Il papà di Carlo nacque a Perletto nel 1892 e partecipò alla Prima Guerra Mondiale, fu nominato Cav. Di Vittorio Veneto.
La scuola e le esercitazioni fasciste
Carlo
Abbate nacque nel 1930 proprio nella casa dove abita ora. Frequentò fino alla
classe quarta a Perletto, poi dovette recarsi a Cortemilia per la classe quinta
che venne istituita l’anno successivo nel suo paese. Per andare a Cortemilia
percorreva i quattro chilometri a piedi col bel tempo e con la neve. Frequentò
per tre anni compresi i due di avviamento. Non terminò questo corso di studi
poiché avrebbe dovuto recarsi ad Alba e vi era la guerra, per cui sospese gli
studi.
A
Cortemilia vi era il segretario politico del fascio, il maestro Pace, che da
fervente fascista voleva che tutti gli allievi partecipassero all’istruzione
con il medaglione con l’effige di Mussolini e il foulard del fascio al collo,
per chi non poteva acquistarlo vi era il Patronato che provvedeva.
Per due volte nelle mani dei nazi fascisti
Carlo
aveva 13 /14 anni nel 1943/44 e dice che ricorda di essere sempre stato “nel
mezzo dei fatti d’armi che successero a Perletto”. Non aveva paura e per questo
fu preso due volte nelle fasi dei rastrellamenti.
Una prima
volta successe che i nazifascisti, non essendo riusciti a prendere i
partigiani, che erano riusciti a fuggire, arrestavano e incolonnavano tutte le
persone che fermavano di notte. Lui uscì di casa pensando che per la sua
giovane età non gli avrebbero detto nulla, invece fu preso e inserito nel
gruppo degli ostaggi da fucilare se fosse stato ferito o ucciso un soldato
tedesco. Lui cercò di sgusciare fuori dalla fila per nascondersi dietro il
pilastro della casa dello zio, ma fu notato e un nazifascista lo prelevò e lo
strattonò in prima fila, così sarebbe stato fucilato se fosse successo qualche
incidente con i partigiani.
In
un’altra occasione fu di Domenica pomeriggio, Carlo e un suo coetaneo erano
nella piazza di Perletto che giocavano al “balon” con dei giovani di leva e
perciò ricercati dai nazifascisti. Videro che vi era una colonna ci
repubblichini e tedeschi che saliva nel
paese. Tutti corsero a nascondersi e anche Carlo capendo che non vi era tempo
di tornare a casa, scelse di salire sul campanile della Chiesa. L’amico in un
primo tempo fuggì per i campi poi tornò indietro perché avvistato e anche lui
salì sul campanile, ma quando i nazifascisti giunsero in paese salirono a
prenderlo e trovarono anche Carlo. Portarono in piazza i due ragazzini e
aprirono una porticina che dal campanile portava nel sottotetto della Chiesa.
Fortunatamente non entrarono nel sottotetto dove si erano nascosti i giovani di
leva che avrebbero rischiato la deportazione.
Si
accontentarono di impaurire Carlo e il suo amico puntando loro la pistola e
perquisendoli malamente. Li rilasciarono ma la paura fu tanta sia per loro ma
soprattutto per gli amici più grandi.
Strage a Perletto 13 Dicembre 1944
Carlo, per raccontarci della strage a cui ha assistito nel 1944, accompagna me ed Alberto fino alla lapide e quando io, provocatoriamente gli chiedo cosa fosse successo in quel luogo, mi risponde stizzito: “que han massò terdèz partigian!”qui, hanno ammazzato tredici Partigiani! e accompagna le parole con un gesto della mano che in gergo langarolo significa: “lo sei o lo fai (lo scemo)?”
