altri.Se avessero capito avrebbero cercato più a fondo. Quel soldato si fece poi capire e spiegò che lui era stato richiamato e obbligato a venire a fare la guerra, ma non era d'accordo con Hitler. Aiutò anche Zio Pierino quando caricarono tutti i rastrellati per deportarli a Borgo San Dalmazzo e poi in Germania! Erano già sui camion ma alla Crocetta questo soldato fece fermare il camion e fece segno a Pierino, che era il più anziano e aveva già famiglia, di saltare giù e correre a casa. Pierino anche se stupito non se lo fece dire due volte e scappò evitando di finire in Germania.

LUIGI BINDELLO Partigiano “Pitros”

Ho conosciuto Luigi Bindello che fu torturato dai nazifascisti: i ran rancaje unge e euj! Gli strapparono unghie e occhi, poi lo portarono a  Benevello e lo fucilarono.Impedirono al prete e alle sorelle di avvicinarsi al povero cadavere, perché dovevano sapere come morivano " i ribelli"!

 

UCCISIONE DI GAGLIARDI E ROSSI

Ricordo anche bene quando ad Aprile del 1945 fucilarono ad Alba i due terribili Gagliardi e Rossi. Andai anch'io a vedere! Li misero al muro e li lasciarono che la folla li malmenasse! Vi era tantissima gente arrabbiata con quei due . D’altronde avevano ammazzato tanti loro figli padri e madri. Poi li fucilarono.

BARBA GENIO

Mio fratello era del 1914 ed aveva assolto il Servizio militare, ma fu richiamato e non si presentò  al Richiamo, così si nascondeva. Ma vennero i nazifascisti e trovarono da noi la moglie incinta. Ricordo che chiesero insistentemente ”dove essere marito della donna incinta!” Noi si rispose che non si sapeva chi fosse il padre!” stentarono un po’ a credere ma riuscimmo a convincerli. Per fortuna non andarono nel fienile perché altrimenti avrebbero trovato lui ed altri nascosti!

Mio marito del 1918 fu richiamato e mandato in Sicilia dove fu trattenuto fino alla fine della guerra

L’AEREO DI PIPPO E L’OSCURAMENTO

 


In tempo di guerra bisognava coprire le finestre affinchè non si vedessero luci, perché passava “Pippo” con l’aereo e dove vedeva anche solo un piccolo lumino mitragliava! Avevano persino creato una canzone che ricordo: <è tardi a sera, giungono gli areoplani come son strani quei confettoni che gettan giù>

 

 

                       DON TARDITI E I PRETI CONOSCIUTI

                             DON BOLLANO


 Ho il ricordo di Don Tarditi che senza Perpetua viveva da solo a Neive in una cameretta dietro la Chiesa di San Michele. Era il Parroco di San Gervasio. I parrocchiani scherzavano sul suo procedere e quando nevicava dicevano che occorreva chiamare Don Tarditi per" fé rà calà! Far lo spazzaneve! Il Don infilava gli zoccoli al contrario: il dx a sx e viceversa! . Ricordo Don Boffa il prete Partigiano. Don Gioachino Bonifacio di Mango Parroco di Coazzolo che sposò  mia sorella Maria e Nino genitori di Mauro. Aveva la macchina fotografica e fece anche le foto agli sposi. Era il fratello della mamma di Rosella Toso che ha sposato Eugenio. Ricordo Don Gino 'd Giacon, il Prete Mediatore, e ancora Don Bollano che inveiva contro le mamme che permettevano alle figlie di vestire con abiti moderni, le riprendeva pubblicamente in Chiesa!

                        DON BOLLANO 1960




martedì 8 ottobre 2024

DESTEFANIS RAPALINO ENRICHETTA BENEVELLO




                                 foto ALDO AGNELLI Enrichetta indica il papà






                         Mamma                                                          Papà


 ENRICHETTA DESTEFANIS RAPALINO BENEVELLO Giugno 1936

Nata a Benevello in Località Cascinotto da

Viberti Maria ed Enrico Destefanis.

La mamma era nata in località “Pela” di Alba dove la famiglia era a Mezzadria. Raccontava che quando si sposò erano ancora in 18. Si sposò giovane prima del 1915 e dopo due anni il marito partì per la guerra.  Ebbe undici figli ma due morirono in tenera età.

