BRUNO CORSINI SAN BENEDETTO BELBO 1934
https://youtu.be/_JxzGoZB4RA Terrore a San Benedetto Belbo
NONNA FRESIA ROSA NONNO PLACIDO CORSINI
Mia Nonna Fresia Rosa detta Gina era
nata nel 1866 nella cascina Montané e andò avanti nel 1959 a 93 anni, fece la
levatrice per più di cinquant’anni anche se era analfabeta. Non le fecero
frequentare le scuole perché abitavano nel comune di Mombarcaro ma molto
distante dal paese. La chiamavano per aiutare a partorire e lei andava gratuitamente e faceva
intervenire il medico solo in casi difficilissimi. Io ebbi modo di conoscerla e
mi raccontava che per andare a chiamare il medico occorreva andare a piedi o in
bicicletta e allora lei cercava di arrangiarsi da sola poiché a volte, prima
che arrivasse il medico la donna doveva soffrire troppo o si rischiava la vita
del bambino e della mamma.
La nonna si sposò due volte e dal primo
matrimonio ebbe una figlia che in questa foto è già grande.
Un figlio della nonna che andò in
America e si fece una famiglia là senza più tornare, dopo qualche tempo scrisse
al fratellastro ( che la nonna aveva adottato dall’Ospedale) e lo convinse ad
emigrare anche in America.
La nonna mi raccontava che il nonno andò ben due volte in America. Andava in Argentina per realizzare un po’ di soldi ed acquistare terreni e la casa di Cadilù che adesso è disabitata e conta dieci camere. Tornato dall’Argentina acquistò la casa e quando si sposò fece costruire ancora un piano. Per andare in Argentina impiegava un mese ad andare e uno a tornare, e si fermava 4 o cinque mesi a lavorare nelle grandi estensioni di quel paese facendo il contadino a raccogliere meliga. Prima che andasse a lavorare in America vivevano in un casa con una camera sopra e una sotto con una stalla per una mucca, inoltre avevano proprio pochi terreni.
La nonna aveva già 5 o 6 figli ma si
fece affidare due “bailot” dall’Ospedale per poter avere il contributo
economico che lo stato concedeva. Tuttavia per spiegare che tempi erano
racconterò quanto mi disse la nonna: lei aveva due bimbi piccoli da allattare
ma avendo poco da mangiare non produceva latte e i piccoli piangevano per la
fame! Non sapendo come fare le venne in mente che vi era una pianta di prugne
ancora verdi, disperata, nel buio salì sulla pianta e si riempì di quelle
prugne che così le permisero di calmare la fame a lei e ai piccoli. Io non
conobbi il nonno, poiché mi raccontarono che quando lui morì nel 1936 io a 13
mesi iniziai a camminare.
La mamma, Fresia Marcellina era di San
Benedetto Belbo ed aveva quattro fratelli e una sorella . I fratelli nel
periodo estivo svolgevano il mestiere di muratori con il padre, mentre nel
periodo invernale si dedicavano alla realizzazione dei “sèp” (zeppe) per gli zoccoli e
facevano i caglié (calzolai) e i barbieri.
SAN BENEDETTO BELBO 19 NOVEMBRE 1944
https://youtu.be/354rFeSDhVY Io e mio padre l'11 nov 1944
Noi si abitava a Cadilù e Domenica 19 novembre 1944 sentimmo sparare nei pressi del Passo della Bossola sullo stradone che va verso Bossolasco. Il Lunedì mattina essendo autunno, mio padre mio fratello ed io eravamo andati ad ammucchiare il letame in un campo, lo avremmo poi sparso per concimare in Primavera. Portammo le tre o quattro pecore al pascolo, io avevo dieci anni e mio fratello sette. Si era nel prato e mio padre alzando gli occhi verso il “passo della Bossola”, vide la colonna di tedeschi che arrivava, commentò:< …si prepara una brutta giornata, è meglio che io scappi!>.
Disse a
me di andare a casa con le pecore e il fratellino, poiché non sapeva se i
tedeschi erano già nel cortile, e mi incaricò di farmi dare portafogli e un
paio di scarpe, poiché nei piedi aveva gli zoccoli, e di portarglieli, lui mi
avrebbe aspettato nel “ciabot” casotto dove avevamo la vigna. Io feci come
aveva detto, tornai a casa e mi misi scarpe e portafoglio sotto la giacchetta,
mi avviai per portare il tutto a mio padre. Ad un certo punto, mentre io
procedevo sotto un “rivaz”(riva), da sopra i partigiani iniziarono a sparare
con le pistole in direzione dei tedeschi alla “Bossola”, questi risposero con
le mitraglie. Io mi misi giù a terra ma sentivo i proiettili che fischiavano
sopra di me. Inoltre i partigiani lanciavano bombe a mano che esplodevano a 5-6
metri da me e i tedeschi si misero a sparare con un cannoncino effettuando
delle buche anche queste poco distanti da me. Per arrivare alla vigna dove
c’era mio padre mancavano un centinaio di metri ma la riva terminava e
rischiavo di procedere allo scoperto, allora decisi di tornare indietro verso
casa strisciando e poi correndo. Riuscii ad arrivare in casa terrorizzato ma un
proiettile del cannone esplose dentro una vasca dell’acqua che avevamo in
cortile dove vi era anche il cane. Il mio povero cane rimase colpito da una
scheggia alla gola e il giorno dopo morì.
