sabato 11 novembre 2023

FACELLO VIGLINO LUIGINA ALBA 1925

 

FACELLO VIGLINO LUIGINA ALBA 1925

 









Luigina nacque ad Alba nel 1925 da Rosina Boffa e da Facello Giuseppe del 1899.     

<Vivevamo in via Fiume nella casa operaia con “ra galeria” balconi. Il papà morì in Tanaro nel 1929, inghiottito da un mulinello “gorgh” quando io avevo appena quattro anni.

Mamma Rosina sposò in seconde nozze Carlo Necade del 1903 dal quale nascerà il fratello Enrico, grande fotografo di Langa. Ho un bellissimo ricordo di papà Carlo che fu un ottimo padre sia per me che per Enrico.

Il padre Carlo lavorava presso un laboratorio di calze in via Parruzza, ma lo stipendio era misero e così decise di recarsi in Germania a lavorare. A Stoccarda trovò un lavoro ben remunerato, ma con l’8 settembre 1943 si trovò impedito dal rientrare in Italia. Caso volle che  a Marzo 1944 venne a morire sua madre e così con i tre fratelli arruolati e al fronte, come primogenito ottenne un permesso di 15 giorni per il funerale. Avrebbe dovuto rientrare ma si recò da un medico tedesco a Cuneo che riconosciuto il gonfiore alle ginocchia dovuto al lavoro nell’acqua a causa dell’alluvione della Cherasca, gli prolungò la convalescenza. Carlo, al termine della degenza di ulteriori 15 giorni non ripartì e si nascose per non essere richiamato alle armi. Gli altri tre fratelli soffrirono la prigionia di guerra e la povera nonna seppe dal figlio Aldo che era in Albania poiché con uno stratagemma evitò la “censura” e le fece sapere di aggiungere –NIA-  alla città e avrebbe ottenuto il luogo dove si trovava il figlio: ALBA-NIA. Fortunatamente tornarono tutti e tre e vissero a lungo, ma non ritrovarono la loro mamma.

Uno dei fratelli di papà per ovviare alla scarsità di lavoro qui in Italia, si trasferì in Marocco con moglie e figli. Lui era un bravo falegname e riuscì nei primi tempi a guadagnare sufficientemente da vivere, poi sorsero grosse difficoltà e patì tribolazioni con tutta la famiglia, non riuscì più a tornare in Italia.

PERIODO DEL FASCIO Ricordo che da orfana di padre ebbi diritto ad un Libretto con dei contributi per la pensione e rammento in modo piacevole le esercitazioni e le premiazioni a cui partecipai da Caposquadra come giovane fascista. Anche il fratello Enrico del 1935 partecipava alle parate con divisa. Furono periodi che per noi ragazzini vennero vissuti come un gioco e quindi piacevoli.

A 14 DA COMMESSA DA GRAZIANO TESSUTI

A 14 anni fui avviata al lavoro di Commessa nel negozio di Graziano Tessuti e vi rimasi  per 14 anni. L’enorme casa di piazza San Giovanni venne protetta dai bombardamenti con una grande Stella rossa che stava ad indicare che era un servizio pubblico. Nel periodo del fascismo vi era anche la Tessera per i tessuti! L’autarchia stava creando notevoli problemi: alcune materia prime non potevano essere prodotte in Italia. Seta e lino si coltivavano facilmente nella penisola, mentre per il cotone – che sarebbe dovuto provenire dall’Etiopia – gli industriali italiani non erano stati capaci di ottenere quantità soddisfacenti; la lana delle pecore abruzzesi non poteva certo competere per qualità e abbondanza con quella inglese. Nelle more di queste difficoltà, il Duce affermò perentoriamente che bisognava sostituire le fibre mancanti con altre naturali e artificiali: la canapa, il fiocco di ginestra, l’ortica, il raion. La lana fu invece sostituita dal “Lanital”, una fibra derivata dalla caseina contenuta nei residui di latte di capra, con cui si ottenevano maglie che cedevano e che si ingrossavano se inumidite. Per le pellicce di volpi argentate, di astrakan, di ermellino, i cincillà, i visoni, le stole, le giacche, si dovette ricorrere ai nostrani conigli, magari ritinti.

La Seconda guerra mondiale  peggiorò la situazione in modo drammatico: dal 1941 entrarono in vigore le tessere per l’abbigliamento, mentre si dovette ricorrere sempre di più a materiali poveri. Fu obbligatorio risparmiare sui tessuti e sul cuoio, che servivano per le uniformi dei nostri soldati; gli abiti si accorciarono addirittura sopra al al ginocchio, scomparvero le calze e la riga fu dipinta su polpaccio; gli strascichi degli abiti e da sposa da sera furono aboliti, mentre i giornali sembravano ignorare il problema.

 

LA VITA DI GUERRA IN ALBA

Riaffiora il ricordo della guerra in Alba: Luigina rammenta la partenza di almeno dieci giovani che vivevano nella grande casa di via Fiume e che non tornarono più.

