giovedì 31 agosto 2023

BEVIONE GIOVANNI "NINO" FEISOGLIO 1929

 



                    BEVIONE GIOVANNI " NINO" FEISOGLIO 1929 


https://youtu.be/f920l9b1GCM                                                

I MIEI

NATO NEL 1929 alla CASCINA “SPAVENTO”, la mamma era Prandi Maria del 1899, il papà era Carlo del 1889. Ricorda i nonni materni Tonina e Luigi e il nonno paterno anche lui Luigi. Nonno Luigi si sposò tre volte, rimase vedovo a settant’anni, si risposò e nuovamente gli morì la moglie. Il terzo matrimonio lo fece con una “ poco di buono” molto più giovane di lui. Vennero i Carabinieri ad arrestarla, la portarono via e non la videro più. Nonno Luigi se ne fece una ragione e morì a 100 anni.

Erano tre fratelli, due sorelle e una “venturina” che i genitori avevano avuto da “r’ospidal” rimase con loro finchè si sposò. Il fratello più grande era Luigi del 1921, il secondo del 1925 la sorella del 1927, Nino del 1929 e nel 1944 nacque Romana.

 LA MAESTRA “LIBERA”

https://youtu.be/FoNqYc4GysU 

Ninu Andava a scuola a Feisoglio e la scuola era distante due chilometri. La maestra era proprio “grama” cattiva. Il suo nome era Libera e veniva da Somano, aveva l’abitudine di punire gli allievi chiudendoli nella scuola. Andava a mangiare e quando aveva terminato tornava ad aprire! Per colpa di “Carlino d’o rè” la maestra puniva anche Nino e li chiudeva nella scuola, così poi tornava a casa tardi e “m’ji ciapava ancora!” ( mi picchiavano ancora!). Un giorno, però lui e Carlino, essendo chiusi per punizione, videro arrivare un carro alto di “fascine” aspettarono che fosse sotto la finestra della scuola e ci saltarono sopra, così quando la maestra tornò non li trovò! Nino tornò a casa e raccontò l’accaduto al padre che andò a parlare al Podestà. Questi diede una bella sgridata alla maestra e da allora non chiuse più nessuno nella scuola.

DURANTE LA GUERRA

Una volta era sulla strada per Feisoglio e giunse un uomo, forse una “spia”, lo raggiunse e gli chiese di mostrargli la strada per il paese. In quel periodo c’erano i nazifascisti a Feisoglio. Quando furono da Vigio dèr Paré che aveva la”ressia” seghificio, videro un soldato armato di moschetto che pattugliava sullo stradone. L’uomo che era con lui, appena vide il soldato si girò e cominciò a correre in direzione opposta. Lui, “maraiott” ragazzino, vedendo l’uomo  scappare lo seguì, il militare vedendoli correre fece dui “bram” urla. Spaventato, Nino deviò nei cespugli e andò da “Vil” capendo che avrebbe potuto sparargli! Si vede che quel tale era proprio una spia!

Un ‘altra volta: avevano un “servitò” di nome Censo do Dego e con lui il papà lo mandò a prendere i due buoi che tenevano da Reste ‘d Vilan. Appena girarono dietro la casa videro i tedeschi da Moschin che venivano su per la strada vecchia. Questi vedendoli iniziarono a sparare, loro iniziarono a correre nella discesa che portava al cortile di “Reste” ma Nino vedeva la terra sollevata dai proiettili, finchè non raggiunsero la casa. I tedeschi smisero di sparare e lui e Censo si guardarono sbaruvà (spaventati)! Censo era stato colpito in uno zoccolo e il proiettile glielo aveva rotto però senza ferirlo, Nino ero arrivato senza essere colpito! Anche i tedeschi arrivarono nel cortile e  intimarono ai due ragazzini di alzare le mani, fortuna che il padre giunse e disse loro che eravano solo bambini!  A quel punto se ne andarono, ma anche in quella occasione se la vide brutta! Quel rumore dei proiettili e la terra che si sollevava durante la corsa a rotta di collo, li sogna ancora adesso!

NOI DI CASCINA SPAVENTO IN MEZZO ALLA BATTAGLIA TRA GARIBALDINI E NAZIFASCISTI


Grazie al Racconto di Nino e Romana risalgo alla storia del Comandante “PEREZ”

ROSSO  FRANCESCO  26/07/1917  ASTI 

PARTIGIANO  6° DIV LANGHE 16° BRG PEROTTI

Da ISRAT 'Con un gruppo di giovani reclutati nel rione San Pietro di Asti, entrai nella 16a Brigata Garibaldi - Langhe 'General Perotti', dislocata sulle alte Langhe, assumendo il nome di battaglia PEREZ.”

 Secondo i documenti ufficiali Perez combattè come partigiano dal 17 luglio 1944 fino all'8 giugno 1945, diventando, prima caposquadra, poi comandante, del distaccamento 'Alvarez', infine comandante di brigata dal 18 febbraio 1945 fino alla fine della lotta di liberazione. Si distinse per valore e coraggio tanto da meritare il riconoscimento della medaglia d'argento al valore militare, come recita la motivazione per l'assegnazione del riconoscimento:

ROSSO FRANCESCO Valoroso combattente della lotta di liberazione si segnalava anche per capacità di animatore e di comandante raggiungendo posto di responsabilità nell'organizzazione partigiana. Particolarmente si distingueva in quel di Feisoglio il 12 aprile 1945 quando, essendo stata la sua brigata attaccata da importanti forze, appoggiate da artiglieria resisteva  per diverse ore e, passato al contrattacco, risolveva vantaggiosamente la situazione.

