mercoledì 29 novembre 2023

PORELLO PAOLO ALBARETTO TORRE 1915

 




Porello Paolo          Albaretto Torre 1915 2014

 

Nato ad Albaretto Torre nel 1915,  ho sempre vissuto qui. Lavorai la terra  “è ro sèmpre rumà antsa tèra”(ho sempre raspato in questa terra!) Andai a scuola fino in terza classe, poiché le altre classi non c’erano ancora. Ricordo che avevo una Maestra già un po’ anziana che dormiva appoggiata alla cattedra e pretendeva facessimo silenzio. Noi invece facevamo un gran baccano, allora lei aveva una canna lunga e ci batteva sulle mani.

Partii militare e feci dieci mesi di Naja, poi fui congedato per motivi di salute e rimasi a casa sei mesi in convalescenza. Fui poi nuovamente richiamato e rimasi otto mesi in Francia. Tornai a casa ma dopo alcuni mesi dovetti nuovamente partire, nonostante fossi sposato e avessi già dei figli. Complessivamente rimasi quattro anni sotto le armi.

Nel  periodo tra il 1943 e il 1945 la nostra cascina ospitò, a fasi alterne i Partigiani e i nazifascisti. Siccome è situata su un’altura ed è possibile godere di una buona visuale, prima si insediarono i Partigiani. Dormivano sulla Travà( fienile)e nella stalla, ve ne erano una ventina. Poi vennero i tedeschi e spararono ai Partigiani mentre scappavano. Qualcuno fu ucciso nelle rive e fu sepolto là poiché non si riuscì di recuperarli per l’impervietà dei luoghi. Si insediarono i tedeschi e fortunatamente, dando loro da mangiare ci lasciarono abbastanza tranquilli. Certo che la paura era tanta, poiché c’era sempre il timore che i Partigiani attaccassero.

Una volta i partigiani arrivarono con uno che avevano fatto prigioniero, lo malmenarono un po’, quindi lo portarono nella vigna lì sotto, gli fecero scavare la fossa e a un certo punto si sentì uno sparo, l’avevano ucciso? Il nonno mi disse che l’avevano solo spaventato, ma io di nascosto ero andato a vedere e avevo visto che l’avevano sotterrato con le scarpe fuori.  

Rà Bolina   

Era una donna che abitava in fondo alla collina. Si dice avesse dei libri e faceva vedere le masche. Sentii qualcuno che diceva: ”Cula bestia grama a rà fane voghe èr masche!” Una volta, raccontava mio nonno, successe che in pieno inverno qualche vicino trovò  gli alberi di pesco  fioriti. Pare fosse stata la Bolina che per dispetto avesse fatto fiorire gli alberi in Inverno così da rovinare il raccolto.

Si diceva anche che la Bolina fosse l’artefice della luce che girava attorno alla torre di Albaretto spaventando le persone. Ricordo di averla vista anch’io e non si riusciva a capire cosa fosse.

Ribotte e baldoire

Furono tempi duri, ma sovente ci radunavamo e facevamo festa. Tutte le famiglie macellavano il maiale e per quella occasione le donne facevano èr raviore. Poi si ballava e si cantava. Vi erano dei personaggi che sapevano tenere l’allegria. Da Lequio Berria arrivava Vigin dèr Possèt con Condo dèr Papa e cantavano molto bene, qui avevamo Giovanin dei Cavallotti che era un gran cantore, era il padre di Renzo Promio anche lui una gran bella voce!

Le "Vijà"

Per le veglie ci radunavamo nelle stalle o anche negli Scao(essicatoi per castagne) se non si avevano gli animali. Ci mettevamo nei luoghi in cui era possibile ripararci dal freddo.

Bate èr gran con ò ribat(trebbio di legno)


Mi ricordo che per due annate trebbiammo il grano con il Ribat. Si preparava r’éra(l’aia) foderandola con una poltiglia a base di acqua e busa(sterco di stalla), quando era essicata si rovesciava il grano e si passava con il Ribat(trebbio) trainato dal bue. Noi ragazzi avevamo l’incarico di tenere la pala sotto la coda del bue per raccogliere lo sterco ed evitare di sporcare il grano.

Dai sètmin!

Ai miei tempi si andava dai settimini(guaritori) quando vi erano dei problemi di salute sia per le persone che per le bestie. Ne ricordo uno a Levice, uno a Motta di Costigliole, ma il più “feroce” rinomato era quello di Cessole. Io andai qualche volta da un guaritore a Serralunga. Questo si faceva portare un pezzo di tela o stoffa di un vestiario del malato, lo scrutava bene, lo rigirava tra le mani poi te lo consegnava e ti diceva di posarlo sulla parte malata. eh! Chèicun o vařiva! (qualcuno guariva!)

martedì 28 novembre 2023

DELLAFERRERA SEGHESIO ROMANA RODDINO

 

DELLAFERRERA ROMANA 

I FATTI DI CASCINA “MASSERIA SOTTANA” DI RODDINO Marzo 1945





https://youtu.be/NSYH5pJn2fE                     

Marzo 1945 nazifascisti alla cascina "Masseria" Roddino d'Alba


DELLA FERRERA GIOVANNI di Giuseppe RODDINO il 15/05/1907

Contadino Ferito a Roddino “cascina Masseria Sottana”

Deceduto all’Ospedale di ALBA  il 29/03/1945

 

 

dellaferrerad DELLA FERRERA  Marì Roddino 1930 di Luigi e Boschis Giuseppina

ferita alla “Cascina Masseria Sottana” il 29/03/1945

 

DELLA FERRERA SEGHESIO ROMANA


Mio zio Giovanni era del 1907 e stava rientrando dal lavoro, era quasi dalla porta della stalla dove era già entrato mio padre e si girò a guardare chi c’era, era una colonna di nazifascisti, senza preavviso ricevette una fucilata che gli perforò l’intestino in dodici punti. Cadde tra le braccia di mio papà e ricordo urlava come una ”bestia”. Fu condotto all’ospedale di Alba ma non si salvò, lasciò una bimba di 2 anni e una moglie di 26 anni.