<L’entrata in città per  “23 giorni” dei Partigiani e poi del rientro dei fascisti, furono momenti terribili, per la popolazione, poiché si viveva nel terrore degli spari e i rischi erano veramente tanti. Una volta io scampai ad un proiettile di granata che colpì il muro della casa davanti alla quale ero appena transitata. Quando i fascisti ripresero possesso della città si vissero grandi timori, poiché questi agli ordini del comandante Gagliardi erano sempre più incattiviti e la gente non sapeva come comportarsi. Ricordo che eravamo nel cortile adiacente a Piazza San Giovanni e Via Cavour dove vi era la sede del negozio e non osavamo uscire. Sentimmo suonare il Campanile del Duomo e preoccupati ci chiedevamo chi avesse avuto la meglio. Capimmo che erano tornati i fascisti quando fecero irruzione nel cortile e ci chiesero di esibire le carte d’identità. Il Gagliardi in persona chiese in malo modo ad un giovane del 1920 perché non stava svolgendo il servizio militare e questi gli mostrò l’arto di legno, altrimenti lo avrebbero arrestato per renitenza alla leva.

In un’altra occasione effettuarono un rastrellamento nel caseggiato dove abitavamo e fecero scendere tutti nel cortile. Individuarono un giovane che sarebbe stato di leva, ma fortunatamente, la sorella Maria abilmente promise al Gagliardi che sarebbe stata carina con lui. Questi se ne andò con Maria e suo fratello e gli abitanti, tutte donne e anziani furono lasciati tranquilli.

 

I POSTI DI BLOCCO

Da via Fiume, andavo al lavoro in P.zza Pertinace e ricordo che oltre la Cherasca vi erano i Partigiani, in via Parruzza vi era il primo posto di blocco dei fascisti e un altro in P.zza Monsignor Grassi. Per accedere al centro di Alba dove vi era il negozio Graziano, dove lavoravo doveva esibire la carta d’identità. La Mamma e la nonna sapendo che i militi fascisti potevano dar fastidio alle ragazze carine, mi dicevano di presentarmi ai posti di blocco, spettinata e “brutta” in modo di non destare troppe attenzioni.

 

I DUE LASCIAPASSARE DELLA SIGNORA GRAZIANO

La Sig.ra Graziano che si recava a Roddino alla Cascina mi raccontava che era in possesso di due “Lascia-passare” uno per i fascisti e uno per i Partigiani e aveva sempre il timore di sbagliarsi a presentare quello giusto, poiché sarebbe incorsa in grossi guai.

 

DIFFICOLTA’ PER REPERIRE VIVERI

Un giorno io la mamma Rosina, andammo a San Rocco Seno d’Elvio presso una cascina per acquistare qualcosa da mangiare anche per il fratellino Enrico di nove anni, e quando tornammo fummo avvisate da un conoscente di Loc. Boffa che se fossimo scese dal ponte della Cherasca avremmo trovato il “posto di blocco” dei fascisti e i “muti” ci avrebbero requisito quei pochi viveri. Allora la mamma evitò i “muti” procedendo lungo la Cherasca fino al Santuario della Madonna Moretta per rientrare alla nostra casa. Oltre a non trovare viveri in città si rischiava di essere derubati. Furono tempi veramente terribili.

TIMORE DEI BOMBARDAMENTI

Intanto Alba conobbe i primi bombardamenti. Si iniziò il 17 luglio, a metà mattinata, con tre morti. Altre vittime il 29 luglio. Bombe su Mussotto il 2 agosto, poi la cadenza accelerò: il 4 settembre, il 13, il 22, il 23. Quest’ultimo bombardamento colpì, in piazza San Paolo, gli edifici della Famiglia paolina, uccidendo due persone.

Obiettivo primo degli aerei anglo-americani fu il ponte sul Tanaro, gravemente danneggiato. Insieme a queste azioni, i partigiani cercarono di metterlo fuori uso con una tattica semplice, ma micidiale: quella di spedire da Castagnole verso Alba, alla massima velocità, un treno senza conducente che finì a sfracellarsi nel Tanaro. Un primo tentativo fallì il 26 luglio. Riprovarono, questa volta con successo, il 15 agosto.

Un altro grande spavento lo provammo il giorno che dapprima udimmo un forte rumore di aerei e poi vedemmo proprio in formazione i sette o otto Bombardieri nel cielo di Alba. Ci preparammo al peggio, e ci nascondemmo negli scantinati che fungevano da rifugio, ma che potevano anche essere delle trappole. Fortunatamente transitarono senza sganciare bombe. Si seppe che erano andati a bombardare il ponte sul Tanaro di Asti.