Da qui si intravede, tra gli alberi, la torre Medievale di Perletto. Carlo si siede e mi spiega cosa successe. Come recita la lapide, il 13 Dicembre 1944 a Perletto, nella piazza e nella torre vi era una guarnigione di tedeschi e repubblichini, erano arrivati per effettuare rastrellamenti poiché sapevano che i Partigiani erano a San Giorgio Scarampi e dintorni. Infatti la settimana precedente, erano accampati nel cortile e attorno a casa sua che è posta in basso dove la strada dalla chiesetta fa quadrivio e si sale dal Bormida per andare a Perletto a destra, a sinistra per San Giorgio Scarampi, quindi al Bricco dell’Eccidio e avanti, appunto, per le case degli Abbate. I Partigiani avevano chiesto al padre di Carlo, Luigi Abbate del 1892 di accompagnarli con i buoi a San Giorgio. Caricarono munizioni, armi e vettovaglie sul carro e Luigi mandò il mezzadro Noto e Carlo con i Partigiani. Carlo si rammenta di un fatto e mi chiede se può raccontarlo. Sono ben felice di ascoltarlo! Aveva solo quattordici anni ma fumava già, e i partigiani in segno di riconoscenza per la collaborazione avuta avevano offerto un pacchetto di sigarette a suo padre e uno a lui. Carlo che era un “ficheto”(curioso e sempre presente) vide che Capitan Tino aveva estratto le sigarette da uno zaino colmo di pacchetti e non lo perse di vista fino San Giorgio. Quando giunsero fu notte e lui aiutò a scaricare il carro. Furtivamente, nascose lo zaino col tabacco col proposito di “fregarlo”, però I partigiani li fecero fermare a cena con loro, quindi dopo cena volevano fumare e iniziarono a cercare lo zaino. Carlo si impaurì e fece svanire il proposito di impadronirsi delle sigarette. Ricevette i ringraziamenti dai Partigiani per aver scovato lo zaino e ricevette un altro pacchetto.
Gli
stessi Partigiani che aveva accompagnato alcuni giorni prima, il tredici
dicembre, tornarono con un carro carico di vettovaglie e armi, sempre trainato
da buoi di due contadini di San Giorgio e chiesero a Carlo di sostituire i buoi . Lui e il padre avvisarono
che in piazza a Perletto vi erano i nazifascisti e che non dovevano esitare a
fuggire e andare a nascondersi, ma questi “ran grignà nà vòta!) (risero
beffardi). Il capitano “Tino” comprese il pericolo e disse:” rapidi, andiamo!”
Ma non vi fu il tempo di fuggire. Dalla casa, poco sopra al luogo del monumento
vi era, e vi è tuttora, l’abitazione dei genitori del Partigiano Abbate Delmo
con nome di battaglia “Binda”, dove erano nascosti alcuni Partigiani compagni
suoi. Il cugino di Carlo vide che i primi a sparare furono Delmo e i suoi
compagni e addirittura trovò dei proiettili conficcati nel “mo”(gelso) davanti
a casa sua. I nazifascisti da Perletto,
risposero al fuoco e pensando che gli spari
provenissero da quel gruppo che vedevano con il carro iniziarono a
mirare agli uomini di Capitan Tino, i primi a cadere furono i buoi. I
Partigiani fuggirono proprio per di qua dove ora vi è il Cippo con la Lapide ma
furono raggiunti dai proiettili e caddero uccisi o feriti. Si salvò soltanto il
Partigiano “Naviga” che mandato in avanscoperta, quando sentì i proiettili
sibilare dietro la schiena: “riuscì a correre via leggero, salvato da una
sigaretta di trinciato forte e da un soprannome che lo aiutava a barcamenarsi
tra le avversità” Da qui non se ne va nessuno Alba Parietti ed. Mondadori.
Anche il gruppo di Binda fuggì nei boschi del
Rio Tatorba e non fu individuato dai nazi-fascisti.
Carlo
ricorda che da Perletto giunse un fascista che imbracciando l’arma disse a
Noto, il mezzadro degli Abbate: < vai dentro vecchietto!>, poi inseguì i
due contadini(proprietario e garzone) dei buoi di San Giorgio che fuggivano e
credendoli partigiani li uccise.
BOGLIOLO FRANCESCO DI GIUSEPPE S. GIORGIO SCARAMPI (AT/I) il 05/05/1894
SAN. GIORGIO SCARAMPI (AT/I)
Contadino
CVL V DIV MONFERRATO
Luogo di morte: PERLETTO (CN/I) il 13/12/1944
AVRAMO PIETRO DI FRANCESCO SEROLE (AT/I) il 1922
S. GIORGIO SCARAMPI (AT/I)
Contadino CVL V DIV MONFERRATO
Luogo di morte: PERLETTO (CN/I) il 13/12/1944
PARTIGIANO AUGUSTO BOBBIO Torino 06 Marzo 1908 Farmacista nome di battaglia Capitan Tino
Capitano AUGUSTO BOBBIO medaglia d'argento, comandante
la quinta divisione Monferrato.
Da quando, nella primavera del 1944, ebbe dal comandante Mauri l'incarico di inquadrare le varie squadre di partigiani autonomi che operavano nelle basse Langhe e nell'Astigiano, formate da animosi che agivano indipendenti l'una dalle altre con scarsi risultati, fece una efficace e disciplinata unità guerriera che assunse la denominazione di « Brigata Asti ». Divenne una delle figure più popolari di tutta la zona.