Mezz’ora dopo fu ferita anche mia sorella Marì di appena 14 anni. Era nascosta dietro casa e uscì per rientrare ma fu colpita da un tedesco. Fortunatamente il proiettile la prese di striscio ed entrò ed uscì senza ledere organi vitali. Prima furono visitati da un medico della colonna nazifascista che prima derise mia madre Giuseppina perché parlava un italiano scorretto, e poi incolpò i partigiani per quanto era successo! Constatò la gravità di due feriti e disse di portarli in Ospedale. Furono caricati su di un “carton” trainato da un cavallo e portati in Ospedale. Zio Giovanni urlò per il male durante tutto il viaggio e spirò dopo poco tempo, mia sorella fu visitata ma prima di essere ricoverata chiesero Lire 10.000, Mia madre che era al seguito andò da parenti che abitavano ad Alba e si fece prestare i soldi poiché era venuta via di casa frettolosamente! Senza la “caparra” non l’avrebbero ricoverata e l’avrebbero lasciata priva di cure, funzionava così! Mamma ricordava sempre che una volta ricoverati vide i soldati tedeschi che piantonavano il camerone e continuamente facevano scattare le armi per impaurire!

Mamma era preoccupata anche per chi aveva lasciato a casa e così dopo che furono entrambi ricoverati si avviò a piedi e tornò  casa. Per spiegare in che tempi di diffidenza si viveva le racconterò ancora: per il gran camminare, si ruppero le scarpe, era prima di Monforte, vide una donna davanti a una casa e le chiese se poteva prestarle anche solo un paio di ”patin” (ciabatte), ma questa le rispose che non aveva nulla e pur vedendola con le pantofole rotte la fece continuare scalza. Mia sorella dopo otto giorni tornò dall’ospedale  e guarì dalla ferita esterna ma si ammalò di esaurimento nervoso e ne patì fino a venticinque anni. A chi inneggia a Mussolini e a quei tempi, io dico che se avessero vissuto quanto abbiamo visto noi forse avrebbero un’altra opinione.

MIO PADRE LUIGI 1901 E I PARTIGIANI

 Papà Luigi e famiglia ospitarono per una decina di giorni una ventina di partigiani slavi, poi per altri otto giorni un gruppo del Partigiano “il Rosso” di Barolo. Si fermavano da noi perché la cascina Masseria Sottana” era in una posizione nascosta, ma quando facevano baldoria andava mio padre a fare da sentinella al bivio in alto per vedere non arrivasse nessuno!

Successe che lasciarono una radio “ricetrasmittente” nascosta sotto un “tino” e delle armi. Quando quel 29 Marzo 1945 spararono allo zio e a mia sorella effettuarono anche una vera e propria razzìa in cascina e trovando la ricetrasmittente e le armi sul carro con i buoi portarono a Dogliani anche mio padre poiché lo considerarono avente a che fare con i partigiani. Sul carro misero di tutto: un sacco di salami damigiane di vino, formaggi , il baule con lenzuola e “fardèll” della mamma, misero a soqquadro la casa e presero tutto. Papà fu portato a Dogliani, fatto procedere davanti ai buoi. Trattenuto, e come ho detto, appeso con le braccia legate dietro,  fu interrogato con violenza per ore. Lui non disse nulla dei partigiani. Quando a notte inoltrata lo rilasciarono, non so per quale miracolo, con i polsi e tutto il corpo dolorante si accasciò sul carro, furono i buoi che da soli lo riportarono a casa. La mamma ritrovò la casa sottosopra e vide arrivare i buoi con il papà.

Furono segnati per tutta la vita da quei fatti. Ai polsi gli rimasero le cicatrici della corda che lo aveva tenuto appeso e nell’animo rimase la rabbia per quanto dissero in seguito quelli che lui aveva coperto! I repubblichini volevano sapere dei partigiani, ma lui pur sapendo che si nascondevano nella Rocca di Roddino non disse nulla e si lasciò torturare. Al termine della guerra alcuni partigiani da strapazzo invece di ringraziarlo gli dissero che se avesse parlato lo avrebbero ucciso loro!

Tuttavia , il papà raccontava di essere stato fortunato poiché i repubblichini gli dissero che chi lo aveva interrogato non sapeva del ritrovamento delle armi e della radio poiché lo avrebbe ucciso!


LA BATTAGLIA DELLA PEZZEA


https://youtu.be/W4_q6r8F4lE                     La battaglia della Pezzea

 I nazifascisti, in quel giorno 29 marzo 1945, dopo 

essere passati dalla nostra cascina, procedettero per 

andare verso Bossolasco. Giunti in prossimità della 

frazione Pezzea furono presi di mira dai Partigiani. I 

tedeschi risposero al fuoco e stavano per avere la 

meglio. I partigiani di Lulù che avevano la base in 

quella frazione, furono in difficoltà poiché si rendevano 

conto di non farcela. Vi fu Un anziano reduce della 

guerra del 1915/18 che disse al mitragliere dell’arma i

nceppata: <sa gaute da lì!> togliti di lì, e prese il suo 

posto. Si mise a sparare all’impazzata sotto gli occhi 

stupiti dei partigiani e costrinse i nazifascisti a 

tornarsene indietro.

Gianni aggiunge: <eh già, lo raccontavano sempre i partigiani di Lulù, Cecu Prato “Bimbo”, Remo, Arturo.... che furono presenti.> 

 




 

 

 


lunedì 27 novembre 2023

SEGHESIO GIANNI PARTIGIANO "JAN" DOGLIANI 1928

 

SEGHESIO  GIANNI 21/12/1928  DOGLIANI 


https://youtu.be/1x3mWZKennA






 Nome di battaglia “IAN”“ 

PARTIGIANO  1° DIV LANGHE

Seghesio Gianni 1928 di Carolina Navello 1901 di San Quirico di Dogliani e di Valentino del 1899. Nel ’44 a soli 16 anni seguì il fratello Lorenzo Partigiano “Renzino” del 1925. Il fratello Renzo fu arruolato nel Corpo dei Vigili del fuoco e inviato a Livorno. Con l’otto settembre fuggì, tornò a casa, e si aggregò al gruppo partigiano che si era formato a Mombarcaro. In seguito si unì alla squadra di Lulù.

                                       Lulù 

 Si rimase per due mesi con “Genio Stipcevic”, poi, siccome non avevano armi una notte il gruppo si trasferì a Rocca Ciglié e si rimase in quell’inverno 1943/44 a preparare i detonatori per gli atti di sabotaggio. Ricordo un “ciabot” pieno zeppo di “plastico” e una Chiesetta che fungeva da magazzino dei paracadute dei lanci. Il gruppo era addetto al recupero dei materiali dei lanci. Nel cuore della notte, quando avveniva il lancio vi erano già i mezzi pronti ed in due ore si recuperava tutto e lo si nascondeva. Quando venimmo via da Rocca Cigliè ci nascondevamo nelle borgate e cascine, d’inverno si dormiva nella stalla e col bel tempo sulla “travà” fienile”.

https://youtu.be/tdZwrWe5hQA                                                  

Quando il gruppo di Partigiani :  ODERDA “ORIS”- SEGHESIO “RENZINO” -GALLO “MARIO”ED IO SEGHESIO GIANNI “JAN” avemmo l’incarico di trasferire il corpo di “Lulù” dovemmo attraversare con l’auto su di un traghetto che aveva una sola barca e quindi molto instabile. Io e Balilla, seduti sui parafanghi dovemmo stare immobili senza fiatare! Arrivammo alla frazione “Manzoni” di Monforte e lo consegnammo. Il giorno dopo fu sepolto provvisoriamente nel Cimitero di Monforte. A fine guerra gli fu celebrato il funerale e traslato al Sacrario di Chiusa Pesio, da lì lo venne a prelevare il papà. Ricordo il papà che assomigliava molto al figliolo “..in citinot mair”(un piccolino ,magro”).