Difronte a Cascina Spaventa c’è un “Brich” (altura), e lì i Partigiani si erano creati come dei bunker con tronchi di pino, Da quelle trincee videro i tedeschi che arrivavano dalla Niella e cominciarono a sparare. La famiglia Bevione era in mezzo, i Partigiani dissero loro di scappare. Nino e gli uomini scesero sullo stradone che va verso Feisoglio, mamma Maria aveva Romana piccola e scelse di scendere nella “pinera”(Pineta) di fianco alla casa e con Romana in braccio si accucciò in un affossamento da dove sentiva che i tedeschi transitavano sopra di loro. I tedeschi andarono alla cascina, fecero due buchi nel muro della stalla e drà “fnera” fienile e si misero a sparare a loro volta. La sparatoria durò per alcune ore poi i tedeschi se ne andarono e pare che chi risolvette la situazione fossero stati due russi che erano con i Partigiani e che appostati su dei pini avevano colpito i mitraglieri tedeschi e i soldati che cercavano di risalire la collina. I Partigiani di Perez avevano costruito un capanno dentro il quale non c’era nessuno ma servì a far sprecare munizioni ai tedeschi. Inoltre il vicino, il vecchio “muschin” che non era andato via dalla casa, ai tedeschi che chiedevano quanti fossero i Partigiani li spaventò dicendo che erano più di mille, mentre in realtà erano una trentina. Terminata la battaglia Nino e gli uomini attesero per vedere che non tornassero i tedeschi e poi andarono alla cascina. Trovarono il cane che era stato ucciso, dovettero portare via due carriole di bossoli dal fienile e soprattutto non trovarono la mamma Maria e Romana! La cercarono finchè lei impaurita, non udendo più colpi risalì alla casa. Nino dice che era “bianca pèì drà fioca!” pallida come la neve e si stringeva Romana al petto che era stata proprio buona e l’unica parola che pronunciò sotto quella pioggia di proiettili fu alla vista di una lepre anche lei spaventata dai colpi: oh Pilu! Nino commosso dice:<La povera mamma rimase mezza giornata nascosta nella pineta col terrore di essere colpita o scoperta, non solo un’ora!>

L’UCCISIONE DEL PARTIGIANO CACCIA  PIETRO                         28/04/1925  MONTABONE (ASTI) 

CANELLI  78° BRG GARIBALDI

CADUTO   IL 04/05/1944


https://youtu.be/8dF6H2lg-4I

Nino rivive quel giovedì del maggio 1944. Assistette a tutta la scena. Lui era presente quando catturarono il Partigiano “Macario”. A Feisoglio la base dei nazifascisti era proprio davanti all’Osteria. Lui Partigiano era all’osteria con altri militi della repubblica anche loro di Canelli. Vedendo arrivare il comandante  gli consigliarono di scappare, ma il giovane disse:<io non ho fatto nulla e non scappo!> Arrivato il comandante ordinò ad ognuno dei militi di sparargli, ma questi tutti si rifiutarono di sparare ad un loro compaesano. Il Comandante a quel punto esclamò: <se non sparate voi allora gli sparò io. Nino era davanti all’osteria con altri e lo obbligarono a rimanere. Il fascista o nazista lo mise contro il muro di fianco alla Chiesa di San Lorenzo e sotto gli occhi dei presenti sparò una raffica elo uccise. Nino dice:< mi tèrmorava pèi ‘dnà feuja>(io tremavo come una foglia) .Certo, era un ragazzino e allo sparo si voltò ma visse quel momento terribile dell’eroica morte del giovane Partigiano Pietro.

 

RICORDO DEI LANCI DEGLI AEREI ALLEATI

Nino ricorda che a Gorzegno, gli aerei alleati effettuarono parecchi lanci per i Partigiani. Quando erano previsti accendevano delle “acetilene” e formavano delle lettere “w” o “z” che fungevano da bersaglio affinchè sganciassero i paracadute con i bidoni ripieni di materiali e armi. Nino e suo fratello Piero andavano ad aiutare i Partigiani a recuperare i materiali lanciati e li portavano nella Cappella di San Giovanni. Venivano ricompensati con i cordini e la tela dei paracadute. La seta dei paracadute veniva utilizzata per realizzare camicie, pantaloni, mentre i cordini venivano “sfirà” (sfilati) e si facevano delle maglie ed altro. Parecchi ragazzini e giovani andavano a curiosare dalla Cappella di San Giovanni che è adiacente alla piana dei lanci e così i Partigiani decisero di richiedere il loro aiuto fornendo loro la parola d’ordine da “pronunciare” alle sentinelle che presidiavano la zona. Una volta Nino e Piero ritornando dal lavoro di recupero dei lanci, al chiarore della luna videro che in una riva vi era un paracadute che non era stato recuperato, ma non si fidarono di avvicinarsi per timore di essere visti e fatti oggetto di qualche raffica.

I SALAMI SALVARONO DALL’ARRESTO IL FRATELLO PIERO DEL 1925

Il fratello Piero , essendo del 1925 avrebbe dovuto presentarsi alla “repubblica sociale” ma come molti altri non lo fece e perciò correva il forte rischio di essere deportato in Germania essendo renitente alla leva. Una volta era in casa che mangiava e si sentì il cane lupo alla catena che abbaiava. Nino uscì e si trovò i tedeschi nel cortile. Piero scappò nelle camere sopra e si nascose sotto ad un letto. I tedeschi entrarono in casa e salirono nella camera sopra dove avevano appeso i salami ad asciugare avendo da poco ucciso il maiale. Piero era proprio nascosto sotto quel letto, ma loro colpiti dai salami li staccarono tutti per portarseli via e non stettero a controllare se ci fosse qualcuno sotto il letto. Se avessero scoperto il giovane lo avrebbero ucciso sicuramente, invece la scampò.

La mamma Maria con la piccola Romana tra le braccia pregò quei soldati di lasciare qualche salame per la famiglia ma un milite ridendo la colpì in faccia con un salame. La mamma raccontava sempre il fatto alla figlia Romana che aveva assistito alla scena ma fortunatamente aveva rimosso i ricordi di quelle paure.

UCCISIONE DI “FORTUNIN”

CAMERA LUIGI FEISOGLIO 16/01/1916 di LORENZO

Contadino ucciso dai nazifascisti FEISOGLIO il 07/03/1945

Nino rammenta anche l’uccisione di un uomo che era il fratello di “Nin” marito di Rina una loro vicina. Questo uomo era chiamato “Fortunin” e vedendo arrivare i nazifascisti si prese paura e iniziò a correre nel ”Bojeu”, un vallone che scende verso il Bormida. Fu visto e gli spararono senza pietà. Dice Nino: Jera di desgrassiò, fascista o tedesch che set voghivo a rabèl tè sparavo!>( c’erano dei disgraziati che se ti vedevano in giro ti sparavano!)