Diceva sempre che partorì 5 degli undici figli a giugno proprio nel mese dei Bigat!

 

 ENRICHETTA RACCONTA

Mio papà Enrico è l’uomo con la mantellina della fotografia di Aldo Agnelli.

Quando indossava la mantellina, noi bimbe (5) e fratelli (4) ridevamo e fuggivamo per il gran gesto che effettuava! Partecipò alla guerra del 1915 /18

https://youtu.be/PqKtT10fUK8              

Papà Enrico zoccoli e scarponcini

Ho un bellissimo ricordo del mio papà: a tutti noi figli realizzava gli zoccoli per andare a scuola e sotto metteva dei chiodi affinchè avessero miglior tenuta ( ricordo ancora il rumore che facevamo a camminare!). Quando ebbi sei anni, prese un bastoncino di legno e mi misurò il piede, andò ad Alba e mi acquistò un bel paio di scarponcini. Quando tornò e me li fece misurare ero la felicità in persona. Li rimirai per tutta la Domenica e il Lunedì mattina li indossai per andare a scuola. Purtroppo era piovuto e la mamma me li fece togliere perché li avrei sporcati! Massima delusione, mi avviai tutta triste con gli zoccoli, ma appena sullo stradone incontrai il papà che mi disse perché non avevo gli scarponcini nuovi. Gli spiegai che la mamma non voleva li sporcassi, e luimettendomi una mano sulla spalla mi disse: <vèn vèn andoma a bitèiè, se i sé sporco ij polidoma!> Vieni vieni andiamo a metterli. Se si sporcano li puliremo!> Mi sentii la bambina più felice della terra.

MIA SORELLA ED IO

Da piccoline si aiutava mamma e papà ma appena riuscivamo combinavamo marachelle.

Una volta, a Marzo andammo ad aiutare a raccogliere i pezzi di legno dei pali della vigna che erano stati nel terreno e che sarebbero serviti come legna per la stufa. Quando la mamma ci disse di andare a casa, io e mia sorella Giovanna del 1938, la più piccola, non ascoltammo di andare dall’anziana vicina Pinota, ma pensammo di organizzare una merenda speciale!

Ci prendemmo del pane e scendemmo in cantina dove sapevamo che la mamma teneva “ra chindija”: era una pietanza che si preparava quando si uccideva il maiale e veniva conservata nella vescica essicata. La si conservava in cantina dove in un angolo c’era un pozzo che fungeva da Frigo. Noi mangiammo un po’ di quel buon cibo  e poi decidemmo di bere anche un po’ di vino. Scegliemmo però di non prenderlo dalla bottiglia perché il papà se ne sarebbe subito accorto. Utilizzammo un imbuto e togliemmo il “pojorin”( Zipolo o spinella) della botte! Il vino ci spruzzò i vestiti ed io spaventata e preoccupata per le sgridate dei genitori urlai alla sorellina di andare a chiamare Pinota! Quando arrivò  ero riuscita a rimettere la “spina” ma ero disperata per il danno fatto. Fui consolata da Pinota ma beccai una solenne punizione.

A 6 7 ANNI SI LAVORAVA GIÀ!

Quando si aveva sei sette anni si andava già nei campi a lavorare. Ognuno di noi aveva il proprio bastone per voltare il fieno, r’amssoirin (falcetto per l’erba), il rastrello, appesi sotto il portico. Io andavo davanti alla mucca mentre il papà arava. A differenza di mia sorella Giovanna non avevo paura, e mi piaceva stare all’aria aperta.

I BACHI DA SETA

Tenevamo in casa i bachi da seta che davano tanto lavoro ma fornivano il primo reddito per la famiglia.

Appena “sciodì” (nati) erano piccolissimi. Li allevavamo con le foglie del “Mo” Gelso e gliele tagliavamo con le forbici affinchè potessero mangiarle. Senza timori né “schinfié” (provare schifo) sollevavamo i bruchi con le mani e cambiavamo la lettiera sporca.Era bello vederli arrampicarsi ai rametti predisposti e iniziare a fabbricare i cochèt (bozzoli). Quando i bozzoli erano terminati venivano raccolti e passati in un attrezzo che con delle spazzole li ripuliva. Venivano poi messi dentro degli alti cestoni e portati al mercato ad Alba per essere venduti.