 

COL GRUPPO DI PIERINO FERRARA “IL BIONDO”

Nel periodo che fui con il gruppo partigiano di Pierino “il biondo” originario di Albisola marina, ricordo un fatto per cui fummo redarguiti. …eravamo in quattro o più con un carro trainato da un cavallo che trottava come un metronomo. Si andava verso Trinità sulla statale Fossano Mondovì quando avvistammo due (birocin)Calessi con un tedesco ciascuno sopra, uno lo prendemmo, ma l’altro lo lasciammo andare perché nell’abitato di Trinità fummo fermati da un centinaio di persone che ci pregavano di lasciarlo andare poiché temevano “rappresaglia”. Lo lasciammo andare ma quando arrivammo alla base il Capo gruppo “Pierin il biondo” ci fece una solenne sgridata. Tuttavia noi eravamo abituati ad essere bistrattati dai capi che dipendevano proprio da Mauri,(ci davano degli incapaci perché non sapevamo “marciare”), ma preferivamo essere comprensivi nei confronti della gente che rischiava poi l’incendio delle case.

 

 

GIOVANI PARTIGIANI

Gianni ripensa all’incontro commemorativo del 27 gennaio ad Arguello e riflette sui ragazzi presenti:<Alla vista di quei ragazzi di 14 anni mi son tornati alla mente i miei compagni che di 13 -14 anni svolgevano attività di staffette o di guardia in condizioni incredibili e con grandi rischi, poiché i Muti o i tedeschi se ti beccavano non stavano a chiedere i documenti. Partiva una raffica ed era finita.

Vi erano tedeschi, russi vestiti da tedeschi, slavi con i quali non ti capivi o anche i repubblicani che sparavano a tutto ciò che si muoveva. Lo zio di mia moglie fu ucciso perché aveva guardato chi passava in strada.

A PROPOSITO DI RUSSI

A proposito di russi, una volta io e mio fratello venimmo a casa per darci una lavata, e mentre lui era sopra, io rimasi sotto a sorvegliare. In un un attimo sentii dei passi e mi trovai di fronte due russi vestiti da tedeschi che chiedevano “grappa”. Mi si gelò il sangue perché “renzino” mio fratello era sopra con le armi e loro messomi da parte stavano salendo la scala. Richiamai la loro attenzione con una fiasca di grappa e questi vennero da me a prenderla e uscirono! La scampammo, ma che paura! Se fossero saliti e visto le armi avrebbero sicuramente sparato! In fretta e furia prendemmo la strada della campagna e tornammo col gruppo.


 

 

 

JAN VICO DI CHERASCO- MELO- RENZINO- 

FLAVIO- 

LULU’- LIPO GABETTI che era il meccanico del gruppo. 

Lulù requisì a un abitante di Dogliani una “Citroen a 

trazione “anterieur!”(ricorda la pronuncia di “Loulou” Era 

tenuta benissimo e il proprietario si era raccomandato 

che se si fosse guastata gliela avrebbe riportata a 

riparare senza “pasticciarla” Ci teneva molto!


Balilla era del 1930 era di Farigliano ed io “Jan” del 29 !

Dice: <ma noi ragazzi non avevamo divise. Eravamo tutti anonimi. Se succedeva qualcosa gettavamo via l’arma e non potevano dirci nulla.> Da Farigliano venivamo a Dogliani dove c’erano i repubblicani ma nonavemmo mai problemi. Furono i capi che vollero fossimo vestiti normalmente per poterci muovere indisturbati. Si andava ad Alba e in altri paesi e città a prendere o portare messaggi e certo facevamo attenzione ma non successe mai di essere fermati.

Quando fu ucciso “Lulù” eravamo partiti per un’azione nei dintorni di Fossano, avevamo un “1100 tagliato, una campagnola , due o tre moto e un “birocc” (calesse). Mentre eravamo in viaggio giunse la notizia del tragico incidente.

“DEMIS” CHE MI SVELÒ IL NOME DI LULÙ

Io fui uno dei primi che seppi il nome di “Louis Chabas “ poiché ero amico di “Demi” il francese amico di Lulù. Un giorno aveva un foglietto con su scritto “Louis Chabas” e me lo mostrò, io gli chiesi: < chi è?> e lui: “Lulù!” Una sera, mentre si andava a ballare, perché si faceva anche festa neh!? Gli dissi<Ehi Louis Chabas!> lui stupito, si arrabbiò e volle sapere chi me lo aveva detto! Poi gli passò, ma si era infuriato. Era molto geloso della sua identità e non voleva che nessuno lo sapesse.

 

 

 

 

 

 

 

 SEGHESIO RENZO "Rènsin"

 

 MIO FRATELLO ED IO CON LULÙ

 

Lorenzo Seghesio “Renzino”       

Benevagenna: strada dove fu ucciso “Lulù”


Il 9 Febbraio 1945, Lulù e la sua squadra, tra i quali eravamo anche mio fratello ed io, era diretto a Fossano per far saltare con la dinamite un viadotto ferroviario. Quella sera si fermò per cenare a Benevagenna e stava per rimettersi in viaggio quando in lontananza, sotto i portici, notò delle ombre che si muovevano. Prese un mitra e andò avanti per vedere chi ci fosse. Renzino, mio fratello e un altro partigiano lo seguivano a breve distanza.