COME NINO DIVENNE SUONATORE











                      https://youtu.be/NiGvNNNrvQM     


Il padre di Nino lo mandava al pascolo ed aveva acquistato una fisarmonica al figlio Piero. Nino si lamentò col papà e gli disse se per ripagarlo del lavoro di pastorello gli avesse comprato anche una fisa, ma questi gli rispose che a lui avrebbe comprato il clarinetto. Lo portò a Savona e spese 12.000 lire per un “Clarin”.

Così lui iniziò ad andare a lezione da Dino do Scaron. Dopo il pascolo andava da Dino per un’ora a suonare. Continuò a migliorarsi e fino a trent’anni girò con il gruppo a suonare alle Leve, e soprattutto a Carnevale. Si stava tre o quattro giorni senza tornare a casa. Suonava con il fratello Piero, con il cognato e con molti altri. Andavano in bicicletta e lui e il fratello affittavano un tandem. Andavano alla Torsella verso Dogliani, e si recavano persino in Liguria. Qualcosa lo guadagnavano ma più che altro vi era la passione per la musica e il divertimento di far divertire altri. Poi a trent’anni iniziò a lavorare alla Ferrero e divenne operaio notturno, mansione che mantenne per trent’anni, e così “addio musica” di notte lavoro alla Ferrero e di giorno lavoro in campagna. Ma quando andò in pensione riprese a “scaldare” il clarinetto per qualche occasione come “Carnevale o Canté i’euv” ,e così si riprendono le tradizioni e si propone ai bambini e ragazzi la semplice allegria della Langa.



 



          PER FORTUNA CONOBBI GIUSEPPINA

Giuseppina, mia moglie, originaria della Campania, lavorava a Roma ed era in contatto con Franca mia cognata. Venne a Feisoglio per salutare Franca che voleva fargli conoscere Bruno il nIpote di Gigi do Scaron il mio maestro di musica.

Bruno era uno grosso e “rozzo” e Pina un po’ spaventata chiese dove abitava Franca. Le fu indicata la nostra casa, e anzi fu proprio Bruno ad accompagnarla. Ricordo che arrivarono nel nostro cortile lui 50 metri prima e lei dopo un po’, sconvolta!

Entrarono in casa e lui pur con il caldo forte, non si sbottonava la giacca. Lo invitammo a togliere la giacca poiché grondava sudore, ma lui era veramente impacciato. Io gli dissi: < Bruno complimenti, hai trovato “nà bela moroza” (una bella ragazza)> Lui disse :< sì sì ma è troppo piccola, se dovesse spostare un quintale non sarebbe capace!>

GIUSEPPINA  di Filomena Palmieri e Pietro di VibonatI (Salerno)RACCONTA:

Andò così: Dal paese andai a Roma a salutare mio fratello e conobbi Franca, sua cognata che lavorava presso un Dottore. Franca era venuta via dal suo paese Caselle in Pittari( Salernoa) poiché da nubile ebbe un bimbo da un giovane che non volle riconoscerlo. Con Franca diventammo amiche e mi confidò che aveva già una sorella in Piemonte e le aveva trovato un giovane che l’avrebbe sposata. La mentalità della gente del meridione era molto ristretta e maltrattavano le ragazze che avevano figli al di fuori del matrimonio!

Diventammo amiche e rimanemmo in contatto anche quando venne qui a Feisoglio e sposò il fratello di Nino. Mi scrisse che voleva farmi conoscere Bruno dello Scarrone. Mi inviò una foto e devo dire che era un bell’uomo! Venni accompagnata da mio fratello e andai allo Scarrone di Gorzegno in questa Borgata di Capii subito che Bruno non era convinto di sposarmi perché mi valutò “piccolina” e non adatta alla vita di campagna.

Io avevo 26 anni e chiesi di essere accompagnata da Franca qui alla cascina Spavento di Feisoglio. Da incosciente mi incamminai con lui attraverso il bosco, ma compresi che non c’era pericolo! Bruno era un bonaccione che procedeva quasi non ci fossi e guardava gli animali, le piante, le castagne!

La mia intenzione era quella di salutare Franca e poi di ritornarmene a Roma. Invece incontrai Nino e parlandoci scoprimmo di avere qualcosa che poteva maturare. Ricordo che nella casa c’era la mamma e la nonna e Nino col vestito della festa poiché era di Domenica. Scambiammo qualche parola mentre mi mostrava il portico e la stalla,  e gli chiesi se aveva già una fidanzata. Lui che forse pensava già a qualcosa mi disse che, sì aveva una ragazza ma nulla di impegnativo, sarebbe bastato restituirle l’orologio che gli aveva regalato e tutto sarebbe finito. Io non ci pensai più, anche perché lui aveva undici anni più di me, e me ne tornai a Roma.

Dopo poco Nino mi scrisse, facendosi dare l’indirizzo dalla cognata e ci scambiammo un po’ di lettere per un anno.

Nelle sue lettere mi scriveva che lavorava alla Ferrero e faceva il contadino e che voleva sposarmi. Io lo giudicai un buona persona, lavoratore ed affidabile ed accettai. Quando venni in Piemonte io avevo già 12 anni di contributi per il lavoro svolto presso una famiglia e speravo di venire a continuare la mia vita ed a formare una famiglia con un uomo adatto a me, e fu così.

Pur giovane avevo un passato da lavoratrice, due anni a Napoli e poi dieci a Roma e fui sempre benvoluta. Alla sua richiesta di matrimonio risposi decisa che mi era sembrato un uomo onesto e che poteva essere adatto ad essere mio marito, ma che non ero venuta in Piemonte per “essere presa in giro”.