In seguito al rastrellamento iniziato dai
nazifascisti con imponenti mezzi bellici nell'astigiano, le formazioni dei
partigiani dovettero ripiegare sulle Langhe, ma anche qui forti reparti di
tedeschi e di repubblichini, provenienti da più parti, dominavano ormai i punti
più importanti.
Il giorno 13 dicembre 1944 a Perletto i partigiani
avvistarono il nemico. Il capitano Tino ordinò
al grosso dei suoi uomini di rifugiarsi in un
canalone protetto e, quindi, di cercare di raggiungere Cortemilia per via non
battuta.
Personalmente invece, assunse il comando della
squadra che scortava il carro sul quale si trovavano le munizioni, carico
troppo prezioso per essere abbandonato. Temeraria impresa. Tutti gli ufficiali
cercarono di convincere il capitano Tino a desistere dal proposito di comandare
la squadra, offrendosi di sostituirlo. Inutilmente: « Dove c'è più pericolo là
è il mio posto ». E cadde. Fu proposto per la medaglia d'oro. Il comandante
Mauri, nella commemorazione fattane al colle di San Bernardo sopra Mondovì, disse
di lui : «II capitano Tino viene alla testa della sua quinta divisione. Ha le
gambe stroncate e un foro sanguinante gli attraversa la fronte serena: pare
ancora che campeggi come sugli spalti di Perletto, e come Orlando a Roncisvalle
chiami a battaglia i suoi uomini : i morti e i vivi ».
PARTIGIANO MARIO MAGENTA nome di battaglia”Barba”
Partigiano, classe 1923.« In servizio presso le
formazioni dipendenti dall'ottobre 1943
al 13 dicembre 1944.
Ottimo elemento partigiano. Appartenente alla
squadra Comando di questa Divisione, il
giorno 13 dicembre 1944 in zona Perletto
(Cuneo), durante uno scontro con forze avversarie
nazi-fasciste cadeva in combattimento, colpito da
una
raffica di arma automatica avversaria ».
(Alessandria, 31 luglio
1945 - Dichiarazione del comandante cap. COPA).
La strage
del ponte di Perletto del 12 Febbraio 1945 fu opera degli arditi del 3°gruppo
esploratori della divisione San Marco, che aveva sede a Monastero Bormida,
famosi perché non facevano prigionieri. Tutti i Partigiani che venivano
catturati con le armi o senza armi, venivano immediatamente uccisi. Comandava
il tenente colonnello Vito Marcianò. Il Testimone oculare Carlo
Abbate(Perletto 1930), ricorda di avere visto “finire” con un colpo alla testa
i Partigiani feriti e mitragliare quelli che tentavano di fuggire. L’operazione
degli arditi era denominata “Drago” .
Come
racconta l’ardito Lamura:<….il mio plotone scese verso Vesime, in direzione
di Cortemilia, zona di notevole importanza per i Partigiani perché anche sede
di una pista di atterraggio per piccoli aerei, utilizzata per ricevere
rifornimenti di armi, munizioni, generi di conforto e per l’invio di ufficiali
istruttori per lo più inglesi, con il compito di organizzare, assistere e
guidare le bande……. > Questo ardito e un altro raccontano con dovizia di
particolari l’incontro – scontro con i Partigiani al ponte di Perletto. Il
racconto di questi è confermato da Carlo Abbate che seppe che i Partigiani
della IX Brigata Garibaldi furono traditi(afferma Carlo Abbate: Suss, li
conosceva tutti, li chiamò tutti per nome!)
e questi credettero che gli arditi fossero dei Partigiani, tantè che
fino all’ultimo non capirono di avere di fronte i fascisti. Erano in venti e
solo due si salvarono gettandosi nel fiume Bormida, erano due giovani di Cairo
Montenotte Lidio Milanese e Sergio Barbieri.
Carlo
Abbate scrollando la testa aggiunge:” ‘ntèr 47 r’an faje èl procèss. L’avo
massaiè tucc, anche coi chi l’avo aossò le man per arèndisse e i frì ancora
viv. L’an condanaje tucc ma l’an nènt andà an pèrzon, anche èl colonèl Marcianò
l’an condanalo per CRIMINI di guerra ma o là nènt scontà ni l’ergastolo(pena
commutata) ni i vint agn èd carcere!” Nel 1947 fecero il processo. Fu definito
che avevano ucciso tutti, anche quelli avevano alzato le mani per arrendersi e
chi ancora vivo era ferito. Li condannarono tutti ma nessuno andò in prigione,
anche il colonnello Marcianò fu condannato per Crimini di guerra ed ebbe
l’ergastolo commutato in 20 anni di
carcere che non scontò mai.
