FACELLO VIGLINO LUIGINA ALBA 1925
Luigina
nacque ad Alba nel 1925 da Rosina Boffa e da Facello Giuseppe del 1899.
<Vivevamo
in via Fiume nella casa operaia con “ra galeria” balconi. Il papà morì in Tanaro
nel 1929, inghiottito da un mulinello “gorgh” quando io avevo appena quattro
anni.
Mamma
Rosina sposò in seconde nozze Carlo Necade del 1903 dal quale nascerà il
fratello Enrico, grande fotografo di Langa. Ho un bellissimo ricordo di papà Carlo
che fu un ottimo padre sia per me che per Enrico.
Il padre
Carlo lavorava presso un laboratorio di calze in via Parruzza, ma lo stipendio
era misero e così decise di recarsi in Germania a lavorare. A Stoccarda trovò
un lavoro ben remunerato, ma con l’8 settembre 1943 si trovò impedito dal
rientrare in Italia. Caso volle che a
Marzo 1944 venne a morire sua madre e così con i tre fratelli arruolati e al
fronte, come primogenito ottenne un permesso di 15 giorni per il funerale.
Avrebbe dovuto rientrare ma si recò da un medico tedesco a Cuneo che
riconosciuto il gonfiore alle ginocchia dovuto al lavoro nell’acqua a causa
dell’alluvione della Cherasca, gli prolungò la convalescenza. Carlo, al termine
della degenza di ulteriori 15 giorni non ripartì e si nascose per non essere
richiamato alle armi. Gli altri tre fratelli soffrirono la prigionia di guerra e
la povera nonna seppe dal figlio Aldo che era in Albania poiché con uno
stratagemma evitò la “censura” e le fece sapere di aggiungere –NIA- alla città e avrebbe ottenuto il luogo dove si
trovava il figlio: ALBA-NIA. Fortunatamente tornarono tutti e tre e vissero a
lungo, ma non ritrovarono la loro mamma.
Uno dei
fratelli di papà per ovviare alla scarsità di lavoro qui in Italia, si trasferì
in Marocco con moglie e figli. Lui era un bravo falegname e riuscì nei primi
tempi a guadagnare sufficientemente da vivere, poi sorsero grosse difficoltà e
patì tribolazioni con tutta la famiglia, non riuscì più a tornare in Italia.
PERIODO DEL FASCIO Ricordo
che da orfana di padre ebbi diritto ad un Libretto con dei contributi per la
pensione e rammento in modo piacevole le esercitazioni e le premiazioni a cui
partecipai da Caposquadra come giovane fascista. Anche il fratello Enrico del
1935 partecipava alle parate con divisa. Furono periodi che per noi ragazzini
vennero vissuti come un gioco e quindi piacevoli.
A 14 DA COMMESSA DA GRAZIANO TESSUTI
A 14 anni
fui avviata al lavoro di Commessa nel negozio di Graziano Tessuti e vi rimasi per 14 anni. L’enorme casa di piazza San
Giovanni venne protetta dai bombardamenti con una grande Stella rossa che stava
ad indicare che era un servizio pubblico. Nel periodo del fascismo vi era anche
la Tessera per i tessuti! L’autarchia stava creando notevoli problemi: alcune
materia prime non potevano essere prodotte in Italia. Seta e lino si
coltivavano facilmente nella penisola, mentre per il cotone – che sarebbe
dovuto provenire dall’Etiopia – gli industriali italiani non erano stati capaci
di ottenere quantità soddisfacenti; la lana delle pecore abruzzesi non poteva
certo competere per qualità e abbondanza con quella inglese. Nelle more di
queste difficoltà, il Duce affermò perentoriamente che bisognava sostituire le
fibre mancanti con altre naturali e artificiali: la canapa, il fiocco di
ginestra, l’ortica, il raion. La lana fu invece sostituita dal “Lanital”, una
fibra derivata dalla caseina contenuta nei residui di latte di capra, con cui
si ottenevano maglie che cedevano e che si ingrossavano se inumidite. Per le
pellicce di volpi argentate, di astrakan, di ermellino, i cincillà, i visoni,
le stole, le giacche, si dovette ricorrere ai nostrani conigli, magari ritinti.
La
Seconda guerra mondiale peggiorò la situazione in modo drammatico:
dal 1941 entrarono in vigore le tessere per l’abbigliamento, mentre si dovette
ricorrere sempre di più a materiali poveri. Fu obbligatorio risparmiare sui
tessuti e sul cuoio, che servivano per le uniformi dei nostri soldati; gli
abiti si accorciarono addirittura sopra al al ginocchio, scomparvero le calze e
la riga fu dipinta su polpaccio; gli strascichi degli abiti e da sposa da sera
furono aboliti, mentre i giornali sembravano ignorare il problema.
LA
VITA DI GUERRA IN ALBA
Riaffiora il ricordo della guerra in Alba: Luigina
rammenta la partenza di almeno dieci giovani che vivevano nella grande casa di
via Fiume e che non tornarono più.