Lui mi disse che aveva intenzioni serie, e che sarebbe venuto a parlare con la famiglia. Nell’autunno venne a casa mia e ricordo che parlò molto con la mia mamma Filomena e mio papà e li rassicurò che avrebbe voluto bene alla loro figlia. Si fece il matrimonio giù da noi e poi i miei vennero ancora parecchie volte a farci visita.







lunedì 28 agosto 2023

 

ANTONIO GROSSI, Partigiano "Vittorio" 


grazie a lui e alla figlia Dott,sa MARIA LETIZIA

Onoriamo la Memoria di

BARBESINO PIETRO 1921 TORINO

PARTIGIANO "VENTO" CADUTO 12° DIV AUT Dal 02/05/1944 Al 29/08/1944

Grado conseguito PARTIGIANO Dal 02/05/1944 Al 29/08/1944

Caduto il 29/08/1944 nel Comune di LA MORRA-SANTA MARIA

Causa della morte CATTURATO IN COMBATTIMENTO E FUCILATO

di tutti i CADUTI DEL 29 AGOSTO 1944 a CEREQUIO LA MORRA

Arnulfo Enrico, nato Cherasco (CN) 03/03/1922

Audano Virgilio, nato Moncalieri (TO) 13/03/1926

Baldissone Michele, nato Villanova Solaro (CN) 05/03/1923

Barbero Giacomo, nato Cherasco (CN) 25/09/1921,

Barbesino Pietro, nato Torino 01/04/1921

Battaglino Giovanni, nato Alba (CN) 08/04/1926,

Battaglino Giovanni, nato Pocapaglia (CN) 15/08/1925

Bogetti Aurelio, nato Cherasco (CN) 04/03/1925

Bonino Andrea, nato Torino 04/02/1922

Cedrani Celeste, nato Corneliano d’Alba (CN) 13/07/1925

Costamagna Ernesto, nato Cherasco (CN) 07/11/1925

Edulo Carlo, nato Genova 23/01/1929

Fantone Giacomo, nato Oncino (CN) 21/02/1923

Galvagno Filippo, nato Diano d’Alba (CN) 14/07/1917

Gerbaldo Lorenzo, nato a Cherasco (CN) 01/10/1925

Guagnini Giuseppe, nato Casalnoceto (AL) 17/07/1922

Lamberti Giacomo, nato Cherasco (CN) 06/08/1923

Lamberti Giuseppe, nato Bra (CN) 24/04/1925

Mana Giorgio, nato Genola (CN) 25/03/1925

Manfredi Giuseppe, nato Fossano (CN) 20/08/1923,

Marengo Celestino, nato Grinzane Cavour (CN) 26/05/1921

Mazzola Luigi nato Cherasco (CN) 26/02/1918

Mazzola Pietro, nato Cherasco (CN) 26/03/1922

Monchio Giuseppe, nato La Morra (CN) 13/07/1914

Olivero Andrea, nato Bra (CN) 24/02/1921

Pautasso Paolo, nato Fossano (CN) 21/08/1925

Piazzi Achille, nato Gombito (CR) 01/03/1924

Prochietto Giovbattista, nato Polonghera (CN) 01/03/1924

Sapino Giuseppe, nato Racconigi (CN) 14/07/1927

Vaira Giuseppe, nato Cherasco (CN) 30/07/1926,

Vigna Giorgio, nato Savona 15/09/1924



http://www.radiocora.it/post?pst=1475&cat=ebook...