Chi va là! Intimò una voce dall’ombra. Sono Lulù e si proiettò la lampadina in volto per farsi riconoscere. Era sicuro che fossero Partigiani e che lo avrebbero riconosciuto. Ma quella sera indossava una divisa da tedesco e come risposta partì una raffica di mitra. Anche noi corremmo in avanti pensando che Lulù ci precedesse, ma fummo tutti ingannati dalle ombre in fuga. Sapemmo dopo che gli sparatori allontanatisi erano partigiani di <Giustizia e Libertà> in marcia di trasferimento; non conoscevano quei posti e non avevano mai visto Lulù. Tornati indietro trovammo Lulù anncora con la lampadina accesa e colpito a morte alla gola e alla fronte. Lo portammo a Monforte e i giornali il giorno dopo diedero la notizia con un lungo articolo dal titolo “LA MORTE DI UN BANDITO

AGGUATO A DOGLIANI

Un paio di mesi prima, Lulù era stato attirato in un agguato  nei pressi di una scala predisposta all’albergo reale di Dogliani da militi fascisti della legione. Non ebbe sospetti poiché i fascisti indossavano abiti borghesi. Ma quando uno di questi si avvicinò puntandogli il mitra, ebbe una razione fulminea. Anziché alzare le mani come gli era stato intimato, si butto sull’avversario e gli strappò l’arma. Con questa si aprì poi la strada fra i fascisti che lo avevano circondato e si allontanò scomparendo.

 

RICORDO DI AZIONI

Ricordo che Lulù era già stato ucciso e noi Partigiani andammo ancora a Dogliani ad effettuare un’azione contro i repubblicani che alloggiavano all’Albergo “Fiorito”. Avevamo ricevuto tante armi  “lanciate” dagli americani! Nonostante fosse quasi finita, soprattutto i capi erano ricercati da quella”gineuira fascista” che aveva nome “FARINA, LANGUASCO,I MUTI”. Eravamo stanchi di nasconderci e di correre pericoli, ma vedevamo che i tedeschi se ne andavano e allora cercavamo di produrre ancora “disturbo”.

 

 

venerdì 24 novembre 2023

 

ALLERINO ALDA E MO SESTO LEQUIO BERRIA 

TESTIMONI DELLA MEMORIA











Pagliero Giovanni e Margherita

        (nonni Materni di ALLERINO MO ALDA)

Allerino Alda, moglie di Sesto Mo, di Lequio Berria ha ricordato che suo padre, del 1900, si arruolò volontario   a 16 anni per combattere nella Guerra Europea,  ma fu, dopo poco tempo, congedato perché il fratello Giuseppe, del 1895 morì il 14 Dicembre 1916 in seguito alle ferite riportate in combattimento. Con il marito Sesto si recarono a Redipuglia e trovarono il nome dello zio Giuseppe e pregarono per lui nel Sacrario. Onore all’Alpino Giuseppe Allerino e al fratello che avrebbe voluto rendere un grande Servizio alla Patria. Grazie ad Alda e Sesto che hanno tenuta viva la Memoria dei loro congiunti Caduti per la Patria.


                MO SESTO RICORDA;





MAMMA TAPPA GIUSEPPINA

Papà Pietro

           famiglia MO 

      (disegno LUIGI CARBONE)     Cascina MO ora abitazione di Sesto e Alda

MO GIOVANNI DI TAPPA GIUSEPPINA E DI PIETRO

NATO A LEQUIO BERRIA 26 GENNAIO 1922

CONTADINO

FF AA REGIE

SOLDATO PRIGIONIERO

DIV. ALPINA CUNEENSE II Rgt.

DECEDUTO il 23 MARZO 1944

MO SESTO < Giovanni della leva del 1922, mio fratello, fu dichiarato Disperso nei fatti d’armi della Russia nel Marzo 1943.

Alla famiglia non fu comunicato il “Mortorio” (lettera che annunciava la morte del militare) bensì fu dato DISPERSO, ma siccome a quei tempi era vicino di casa il Sergente Noè Mario che ritornò dalla guerra di Russia, si ebbero da lui le tragiche notizie.

Il Sergente tornò a casa enormemente provato nel fisico e con negli occhi tutti quei giovani morti ai quali non poté prestare aiuto e dovette provare un ulteriore grande dolore nel comunicare alle famiglie che aveva visto per l’ultima volta i loro figli. Tra questi, disse di avere visto morto anche Giovanni. La mia mamma Giuseppina, in fondo al cuore tenne sempre la speranza di vederlo tornare.

Il Sergente Noè impiegò molto tempo a riprendersi dalle sofferenze, anche perché lui e la sua famiglia subirono la perdita di un altro fratello e figlio che non tornò dalla Guerra di Russia.


IL 12 Febbraio del 1945, i nazifascisti arrivarono a Tre Cunei e cominciarono a sparare. In quel giorno uccisero

CAPELLO LUCIA di PAOLO CERESOLE D'ALBA (CN/I) il 07/02/1902

Insegnante CVL X DIV LANGHE 21^ BRG G. ALESSANDRIA

LEQUIO BERRIA (CN/I) il 12/02/1945

CAPRA ATTILIO di GIOVANNI DIANO D'ALBA (CN/I) il 28/09/1923

Operaio CVL X DIV LANGHE 21^ BRG G. ALESSANDRIA

LEQUIO BERRIA (CN/I) il 12/02/1945

 

GIACOSA NATALE di LUIGI ALBA (CN/I) il 06/12/1925

Contadino CVL X DIV LANGHE 21^ BRG G. ALESSANDRIA

 LEQUIO BERRIA (CN/I) il 12/02/1945

 

MORANDO CELESTINO di GIOVANNI ALBA (CN/I) il 21/07/1917

Operaio CVL X DIV LANGHE 21^ BRG G. ALESSANDRIA

CAPOCANTONIERE.

LEQUIO BERRIA (CN/I) il 12/02/1945

 

NEGRO MICHELE DI EDOARDO ALBA (CN/I) il 12/08/1926

Operaio CVL X DIV LANGHE 21^ BRG G. ALESSANDRIA

LEQUIO BERRIA (CN/I) il 12/02/1945

 

OSCHIRI CARLO DI EGIDIO PEZZOLO VALLE UZZONE (CN/I) il 14/01/1922

Contadino CVL X DIV LANGHE 21^ BRG G. ALESSANDRIA

LEQUIO BERRIA (CN/I) il 12/02/1945

Noi eravamo radunati in casa e ci accingevamo a fare pranzo. Eravamo Mamma, Papà, io mio fratello Aldo,

Sentimmo sparare e vedemmo che nella strada che da Tre Cunei porta da “Ceron” vedemmo i “bafumet” vortici di polvere formati dai proiettili.

I militi della “repubblica” avendo saputo che il giorno precedente i Partigiani avevano ricevuto un Lancio vennero per effettuare una retata.

Mi pare di ricordare che fosse un giorno festivo e si seppe che erano arrivati da Gazola, dove vi erano i Partigiani e vi era stata la sparatoria. In famiglia fummo tutti preoccupati e pensammo subito al fratello Celeste Partigiano del 1926 che era anche lì da Gazola.