QUANTA FATICA

Non avevamo macchine e occorreva svolgere tutti i lavori a mano. Inoltre vi erano gli imprevisti che rendevano difficile il lavoro. Ad esempio per caricare il fieno nei prati ripidi, si spianava  il carro effettuando dei buchi per le ruote della parte alta, però a volte, procedendo in strade sconnesse si rovesciava, e così occorreva nuovamente caricare il fieno.

MIETERE A MANO NEL CAMPO RIPIDO

Sono ancora andata a mietere a mano e ricordo che avevamo un campo molto ripido nel quale venivano ad aiutarci i due cognati che essendo mancini avevano più facilità a tagliare. Si facevano èr Giavéle( bracciata di messe formata dai mannelli di ogni taglio) e le legavamo o col grano intrecciato o con la “tortagna” ramo di castagno, poi si facevano èr “capale” che erano piccole biche formate da 12 “Cheuv”(covoni) messe a croce. Le biche non le portavamo subito a casa.

A SPIORÉ

Siccome non si sprecava nulla, ricordo che il papà mandava noi bambine a raccogliere le spighe tralasciate. Era un lavoro faticoso poiché si doveva andare su e giù per il campo a cercare le spighe. Ricordo che una volta, stanca di girare dissi a mia sorella: <prendiamo un pù di spighe da un covone così facciamo prima!> Astutamente tagliammo i mazzetti di spighe da assomigliarle a quelle lasciate e tornammo a casa.In quel modo il papà ci fece i complimenti!

SI VIVEVA DI POCO E NON SI SPRECAVA

Si allevavano le pecore per il latte e le tome, per la lana, si tenevano le galline per le uova, ma si vendeva molto per ragranellare qualche soldo! Non si faceva la fame, ma non si sprecava nulla.

La mamma filava la lana che teneva nella “Roca”, il filo scendeva col  “fus” e ne faceva un “limissèl”   

( gomitolo) e ci realizzava le maglie, le calze ed altro.

I MEZZADRI

Nel paese vi erano due o tre famiglie un po’ più benestanti, le altre erano tutte che vivevano con i prodotti dell’allevamento e della campagna. Vi erano molte famiglie di mezzadri, e ricordo che si fermavano un anno e poi facevano “san Martin” trasloco con uno o due carri. I figli dei mezzadri venivano poco a scuola e noi bambine ad inizio anno scolastico ci chiedevamo se ci sarebbero stati dei nuovi compagni!

LE VIJÀ

Con l’inverno, arrivava il tempo delle veglie di sera. Per non consumare tanta legna nel focolare o sfufa in cucina, si andava nella stalla dove vi era il caldo naturale prodotto dagli animali. Il papà, finchè fummo piccoline, allargava un po’ di paglia, si inginocchiava e raccontava, con noi sedute e attente alle sue storie. Una che ricordo maggiormente e che ho persino trascritta per una nipote, è quella de: “IL RE E LA NAVE CON LE RUOTE”

https://youtu.be/hMxTZrbup5k

Vi racconto una storia dei tempi passati.

Un Re mandò in giro i suoi soldati a dare un annuncio per tutto il paese. Partirono i soldati con l’avviso che diceva: <Se ci sarà un uomo capace di realizzare una nave che galleggi sull’acqua e che proceda sulla terra, questi diventerà lo sposo di mia figlia la Principessa>.