<Partigiano "Vittorio":  Era un giorno di fine estate, il 29 agosto (1944). Fu un giorno di grossi scontri, arrivarono sulle nostre colline imponenti contingenti fascisti e tedeschi, sapemmo poi che si erano mossi congiuntamente da Alba, Gallo, Pollenzo e Cherasco, puntando sul territorio di La Morra. Che il paese fosse sotto il nostro controllo era noto ai repubblichini, visto che da mesi non osavano metterci il naso e, tra l’altro, avevo potuto organizzare tranquillamente l’approvvigionamento alimentare nostro e degli abitanti. Il fatto è che gli assalitori sapevano esattamente dove stavamo, noi del distaccamento “Attilio” della quarantottesima brigata Garibaldi, dov’era la base e per dove ci muovevamo. Salendo da più direttive, si chiusero a tenaglia e ci accerchiarono per un tratto abbastanza largo. Impossibile ripiegare, erano da ogni lato, così tanti quanti non ne avevo visti mai. Accettammo l’ingaggio, combattemmo con le forze disperate di chi sa che sta per morire. Te l’ho detto, senza speranza non avevamo più paura. Capimmo che miravano alla cattura, probabilmente per un massacro esemplare sotto gli occhi dei civili, per togliere a quel paese coraggioso la voglia di stare troppo dalla parte dei ribelli e disertori. Presero parecchi dei nostri, li portarono via, verso il paese. Noi ci infrascammo nel bosco, i fascisti parvero soddisfatti e iniziarono a ritirarsi. Anche se in quell’incursione erano tanti e affiancati da altrettanti tedeschi, sapevano che non avrebbero potuto tenere le colline senza sguarnire le valli, i grossi paesi di pianura e le città, dove erano insediati. Ci contammo, ne avevano catturati dodici. Mi guardai in giro, Pietro non era con noi. Nel pomeriggio, con la luce ancora alta, sentimmo dei colpi venire dal centro del paese, scanditi e regolari. Capimmo che erano esecuzioni. Al calare del buio scesi a La Morra con tre compagni. I nostri stavano là, in una piazza all’inizio del paese - adesso si chiama piazza dei Martiri -, disarticolati come marionette rotte su un palcoscenico insanguinato. Crivellati da molte ferite, fracassati al torace, poi al volto, per cancellarne financo le sembianze. Bloccati in pose contorte, i vestiti a brandelli, gli arti pendevano come recisi. Riconobbi Pietro non dal viso cancellato dalle raffiche e inondato di sangue, ma dai capelli e dalla corporatura. I capelli biondi lisci e fini erano aggrumati di sangue già rappreso. Conoscevo i paesani meglio degli altri, ero vice comandante di battaglione e tenevo da tempo i contatti per la sussistenza; mentre i miei accompagnatori risalivano al bosco, andai a cercare prima il parroco, che era un buon uomo e voleva bene anche ai rossi. Il prete, lo vidi, era stremato dalla sofferenza, aveva tentato di trattare con i nemici per la salvezza dei nostri compagni, invano, poi aveva voluto avvicinarsi per sostenerli e raccoglierne le parole, ma gli fu impedito. Mentre i soldati bruciavano l’albergo del paese, accusato di aver ospitato partigiani. Cercai il medico, che si occupò, senza temere il rischio, di curare i feriti. Mi raccontò che la cosa che gli era sembrata forse più feroce erano stati gli sghignazzi, le oscene risate con cui i fascisti avevano festeggiato la strage. “Anche voi imbracciate un’arma e a volte vi tocca uccidere, ma la differenza sta nel fatto che ne sentite l’angoscia, per voi e per il nemico. È una differenza che spacca il mondo in due”, mi disse il dottore mentre lo indirizzavo al sentiero per la base. Andai dal segretario comunale. I nostri morti erano quindici, c’erano stati durante quel pomeriggio altri due partigiani garibaldini uccisi a Santa Maria, una vicina borgata, e uno sulla strada di Alba. E un contadino, freddato poco lontano dai nostri, a La Morra. Era importante che i funerali si svolgessero presto, per toglierli alla vista addolorata della gente, che ci conosceva e ci aveva aiutati, e perché più il tempo passava più era possibile che i fascisti tornassero a impedire le esequie o ad attaccarci mentre si svolgevano. A me pareva anche che lì, sulla piazza, massacrati ed esposti, fossero ancora più scempiati. Il segretario, proprio per velocità, voleva che fossero messi in una fossa comune. Mi opposi con forza, guardandolo in faccia e poggiando la destra sullo sten. Dissi: Se uno di loro fosse suo figlio, vorrebbe dargli una tomba sua. Sapevo che era necessario un rito, un onore, un compianto per ognuno. Il segretario mi disse che c’erano stati altri morti, diciotto partigiani della divisione autonoma Bra, catturati con la promessa di aver salva la vita, e falciati dalle raffiche di una mitragliatrice Breda nel cortile di una cascina nella borgata Cerequio, prima dei nostri, all’una e mezza. Pensai che gli autonomi si sarebbero andati anche loro a riprendere i loro morti. Infatti trovammo anche i loro al cimitero, li avevano portati con carretti trainati da buoi. A notte fonda tornammo con carri agricoli, incuranti del clangore delle ruote nel silenzio tramortito del paese. I corpi erano così straziati che nessuno dei nostri, erano venuti giù con me quasi tutti minorenni, voleva toccarli e ricomporli. Bussai alle case vicine, già addormentate o paralizzate nell’insonnia dell’orrore, chiesi sedici lenzuoli, nessuna donna me li rifiutò, tirandoli fuori dal magro corredo dei bauli. Sollevai per primo il corpo di Pietro, macchiando del suo sangue la mia unica camicia, lo avvolsi nel sudario che quel lenzuolo di sposa era diventato. I ragazzi allora mi aiutarono a comporre gli altri corpi. Li portammo nel cimitero, sui carri agricoli, ammucchiati in poco spazio insieme ai cadaveri degli autonomi. Trentadue corpi, trentuno partigiani. Alcuni, quelli dei paesi vicini, se li vennero a prendere i familiari nella notte. L’indomani all’alba andai alla bottega di tre fratelli falegnami, volevo sedici bare pronte per lo stesso giorno. Mi risposero che era impossibile, non ce l’avrebbero mai fatta, tornai su e gli portai parecchi ragazzi che gli dessero mano, anch’io mi misi a segare e inchiodare assi grezze destinate ad essere cassapanche e mobili poveri di tempi di guerra. Inchiodammo delle assi in croce, sedici croci, su cui incidemmo i nomi di battaglia dei compagni, i nomi veri di quelli di cui li sapevamo, e la data del 29 agosto 1944. Per Pietro segnai il nome e sotto “Compagno Vento”. Mentre mi sbucciavo le mani, pensavo che il rito era già iniziato, con la nostra opera per raccogliere quei compagni e consegnarli onorati alla terra. Sapevo come lavorare, lo sai mi è sempre piaciuto applicarmi con le mani, col legno soprattutto, e cucire. Venne anche un ragazzetto di quattordici anni ad aiutare. Quei colpi di martello, nel silenzio che anche di giorno sigillava il paese, suonavano come una preghiera e un commiato. Li sistemammo nelle bare, prima gli lavammo il viso dal sangue per poterli riconoscere. Il rito delle esequie fu celebrato senza segni di campane, per non attirare l’attenzione dei carnefici e altre rappresaglie. Molti del paese vennero, molte donne, col panno scuro sulla testa, a pregare e piangere quei figli ammazzati, quei ragazzi generosi che avevano messo in gioco la vita per finire presto la guerra, per la libertà e la vita di tutti. Celebrò il rito il vice curato. Il parroco, prostrato dalla crudeltà di cui era stato testimone, non ce la fece. Ero davanti, a fianco alla cassa di Pietro, non volevo farmi vedere piangere per non demoralizzare i più giovani. Dopo l’ultima benedizione, il parroco e il segretario comunale chiesero ai paesani di tornarsene nelle case, era troppo il rischio che i fascisti risalissero, sapendoci ora feriti e depressi. Ci vollero ore, nel pericolo, per scavare tante fosse. Noi rimanemmo tutti, tranne i due di guardia alla base. Nel buio potevo piangere senza singhiozzi. Per avvertire Ines dovevo aspettare che salisse lei, lasciai messaggi nelle botteghe del paese. Così quando arrivò tre giorni dopo già sapeva. Scesi con lei al cimitero in pieno giorno, lei portava la bicicletta a mano. Mi ringraziò che gli avessi fatto una bara e una tomba proprio per lui, col nome. Posammo dei fiori che avevamo raccolto calando dall’altura, fiori campestri di fine estate dallo stelo corto, margherite bianche, piccole genziane, campanule, un mazzetto con intorno foglie e rametti verdi. Ines ne sfilò alcuni e li posò su ogni tomba. Il resto lo appoggiamo sul fresco monticello di terra del suo ragazzo. Solo allora si mise a piangere. All’uscita dal cancello, salì in bici, mi disse che sarebbe tornata per il suo lavoro di staffetta, mi salutò con la mano e pedalò a valle. Poco più giù la sentii cantare, con la voce incrinata: Tu non mi lascerai, perché ti voglio bene…>