<L’entrata in città per “23 giorni” dei Partigiani e poi del rientro
dei fascisti, furono momenti terribili, per la popolazione, poiché si viveva
nel terrore degli spari e i rischi erano veramente tanti. Una volta io scampai
ad un proiettile di granata che colpì il muro della casa davanti alla quale ero
appena transitata. Quando i fascisti ripresero possesso della città si vissero
grandi timori, poiché questi agli ordini del comandante Gagliardi erano sempre
più incattiviti e la gente non sapeva come comportarsi. Ricordo che eravamo nel
cortile adiacente a Piazza San Giovanni e Via Cavour dove vi era la sede del
negozio e non osavamo uscire. Sentimmo suonare il Campanile del Duomo e
preoccupati ci chiedevamo chi avesse avuto la meglio. Capimmo che erano tornati
i fascisti quando fecero irruzione nel cortile e ci chiesero di esibire le
carte d’identità. Il Gagliardi in persona chiese in malo modo ad un giovane del
1920 perché non stava svolgendo il servizio militare e questi gli mostrò l’arto
di legno, altrimenti lo avrebbero arrestato per renitenza alla leva.
In un’altra occasione effettuarono un
rastrellamento nel caseggiato dove abitavamo e fecero scendere tutti nel
cortile. Individuarono un giovane che sarebbe stato di leva, ma fortunatamente,
la sorella Maria abilmente promise al Gagliardi che sarebbe stata carina con
lui. Questi se ne andò con Maria e suo fratello e gli abitanti, tutte donne e
anziani furono lasciati tranquilli.
I
POSTI DI BLOCCO
Da via Fiume, andavo al lavoro in P.zza Pertinace e
ricordo che oltre la Cherasca vi erano i Partigiani, in via Parruzza vi era il
primo posto di blocco dei fascisti e un altro in P.zza Monsignor Grassi. Per
accedere al centro di Alba dove vi era il negozio Graziano, dove lavoravo
doveva esibire la carta d’identità. La Mamma e la nonna sapendo che i militi
fascisti potevano dar fastidio alle ragazze carine, mi dicevano di presentarmi
ai posti di blocco, spettinata e “brutta” in modo di non destare troppe attenzioni.
I
DUE LASCIAPASSARE DELLA SIGNORA GRAZIANO
La Sig.ra Graziano che si recava a Roddino alla
Cascina mi raccontava che era in possesso di due “Lascia-passare” uno per i
fascisti e uno per i Partigiani e aveva sempre il timore di sbagliarsi a
presentare quello giusto, poiché sarebbe incorsa in grossi guai.
DIFFICOLTA’ PER REPERIRE VIVERI
Un giorno
io la mamma Rosina, andammo a San Rocco Seno d’Elvio presso una cascina per acquistare
qualcosa da mangiare anche per il fratellino Enrico di nove anni, e quando
tornammo fummo avvisate da un conoscente di Loc. Boffa che se fossimo scese dal
ponte della Cherasca avremmo trovato il “posto di blocco” dei fascisti e i
“muti” ci avrebbero requisito quei pochi viveri. Allora la mamma evitò i “muti”
procedendo lungo la Cherasca fino al Santuario della Madonna Moretta per
rientrare alla nostra casa. Oltre a non trovare viveri in città si rischiava di
essere derubati. Furono tempi veramente terribili.
TIMORE
DEI BOMBARDAMENTI
Intanto Alba conobbe i primi bombardamenti. Si iniziò
il 17 luglio, a metà mattinata, con tre morti. Altre vittime il 29 luglio. Bombe
su Mussotto il 2 agosto, poi la cadenza accelerò: il 4 settembre, il 13, il 22,
il 23. Quest’ultimo bombardamento colpì, in piazza San Paolo, gli edifici della
Famiglia paolina, uccidendo due persone.
Obiettivo primo degli aerei anglo-americani fu il
ponte sul Tanaro, gravemente danneggiato. Insieme a queste azioni, i partigiani
cercarono di metterlo fuori uso con una tattica semplice, ma micidiale: quella
di spedire da Castagnole verso Alba, alla massima velocità, un treno senza
conducente che finì a sfracellarsi nel Tanaro. Un primo tentativo fallì il 26
luglio. Riprovarono, questa volta con successo, il 15 agosto.
Un altro
grande spavento lo provammo il giorno che dapprima udimmo un forte rumore di
aerei e poi vedemmo proprio in formazione i sette o otto Bombardieri nel cielo
di Alba. Ci preparammo al peggio, e ci nascondemmo negli scantinati che
fungevano da rifugio, ma che potevano anche essere delle trappole.
Fortunatamente transitarono senza sganciare bombe. Si seppe che erano andati a
bombardare il ponte sul Tanaro di Asti.