Due fratelli udirono il comunicato. Il primo andò subito a vedere se aveva il necessario per costruire la nave. Il mattino dopo, partì molto presto e andò nel bosco per tagliare gli alberiper le assi e si portò il pranzo. A mezzogiorno, mentre mangiava arrivò una vecchina e gli chiese se le dava un pezzo di pane perché aveva tanta fame. Lui le rispose malamente che non ne aveva nemmeno per sé! La vecchina gli chiese cosa facesse con quel legname, ma lui non le disse la verità bensì che voleva realizzare dei mobili. La vecchina se ne andò e l’uomo tornato nel bosco scoprì che le sue piante erano state trasformate in mobili. E così non riuscì a costruire la nave. Tornò a casa deluso ed arrabbiato e il fratello gli disse che il giorno dopo sarebbe andato lui. Partì e anche lui tagliò tanto legname, si portò da mangiare e anche a lui intanto che mangiava apparve la vecchina.Anche a lui chiese se le dava del pane e questi, più gentile le disse che anche se non aveva molto avrebbero diviso a metà il pranzo. La donna poi chiese cosa ne facesse di tutto quel legname, ma questo giovane le disse la verità. La vecchina ringraziò e se ne andò, l’uomo tornò nel bosco e trovò la nave realizzata. Vi salì sopra e si avviò per andare dal Re. Per strada vide un tale che aveva le ruote sotto le scarpe e che correndo a zig zag inseguiva una lepre, lo fece salire con lui.Viaggiarono un po’ e trovarono un tale presso un laghetto che beveva e videro che ad ogni sorsata il laghetto si svuotava. Anche a questo disse di salire con loro sulla nave che lo avrebbe portato in un bel posto.Più avanti trovarono un uomo coricato a terra a si fermarono per vedere se stesse male, ma questi disse che aveva seminato il grano e stava ad ascoltare se stesse nascendo. Anche questo personaggio fu invitato a salire sulla nave. Ripartirono e giunti in prossimità di un bosco videro un uomo che aveva una lunghissima corda e l’aveva messa attorno a delle piante quindi tirava e le abbatteva. Anche questo fu fatto salire e con tutti si presentarono dal Re che non voleva credere fosse riuscito a raggiungere lo scopo della gara e cioè costruire la nave che andava sulla terra e sul mare ed era restio a dare la figlia in sposa. A quel punto volle metterlo alla prova con altre gare che consistevano nello sfidare  i”Campioni del Re.” Come prima gara avrebbe dovuto misurarsi con l’uomo più veloce del Re. Si fece gareggiare il compagno che aveva le ruote sotto alle scarpe. Avrebbero dovuto andare a prendere l’acqua per la Regina e portarla nel più breve tempo possibile. Vinse l’amico del costruttore della nave.

La seconda prova consisteva nello sfidare l’uomo del Re che aveva fama di avere un udito finissimo. Anche qui vinse l’amico che ascoltava nascere il grano.

La terza prova consisteva nello sfidare il soldato del Re che era capace di bere una brenta di vino in pochissimo tempo. L’uomo che prosciugava il laghetto riuscì a bere la brenta in meno tempo e vinse, A questo punto il Re fu sempre più adirato e non voleva in nessun modo concedere la figlia in sposa. Allora, quelli della nave decisero di circondare il castello con la loro lunga corda, la legarono alla nave e partirono con il castello e tutti gli abitanti…..e vissero tutti felici e contenti.

 

La storia era lunga e il papà ce la raccontava a puntate, ogni sera un pezzetto.

Quando poi diventammo grandi, a otto nove anni, durante le veglie lavoravamo anche noi a maglia con ferri per fare calze e scapin, mentre gli uomini preparavano (i Candlin) i ramoscelli per i bachi, o facevano scope e cestini con i gorèt( rami di salice) 

 

LA TERRIBILE SUOR MARIANNA

Ho proprio un brutto ricordo della Maestra Marianna.

I bambini più discoli venivano portati fuori dall’aula e costretti a rimanere inginocchiati sugli scalini della canonica. Al termine della lezione li chiudeva nel “Croton che serviva da legnaia”.

Le prime attività di scrittura che eseguivamo erano la compilazione di pagine di “aste”. A volte ci penso e sorrido al ricordo di quell’unica matita e quaderno. Eppure eravamo ugualmente allegri e felici. Oggi che si ha tutto, forse troppo non vi è più l’allegria e l’amicizia di un tempo.