CARLO ABBATE:<Ai
tempi di mio padre, si raccontava del Prete che ritirava i “libri del Comando”
e lui stesso aveva il dono dell’ubiquità.
Il
Parroco aveva la vigna fuori dal paese di Perletto e per difendersi dai “furti
di uva” che realizzavano i contadini del posto, poichè avevano fame, aveva escogitato un sistema che
sbalordiva la gente!
Si
mostrava in Chiesa per celebrare la Messa e contemporaneamente girava per la vigna a
fare la guardia.
Questa
capacità di essere in due posti contemporaneamente, dicevano fosse dovuta allo
studio e all’utilizzo dei “libri” che aveva requisito alle "masche".
Un
altro fatto addebitato alla Salvatora” è questo:
Mia
nonna , quando era da maritare viveva in una Località detta “an Patin”. Erano
cinque sorelle e successe che stavano lavorando nella cantina un po’ distante
dalla casa con i genitori. Ad un certo punto sentirono il pianto della bimba più piccola che
era in casa nella culla. Accorsero e videro che una pecora si stava
allontanando con la bimba fasciata in bocca. La rincorsero e la costrinsero a
mollare il fagotto con la piccola piangente. Si disse fosse stata la Salvatora
che si era trasformata in pecora e aveva rapito la bambina per rifarsi di un
torto subito.
La
bimba crebbe ma fu “nozija” a causa di quel fatto e anche in età adulta ebbe
sempre problemi di salute. Si sposò dalle parti di Neive ma non ebbe vita
lunga.
< La
famiglia Abbate del nonno Carlo, prima di venire ad abitare qui viveva lungo il
Bormida. Ti parlo dell’800 neh!
Io non
l’ho conosciuto il nonno poiché morì giovane, ma mio padre mi raccontò.
In
paese, viveva un uomo che possedeva il libro del “Comando”. In punto di morte
fece chiamare mio nonno per affidargli il libro. Questo uomo era un manovale
che aveva lavorato per il nonno che a quei tempi aveva già due cascine e molti
terreni.
Il
nonno si recò al capezzale dell’uomo e questi voleva dargli il libro. Lo aprì e
lo fece leggere, ma ad un certo punto il nonno si sentì “invadere” tutto il
corpo da un’inspiegabile sensazione e nonostante il vecchio morente insistesse
affinchè continuasse a leggere, lui fuggì spaventato e non prese il
libro. Questo uomo possedeva il libro, ma non faceva nulla di male, al contrario
di altri che invece spaventavano le persone. Qui a Perletto ce n'era anche un altro che aveva il libro del "comando" ma era buono e guariva le persone!
LA
MASCA "BUONA" DI VESIME
< La mia
famiglia aveva i buoi e quando venivano anziani li cambiava con bestie più
giovani .
Una donna di Vesime, ogni anno, nell’autunno/inverno passava a chiedere la "carità".
Aveva una sua casupola ma nessun sostentamento e quindi girava le cascine per
chiedere un po’ di fagioli o altro.
Quel 13 Dicembre, giorno della Fiera di Vesime, mio nonno era pronto per andare a vendere un bue che , troppo vecchio ”ò soffiava!” respirava a fatica. Sperava di riuscire ancora a venderlo prima che fosse troppo tardi!. La donna che aveva qualche “potere” grazie al “Libro del Comando”, disse: “andate pure a vendere questo bue” che presto si metterà a stare bene!” Il nonno e mio padre con un sorriso di incredulità, si avviarono e giunti al Ponte di Perletto, che a quel tempo era solo una passerella di legno, temettero di doversi fermare poiché il bue zoppicava e respirava sempre peggio. Tuttavia, memori delle parole della vecchietta, procedettero e quando furono vicino a Vesime notarono che la bestia stava meglio e procedeva spedito. Raggiunsero la Fiera e vendettero il bue come bestia sana a una cifra che non avrebbero mai più pensato di realizzare. Praticamente la donna di Vesime per ricompensare la famiglia di mio nonno per la benevolenza con la quale l’avevano sempre trattata, aveva provveduto a guarire il bue che diversamente sarebbe stato valutato da macello!
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