lunedì 29 gennaio 2024

CAVALLOTTO DEFABBRI CATERINA

 



CAVALOTTO DEFABBRI CATERINA  “Madrina degli Alpini di Cerretto Langhe”

ricorda il padre     https://youtu.be/bHtJubT8yjo 

 


CAVALLOTTO ORESTE “Lino” di Mascarello Caterina Maggiorina e di Luigi

CERRETTO DELLE LANGHE 29/6/1910  

Cuneense 4° Rgt Artiglieria

Data di Decesso: URSS 31/1/1943
Luogo Decesso: Sconosciuto
Luogo Sepoltura: Sconosciuto

La famiglia di Oreste abitava in località Langhe proprio sotto alla Pedaggera di Cerretto Langhe dove c'era l'Osteria di  Filomena e il forno di Giolino.  Il piccolo orto e il campo coltivato a grano non bastava a sfamare la famiglia, così la mamma faceva un po' di sarta e produceva qualche “toma” da vendere al mercato di Serravalle Langhe, il nonno era del 1880, per cui non era stato chiamato alla grande guerra. Faceva il manovale, ma a quei tempi preferivano assumere un ragazzino da sèrvitó Tocao o vaché. (manovale per guidare i buoi e “ciadlé èr bestie”(accudire gli animali)

 

La figlia Caterina racconta che, il papà, dopo la campagna di Albania rientrò a casa nel ’38 e si sposò, nel 1940 nacque lei. Prima di partire per la Russia venne a casa in Licenza e ricorda: < Camminavo appena, avrò avuto due anni e mezzo, ricordo che era andato a caccia e staccò due piume colorate dal fagiano appena preso, e me le mise in mano, poi partì e non lo vidi più. Da allora collego sempre il suo volto ai colori delle piume di fagiano!>Dai racconti della mamma e della nonna rammenta che dicevano di averlo sempre visto, ogni volta che veniva richiamato, fiducioso che sarebbe finita presto. Lo ricordavano intento a mettere le fasce militari e rassicurarle “Stavota èi doma in crèp e ra foma finija!” (questa volta diamo una spallata e la facciamo finita). Purtroppo dalla Russia non tornò. La nonna, ogni volta che sapeva di qualcuno che tornava dalla Russia mandava la nuora a informarsi se avessero visto il suo figlio “LINO”, ma questi non avevano notizie né lo avevano visto. Solo un reduce di Cerretto Langhe (Pressenda padre di Elio - informazione del 24 giugno 2017 in occasione della presentazione Memoriale LEQUIO BERRIA) disse di averlo visto su una slitta con entrambi i piedi congelati, poi nell’imperversare del “ripiegamento” non lo vide più.

Caterina  seppur fosse piccolina, aveva tre/quattro anni, rivede la mamma e la nonna che avevano preparato una scatola rossa con dentro del tabacco e delle cartine da inviare al padre che ne aveva fatto richiesta. Nel ’43 , ai primi di Gennaio il pacco non fu consegnato e ritornò al mittente, tuttavia la mamma e la nonna sperarono sempre di vederlo tornare. Quando nel 1945 terminò la guerra e in tutti i paesi delle Langhe i campanili annunciarono la fine con degli scampanare festosi la nonna diceva alla nipotina:< Senti? è finita la guerra, vedrai ritornerà anche il tuo papà>!Non fu così, e la nonna  pur sperando tornasse distrusse tutte le lettere che aveva scritto. Come di tantissimi altri non si ebbero notizie ufficiali e siccome di loro non si recuperò piastrina né altro furono dati per Deceduti il 31 Gennaio 1943. Mio zio Carlo De Fabbri, Reduce Ferito della Russia, quando ero bambina e gli chiedevo se non avesse visto mio papà, mi accarezzava la testa e mi diceva con un sorriso” quand èt sarai pi granda èt cont!” (quando sarai più alta ti racconto!), ma anche da più grande non riuscì a raccontarmi e andò avanti con i suoi ricordi pesanti!

RICORDO DI CATERINA

CAVALLOTTO PAOLO DI CARLO CERRETTO LANGHE (CN/I) il 11/05/1902

Civile

Luogo di morte: CERRETTO LANGHE (CN/I) il 01/08/1944

 

<Paolo abitava e lavorava a Torino alla F.I.A.T DI Via Valperga. Nel periodo della guerra a causa dei bombardamenti lasciò Torino e tornò nella casa paterna proprio vicino a noi. Ricordo che all’arrivo dei nazifascisti a Pedaggera lui con mio nonno ed altri uomini giovani ed adulti scapparono per andare a nascondersi. Fecero pochi metri e incontrarono una pattuglia che con i fucili spianati intimò loro di fermarsi. Paolo alzò le mani e spiegava che non era un ribelle ma un milite da distanza ravvicinata fece partire un colpo che lo prese al petto e gli trapassò un polmone. Fu subito trasportato in casa ma dopo un’ora morì. Questo accadde sotto i miei occhi e mi ha sempre turbato.