La paura dei bombardamenti condizionava persino nell’effettuazione dei funerali. Nel 1944 decedette mia zia Luigina ma non si potè effettuare nessun corteo poiché si temeva attirasse qualche bombardamento, e così fu condotta al cimitero alla spicciolata.

BOMBARDAMENTO  AL PONTE DI ALBA

Rcordo che ero nel negozio e stavo servendo una signora, eravamo intente a misurare una pezza di stoffa, più precisamente si trattava di un velluto rosso, quando un forte boato con annesso spostamento d’aria ci fece rotolare in fondo al negozio. Avevano bombardato il ponte sul Tanaro. Fortunatamente nessun danno alle persone, ma grande spavento.

LE SPARATORIE PER I 23 GG DI ALBA LIBERA

Prima dei 23 giorni di Alba Libera serpeggiava comunque una grande  paura in città poiché si incrociava tanta gente armata, inoltre i Partigiani sparavano dalle colline e i fascisti impaurivano con i loro metodi brutali. La gente usciva di casa il meno possibile, ma per andare al lavoro si correvano gravi rischi. I Partigiani sparavano dalla collina di Altavilla e a volte scendevano nella notte in città ed effettuavano sparatorie rifugiandosi proprio nelle case operaie che erano la prima periferia. Le famiglie si recavano a “cercar di dormire” dai parenti in centro città.

 Il disagio era anche provocato dal fatto che non si sapeva come comportarsi, in quanto poi arrivavano i fascisti a chiedere se si fossero visti i “ribelli”, e terrorizzavano donne, anziani e bambini. Quando effettuavano i rastrellamenti, con i militi e i “muti” vi erano dei ragazzotti fanatici che agitavano pericolosamente i fucili. Ricordo le loro parole: <adesso siamo alleati con i tedeschi e così gli uomini vengono deportati in Germania e con le donne facciamo il “sapone”!>. Queste parole, già in un clima di paura inorridiva ulteriormente le anziane nonne e le mogli che non avevano notizie dei figli e dei mariti in guerra.

MIO MARITO BEPPE VIGLINO

BEPPE VIGLINO PARTIGIANO “FERRERO”

VIGLINO  GIUSEPPE 

Data di nascita 08/01/1927  ALBA 

Nome di battaglia “FERRERO”  PATRIOTA 

Ultima formazione 3° DIV GL 3° BRG

Prima formazione 48° BRG

 GARIBALDI Dal 20/09/1944 Al 18/11/1944

PATRIOTA Dal 20/09/1944 Al 18/11/1944

3° DIV GL 3° BRG Dal 09/03/1945 Al 08/06/1945

Beppe, del 1927, abitava in Via Roma 12 dove il Dott. Longo che esercitava la professione di Medico in Ospedale aveva anche lo Studio. Ubbidendo al volere di una zia che aveva piacere che almeno un nipote frequentasse il Seminario per essere ordinato Prete, frequentò fino al Ginnasio le scuole seminariali, poi comprese che non era la sua strada e sospese gli studi. Già a 15 /16 anni era un ragazzone che pareva aver 20 anni e così rischiava di essere ritenuto un renitente alla leva. In quei tempi, racconta Luigina che diventerà sua moglie, doveva evitare di incontrare posti di blocco e perciò si nascondeva e si teneva “alla larga” dai fascisti. Ma non fu sufficiente, in quanto non riuscì a fuggire nel corso di un rastrellamento che effettuarono proprio dove abitava e non servì a nulla ribadire che aveva solo 17 anni. Fu condotto in Duomo e poi trasferito prima a Canale e poi nelle carceri a Torino. Raccontava, riferisce Luigina, che mentre con gli altri giovani attraversava il Tanaro vedeva i militi che appostati li tenevano sotto tiro. Già in quell’occasione temette di essere ucciso e nuovamente a Torino quando come tutti subì i terribili interrogatori dei comandanti fascisti( vedi racconto di Gianni Giordano 1925 Ricca di Diano d’Alba  circa gli interrogatori di Gagliardi che per farli parlare li colpiva al volto con il frustino).

Beppe, insieme ad altri fu rilasciato anche grazie all’impegno del Vescovo Monsignor Luigi Maria Grassi che convinse i fascisti e i Partigiani ad effettuare degli “scambi” di prigionieri.

Dalle ricerche effettuate si individuano date che potrebbero essere valide per risalire anche al periodo di deportazione a cui fu soggetto Beppe. Nel racconto di Sacco Maggiore Partigiano “Miller” su Alba Nostra e dalla sua Biografia dell’Archivio del Partigianato Piemontese

si evince che fu “deportato” dal 24 Dicembre ‘43 al 2 febbraio ’44 e per Beppe si deduce che si aggregò ai partigiani il 20 Settembre 44.

Come riferisce Luigina, Beppe quando fu rilasciato non si fidò più a rimanere in Alba o a nascondersi e si unì alla Banda partigiana della 48° Brigata Garibaldi





 

 

 

 

 

 

 

 

                                                 

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