MO  CELESTE 13/06/1926  LEQUIO BERRIA 

CONTADINO 

Nome di battaglia TOPOLINO 

 PARTIGIANO 6° DIV GARIBALDI

16° BRG GARIBALDI Dal 01/12/1944 Al 08/06/1945

PARTIGIANO Dal 01/12/1944 Al 08/06/1945

Celeste poi raccontò che quando sentirono sparare, presi alla sprovvista, non essendo pronti ad affrontare i fascisti, scapparono. Chi scelse di scappare verso la vallata a sx dei Tre Cunei furono uccisi perchè visibili dalla strada, gli altri come lui che fuggirono nella vallata che guarda Arguello si salvarono .

 


SOBRERO PALMINA ALBARETTO TORRE 1916

 


SOBRERO PALMINA 1916 ALBARETTO TORRE

  https://youtu.be/vxMkDdyPrwQ  Mio suocero, la capra e il libro del Comando                        

Mio suocero raccontava che quando andava ad Arguello a fare una partita a carte, una volta tornando a mezzanotte aveva sempre una capra che lo seguiva. Tra sé diceva” cosa vuole sta capra, se riesco a”’ngrinfera- prenderla, la porto a casa.” Diceva che nonostante i molti tentativi di acchiapparla non riuscì! Raccontava che non gli fece nulla ma gli diede fastidio avere quella capra che lo seguiva!

Eh, una volta avevano sti libri! 

https://youtu.be/O-IhoJpBqOk       Cichin dei Galucc                 

Mi ricordo che un mio cugino Cichin dei Galucc, che era un cacciatore e muratore” o rà desfà na miragna” smontò un muro di casa per effettuare una variazione, e trovò un “libron” un vecchio libro tra le pietre. Lo aprì e ci trovò scritto di prendere “na vetta o in piumin” un legno appuntito o un pennino e di pungersi, poi di scrivere col sangue il proprio nome su una pagina. Lui era un “masnaron” un ragazzaccio curioso, e provò con un legno appuntito a pungersi e scrisse il suo nome. Fatto ciò, pensava qualcosa e si realizzava! Si prese un po’ paura, ma ormai non sapeva come tornare indietro e così ogni tanto faceva qualche magia con qualcuno! Una volta partì dai Galucc e andò ar Fontane di Cerretto da mia cugina Ginota che era sola perché il marito Carlo era “soldato” e le disse: sai che posso farti vedere il diavolo! Lei gli disse: vai vai , fatti furbo, io ti butto giù da quella scala! Ma mentre dice ciò, sul tavolo apparve un animaletto con due cornetti che la spaventò tantissimo. Mandò via Cichin malamente e gli intimò di non farsi più vedere.

Cichin fece anche uno scherzo ad un vicino che andava a vijé – vegliare . Con quel libro fece apparire un cane nero che spaventava l’uomo seguendolo fino a casa. Il cane terrorizzava il povero uomo al punto che gli erano venuti i capelli dritti! Poi una domenica Cichin gli disse: vai sempre a vegliare dai vicini? Ed è tuo quel cane che ti segue?.Allora Pietrin “o rà mangià re feuja” capì che era Cichin “coi fava voghe èr masche” che gli "faceva vedere le Masche" , gli volò addosso e gli diede”tante tsé lecche!(botte), che se non glielo toglievano lo uccideva!

La gente di Cerretto venne a conoscenza di questi fatti che operava Cichin e lo comunicò al Parroco Don Ravina. Questi convocò Cichin e gli ordinò di portargli quel libro, quando andò si fece spiegare e poi gli disse: “o me lo lasci che lo brucio o lo bruci te con dei testimoni. Mio cugino promise che lo avrebbe bruciato. Andò a casa, preparò un falò con alcune fascine e gettò il libro nel fuoco, chi vide disse che mentre bruciava si sentivano dei colpi come spari di fucile!

UNA LUCE MISTERIOSA

Quando ero bambina, qui ad Albaretto successe un fatto che suscitò paura. Alla sera, verso le 22.00/23.00 succedeva che dalla torre partiva un globo di luce con una coda rossa che scendeva a terra e viaggiava fin giù nella valle e poi a zig zag ritornava su per poi scomparire. Io e mia sorella Maria vedevamo dalla finestra, da dietro ai “Ridò(tendine) questa luce che correva nella valle per poi tornare e scomparire. Alle volte mia sorella mi chiamava a vedere la luce che saliva dal “Gir drà Crava”! fu un bel mistero!

 Giovanin della Maestra una volta si trovò il globo di luce con la coda rossa che gli viaggiò appena sopra la testa. Lui si spaventò molto e si mise a correre, ma la luce si alzò e scomparve. Nessuno mai seppe spiegare di cosa si trattasse.

LA MASCA DI ALBARETTO TORRE

Una mia conoscente mi raccontò che la sua suocera aveva il “libro del Comando”. Una volta si trasformò in qualche animale e infastidì qualcuno che reagì dandole una bastonata. Lei, la nuora, era al pascolo e sentì delle urla della suocera, tornò e la trovò con un braccio rotto “Rà Madona” le disse di andare a chiamare il marito che stava “ssijanda” (falciando) in località “Fontanassin”. Lei obbedì e corse ad avvisare il suocero che la moglie stava male. Il suocero rispose: <à rè sèrcasrò! à rà mach da nèn girolé tant dè ‘d neucc!( se lo è cercato! Non deve girare tanto di notte!) E non smise neppure di falciare! Evidentemente conosceva bene la moglie!

Si dice che sta donna tribolò tanto a morire perché non aveva passato il libro del comando!

Sono misteri che succedevano una volta e noi non riusciamo a capire!

 

 

 

 


 

 TORNÒ DALLA RUSSIA

Palmina: <Celsin fu da manovale nella cascina “Squarciagerbido” dove abitavo con la famiglia.

Quando nel 1943 tornò dalla campagna di guerra in U.R.S.S., Celsin, appena si rimise in forze volle riprendere ad aiutare nei lavori alla Cascina Squarciagerbido. Mio padre gli diceva di nascondersi poiché se venivano i nazifascisti lo avrebbero preso e deportato. Lui rispondeva che non aveva paura. Una volta arrivarono improvvisamente nel cortile, e lui era dietro casa che lavorava. Fu avvisato e si mise a correre come un capriolo giù nel rio che porta in Borine e poi a Sinio e non si fece vedere. Quella volta il Comandante tedesco entrò in casa per leggere il foglio dietro l’uscio dove vi erano segnati tutti i componenti della casa, e vide che ne mancava uno, appunto Celsin. Il padre, alla domanda dove fosse rispose che era andato a prendere il pane e questi se ne andò. Non fece neppure entrare i militi a perquisire, anche perché papà astutamente diceva a noi ragazze di mettere sulla soglia il “cadrègon con la “magna” paralitica e così, impietositi se ne andavano.