 

 

 

 

sabato 27 gennaio 2024

PORTA SERGIO MONTELUPO ALBESE 1932

 









PORTA SERGIO "DÈR PILON"

MONTELUPO ALBESE 1932 DI FASCIOLA ANTONIA DI SANTA MARIA di La Morra DECEDUTA NEL 1985 E  DI PIETRO 1895 1951




Conserva il Congedo, l’Attestato di partecipazione alla Guerra del 1915 /18 e le mostrine  del  Papà PIETRO 1895 1951 Artigliere, che partecipò alla GUERRA EUROPEA DEL ‘15/’18. resistette alle peripezie della guerra ma fu distrutto dalla perdita del figlio Teresio che partì diciannovenne per la Campagna di Russia e non tornò. Morì all’età di 56 anni.  

Il nonno, chiamato “CARLUCC” diede il nome alla dinastia dei PORTA del “Pilon” che ancora oggi sono ‘D CARLUCC. Carlo del 1859  con la nonna Sappa Virginia ”GIN”  ebbero 4 figli maschi e tre femmine. Una prozia sposò Settimo Giuseppe 1882 della località “Bolichin “ di Rodello. Era incinta e morì col bimbo che portava in grembo a causa dell’Epidemia di Spagnola. (Sergio dice che quasi tutte le donne incinta che si ammalarono di Spagnola non si salvarono).

Il marito Giuseppe


 era in guerra e quando tornò si rifece una famiglia sposando un’altra sorella Porta e generarono Leone e altre due figlie. Le due prozie andarono avanti una a cento anni e l’altra di Sinio a 101.

                                   

 



Il fratello Teresio, del 1922 partì per la Campagna di Russia che non aveva ancora vent’anni, fu dato in un primo tempo “Disperso” e solo nel 2000 giunse una Comunicazione da ONOR CADUTI che comunicava che era stato preso Prigioniero dai Russi e deportato al Campo 58 di TEMNIKOV. REP. DI MORDOVIA dove morì in data sconosciuta. Fu sepolto in una fossa comune con tanti altri e non fu possibile rimpatriare i resti mortali.

 


 



 

ZIO PORTA MICHELE 1905 FERITO DAI NAZIFASCISTI

https://youtu.be/s2PlthTjsxQ    

 RACCONTO DI PORTA SERGIO

<La gente uscita da Messa , si avviò versò la “Tagliata” dove avevano visto i Partigiani all’Osteria.

I nazifascisti arrivarono e ne fecero una fila lì nella via per controllarli. Mio zio che non aveva fatto il militare e comunque non era più giovane , ebbe sempre una gran paura dei fascisti e tedeschi. A zio Michele prese l’affanno ed essendo in prossimità del peso dove c’è una lunga scarpata, pensò bene di mettersi a correre e andar giù nella riva. I militi, quando videro che correva, iniziarono a sparare. Fece un lungo tratto di corsaed era quasi arrivato ad entrare in un boschetto do lo avrebbero più visto, ma fu colpito, fece ancora qualche passo pensando lo avessero solo preso nel cappotto, poi sentì il sangue in bocca e crollò Un proiettile gli aveva trapassato schiena polmone e torace. Lui era un uomo forte , cadde ma fu ingrado di resistere e quando i Tedeschi lo andarono a prendere, avendolo visto accasciarsi e lo fecero camminare fino dal peso. Quando fu davanti all’osteria lo fecero sederesu una sedia ma continuava a perdere sangue. Gli tamponarono le ferite e lo fasciarono, ma lo tennero esposto quasi a far vedere cosa erano capaci di fare!

Siccome sveniva lo portarono in una camera sopra l’osteria. Il sangue continuò a fuoriuscire e trapassò il materasso e creò un lago sotto il letto. Era ormai in procinto di morire dissanguato eppure i tedeschi volevano portarlo nuovamente sotto perché dovevano incendiare il rione. Arrivò il Parroco Don Castella che li pregò in ginocchio di avere pietà di un morente e riuscì a convincerli. Lo zio Michele rimase lì in fin di vita e sentendosi morire chiese di vedere suo fratello, mio padre. Ricordo che io ero da poco arrivato a casa dopo un lungo giro per evitare le pattuglie appostate “ ar Ciosse e alla Torretta” e sentimmo arrivare un sidecar tedesco che era venuto a prendere mio padre per portarlo dallo zio Michele. Lo zio intanto aveva voluto fare Testamento, ma non potendo scrivere lo lasciò a due testimoni. Mio padre chiese se qualcuno dietro compenso di 500 Lire poteva andare a cercare un medico. Si offrì Giovanni che svolgeva l’attività di “conducente d’auto”. Era ormai sera, ma prima nessuno aveva osato proporre un medico poiché tutti sotto tiro delle armi nazifasciste. Giovanni tornò con il medico Cardone di Lequio Berria che non potè fare altro che consigliare il ricovero all’ospeale. Lo condussero con un altro ferito grave di Lequio Berria. Anche lui scampò ma rimase paralizzato.Mio zio rimase quaranta giorni in ospedale, poi tornò a casa e riprese a lavorare come prima. La forte tempra gli permise di vivere fino ad ottant’anni. Non ebbe neppure un po’ di pensione di guerra perché gli fecero firmare una dichiarazione in cui affermava di essere guarito bene e non aver subito conseguenze per il ferimento.