 

domenica 27 agosto 2023




 LORENZO FENOGLIO COM. Partigiano "Renzo" SERRAVALLE LANGHE 1923

(99° BRIGATA Garibaldi)

LORENZO FENOGLIO nato a Serravalle Langhe il 13 Aprile 1923 frequentò le scuole elementari a Serravalle, poi chiese al Parroco di farlo entrare al Seminario di Alba poiché suo padre non poteva farlo studiare, ma questi gli rispose che avrebbe fatto meglio a praticare il lavoro di suo padre, cioè il meccanico. Renzo aveva le idee chiare e gli disse: < No, no, io voglio imparare l’analisi logica e il Latino perché voglio frequentare il ginnasio e poi il Liceo!> Il Reverendo di fronte a una tale richiesta, nonostante avesse detto che l’analisi e il Latino non li ricordava neppure lui, si adoperò per inserirlo al Seminario. Effettuò quasi tutto il Ginnasio, ma  insieme ad un compagno fu espulso  perché si erano recati dal barbiere esterno per farsi effettuare la “cirià”(la tonsura da Chierico) e così perse l’anno. Tuttavia Renzo non si diede per vinto e avendo saputo che ad Avigliana vi era una Scuola Salesiana che ospitava  le vocazioni tardive. che dovevano recuperare anni di studio.  si iscrisse e terminò il Ginnasio che in quella scuola durava solo quattro anni. Così recuperò l’anno perso ad Alba. Ricorda gli insegnanti che ebbe ad Avigliana e che furono tutti eccezionali, in particolare si confidò con Don Sordo al quale riferì  che lui non aveva intenzione di farsi prete e questi gli disse che lo aveva capito fin dal suo arrivo. Gli inviò una lettera in cui gli scriveva:<… ogni volta che sarai in difficoltà pensa a me che io ti aiuterò!> . Renzo conserva ancora quella lettera e conferma di aver tratto grande aiuto da quelle parole nelle varie vicissitudini della sua vita. In seguito andò a Cuneo in un collegio Salesiano e frequentò il Liceo cittadino. Qui ebbe un insegnante che fu importantissimo per la sua formazione anti fascista, fu Luigi Pariso Docente anche di Umberto Eco e del filosofo Gianni Vattimo.  Di questo Professore serba un particolare ricordo: loro, giovani allievi, avendo notato che alcune volte, nel sabato fascista, non indossava la camicia nera chiesero: <Come mai Voi Professore non adempite all’obbligo della camicia nera?> Pariso li invitò a leggere il punto 34 del  libro ” Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria che recita così:  < Il grande imbonitore ha gli applausi delle persone ignoranti e i fischi delle persone istruite.> Compresero che il loro insegnante era un Anti fascista e furono i primi elementi che fecero comprendere a Renzo e compagni  che la situazione fascista non era fissa come avevano sempre creduto, ma vi era chi la contrastava anche rischiando personalmente.

Terminato il Liceo, non avendo la famiglia di Renzo la possibilità di sostenere le spese Universitarie, sostenne il Concorso per accedere all’Accademia Militare di Modena. Ricorda che la visita medica finale, dopo una settimana di controlli e prove mediche, avvenne in un grande salone, erano una ventina di giovani, furono messi in riga completamente nudi e attesero l’arrivo del Generale medico. Il personaggio era un ometto di un metro e cinquanta con il monocolo. Passò in rassegna i giovani guardandoli dal basso verso l’alto, poiché erano tutti più alti e sentenziò , rivolgendosi al Colonnello: < Vorrà dire che anzichè i  cavalli faremo trottare gli asini!>. Tali parole diedero un enorme fastidio a Renzo,e rimasero impresse. Comprese che quella non era la vita per lui, nonostante fosse stato ammesso all’Accademia Militare. 

< Ero stato ammesso all’Accademia Militare di Modena e l’8 SETTEMBRE 1943 mi trovai a casa per un periodo di Licenza. Venni a sapere che il Generale MATTEO NEGRO Comandante dell’Accademia e della Scuola di applicazione d’Arma era stato arrestato la mattina del 9 Settembre dai tedeschi perché non si era arreso immediatamente (e tra l’altro subì una durissima deportazione. Il generale Ugo Ferrero  a Sassuolo, con 60 uomini, si oppose ad una Divisione corazzata SS,e il colonnello Giovanni Duca, sciolse sull’Appennino il Reggimento allievi ed entrò a far parte della Resistenza per conto del Sim Servizio informazioni difesa).

Seppi inoltre che gli “accademisti” erano stati tutti trasferiti a Tortona ed essendo già tutta l’italia in piena “bagarre” inviai mio padre affinchè cercasse di incontrare qualche mio collega. Li trovò e gli riferirono di dirmi che loro “allievi” dell’Accademia stavano per essere deportati in Germania e avrebbero cercato di fuggire. Quanto a me dissero di non rientrare perché avrei rischiato molto.

Fu un periodo eccezionalmente grave, e chi non lo visse non riesce a rendersi conto del “bailamme” avvenuto. Vi furono i Carabinieri che abbandonarono le Caserme, dalle Carceri uscirono tutti i delinquenti e non si capiva più nulla. Chi aveva un fucile in mano divenne padrone di un territorio seminando la paura tra la popolazione. Il partigianato non sorse in quei giorni dopo l’8 Settembre, ma parecchi mesi dopo. Furono soprattutto i Reduci della guerra di Spagna che rientrati in Italia decisero di organizzare i gruppi di ribelli per contrapporsi ai tedschi e ai repubblichini. Io ne conobbi alcuni e in particolare Remo Guerra che fu poi Commissario delle Brigate Garibaldi.