In un ‘altra occasione tornarono i Repubblican e Celsin era nel letto in una camera sopra, quando li sentì, saltò dalla finestra e sparì nello Rian. Andati via i nazifascisti, andammo sopra a cercare Celsin, ma trovammo soltanto la “rivoltella”. . Lui aveva l’abitudine di dormire con la pistola a portata di mano, e quella volta non aveva fatto in tempo a prenderla. Fortuna che grazie alla zia ammalata, non erano saliti, se avessero trovato la pistola chissà cosa avrebbero fatto.

Celsin era proprio impavido. Una volta che vi era la “milizia repubblica”  ai Tre Cunei disse a mio padre che andava a vedere. Nonostante mio padre gli avesse detto che era pericoloso, lui strisciò in un solco del campo di meliga e arrivò fin quasi ai Cunei senza essere visto. Quando se ne andarono tornò da noi e ci raccontò quanti erano.

 

 

 

lunedì 20 novembre 2023

ABBATE CARLO PERLETTO 1930

 

                ABBATE CARLO          PERLETTO 1930




 

Il papà di Carlo nacque a Perletto nel 1892 e partecipò alla Prima Guerra Mondiale, fu nominato Cav. Di Vittorio Veneto.


 

 

La scuola e le esercitazioni fasciste

Carlo Abbate nacque nel 1930 proprio nella casa dove abita ora. Frequentò fino alla classe quarta a Perletto, poi dovette recarsi a Cortemilia per la classe quinta che venne istituita l’anno successivo nel suo paese. Per andare a Cortemilia percorreva i quattro chilometri a piedi col bel tempo e con la neve. Frequentò per tre anni compresi i due di avviamento. Non terminò questo corso di studi poiché avrebbe dovuto recarsi ad Alba e vi era la guerra, per cui sospese gli studi.

A Cortemilia vi era il segretario politico del fascio, il maestro Pace, che da fervente fascista voleva che tutti gli allievi partecipassero all’istruzione con il medaglione con l’effige di Mussolini e il foulard del fascio al collo, per chi non poteva acquistarlo vi era il Patronato che provvedeva.  

Per due volte nelle mani dei nazi fascisti

Carlo aveva 13 /14 anni nel 1943/44 e dice che ricorda di essere sempre stato “nel mezzo dei fatti d’armi che successero a Perletto”. Non aveva paura e per questo fu preso due volte nelle fasi dei rastrellamenti.

Una prima volta successe che i nazifascisti, non essendo riusciti a prendere i partigiani, che erano riusciti a fuggire, arrestavano e incolonnavano tutte le persone che fermavano di notte. Lui uscì di casa pensando che per la sua giovane età non gli avrebbero detto nulla, invece fu preso e inserito nel gruppo degli ostaggi da fucilare se fosse stato ferito o ucciso un soldato tedesco. Lui cercò di sgusciare fuori dalla fila per nascondersi dietro il pilastro della casa dello zio, ma fu notato e un nazifascista lo prelevò e lo strattonò in prima fila, così sarebbe stato fucilato se fosse successo qualche incidente con i partigiani.

In un’altra occasione fu di Domenica pomeriggio, Carlo e un suo coetaneo erano nella piazza di Perletto che giocavano al “balon” con dei giovani di leva e perciò ricercati dai nazifascisti. Videro che vi era una colonna ci repubblichini e tedeschi  che saliva nel paese. Tutti corsero a nascondersi e anche Carlo capendo che non vi era tempo di tornare a casa, scelse di salire sul campanile della Chiesa. L’amico in un primo tempo fuggì per i campi poi tornò indietro perché avvistato e anche lui salì sul campanile, ma quando i nazifascisti giunsero in paese salirono a prenderlo e trovarono anche Carlo. Portarono in piazza i due ragazzini e aprirono una porticina che dal campanile portava nel sottotetto della Chiesa. Fortunatamente non entrarono nel sottotetto dove si erano nascosti i giovani di leva che avrebbero rischiato la deportazione.

Si accontentarono di impaurire Carlo e il suo amico puntando loro la pistola e perquisendoli malamente. Li rilasciarono ma la paura fu tanta sia per loro ma soprattutto per gli amici più grandi.

 


Strage a Perletto 13 Dicembre 1944

https://youtu.be/TCVyeHzmrJw  Abbate Carlo ricordo dell’Eccidio 13 12 44

Carlo, per raccontarci della strage a cui ha assistito nel 1944, accompagna me ed Alberto fino alla lapide e quando io, provocatoriamente gli chiedo cosa fosse successo in quel luogo, mi risponde stizzito: “que han massò terdèz partigian!”qui, hanno ammazzato tredici Partigiani! e accompagna le parole con un gesto della mano che in gergo langarolo significa: “lo sei o lo fai (lo scemo)?”


 Da qui si intravede, tra gli alberi, la torre Medievale di Perletto. Carlo si siede e mi spiega cosa successe. Come recita la lapide, il 13 Dicembre 1944 a Perletto, nella piazza e nella torre vi era una guarnigione di tedeschi e repubblichini, erano arrivati per effettuare rastrellamenti poiché sapevano che i Partigiani erano a San Giorgio Scarampi e dintorni. Infatti la settimana precedente, erano accampati nel cortile e attorno a casa sua che è posta in basso dove la strada dalla chiesetta fa quadrivio e si sale dal Bormida per andare a Perletto a destra, a sinistra per San Giorgio Scarampi, quindi al Bricco dell’Eccidio e avanti, appunto, per le case degli Abbate. I Partigiani avevano chiesto al padre di Carlo, Luigi Abbate del 1892 di accompagnarli con i buoi a San Giorgio. Caricarono munizioni, armi e vettovaglie sul carro e Luigi mandò il mezzadro Noto e Carlo con i Partigiani. Carlo si rammenta di un fatto e mi chiede se può raccontarlo. Sono ben felice di ascoltarlo! Aveva solo quattordici anni ma fumava già, e i partigiani in segno di riconoscenza per la collaborazione avuta avevano offerto un pacchetto di sigarette a suo padre e uno a lui. Carlo che era un “ficheto”(curioso e sempre presente) vide che Capitan Tino aveva estratto le sigarette da uno zaino colmo di pacchetti e non lo perse di vista fino San Giorgio. Quando giunsero fu notte e lui aiutò a scaricare il carro. Furtivamente, nascose lo zaino col tabacco col proposito di “fregarlo”, però I partigiani li fecero fermare a cena con loro, quindi dopo cena volevano fumare e iniziarono a cercare lo zaino. Carlo si impaurì e  fece svanire il proposito di impadronirsi delle sigarette. Ricevette i ringraziamenti dai Partigiani per aver scovato lo zaino e ricevette un altro pacchetto.