NOI RAGAZZINI E LA GUERRA

Quando uscimmo dalla Messa quella domenica 16 novembre del ‘44  ci avviammo anche noi verso la Tagliata, ma incontrammo molte persone che scappavano e ci dissero che c’erano i tedeschi, così scappammo anche noi e facemmo un lungo giro per evitare le pattuglie piazzate alle Borgate “Ciosse e Toretta”. Incontrammo anche uomini che andavano a nascondersi e anche un nostro vicino che era nei Partigiani che con un fascio di fucili cercava di nasconderli. con i compagni  vicini di casa, sentivamo il sibilo dei proiettili ma andò bene e rimanemmo al coperto finchè non si sentirono più spari. Nel tardo pomeriggio con un ampio giro risalimmo alla Torretta e da lì giungemmo a casa, proprio quando una moto dei nazisti venne a prelevare mio padre Pietro per condurlo dal fratello morente che lo invocava.

 

     


 

 

giovedì 25 gennaio 2024

TRAVAGLIO GIOVANNA BOSSOLASCO 1935

 




TRAVAGLIO GIOVANNA 1935 di Pra Fregg Bossolasco

di mamma Vacchetta di Genola del 1887 che morì quando lei aveva pochi mesi.

Nel partorire il primo figlio rimase semi paralizzata, e tuttavia ebbe altre tre figlie, una sposò Protto fratello di Don Camillo e una sposò Bastanza Secondo di Arguello e furono genitori di Luciana. La famiglia Travaglio era a mezzadria nella Cascina Prato Freddo e Giovanna fu cresciuta dalla nonna Paterna e dalle sorelle. 

Quando il padre di Giovanna rimase vedovo, si presentò un “Bacialé “(Sensale) che volle presentarle una donna, ma le cognate, quando seppero che era vedova con quattro figli non permisero neppure che venisse a farsi conoscere!

 

Il cognato Bastanza, le raccontò che quando lui andava alla Cascina a lavorare la vedeva tutta coperta di mosche e pensò non c’è l’avrebbe fatta a sopravvivere. Invece, dice Giovanna: < eccomi qua a 85 anni! Si vede mi son fatta gli anticorpi!> 

Anche la nonna Materna che ogni sabato, da Somano si recava a far visita al genero e alle nipoti rimaneva impressionata per le condizioni fisiche della più piccola e pregava il Signore perché la chiamasse a lui come aveva fatto con la mamma. Quando Giovanna fu più grande, in occasione di una visita della nonna, la accompagnò sulla strada del ritorno verso Somano. La nonna volle entrare nella Chiesa della Madonna della neve e nell’accendere una candela alla Madonna, scoppiò in lacrime, alla nipotina che chiese perchè piangesse, la nonna rivelò che era pentita di aver chiesto a Dio di farla morire!

 

Giovanna ricorda che venivano i Partigiani a cavallo e si fermavano a pranzo o cena. Appena se ne andavano occorreva affrettarsi a cancellare le impronte poiché se arrivavano i tedeschi c’era rischio di vedersi bruciare la casa.

 

Giovanna frequentò le scuole a Bossolasco e racconta che le fecero ripetere la quinta poichè il cugino, un anno più giovane, non sarebbe più andato a scuola senza di lei, così le imposero di frequentare nuovamente la quinta.

Un giorno, quando frequentava la classe prima, si offrì di uscire a vedere  l’ora al campanile della Chiesa, ma quando fu fuori si rese conto che lei non era in grado di leggere l’ora. Non si perse d’animo ed ebbe fortuna. Il Messo Comunale Sig. Chiesa la vide e le intimò di rientrare, anche perché vi erano due metri di neve. Giovanna astutamente chiese che ore fossero, questi osservò il campanile e glielo riferì, così lei rientrò felice e fece “bella figura” con compagni e Maestra.

 

martedì 23 gennaio 2024

COCCIO FRANCO SINIO 1929 FRATELLO DI ELIGIO

 


https://youtu.be/WPUeW-E3qls

                      ASCHERI MARIA                COCCIO GIUSEPPE FIORENTINO


                                               COCCIO ELIGIO

Coccio Franco.  Mio fratello Eligio decorato e morto in Russia

I due fratelli più grandi di Coccio Franco Sinio (1929) erano Eligio del 1918 e Attilio del 1920. Entrambi partirono soldato e dopo le Campagne militari di Francia, Albania e Grecia furono inviati in Russia. Eligio non tornò e la sua storia fu raccontata ai famigliari da Carlo DeFabbri di Cerretto Langhe. Il fratello Franco, in lacrime, rinnovella il ricordo.