Io, non sapendo che pesci pigliare, mi presentai al Comando di Brigata dei Garibaldini e fui rimesso in servizio. Mi chiesero quale nome di battaglia volevo assumere e scelsi semplicemente “Renzo” . Mi misero in Fureria poiché avendo un po’ più di esperienza e studi potevo essere utile in segreteria. A me però, quell’incarico stava un po’  stretto. Un giorno venimmo a sapere che a Bossolasco era arrivata una Compagnia di “russi bianchi” comandati dai tedeschi, e stavano seminando il panico poiché entravano nelle case rubando e devastando. Avevano avuto dai tedeschi “l’autorizzazione- incarico” di razziare e di comportarsi come volevano. Con tre o quattro miei amici ci trovammo presso la “Fontana azzurra”, eravamo armati e vedendo questi russi e tedeschi che stavano venendo giù, iniziammo a sparare qualche colpo, poi i miei compagni fuggirono, io invece rimasi. Pensai ai racconti dei reduci di Spagna e misi in pratica un loro consiglio. "Quando si è da soli contro molti, la tattica utile è quella di dimostrare che si è in molti!” così saltando da un platano all’altro sparai una serie di colpi che intimorì quei russi al punto da farli arretrare. Rischiai molto, ma quell’azione fece sì che mi affidarono il Comando del Distaccamento di Rodello. Iniziò così la mia vita da Partigiano, avevo vent’anni e comandavo gente ben più vecchia di me.>

LA TATTICA DEI PARTIGIANI

I tedeschi non riuscirono ad insediarsi nel territorio poiché i Partigiani adottarono la tattica di attaccarli di notte e di rimanere nascosti di giorno. I tedeschi “ rastrellavano” di giorno e non trovavano nessuno, per questo dopo un mese e mezzo circa se ne andarono. Per i Partigiani, ricorda Renzo fu un periodo difficilissimo, poiché per un anno, cioè il periodo della Resistenza, si dormì sempre in rifugi di fortuna e nelle stalle, ma qui resistevi poco poiché le bestie assorbivano loro tutto l’ossigeno e dopo poco tempo non si riusciva a respirare. Lui dormì tra  le lenzuola di un letto, solo due notti in un anno e mezzo.


https://youtu.be/UH3ej6r52aY          

BRACCATI DAI TEDESCHI

 La 99° Brigata operò con attacchi e difensive contro i fascisti fino all’Ottobre 1944 quando sulla Linea Gotica si fermarono le operazioni militari e i tedeschi distaccarono tre Divisioni complete per distruggere i Partigiani che impedivano le comunicazioni tra il Piemonte e la Liguria. Renzo spiega che per operare meglio i Garibaldini decisero di adottare i metodi di chi aveva combattuto in Spagna, e suddivisero la Formazione in squadre di 5 uomini con il proposito di riunirsi ogni 15 giorni in un luogo prestabilito: Il Santuario della Madonna di Langa di Niella Belbo.

…….Renzo partì, a piedi, con i suoi 4 compagni e raggiunse il colle di Cadibona. Lungo il tragitto furono attaccati parecchie volte e negli scontri a fuoco perse tutti e quattro i suoi compagni. Rimasto solo, scelse di ritornare verso Mombarcaro e alla sera, stanco e affamato bussò ad una casa dove vide un lumino. Sentì rumore di gente che fuggiva a nascondersi e quindi apparve una vecchietta ad aprire. Renzo le chiese, in piemontese, se aveva un posto per dormire un paio d’ore e questa disse che chiedeva al marito. Dopo un po’ tornò e gli riferì che vi erano sette/ otto giovani nascosti in una cisterna e se voleva poteva nascondersi anche lui. Gli procurò una scaletta e lo fece entrare in quel nascondiglio. Le pareti erano di tufo e tutto intorno all’acqua vi era un bordo di neppure un metro sul quale, dopo essersi abituato al buio vide i giovani che sarebbero stati suoi compagni per una settimana. La vecchietta, ogni tanto, portava loro qualcosa da mangiare e lo calava dentro a un secchio legato a una fune. Una volta, mentre lasciava scendere il secchio, disse:<ij zon! Ij zon!> (ci sono, ci sono), aveva sentito arrivare dei tedeschi e dalla fretta, mollò fune e secchio. Renzo sorride nel raccontare che si misero a pescare la polenta che era finita nell’acqua, ma ricorda anche che si preoccuparono molto, poichè se portavano via la donna, loro dalla cisterna non sarebbero più usciti, era lei che calava la scala, e senza sarebbero rimasti là sotto!......


https://youtu.be/CbbJ7TRSqG8    non arrendetevi mai

 

<…ero un Credente, credevo in me stesso e nelle cose, ho sempre voluto bene alla gente.

Mi sento di dare un consiglio ai giovani :  Non arrendetevi mai, comunque siano i momenti NON ARRENDETEVI MAI! Ve lo dice uno che ha 97 anni, non un “pivellino”>

 



 


venerdì 25 agosto 2023

 

 EDDA BRUSCO BOSIA 1930 E 

IL FRATELLO  “VENTIRIN” LUIGI BIANCO 1915 1940





https://youtu.be/3-8weW-LSn4    



LUIGI BIANCO TORINO 1915 

Caduto 1940 sul Fronte Greco Albanese 

Luigi Bianco nato a Torino nel 1915 fu abbandonato in Ospedale. La famiglia di Serafino Felice, che abitava alla Cascina Langa di Bosia, nonostante avesse già quattro figli lo prese in affidamento per arrotondare lo scarso bilancio famigliare. Quando ebbe 4-5 anni la famiglia adottiva, essendo in grandi difficoltà a mantenerlo, chiese a Vittorio e Carmelina Brusco, genitori di Edda, nata solo successivamente nel 1930, di accoglierlo in  famiglia. Luigi crebbe benvoluto dai Brusco e ricambiò l’affetto dimostrandosi rispettoso e lavoratore. Andò a lavorare da Pietro Magliano nella sua impresa di bachi da seta e mise da parte anche qualche risparmio in un libretto presso la Posta di Baraida. Quando ebbe inizio la seconda Guerra Mondiale fu chiamato alle armi e inviato sul fronte Greco Albanese. Quasi presagendo che non sarebbe tornato, chiese alla mamma adottiva Carmelina di recarsi con lui ad apporre la propria firma così da risultare co-intestataria. A malincuore la mamma lo ascoltò. Al termine della Guerra un commilitone di Luigi abitante alla frazione “Galin” di Rocchetta Belbo consegnò alla famiglia Brusco il portafogli con il segno della granata che lo aveva orribilmente ucciso. La stessa granata aveva  ferito il compagno alla gamba rendendolo claudicante. Mamma Carmelina, al compagno di Luigi chiese cosa avesse detto come ultime parole e questi le disse: “ o rà ciamà Mama.” ( ha chiamato mamma!). 