Gli stessi Partigiani che aveva accompagnato alcuni giorni prima, il tredici dicembre, tornarono con un carro carico di vettovaglie e armi, sempre trainato da buoi di due contadini di San Giorgio e chiesero a Carlo di  sostituire i buoi . Lui e il padre avvisarono che in piazza a Perletto vi erano i nazifascisti e che non dovevano esitare a fuggire e andare a nascondersi, ma questi “ran grignà nà vòta!) (risero beffardi). Il capitano “Tino” comprese il pericolo e disse:” rapidi, andiamo!” Ma non vi fu il tempo di fuggire. Dalla casa, poco sopra al luogo del monumento vi era, e vi è tuttora, l’abitazione dei genitori del Partigiano Abbate Delmo con nome di battaglia “Binda”, dove erano nascosti alcuni Partigiani compagni suoi. Il cugino di Carlo vide che i primi a sparare furono Delmo e i suoi compagni e addirittura trovò dei proiettili conficcati nel “mo”(gelso) davanti a casa sua.  I nazifascisti da Perletto, risposero al fuoco e pensando che gli spari  provenissero da quel gruppo che vedevano con il carro iniziarono a mirare agli uomini di Capitan Tino, i primi a cadere furono i buoi. I Partigiani fuggirono proprio per di qua dove ora vi è il Cippo con la Lapide ma furono raggiunti dai proiettili e caddero uccisi o feriti. Si salvò soltanto il Partigiano “Naviga” che mandato in avanscoperta, quando sentì i proiettili sibilare dietro la schiena: “riuscì a correre via leggero, salvato da una sigaretta di trinciato forte e da un soprannome che lo aiutava a barcamenarsi tra le avversità” Da qui non se ne va nessuno Alba Parietti ed. Mondadori.

 Anche il gruppo di Binda fuggì nei boschi del Rio Tatorba e non fu individuato dai nazi-fascisti.

Carlo ricorda che da Perletto giunse un fascista che imbracciando l’arma disse a Noto, il mezzadro degli Abbate: < vai dentro vecchietto!>, poi inseguì i due contadini(proprietario e garzone) dei buoi di San Giorgio che fuggivano e credendoli partigiani li uccise.

BOGLIOLO  FRANCESCO DI GIUSEPPE S. GIORGIO SCARAMPI (AT/I) il 05/05/1894

SAN. GIORGIO SCARAMPI (AT/I)

Contadino

CVL V DIV MONFERRATO

Luogo di morte: PERLETTO (CN/I) il 13/12/1944

AVRAMO PIETRO DI FRANCESCO SEROLE (AT/I) il 1922

S. GIORGIO SCARAMPI (AT/I)

Contadino CVL V DIV MONFERRATO

Luogo di morte: PERLETTO (CN/I) il 13/12/1944

 

 


PARTIGIANO AUGUSTO BOBBIO Torino 06 Marzo 1908 Farmacista nome di battaglia Capitan Tino

Capitano AUGUSTO BOBBIO medaglia d'argento, comandante la quinta divisione Monferrato.

Da quando, nella primavera del 1944, ebbe dal comandante Mauri l'incarico di inquadrare le varie squadre di partigiani autonomi che operavano nelle basse Langhe e nell'Astigiano,  formate da animosi che agivano indipendenti l'una dalle altre con scarsi risultati, fece una efficace e disciplinata unità guerriera che assunse la denominazione di « Brigata Asti ». Divenne una delle figure più popolari di tutta la zona.

 

In seguito al rastrellamento iniziato dai nazifascisti con imponenti mezzi bellici nell'astigiano, le formazioni dei partigiani dovettero ripiegare sulle Langhe, ma anche qui forti reparti di tedeschi e di repubblichini, provenienti da più parti, dominavano ormai i punti più importanti.

Il giorno 13 dicembre 1944 a Perletto i partigiani avvistarono il nemico. Il capitano Tino ordinò

al grosso dei suoi uomini di rifugiarsi in un canalone protetto e, quindi, di cercare di raggiungere Cortemilia per via non battuta.

Personalmente invece, assunse il comando della squadra che scortava il carro sul quale si trovavano le munizioni, carico troppo prezioso per essere abbandonato. Temeraria impresa. Tutti gli ufficiali cercarono di convincere il capitano Tino a desistere dal proposito di comandare la squadra, offrendosi di sostituirlo. Inutilmente: « Dove c'è più pericolo là è il mio posto ». E cadde. Fu proposto per la medaglia d'oro. Il comandante Mauri, nella commemorazione fattane al colle di San Bernardo sopra Mondovì, disse di lui : «II capitano Tino viene alla testa della sua quinta divisione. Ha le gambe stroncate e un foro sanguinante gli attraversa la fronte serena: pare ancora che campeggi come sugli spalti di Perletto, e come Orlando a Roncisvalle chiami a battaglia i suoi uomini : i morti e i vivi ».

 

 

 


 

 

 PARTIGIANO MARIO MAGENTA nome di battaglia”Barba”

Partigiano, classe 1923.« In servizio presso le formazioni dipendenti dall'ottobre 1943

al 13 dicembre 1944.

Ottimo elemento partigiano. Appartenente alla

squadra Comando di questa Divisione, il

giorno 13 dicembre 1944 in zona Perletto

(Cuneo), durante uno scontro con forze avversarie

nazi-fasciste cadeva in combattimento, colpito da una

raffica di arma automatica avversaria ». (Alessandria, 31 luglio

1945 - Dichiarazione del comandante cap. COPA).

 

 Ponte di Perletto 12 Febbraio 1945

 



 Carlo  ricorda l’antefatto che portò all’uccisione dei 20 Partigiani al ponte di Perletto. Si disse che avvenne il tradimento di “Suss” il partigiano che passò con i fascisti.

La strage del ponte di Perletto del 12 Febbraio 1945 fu opera degli arditi del 3°gruppo esploratori della divisione San Marco, che aveva sede a Monastero Bormida, famosi perché non facevano prigionieri. Tutti i Partigiani che venivano catturati con le armi o senza armi, venivano immediatamente uccisi. Comandava il tenente colonnello Vito Marcianò. Il Testimone oculare  Carlo Abbate(Perletto 1930), ricorda di avere visto “finire” con un colpo alla testa i Partigiani feriti e mitragliare quelli che tentavano di fuggire. L’operazione degli arditi era denominata “Drago” .