L’amico Carlo riferì che furono insieme per tutta la ritirata, lui, Eligio e Marengo di Perno. Stremati dal freddo e dalla fatica giunsero in prossimità di un’isba e si fermarono a soccorrere l’amico Marengo che era stato ferito nell’andare a tirare l’acqua ad un pozzo. Gli diedero da bere, poi Eligio si soffermò ulteriormente con l’amico, Carlo si avviò e girandosi sentì che l’Alpino di Perno diceva ad Eligio: <tieni, il portafoglio e l’orologio, portali a mia madre, io rimango qui>. Eligio salutò l’amico, si sollevò e fu colpito a morte da un cecchino russo. Era l’ultimo giorno di marcia, stavano per arrivare al campo di smistamento dove sarebbero stati condotti a Karkov per il rientro in Italia. Franco mi mostra la foto del fratello e aggiunge:< Mia madre fece tanti di quei pianti, non si dava pace per il destino avverso che era toccato al suo figlio Eligio.> Eligio fu anche insignito di Medaglia d’argento al Valor militare per un’azione compiuta e che aumenta il valore del suo Sacrificio.


L’artigliere  Coccio Eligio del IV Artiglieria Alpina fu Decorato con la seguente motivazione:

“Conducente, in aspro combattimento contro preponderanti forze nemiche che avevano raggiunto le posizioni del gruppo, si lanciava di iniziativa all’assalto col moschetto e bombe a mano contribuendo a contenere l’avversario. Ferito non desisteva dalla lotta” Nowo Postojalowka (fronte russo) 20 Gennaio 1943

 

domenica 21 gennaio 2024

MORAGLIO GUIDO 1938 DI MAGGIORINO 1914

 





MORAGLIO MAGGIORINO BOSIA 23 05 1914

SOLDATO FANTERIA 43 RGT FTR

DECEDUTO 17 09 1944

SEPOLTO A FRANCOFORTE SUL MENO (GERMANIA)

PRIMA SEPOLTURA  A WERNECK  GEMEINDEFRIEDHOF

https://youtu.be/lI5xJzVnfuY      

Io nacqui nel 1938 e di mio padre del 1914  e richiamato in guerra non ho ricordi. Mia madre mi raccontò che papà  venne a casa in licenza nel 1940. Mi fece tantissime coccole. Mamma disse che pur piccolino mentre lui si rivestiva con la divisa, poiché aveva terminato la Licenza e doveva rientrare, Io presi “puntel” legno che si metteva alla porta la sera, affinchè non entrassero i cani, e lo sistemai alla porta perché non volevo che andasse via. Quasi sapessi che non sarebbe più tornato! Al sentire questo racconto mi sovviene che nel mettere il puntello mi girai e vidi una persona altissima. Questo è l’unico ricordo che ho di mio papà. Collegato a questo ricordo ne ho un altro. Mamma mi aveva cambiato per l’occasione dell’arrivo di papà ed io mi sporcai con l’acqua contenuta nella pietra concava per le galline. Mi sorge così un altro flasch di un gesto di papà che mi afferra e mi consegna a mamma affinchè mi cambi.

Papà era in guerra durante la Campagna Greco albanese e venendo a casa in licenza a Fiume fu preso prigioniero dai nazisti e deportato in campo di prigionia di Werneck Dulag Luft Francoforte Distretto Militare IX

 

Noi ricevemmo notizie della sua morte tramite una lettera che un infermiere , anche lui prigioniero di Firenze scrisse a fine guerra al Sindaco di Castino.

Nella lettera Vittoriano Mirabella chiariva come avvenne la morte di papà. Si ammalò di Malaria e Tifo e si aggravò in pochi giorni. L’infermiere segnalò al Colonnello comandante del campo che era necessario ricoverare mio padre presso l’Ospedale più grande per essere curato, ma questi tardò a dare il consenso e dopo due giorni mio padre morì. Fu sepolto dapprima nel Cimitero del Campo, poi a fine guerra venne traslato nel Cimitero militare italiano di Francoforte sul Meno. Cercammo a lungo quella tomba del Campo di Werneck, ma il Cimitero era stato smantellato. Quando grazie a Laura Manzi sapemmo che la Tomba era stata localizzata nel Cimitero di Francoforte, mi procurai la cartina del cippo e con mia moglie e i figli Silvia e Claudio ci recammo in Germania e finalmente ponemmo un fiore sulla sua tomba

PICHETTA CELSIN ALBARETTO TORRE 1920

                     PICHETTA CELSO DI ALPINI MARIA E LUIGI DA ALBARETTO TORRE

                                 II ALPINI BATTAGLIONE BORGO SAN DALMAZZO

 