FEBBRAIO 1945

In quel giorno che i nazifascisti uccisero Oreste e Giacinto ricordo che papà era andato alla Messa delle Funzioni dette delle “quarantore”. Noi bambini ci preparavamo ad andare a scuola, ma da dietro alla Chiesa della Madonna della Langa iniziarono a sparare. Mamma, sentendo gli spari, ci disse che non saremmo andati a scuola. Mio fratello Domenico, spavaldo , disse che lui sarebbe passato “ bèn ancontra ao rivass!” ( bene contro la riva) per non farsi vedere! Ma la mamma ci tenne a casa. I soldati presero giovani e vecchi che incontrarono e li obbligarono ad andare a piedi fino a Castino. Presero anche mio padre e fummo in apprensione poiché non sapevamo dove li avessero portati. Aspettammo il papà tutto il giorno e la notte poi al mattino, una mia sorella con altri del paese si fecero coraggio e si avviarono per portar loro qualcosa da mangiare. Quando furono al ponte di Campetto incontraro mio papà ed altri che ritornavano. Ines e altri più giovani, li tennero ancora prigionieri e li portarono a Lequio poi a Diano d’Alba e fino ad Alba.

Mio padre raccontava che la prima cosa che chiese a mia sorella, quando si incontrarono a Campetto, fu se mio fratello Edoardo del 29 ed un altro del 27 fossero salvi. Quando fu incolonnato sentì un milite che diceva: “ non cercate di scappare poiché due li abbiamo già ammazzati”. Lui temeva per i due figli, ma loro erano rimasti nascosti. Invece Oreste e Giacinto furono visti mentre raggiungevano il nascondiglio che si erano realizzati nel cortile. I militi giunsero dall’alta Localita detta “erba fresca” e li individuarono. Li costrinsero ad uscire , li fecero procedere fin sullo stradone e poi li uccisero. ( vedi racconti di Mario Eirale e Ines Rapalino)

Ricordo anche i consigli della maestra che quando si sentivano degli spari ci mandava a casa prima del termine della lezione. “Bambini, non passate dalla strada pe ritornare!”  e così noi, impauriti prendevamo le scorciatoie attraverso i prati che erano più in basso.

NEL 1954 LA SCUOLA POPOLARE

Grazie alla Maestra Marina, nel 1954, noi ragazze e ragazzi potemmo frequentare un anno di scuola che ci permise di migliorare le nostre conoscenze. In molti infatti avevamo frequentato solo fino alla quarta classe. Fu un perido molto utile e piacevole ed avemmo un bellissimo rapporto di amicizia con la Maestra Marina che ancora oggi a 90 e più anni ricorda quella esperienza. Sapendo che avevo conservato i quaderni me li chiese li copiò e me li ritornò per Posta con una bellissima dedica.

lunedì 7 ottobre 2024

CORRADO LORENA E MARGHERITA FIORINO

 

LORENA CORRADO E FIORINO MARGHERITA RICORDO DI NONNO TONIN


Nonno Corrado Antonio(Tonin)Sebastiano Bernardo 1906 Albaretto Torre di Margherita e Lorenzo. Padre di Angelo e nonno di Lorena

Mamma Margherita aveva piacere di avere un bimbo suo, ma non riusciva ad averne. Essendo molto devota pensò di chiedere una “Grazia” ai Santi delle varie Cappelle di Albaretto Torre. Ogni giorno si recò alle tre Chiesette e confidò, pregando, il suo desiderio: Avere un figlio! Fu costante e tenace, fu esaudita. Diede alla luce un bimbo e per ringraziare i Santi che l’avevano aiutata volle dargli nome Antonin,Sebastiano, Bernardo. La bisnonna di Lorena, riconoscente per averle concesso il dono di essere madre, ringraziò ulteriormente i Santi con opere di bene, diede  una sorellina a Tonin adottando una bimba dr’ospidal “Maddalena” che fu la nonna di Marco Voglino il Fisarmonicista e un fratellino, Mario. Ancora, il buon Dio la ricompensò con una bimba Cristina(diminutivo Cristinota). Magna “Nota” ebbe una lunghissima vita, salì in cielo a 105 anni  

BANDA MUSICALE DI BOSSOLASCO Maestro Fresia

Nonno Tonin imparò a suonare il trombone ed entrò a far parte fin da ragazzino nella Banda musicale di Albaretto Torre. Suonare il trombone fu la sua grande passione, non mollò mai, e anche quando, con l’età, caddero i denti, Tonin si mise due pezzi di tappo di sughero tra labbro e gengiva così da poter soffiare ( nel bocchino a tazza) del suo amato trombone. 