Io mi
nascosi in casa, ma intanto i tedeschi arrivarono e avendo visto fuggire i
partigiani iniziarono a dare fuoco ar Balme ‘d fèn( mucchi di fieno) e alle
case.
Mio padre
andò verso Mombarcaro, salì alla Loc. Lunetta e si fece prestare un paio di
scarpe e due mila lire da una donna, moglie di un suo amico. Gli uomini della
Lunetta avendo sentito sparare erano fuggiti a nascondersi. Mio padre proseguì
nella sua fuga e in Località Bochére trovò “Consolà! (Consolata)”, gli riferì
che anche gli uomini erano fuggiti e gli consigliò di nascondersi in uno “stermateuri”(nascondiglio)
che avevano costruito gli uomini della borgata. Si trattava di un mucchio di
pietre dentro al quale si poteva accedere togliendone alcune. Entrò in quel
nascondiglio e lei richiuse l’entrata. Da una fessura si poteva vedere verso la
casa e così la donna lo avrebbe avvisato se fossero arrivati i tedeschi. Rimase nascosto fino a mezzogiorno quando la
donna gli portò una pagnotta di pane, poi vedendo da lassù che i tedeschi se ne
erano andati fece ritorno a casa. Avevano bruciato il fieno e il fogliame per
le bestie sotto il portico ma fortunatamente la stalla era sotto le camere e
non ci fu problema per gli animali. Nei giorni successivi portammo le bestie in
una valletta tra San Benedetto e Mombarcaro perché i tedeschi tornavano e ci
prendevano gli animali, io non avevo ancora 10 anni poiché li compio il 28
dicembre. Non ricordo cosa ho mangiato ieri ma quei terribili momenti non mi
scappano più dai ricordi.
UN MUSEO DELLE TRADIZIONI
Zov giogo
Trasia
Zovajè
Bruzca
Strija
Muzèj
Cajne da tachè a ra grupia e ra caina
che si usava per “lavoré” arare
Ra timossela con rà cavija che si
collegava alla trazia per “rpijé- lavoré”
Ci sono tanti “ciaraban” che a me
dispiace gettare via perché mi pare che qualcosa debba “vnì a taj” (possa
essere utile).
C’è il “foètt” frusta- frustino da fé
andé èr bèstie.(da far muovere gli animali)
Èr cavijè
BURAO ZANGOLA PER PREPARARE IL BURRO
Zov d’èn bò sol (giogo di un bue solo)
IMBOTTIGLIATRICE
MINA MISURA PER I CEREALI 23 LITRI- 8 COPPI- 1/5 DI SACCO
GORBA DA SCHIENA
Sé cavijè si, servivano a raccogliere èr giavéle- mannelli e realizzare èr cheuv- covoni, per gropé ra mèss.
Questa “cavija” si usava per legare i covoni, veniva messa sotto un po’ di mannelli di spighe di grano per fare il covone e legare con le “liaje” di “lata” o di “gora”, però mio padre ideò questo “cordin” con la cima rossa che infilato in questa “ancherna” incrinatura di metallo realizzava una “angassa” che veniva slegata per “batè” trebbiare, tirando la cima rossa. In questo modo si legava e slegava più rapidamente e si recuperava “ra liassa” legaccio per l’anno successivo e non si “sghèirava”sprecava nulla.
O tajètt per pareggiare il fieno e
gettarlo con il tridente attraverso la “trapa” nella “grupia per gli animali”
Quello è il tridente”arvirà” girato,
che seriva a fé ra mesccia( mischiare i tipi di fieno (réssi, mazèng), lo si
tirava con quel tipo di tridente e si tagliava con il tajètt.
Ressia da trèntin per segare le assi
Troplao sega che usavamo per segare le
piante, e poi ci sono vari tipi di seghe, più piccole e più grandi che usavano
mio padre e mio nonno per “tapassiè” (effettuare piccoli lavori con il legno)
durante l’inverno.
Questi Ramponi(RAMPON- GRAMPON) se li
legavano agli scarponi e li usavano per salire sugli alberi e”andeje a
sbrondé”(sfrondare i rami).
Questo “siròt riond”(accetta rotonda) con la
lama rotonda serviva a mio padre quando realizzava “èr sijè” per dar da bere
agli animali. Usava questa accetta per “dejé o riond ar bosch” per arrotondare
“ra doa” doga all’interno .
èr gripp per catturare i topi.
Il puntale in ferro per “arcaozè” la
meliga o fé i “zorc”(solchi).
Quelle lassù son “èr bruschie” Pettini
per la canapa, che usavamo per pettinare le fibre di canapa e realizzare la
rista. Ricordo che mia sorella, quella che poi andò in America, filava la rista
e io e mio padre andammo a Camerana dal Tessitore che ci realizzò le tele per i
“Lènzeu” Lenzuola. Dormii ancora per parecchio tempo in quelle lenzuola di tela
di canapa che talmente erano ruvide “i gratavo da mat” (scorticavano tanto la
pelle!). Di quelle tele ho ancora delle pezze che uso per mettere le pagnotte di
pasta del pane quando accendo il forno e cheuz(cuocio).