Margherita Porello (moglie)


DECORATO CON MEDAGLIA D’ARGENTO AL VALOR MILITARE

MOTIVAZIONE:”CON SPREZZO DEL PERICOLO SI LANCIAVA DOVE PIÙ INTENSO FERVEVA IL COMBATTIMENTO E NOTATA UN’ARMA AUTOMATICA NEMICA PARTICOLARMENTE MOLESTA, SI LANCIAVA D’INIZIATIVA E DA SOLO, CON MAGNIFICO SLANCIO, RIUSCIVA AD IMPADRONIRSENE CATTURANDO IL TIRATORE. DOPO AVER DISARMATO ED INCAMMINATO VERSO LE NOSTRE LINEE IL PRIGIONIERO RIPRENDEVA IL COMBATTIMENTO. MAGNIFICO ESEMPIO DI VOLONTA’, DECISIONE E CORAGGIO – KULAKOWKA (RUSSIA) 6 OTTOBRE 1942

Palmina Sobrero, la nonnina andata avanti a 100 anni, visse la sua infanzia e giovinezza alla “Cascina Squarciagerbido” di Arguello come territorio comunale ma sotto Albaretto come Parrocchia. In questa cascina lavorò Celso, come manovale. Palmina ricordò che Celsin era un uomo senza paura e grande lavoratore. Prima di partire soldato si era distinto nel salvare, in alcune occasioni, gli uomini dalle rappresaglie dei nazifascisti. Quando tornava in licenza, anziché starsene tranquillo, andava ad aiutare in cascina e raccontava delle sue peripezie di guerra. Racconti che continuò a confidare a Palmina,agli amici Gioanin Promio e al figlio Renzo. Dalla Russia oltre alla medaglia d’argento al Valor militare portò a casa tanti ricordi e un diario in cui aveva annotato i nomi dei paesi. Lo prestò a una insegnante che voleva mostrarlo agli allievi ma dopo il trasferimento da Albaretto Torre non glielo riconsegnò. 

PROMIO RENZO

<Celsin Pichetta fu decorato con la medaglia d’argento al Valor Militare. Non raccontava volentieri delle sue esperienze in guerra, ma io insistevo elo facevo narrare. Diceva che gli erano tornati utili i Santini della Madonna che aveva conservato nel portafogli. Quando arrivava presso qualche “isba”, alle donne che impaurite si nascondevano e cacciavano i soldati, lui mostrava e donava un’immaginetta. Queste si “scioglievano” e tiravano fuori qualcosa! Una Patata, un pezzo di lardo o un po’ di miele.>



Il figlio Beppe e la nuora Rita


Rita: Mio suocero mi raccontò delle sue peripezie durante il ripiegamento della Campagna di Russia e mi spiegò che si era costruito un attrezzo che gli servì per aprire scatolette di prodotti alimentari che trovava abbandonate e congelate! Se lo era portato a casa come ricordo.
Beppe: Papà quando tornò dovette rispondere a molti famigliari di suoi compagni che dalla Russia non erano tornati. Soprattutto dovette riferire a mia mamma Margherita e ai suoi genitori del cognato 
PORELLO LUIGI di Romano ALBARETTO TORRE (CN/I) il 07/06/1922

 

 

Contadino FFAA Regie DIV ALPINA CUNEENSE 2^ RGT

 URSS il 31/01/1943

Quando partirono dalla stazione di Cuneo lo vide molto spaventato su di una tradotta, poi arrivati in  furono destinati in reparti diversi e non si trovarono più!

 




 

 

 

 

 

 


sabato 20 gennaio 2024

MASSA FIORENTINO NEVIGLIE 1922

 



MASSA FIORENTINO è nato a Neviglie nel 1922 nella Cascina Piani.

DIAMOCI DEL TU! Così siamo più amici!

Dopo l’arruolamento a Gennaio1941, effettuò le prime esercitazioni a Cuneo. A Luglio, a 19 anni fu inviato in Russia. Ricorda che saranno state 50 Tradotte alla stazione di Cuneo, tutto il Corpo d’Armata,( infatti nel libro: “L’eroica Cuneense”, di Aldo Rasero - Ed. Mursia - 1985 si legge che dal 17 luglio 1942 iniziarono le partenze delle tradotte dal Cuneese: dalla stazione di Mondovì il 17 luglio, il 26 dalla stazione di Borgo San Dalmazzo, il 27 luglio alle ore 21 da Cuneo partì il convoglio numero 3 con il Comando di Divisione: ha così inizio il lungo viaggio dal Piemonte al Don.  La Divisione Alpina Cuneense quando si accinge a partire per il fronte Russo è costituita da: 1° Reggimento Alpini al comando del Colonnello Luigi Manfredi con Compagnia Comando Reggimentale, 84ª Compagnia cannoni controcarro e i Battaglioni "Ceva" (Tenente Colonnello Giuseppe Avenanti), "Pieve di Teco" (Maggiore Carmelo Catanoso), "Mondovì" (Maggiore Mario Trovato); 2° Reggimento Alpini al comando del Colonnello Luigi Scrimin con Compagnia Comando Reggimentale, 14ª Compagnia cannoni controcarro e i Battaglioni "Borgo San Dalmazzo" (Tenente Colonnello Piero Palazzi), "Dronero" (Maggiore Agostino Guaraldi), "Saluzzo" (Maggiore Carlo Boniperti); 4° Reggimento Artiglieria Alpina al comando del Colonnello Enrico Orlandi con Batteria Comando Reggimentale e i gruppi "Pinerolo" (Tenente Colonnello Ugo Lucca), "Mondovì" (Tenente Colonnello Mariano Rossini) e "Val Po" (Tenente Colonnello Bernardo Cresseri); IV Battaglione Misto Genio al comando del Maggiore Giovanni Mazzone, servizi divisionali e reggimentali.)