La paura
dei bombardamenti condizionava persino nell’effettuazione dei funerali. Nel
1944 decedette mia zia Luigina ma non si potè effettuare nessun corteo poiché
si temeva attirasse qualche bombardamento, e così fu condotta al cimitero alla
spicciolata.
BOMBARDAMENTO AL
PONTE DI ALBA
Rcordo
che ero nel negozio e stavo servendo una signora, eravamo intente a misurare
una pezza di stoffa, più precisamente si trattava di un velluto rosso, quando
un forte boato con annesso spostamento d’aria ci fece rotolare in fondo al
negozio. Avevano bombardato il ponte sul Tanaro. Fortunatamente nessun danno
alle persone, ma grande spavento.
LE SPARATORIE PER I 23 GG DI ALBA LIBERA
Prima dei
23 giorni di Alba Libera serpeggiava comunque una grande paura in città poiché si incrociava tanta
gente armata, inoltre i Partigiani sparavano dalle colline e i fascisti
impaurivano con i loro metodi brutali. La gente usciva di casa il meno
possibile, ma per andare al lavoro si correvano gravi rischi. I Partigiani
sparavano dalla collina di Altavilla e a volte scendevano nella notte in città
ed effettuavano sparatorie rifugiandosi proprio nelle case operaie che erano la
prima periferia. Le famiglie si recavano a “cercar di dormire” dai parenti in
centro città.
Il disagio era anche provocato dal fatto che
non si sapeva come comportarsi, in quanto poi arrivavano i fascisti a chiedere
se si fossero visti i “ribelli”, e terrorizzavano donne, anziani e bambini.
Quando effettuavano i rastrellamenti, con i militi e i “muti” vi erano dei
ragazzotti fanatici che agitavano pericolosamente i fucili. Ricordo le loro
parole: <adesso siamo alleati con i tedeschi e così gli uomini vengono
deportati in Germania e con le donne facciamo il “sapone”!>. Queste parole,
già in un clima di paura inorridiva ulteriormente le anziane nonne e le mogli
che non avevano notizie dei figli e dei mariti in guerra.
MIO MARITO BEPPE VIGLINO
BEPPE VIGLINO PARTIGIANO “FERRERO”
VIGLINO GIUSEPPE
Data di
nascita 08/01/1927 ALBA
Nome di battaglia “FERRERO” PATRIOTA
Ultima formazione 3° DIV
GL 3° BRG
Prima formazione 48° BRG
GARIBALDI Dal 20/09/1944 Al 18/11/1944
PATRIOTA Dal 20/09/1944 Al 18/11/1944
3° DIV GL 3°
BRG Dal 09/03/1945 Al 08/06/1945
Beppe, del 1927, abitava in Via Roma 12 dove il Dott. Longo che esercitava la professione di Medico in Ospedale aveva anche lo Studio. Ubbidendo al volere di una zia che aveva piacere che almeno un nipote frequentasse il Seminario per essere ordinato Prete, frequentò fino al Ginnasio le scuole seminariali, poi comprese che non era la sua strada e sospese gli studi. Già a 15 /16 anni era un ragazzone che pareva aver 20 anni e così rischiava di essere ritenuto un renitente alla leva. In quei tempi, racconta Luigina che diventerà sua moglie, doveva evitare di incontrare posti di blocco e perciò si nascondeva e si teneva “alla larga” dai fascisti. Ma non fu sufficiente, in quanto non riuscì a fuggire nel corso di un rastrellamento che effettuarono proprio dove abitava e non servì a nulla ribadire che aveva solo 17 anni. Fu condotto in Duomo e poi trasferito prima a Canale e poi nelle carceri a Torino. Raccontava, riferisce Luigina, che mentre con gli altri giovani attraversava il Tanaro vedeva i militi che appostati li tenevano sotto tiro. Già in quell’occasione temette di essere ucciso e nuovamente a Torino quando come tutti subì i terribili interrogatori dei comandanti fascisti( vedi racconto di Gianni Giordano 1925 Ricca di Diano d’Alba circa gli interrogatori di Gagliardi che per farli parlare li colpiva al volto con il frustino).
Beppe, insieme ad altri fu rilasciato anche grazie
all’impegno del Vescovo Monsignor Luigi Maria Grassi che convinse i fascisti e
i Partigiani ad effettuare degli “scambi” di prigionieri.
Dalle ricerche effettuate si individuano date che
potrebbero essere valide per risalire anche al periodo di deportazione a cui fu
soggetto Beppe. Nel racconto di Sacco Maggiore Partigiano “Miller” su Alba
Nostra e dalla sua Biografia dell’Archivio del Partigianato Piemontese
si evince che fu “deportato” dal 24 Dicembre ‘43 al
2 febbraio ’44 e per Beppe si deduce che si aggregò ai partigiani il 20
Settembre 44.
Come riferisce Luigina, Beppe quando fu rilasciato non si fidò più a rimanere in Alba o a nascondersi e si unì alla Banda partigiana della 48° Brigata Garibaldi
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