Ré spianè (pialle) sono tra gli
attrezzi che usava mio nonno per realizzare attrezzi ed utensili durante
l’inverno.
Pensa che mio nonno andò ben due volte
in America per realizzare qualche soldo ed acquistare qualche pezzo di terra!
Mazzetta per spaccare le pietre e
produrre la ghiaia da mettere nelle strade, andavano da manovali a spaccare le
pietre per la ghiaia!
Questo attrezzo è la “zèina” e lo
usava mio nonno per realizzare il fondo delle “sije”(mastelli o tinozze con
fondo tronco- conico.) Con questo attrezzo realizzavano la sede per il fondo
del mastello. Questo era regolabile con questo “cuni” cuneo e veniva inserito
sul fondo dopo aver allentato le doghe, facendo girare questa zéjna che in punta
aveva un ferro dentato, si grattava il legno e si realizzava un solco di un
centimetro entro il quale veniva incastrato il fondo, così, tirando poi i
cerchi e “ambèrborà” bagnato con acqua sigillava il contenitore e lo rendeva
ermetico.
Queste zappette servivano a realizzare
“èr grondè” grondaie di legno dove scorreva l’acqua piovana.
Questo compasso di legno lo realizzò
mio nonno, e questo e un piccolo coltello a due manici.
Quell’altro attrezzo fu del mio nonno
materno che realizzava i “sèp” suole di legno per zoccoli.
Il “frà” scalda letto con base di
latta zincata sul quale si metteva il “coco” con la brace, lo realizzai io per
mia madre. Questa è la bottiglia di rame che veniva riempita di acqua calda per
scaldare il letto.
“O sèivor o sèivao” innaffiatoio per
sèivé (innaffiare )il pavimento prima di ramazzare le assi di legno e non fare
polvere.
Èr masse per bate èr castagne.
Siass(setaccio) per selezionare le
castagne.
Grattugia per il formaggio
Una mazza di legno per battere sui
cunei e “sciapé” i “bion”(grossi tronchi)
Un “val” vaglio modificato con un telo
poiché lasciava filtrare l’aria e non funzionava.
Èr vindo per realizzare le matasse di
lana di pecora che una volta filata veniva “tènziia” (tinta) con ra ròla ‘d
noz”
“o lazagnao” mattarello per “fé èr
foieu” la sfoglia di pasta.
Ra mazza per “bate”èr castagne.
Dopo aver fatto essiccare le castagne
nello “Scao” ancora calde le allargavamo nel cortile mettendo tutto attorno
delle assi. Quindi in sette o otto forniti di mazza procedevamo e a ritmo
avanzavamo utilizzando ora a dx e ora a sx la mazza con il manico girato
apposta per aiutare a cambiar mano. Occorreva che la mazza battesse in piano
sulle castagne, altrimenti le faceva saltar via e il lavoro non veniva bene. Le
prime volte che svolgevo il lavoro mio padre mi insegnava, ma si arrabbiava se
usavo la mazza ad angolo e non in piano.
Io ho realizzato molte mazze e
utilizzavo legno di “pruzz” o “Pom”, mi ero fatto segare delle “steppe” assi e
poi con la sega creavo la dentatura. Quando non utilizzammo più le mazze,
costruii dei portalampade come questi che vedi qui nel garage , e molti amici
mi chiesero di costruirne perché era piaciuta l’idea.
CAVAGNE CON LISTE èd castagna Ceste
con liste di legno di Castagno
Andavo nei boschi a tagliare i pali di
castagno quando erano solo di un metro di altezza, li portavo a casa e li
spaccavo, quindi con la panca che vedi e il coltello di due manici realizzavo
le stecche che poi usavo per intrecciare i cestini e ceste di varie forme.
Questa è la panca che mi sono
costruita per prepararmi le stecche. Si bloccava la lista spessa sul legno
piano e la si fermava con questi denti che facevano da morsa, con il coltello a due manici si procedeva ad
assottigliare la stecca. Con queste ho realizzato tanti Cestini da andar per
funghi o nell’orto, ceste a due manici per vendemmiare , cavagn
Portamantèi fat con sirot
Ne costruii sette o otto a mia madre
che reclamava di non avere degli appendi abiti robusti.
Roèt per filare la lana (ARCOLAIO)
Rà TABIA da Calié (calzolaio) che si
costruì mio padre per tenere gli attrezzi e i chiodi per riparare zoccoli e
scarpe durante le lunghe sere invernali.
Mariuccia ci mostra un ferro che era
di sua mamma e della nonna: IL CALAMISTRO
questo ferro che sembra una forbice
serviva alle donne a crearsi “i riz nei capelli” (riccioli nei capelli), lo
scaldavano sulla stufa e poi mettevano un ciuffo di capelli nel ferro e lo
serravano, il calore arricciava i capelli e produceva “le onde” che andavano di " moda una volta”.
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