Fiorentino mi racconta che lui seppe che Hitler non voleva che Mussolini inviasse i suoi militari perché pensava di invadere la Russia da solo e in breve tempo. Secondo lui, fu per questo che fermò il convoglio di tradotte in Germania. L’Alpino è informato poiché afferma che Mussolini insistette con Hitler e lo convinse ad accettare l’appoggio italiano. Fu realmente così e dice ancora Fiorentino:< Noi Alpini avremmo dovuto andare sulle montagne del Caucaso, anche se non eravamo equipaggiati, e addirittura Hitler ci fece andare sul Don, e fu peggio ancora!>

 Il trasporto ferroviario in Russia del Corpo d’ Armata Alpino. ebbe inizio il 14 luglio. La zona di sbarco si estese da Izyum a Uspenskaya, località distanti tra loro circa 400 chilometri. La Tridentina giunse per prima. Seguì la Cuneense che avrebbe dovuto concentrarsi a Uspenskaya a seguito però di intasamento della linea ferroviaria i suoi reparti furono invece scaricati in scali diversi sì che la divisione si frazionò fra Isyum e Uspenskaya. Il 19 agosto, quando già le divisioni alpine erano in marcia verso il Caucaso, giunse in contrordine per la pianura: la Tridentina partì in marcia per Millerowo e la Cuneense per Starobelsk, nel frattempo continua l'affluenza in zona anche della Julia. Fino al 7 settembre, l'incerto andamento delle operazioni sul fronte del XXXV Corpo di Armata, si ripercuote sull'impiego del Corpo di Armata Alpino. Il comando dell'armata, in attesa che si chiarisca la situazione, lo trattiene quale riserva in zona centrale di retrovia. L'8 settembre il Corpo Alpino viene assegnato al settore sul Don compreso tra Nowo Kalitwa e Pawlowsk, settore già presidiato dalla 294a Divisione germanica.

Fiorentino ricorda che quando giunsero nel settore a loro destinato, era a forma di “ciapin”(ferro di cavallo) trovarono dei capannoni in disuso e li occuparono ma i tedeschi li fecero sloggiare e li utilizzarono loro. <con i tedesch soma mai podisse voghe!”(con i tedeschi non siamo mai andati d’accordo!>

 Tra il 19 e 20 settembre ha luogo lo schieramento delle divisioni Julia e Cuneense, contemporaneamente il Comando Alpino si organizzò a Rossosch.

Gli chiedo quanta strada a piedi percorsero per arrivare sul Don e mi dice che avran percorso circa 500 chilometri. Non si sbaglia di molto poiché la Cuneense marciò da Gorlovka a Voroscilovgrad per 160 Km. poi da Voroscilovgrad a Starobelsk per 200 Km. e ancora da Starobelsk a Rovenki e Rossosc fino al Don  per ulteriori 200 Km. quindi un totale di 560Km. affardellati con uno zaino pesantissimo!

A Topilo, accampamento prima di giungere sul Don, furono invasi dai “ratin”(Topolini)

Sul Don seppur relegati fuori dai capannoni dai tedeschi, gli Alpini si organizzarono preparandosi all’imminente inverno. Scavarono delle grandi buche e le attrezzarono con cucine e dormitori realizzati con tronchi. Effettuavano pattuglie giorno e notte poiché oltre il Don vi erano i Russi. Gli sovviene di un suo compagno che fu ucciso dai Russi proprio mentre era di pattuglia. Fu un suo cugino BOERI LORENZO MANGO 10/8/1922 Data di Decesso: 6/10/1942 che abitava in Loc. Betlem di Neive e le cui spoglie vennero rimpatriate a fine guerra poiché sepolto nel Cimitero italiano prima del ripiegamento.

Fiorentino afferma che a pensare a quelle situazioni, ancora oggi a volte si arrabbia e gli vien da ridere considerando la leggerezza con cui furono inviati tutti quei soldati armati con il fucile”91” e male attrezzati contro un esercito armato con aerei, carri armati e ricorda il fuoco delle Katiusce, le mitragliatrici dei russi che sembravano “ fèr da sié”(falci messorie) e sparavano 72 colpi al minuto!