Come racconta l’ardito Lamura:<….il mio plotone scese verso Vesime, in direzione di Cortemilia, zona di notevole importanza per i Partigiani perché anche sede di una pista di atterraggio per piccoli aerei, utilizzata per ricevere rifornimenti di armi, munizioni, generi di conforto e per l’invio di ufficiali istruttori per lo più inglesi, con il compito di organizzare, assistere e guidare le bande……. > Questo ardito e un altro raccontano con dovizia di particolari l’incontro – scontro con i Partigiani al ponte di Perletto. Il racconto di questi è confermato da Carlo Abbate che seppe che i Partigiani della IX Brigata Garibaldi furono traditi(afferma Carlo Abbate: Suss, li conosceva tutti, li chiamò tutti per nome!)   e questi credettero che gli arditi fossero dei Partigiani, tantè che fino all’ultimo non capirono di avere di fronte i fascisti. Erano in venti e solo due si salvarono gettandosi nel fiume Bormida, erano due giovani di Cairo Montenotte Lidio Milanese e Sergio Barbieri. 

Carlo Abbate scrollando la testa aggiunge:” ‘ntèr 47 r’an faje èl procèss. L’avo massaiè tucc, anche coi chi l’avo aossò le man per arèndisse e i frì ancora viv. L’an condanaje tucc ma l’an nènt andà an pèrzon, anche èl colonèl Marcianò l’an condanalo per CRIMINI di guerra ma o là nènt scontà ni l’ergastolo(pena commutata) ni i vint agn èd carcere!” Nel 1947 fecero il processo. Fu definito che avevano ucciso tutti, anche quelli avevano alzato le mani per arrendersi e chi ancora vivo era ferito. Li condannarono tutti ma nessuno andò in prigione, anche il colonnello Marcianò fu condannato per Crimini di guerra ed ebbe l’ergastolo  commutato in 20 anni di carcere che non scontò mai.

 

 

 


 IL PRETE E IL DONO DELL’UBIQUITÀ

CARLO ABBATE:<Ai tempi di mio padre, si raccontava del Prete che ritirava i “libri del Comando” e lui stesso aveva il dono dell’ubiquità.

Il Parroco aveva la vigna fuori dal paese di Perletto e per difendersi dai “furti di uva” che realizzavano i contadini del posto, poichè avevano fame, aveva escogitato un sistema che sbalordiva la gente!

Si mostrava in Chiesa per celebrare la Messa e contemporaneamente girava per la vigna a fare la guardia.

Questa capacità di essere in due posti contemporaneamente, dicevano fosse dovuta allo studio e all’utilizzo dei “libri” che aveva requisito alle "masche".

                                                                        

 LA MASCA “Salvatora”

 < Mio padre raccontava della “Masca Salvatora” che era terribile. Si andava a raccogliere il “fojach” fogliame per la stalla con il carro e i buoi, e sovente gli animali si bloccavano e non si muovevano più! Si diceva fosse “la Salvatora”! perché?r’avo faje giré r’anima” (l’avevano fatta innervosire!)

Un altro fatto addebitato alla Salvatora” è questo:

Mia nonna , quando era da maritare viveva in una Località detta “an Patin”. Erano cinque sorelle e successe che stavano lavorando nella cantina un po’ distante dalla casa con i genitori. Ad un certo punto sentirono il pianto della bimba più piccola che era in casa nella culla. Accorsero e videro che una pecora si stava allontanando con la bimba fasciata in bocca. La rincorsero e la costrinsero a mollare il fagotto con la piccola piangente. Si disse fosse stata la Salvatora che si era trasformata in pecora e aveva rapito la bambina per rifarsi di un torto subito.

La bimba crebbe ma fu “nozija” a causa di quel fatto e anche in età adulta ebbe sempre problemi di salute. Si sposò dalle parti di Neive ma non ebbe vita lunga.

 


 Il NONNO E IL “MASCONE in fin di vita”

< La famiglia Abbate del nonno Carlo, prima di venire ad abitare qui viveva lungo il Bormida. Ti parlo dell’800 neh!

Io non l’ho conosciuto il nonno poiché morì giovane, ma mio padre mi raccontò.

In paese, viveva un uomo che possedeva il libro del “Comando”. In punto di morte fece chiamare mio nonno per affidargli il libro. Questo uomo era un manovale che aveva lavorato per il nonno che a quei tempi aveva già due cascine e molti terreni.

Il nonno si recò al capezzale dell’uomo e questi voleva dargli il libro. Lo aprì e lo fece leggere, ma ad un certo punto il nonno si sentì “invadere” tutto il corpo da un’inspiegabile sensazione e nonostante il vecchio morente insistesse affinchè continuasse a leggere, lui fuggì spaventato e non prese il libro. Questo uomo possedeva il libro, ma non faceva nulla di male, al contrario di altri che invece spaventavano le persone. Qui a Perletto ce n'era anche un altro che aveva il libro del "comando" ma era buono e guariva le persone!

LA MASCA "BUONA" DI VESIME

< La mia famiglia aveva i buoi e quando venivano anziani li cambiava con bestie più giovani .

Una donna di Vesime, ogni anno, nell’autunno/inverno passava a chiedere la "carità". Aveva una sua casupola ma nessun sostentamento e quindi girava le cascine per chiedere un po’ di fagioli o altro.

Quel 13 Dicembre, giorno della Fiera di Vesime, mio nonno era pronto per andare a vendere un bue che , troppo vecchio ”ò soffiava!” respirava a fatica.  Sperava di riuscire ancora a venderlo prima che fosse troppo tardi!. La donna che aveva qualche “potere” grazie al “Libro del Comando”, disse: “andate pure a vendere questo bue” che presto si metterà a stare bene!” Il nonno e mio padre con un sorriso di incredulità, si avviarono e giunti al Ponte di Perletto, che a quel tempo era solo una passerella di legno, temettero di doversi fermare poiché il bue zoppicava e respirava sempre peggio. Tuttavia, memori delle parole della vecchietta, procedettero e quando furono vicino a Vesime notarono che la bestia stava meglio e procedeva spedito. Raggiunsero la Fiera e vendettero il bue come bestia sana a una cifra che non avrebbero mai più pensato di realizzare. Praticamente la donna di Vesime per ricompensare la famiglia di mio nonno per la benevolenza con la quale l’avevano sempre trattata, aveva provveduto a guarire il bue che diversamente sarebbe stato valutato da macello!