Con i soldi del libretto postale e aggiungendone altri, la mamma volle che Luigi, anche senza il corpo, ricevesse il tributo di un Funerale di Prima classe, e fece esporre un grande quadro con la sua fotografia.

La sorella Edda conservò sempre la grande foto e le reliquie  di Luigi che  sempre considerò suo fratello maggiore, morto venticinquenne, e nel raccontare non riusciva a trattenere le lacrime. Affermava < Deo pi nèn contéro, im vèn mar ao stomi! (non devo più raccontarlo, mi viene sempre mal di stomaco!) > Però lo raccontava  volentieri per Onorare il suo fratello Vèntirin tanto sfortunato. Ora lo ha raggiunto insieme a tutta la famiglia! Riposate in Pace.

giovedì 24 agosto 2023

 

TESTIMONE DELLA MEMORIA MAGLIANO CASTAGNOTTI GIOVANNA

                                  








                       https://youtu.be/UmfX58bGxv0  

    

 https://youtu.be/f_452hPuNXA

Nata a Bosia il 19 aprile 1927 da Mamma Rosa Rinaldi di Cortemilia1898+1939 e papà Vittorio 1892+1976

nonna Maggiorina Rodo 1858+1939 di Levice e nonno Battista 1860+1941


RICORDI DELLA GUERRA A BOSIA Giovanna e Myriam Magliano:

< Nel 1944 dopo i fatti di marzo (fucilazione di Raimondi Dorino 1925) di aprile (uccisione di Breme Dante) e di novembre in cui alla VERNETTA di Castino (VERNEA) furono uccisi tre partigiani e fu incendiata la cascina, noi vivevamo nel terrore. Era venuto ad abitare da noi, un cugino sfollato da Genova del 1923 di nome Fiore. Lui non era indicato nel foglio appeso alla porta che indicava i componenti della famiglia e correva a nascondersi quando capiva che erano in arrivo i fascisti. Un giorno io e mia sorella Maggiorina avevamo effettuato “ra lessija” (il bucato) e l’avevamo steso nell’aia. Eravamo sole poiché il papà era andato a dare il verderame alle viti. Capimmo che stava arrivando qualcuno poiché sentimmo correre Fiore che raggiungeva il suo nascondiglio, e infatti dopo poco vedemmo entrare nel cortile tre repubblicani, uno piazzò la mitragliatrice che puntava verso la casa, pronto a sparare se fosse fuggito qualcuno. Gli altri due controllarono il foglio e sentenziarono che loro sapevano che in casa doveva esserci un giovane del 1925 o del 1923 che non risultava dall’Elenco di famiglia. Maggiorina, la sorella più grande disse a più riprese che non vi era nessun uomo di quell’età nella nostra famiglia, ma loro insistevano e dopo un po’ la presero sotto braccio uno per parte e la condussero fuori dal cortile dietro la casa per impaurirla. Io urlavo e anche lei li implorava di lasciarla assicurando che diceva la verità. Accorse il papà che al sentire le nostre urla si era precipitato a casa e dopo aver assicurato anche lui che non vi era nessuno in età di leva i fascisti lasciarono Maggiorina ma dissero al Padre che se entro l’indomani, questo giovane che secondo loro era nascosto, non si fosse presentato al presidio fascista a Castino, sarebbero ritornati e avrebbero incendiato il cascinale. Alla sera arrivò da Genova il padre di Fiore e nostro zio e riferimmo quanto ci era stato detto, ma né Fiore né suo padre non erano intenzionati di presentarsi ai fascisti e noi eravamo veramente preoccupati. Il giorno successivo si rimase in attesa dell’arrivo dei repubblicani, in quanto Fiore non andò a Castino, ma fortunatamente non venne nessuno. Rimanemmo comunque allarmati, finchè i nazifascisti non se ne andarono da Castino. Ricordo ancora: poco distante vi era una famiglia che aveva un ragazzo del 1925 che si nascondeva in un buco predisposto con delle canne per fornirgli aerazione. A novembre ci fu l’altro eccidio che costò la vita a 3 Partigiani

18 11 a Ferrero Lelio del 1925.

19 11 1944 Careglio Angelo del 1922

20 11 Cavicchini Umberto 1925

Una sera di Novembre , venne da noi un gruppo di Partigiani e si fermarono a mangiare. Io fui incaricata da mio padre di controllare alla finestra del piano superiore che non arrivasse qualcuno. Si combattevano tra Borgomale e la “Vernea” di Castino, improvvisamente sentii un colpo e vidi un fuoco in seguito udii “in brai” un urlo. Corsi ad avvisare i Partigiani e questi immediatamente se ne andarono. Il giorno dopo il papà seppe da Don Berrone Parroco di Castino e Bosia che era stato ucciso un Partigiano


e questi gli chiese di andarlo a trasportare dalla camera mortuaria al Cimitero. Io che seguivo sempre mio papà andai con lui con il bue e il carro. Non dimenticherò mai più le condizioni di quel defunto con il ginocchio spappolato che morì dissanguato. Molti anni dopo, vivevo già a Rodello, seppi dalla sorella che il Partigiano Careglio Angelo

(nome di battaglia “Furio” 5°Div. Garibaldi 16°Brigata) era stato traslato da Bosia al Cimitero di Alba.>

Anche Suor Myriam, sorella di Giovanna aggiunge la sua testimonianza di ricordi del periodo della guerra: RICORDA COMMOSSA ORESTE Sandri e GIACINTO Gallesio, trucidati a Benevello il 13 febbraio 1945. Quando ebbe 8-9 anni, il padre la portò dai nonni materni e da una zia al CASSINOT di Benevello, poco distante dalla Madonna di Langa e dalla Cascina Belmondo dove furono arrestati Oreste e Giacinto. Dice di udire ancora gli spari che procurarono la morte dei due giovani. <Loro erano molto più grandi di me, ma li vedevo quando venivano a Messa o al Vespro e li conoscevo bene.> Aggiunge che bisogna ricordare ai giovani questi fatti e non lasciare che vengano dimenticati.