Ricorda dispiaciuto l’amico Bindello Luigi di Casasse di Neive che non tornò nonostante l’avesse ancora visto ormai fuori dalla “Sacca” di accerchiamento. Quando lui fu a casa si recò dai genitori per avere notizie ma li trovò disperati poiché il loro figliolo non era tornato.

CAPORAL MAGGIORE BINDELLO LUIGI DI GIOVANNI 9/3/1917 NEIVE

DIV.ALPINA CUNEENSE 2° RGT

Deceduto il 31 /01 1943 URSS

Luogo del decesso sconosciuto

Con il riaffiorare di questi ricordi, Fiorentino ha un momento di emozione forte e mi vuole precisare che molti fatti inerenti la Russia li ha voluti rimuovere. Mi dice:<furono troppo tristi> e asciuga qualche lacrima!

Dopo qualche minuto di silenzio riprende a raccontare.

 

Giunse l’attacco dei Russi e il “ si salvi chi può”. I Comandi Italiani avrebbero voluto restringere il Fronte per limitare un eventuale accerchiamento, ma pare che Hitler lo impedì.

Il 12 gennaio 1943 le forze sovietiche del Fronte di Voronež diedero inizio ad una nuova offensiva sull'alto Don che coinvolse il Corpo d'armata alpino che, dopo la disfatta di dicembre, aveva mantenuto le sue posizioni sul fiume affiancato sulla sinistra dalla debole 2ª Armata ungherese e sulla destra dal precario schieramento del 24º Panzerkorps tedesco. L'attacco sovietico, sferrato con il concorso di un numero molto elevato di unità corazzate, scardinò rapidamente le difese dell'Asse sui fianchi del corpo alpino che quindi venne aggirato. Dopo alcune controversie sulla ritirata, gli alpini iniziarono a ripiegare il 17 gennaio quando già i carri armati sovietici avevano travolto il quartier generale del 24º Panzerkorps e avevano occupato di sorpresa il quartier generale del corpo alpino a Rossosh. Ebbe quindi inizio una nuova drammatica ritirata nell'inverno russo in condizioni difficilissime. Le unità alpine, frammischiate a reparti sbandati ungheresi e ad alcuni reparti tedeschi, si aprirono la strada verso ovest con continui combattimenti che costarono pesanti perdite

Quando arrivò l’inverno, come tutti i soldati in Russia, Fiorentino patì il grande gelo, ma ebbe la fortuna di avere un consiglio importante da un Alpino che era un Medico. Fiorentino notò che si era tolto scarponi e calze e si massaggiava i piedi con la neve. Incuriosito, chiese cosa facesse e questi gli spiegò che era il modo per riattivare la circolazione ed evitare il congelamento. Appena sentì pungere le dita dei piedi, si ricordò del consiglio del medico e procedette con il massaggio con la neve, fu la sua salvezza e riuscì a continuare la marcia di ripiegamento. Nuovamente si commuove a ricordare le urla e i pianti dei militari che colpiti dal congelamento giacevano implorando aiuto.

Fiorentino rammenta che nel corso del ripiegamento si accordò con un compagno di Alba, un tal Ferrero, e procedettero insieme dividendo sofferenze, timori e il poco cibo che riuscivano a rimediare. Furono ospitati nelle Isbe russe e riuscirono a scampare al gelo dei giorni e delle notti di quel terribile Gennaio in Russia. Concedevano loro, che erano italiani, di riscaldarsi ai camini ma con i tedeschi non erano così cortesi. Anche le truppe russe avevano trattamenti diversi per gli italiani e i tedeschi, i primi non furono mai attaccati , invece Fiorentino mi conferma ciò che mi dissero i Reduci Carlo Capra, Ernesto Fenocchio, Giuseppe Marchetti, Dario Rivetti: <se catturavano dei tedeschi, Kaputt!>. Peraltro i tedeschi ribadisce l’Alpino Massa< …furono veramente crudeli con i russi, e questi si vendicarono!>.

A questo proposito osai chiedere se un fatto narratomi da un amico dell’Alpino Pichetta Celso medaglia d’argento al valor Militare poteva essere veramente accaduto: “ vide dei soldati tedeschi ubriachi che per farsi dare la Vodka da una madre, le presero il bimbo piccolo e mentre uno lo gettava in aria gli altri lo puntavano con i fucili!> A Fiorentino son venute le lacrime agli occhi  e ha soltanto annuito. Compresi di aver toccato un tasto troppo atroce e cambiai discorso.