                       

             

 Ebbe anche la soddisfazione di essere chiamato a suonare nella Banda “Fresia di Bossolasco” e risulta in una foto pubblicata nel libro “Storia di Rina e Demetrio Veglio”.

In tale foto, di cui si era perso traccia, fu riconosciuto da una nipote in occasione di un’esposizione per le vie di Bossolasco.  Tonin fu un grande contadino e terminò la sua vita all’età di sessantatre anni in un incidente sul lavoro che amava maggiormente. Era intento a prelevare un “balot” dalla “travà” , quando le sue dita irrigidite dall’artrite deformante rimasero impigliate nei fili di ferro,  cadde  battendo la testa e giunse la sua ora.  Il figlio Angelo con Margherita e Lorena Onorarono il ricordo di Tonin tenendo il suo trombone sempre lucido, come amava averlo lui, sulla credenza dove tuttora luccica.

COGNO NATALINA DOGLIANI 1934 TREISO

 



https://youtu.be/0FI_soUzN14

Io sono nata nel 1934 a “Pian srèì”, una frazione di Dogliani dove i miei erano da mezzadri. Quando feci la prima Comunione, mia sorella che era già sposata a Torino mi portò in regalo una gonna e una camicetta, ma siccome pioveva che “Dio la mandava” si infradiciò talmente che dopo la Messa si restrinse ed era solo più “quattr dia”(QUATTRO DITA) poiché erano materiali autarchici!  La guerra la ricordo benissimo, poiché eravamo tutti spaventati e sempre correvamo a nasconderci all’arrivo dei fascisti. Mi ricordo di suo fratello Giacone Davide del 1919 che andò in Russia e “ringraziando il buon Dio” tornò. Invece mio fratello Giovanni nato a Bra nel 1917 poiché la mia famiglia era a mezzadria a Barolo, partì soldato, e quando ci trasferimmo qui a Treiso mio padre era già Andato avanti ed eravamo del 1940. Giovanni venne a casa in licenza e prese una colossale sbornia con i cugini che abitavano qui vicino. Nonostante la “ciucca” volle partire per Cuneo, dove doveva presentarsi il giorno dopo ma in bicicletta cadde alla curva dei Rizzi di Treiso. Si presentò al Colonnello con quella gamba malconcia e questi pensando si fosse ferito per non partire per la Russia, sentenziò: “ti porto in Russia e ti lascio là!” Fu proprio così, si seppe dai suoi commilitoni che già fece il viaggio sofferente e in più fu travolto dal terribile inverno russo e dalla Ritirata. Mio fratello aveva già partecipato alla Campagna di guerra Greco Albanese e in quella occasione fu il mulo che gli salvò la vita. Il mulo fu colpito da una granata e cadendo morto riuscì a proteggere Giovanni.

Mia sorella Tina fu vedova di guerra. Il marito

GERMANO FIORINO TORINO18/10/1899

KAHLA - "SAMMELFRIEDHOF"

KAHLA 24/1/1945

Kahla è un comune della Germania di 7.272 abitanti situato nel circondario di Saale-Holzland-Kreis in Turingia.
dovrebbe esserci un cimitero di nome SAMMELFRIEDHOF dove sono sepolti alcuni soldati deportati e morti nel 1942

Le condizioni dei lavoratori a Kahla erano terribili. Il principale Lager che forniva la mano d’opera era Buchenwald, che si trovava vicino a Kahla, ma i lavoratori coatti giungevano anche direttamente dall’Italia, con trasporti su ferrovia di giovani e giovanissimi rastrellati dai tedeschi in ritirata verso nord, con la “preziosa” collaborazione dei fascisti della R.S.I. Buchenwald era storicamente uno dei peggiori, classificato KZ (campo di sterminio). Ciò malgrado, circa 200 francesi detenuti a Buchenwald, allettati dalla richiesta di mano d’opera da inviare a Kahla, accettarono di buon grado il trasferimento; quando vi giunsero e videro la triste realtà, chiesero di ritornare a Buchenwald; per questa ragione furono puniti con una notte in piedi e al freddo che li decimò.