Gli chiesi se ricordava qualche nome dei paesi russi incontrati durante il ripiegamento e mi disse di ricordarli poco anche perché avevano nomi difficili ma li confermò appena glieli accennai:

Staraja kalitva- Popovka- Novo Posojalovka –Garbusovo- Valuiki per un totale di circa centosessanta chilometri. Sono nomi che scrisse meticolosamente in un’ agenda che riponeva in una tasca del cappotto militare.

Purtroppo quando giunsero a Gomel, fuori dalla sacca, ricevettero le prime cure, lavaggi e disinfezione e fu sostituito il vestiario, così perse il prezioso diario dove aveva annotato nomi di città, indirizzi di compagni tra i quali anche quello di Ferrero di Alba che non riuscì più a reperire una volta a casa.   

 



MARRONE SERGIO DI GIUSEPPE 1913

 










MARRONE SERGIO FIGLIO DI GIUSEPPE 1913 LEQUIO BERRIA

https://youtu.be/CQGR9WausZ4          

Sergio Marrone figlio di Giuseppe, Alpino Reduce di Francia, Albania(a recuperare i cadaveri dei compagni) Grecia, Africa e Russia per sette lunghi anni con Bosio Cesare padre di Angelo e Gian Paolo, mi ha permesso di recuperare una testimonianza che possiede una rilevanza notevole sia perché è raccontata da un figlio molto attento ai racconti del padre quando scambiava ricordi con l’amico Cesare, sia perché ha saputo memorizzare fatti che i due Alpini si rivelavano tra loro, ma che in età avanzata avevano quasi perso.

Picozza realizzata da Giuseppe (quando era in Albania) con un bossolo fuso

Cesare abitava nella frazione Aure di Arguello, ma per le vijà (veglie), accompagnato da moglie e figli si recava dall’amico Giuseppe alla Cascina “Fojach” per mangiare due castagne e bere un bicchiere di vino raccontandosi ricordi della loro lunga vita militare. Le donne rammendavano o filavano o sferruzzavano, e i figli dopo avere giocato un po’ a carte, incuriositi dal parlottare dei padri avvicinavano i balòt sui quali sedevano e ascoltavano facendo domande. Raramente ottenevano risposta, ma almeno sollecitavano i due Alpini a continuare i ricordi.

Durante il ripiegamento dal Don i due Alpini di Lequio Berria  procedettero con il resto della Colonna per un po’ di giorni poi si confidarono e decisero di staccarsi e di andare in un'altra direzione, convinti che il grosso della colonna stesse dirigendosi verso il nemico. La considerazione si rivelò esatta poiché chi seguì la grande colonna finì nella Sacca e fu preso prigioniero o peggio ucciso. Girovagarono per circa un mese in condizioni terribili per quel territorio che è l’attuale Ucraina. Durante il procedere, con temperatura di -30 ° e senza nulla di cui nutrirsi né abbeverarsi se non neve, trovarono una pagnotta di pane, forse persa da qualche slitta anche in ripiegamento. Cesare estrasse il coltello e cercò di tagliare quel pane congelato, gli sfuggì la lama e si procurò un taglio ad un dito. Non avendo medicazioni e con il gelo il dito si necrotizzò e andò in cancrena, ma Cegio, così era chiamato in famiglia, aveva una tempra eccezionale, pur con la febbre tenne duro. Con l’amico Giuseppe continuarono la loro marcia nella neve e nel gelo, un giorno videro del fumo uscire da un comignolo e cautamente si avvicinarono, temevano vi fossero dei russi. Dopo aver controllato compresero che non vi erano pericoli, l’ isba era abitata da una donna con due figlie. Le tre donne subito furono spaventate, poi vedendo che i due militari non avevano armi né cattive intenzioni e tranquillizzate dalle medagliette che Giuseppe donò, erano le medagliette della Madonna che il Cappellano aveva distribuito loro, li fecero entrare e attivarono il fuoco della stufa con piante secche di meliga. Ricevettero qualcosa da mangiare  e sostarono la notte, quindi al mattino ripartirono procedendo senza alcun riferimento, cercando di evitare la direzione da dove giungevano gli spari.   Marciarono per tre mesi in condizioni difficilissime senza potersi lavare né rasare, finché giunsero alla stazione ferroviaria di Gomel dove trovarono ancora dei presidi italiani e furono rimpatriati, condotti in Ospedale a Rimini rimasero una quarantina di giorni. Giuseppe avendo subito un congelamento a una falange venne amputato della stessa, invece Cesare fu curato per la ferita alla mano. Il figlio di Cesare, Angelo e la zia Dilia mi raccontarono che Cesare dovette rimanere più a lungo in Ospedale perché fu colpito da infarto. Fortunatamente essendo ancora ricoverato fu salvato.

IL nonno, Marrone Giovanni di Francesco 1881 Lequio Berria partì per la grande guerra quando già aveva i due figli Giuseppe nato nel 1913 e una bimba appena nata nel 1915. Combattè per due anni nella zona dell’Adamello dei Sette Comuni. Quando tornò i bimbi non riconoscendolo fuggirono a nascondersi.