Cogno Giovanni, nato a Castiglione Falletto nel 1923, con i ricordi onora il papà Celestino nato a Sinio nel 1875, e il fratello Remo nato a Sinio il 14 Marzo 1912 dal primo matrimonio del papà.
Il Padre
era nato alla Cascina Cavallo e dopo avere sposato Laura nacque Remo. Per
evitare di andare in guerra prese una decisione che molti adottarono in quei
tempi, con moglie e figlio piccolino, andò ad Havre, in Francia e si imbarcò
sulla nave La Touraine destinazione America.
Con
grande intraprendenza e forza d’animo acquistò una cascinotta in località Gagliasso, situata in una
posizione infelice. Per questo non ci andò ad abitare ma la rivendette e
acquistò ai Piantà dove nacque poi Giovanni. L’ americano Celestino non rimase
con le mani in mano e acquistato un “birocin” Calesse e un cavallo e intraprese
ben due attività. Durante la settimana svolgeva il lavoro di Postiglione,
trasportava i sacchi della posta dagli uffici postali dei paesi ad Alba e
viceversa, inoltre nei giorni di mercato ad Alba effettuava servizio di
trasporto persone e merci.
Intanto
Remo cresceva e a Celestino venne il desiderio di formare una nuova famiglia.
Conobbe una donna di Sinio che si era sposata a Monforte ma con una storia
triste come la sua alle spalle.
Il marito
era morto in guerra lasciandola con due figlie, il padre e tre fratelli. Si
lascia immaginare cosa voleva dire vivere in quei tempi da vedova e con due
bambine in una casa con soli uomini!
Matilde,
stanca di maltrattamenti e desiderosa di crescere bene le due figlie ritornò alla
casa paterna a Sinio. Anche per lei la malasorte aveva in serbo due tragedie, la morte delle figlie a causa
della terribile epidemia di spagnola.
Celestino
e Matilde decisero di sposarsi e avviare una nuova famiglia. Dopo tante
tristezze ebbero la gioia di far nascere Giovanni nel 1923. Il fratellino Remo
aveva ormai undici anni e anche se già provato dalla perdita della sua vera
mamma e dei suoi fratelli, accettò e fu felice della nuova mamma e del
fratellino. Giovanni racconta che Remo considerò Matilde come sua madre e assunse lui come fratello da
coccolare e proteggere. Mamma Matilde sapeva gestire alla perfezione il
rapporto tra padre e figlio e seppe sempre aiutare Remo a comprendere il
“caratteraccio” del padre. Tuttavia Remo, desideroso di conoscere il mondo e di
liberarsi dall’oppressione a cui lo sottoponeva il padre, appena potè lasciò la
casa paterna. L’occasione fu la Guerra d’Africa, Remo vivendo l’esaltazione del
periodo fascista si arruolò volontario.
REMO VA IN AFRICA
Remo, desideroso di conoscere il mondo e di
liberarsi dall’oppressione a cui lo sottoponeva il padre, appena potè lasciò la
casa paterna. . L’occasione fu la Guerra
d’Africa, Remo vivendo l’esaltazione del periodo fascista, nel 1935 si arruolò
volontario
Dal
balcone di Palazzo Venezia, il 2 Ottobre 1936 Mussolini dichiarò guerra
all’Etiopia, senza preoccuparsi delle sanzioni internazionali che sarebbero
state prese contro l’Italia. Il giorno dopo, 110.000 i soldati italiani e
50.000 ascari varcarono il confine fra l’Eritrea, colonia italiana, e
l’Etiopia. Per l' Italia la conquista dell’impero rappresentò di fatto una
gigantesca operazione di propaganda da parte del regime.
Remo
rimase in Africa fino ai primi mesi del 1937 quindi tornò a casa sperando di
riuscire ad andare d’accordo con il padre. Non fu così. Giovanni racconta che
alla proposta del figlio di spendere alcuni denari per inserire la propria
fotografia nel quadro dei combattenti del Comune si sentì rispondere dal padre:
<sarebbe meglio se utilizzassi quei soldi per comprarti un paio di
zoccoli!> Il figlio comprese che le vedute con il padre erano troppo
distanti e che non avrebbe potuto mai convivere. Prese la decisione di tornare
in Africa e, con un socio di Pinerolo, il 16
Aprile del 1937 si imbarcò a Genova sul Piroscafo Conte Biancamano, il
17 fecero scalo a Napoli e quindi giunsero a Massaua il 23 Aprile. I camion che
avevano acquistato a Genova viaggiarono con due autisti sul Piroscafo
Limoncelli che partì solo il 21 Aprile e giunse il 5 Maggio. Remo, nel
frattempo, in corriera raggiunse Asmara dove per alcuni mesi lavorò come
trasportatore. Dal 17 Settembre si trasferì a Dire Daua e lasciò il cantiere di
Asmara per mancanza di lavoro. Le difficoltà andarono sempre aumentando e
scrisse al padre riconoscendogli che aveva avuto ragione sulla scarsità del
lavoro. Ancora a Novembre scrisse al padre comunicando la grave scarsità di
lavoro e l’intenzione di chiedere una licenza Commerciale ad Addis Abeba.
Comunicò anche di aver avuto notizie da Oreste Dogliotti di Neive (suo Tenente,
pure ritornato in Africa ) che a Mai Edagà stava impiantando una fabbrica di
birra ma con “miseri “ risultati.
Scrisse
elencando i tentativi per avere una concessione agricola, le problematiche
create dalla rottura dei mezzi, le difficoltà di vendere i camion e le spese
che superavano le entrate, ma lasciava intuire la tenacia che lo animava ancora nonostante le brutte
situazioni in cui stava vivendo. Il tre Novembre del 1938 scrisse al Padre per
avvisare della morte di un suo compaesano, Mario Sandrone, in Africa con lui e
ancora che terminati i lavori di costruzioni di due appartamenti avrebbe
venduto tutto compresa la macchina e sarebbe ritornato a casa poiché : - ….qui
è venuto tutto morto, non vi è risorse da fare. Essendo mancato Mario non posso
più fare quello che avevo desiderio di fare.
Si
informò per organizzare qualche commercio a Castiglione Falletto e su come
andavano “gli Esercizi Commerciali a Torino, poi non diede più notizie fino al
12 Luglio del 1940.
REMO AL LAVORO IN PRIGIONIA
LA
PRIGIONIA E LA MORTE
In questa lettera da Rigoridat si scusò per non aver più scritto ma chiarì di essere stato richiamato alle armi e di essere da due mesi destinato al nucleo stradale e lascia capire di dover lavorare in pessime condizioni con un caldo terribile. Il 10 luglio 1942 nel xx dell’era fascista giunse al FASCIO FEMMINILE DI CASTIGLIONE FALLETTO una lettera dall’Ufficio Prigionieri di Guerra della Croce Rossa Italiana con la comunicazione che Cogno Remo Autiere era Deceduto in Prigionia nel Sudan l’11 Agosto 1941. Di Remo non si ebbero altre notizie finchè nel 2015 ricercando il suo nominativo tra i Caduti sul Sito del Ministero della Difesa si scoprì che le spoglie erano state traslate al Sacrario Militare d’Oltremare di Bari. Riferii la notizia al fratello Giovanni e ai nipoti e si decise di effettuare richiesta di traslazione dei resti mortali nella tomba di famiglia di Castiglione Falletto. Ora si attende la comunicazione per riportare a casa REMO. Il fratello e i famigliari trepidano e anche noi, amici, speriamo di potere presto effettuare la Cerimonia funebre per onorare questo “ giovane” Caduto a causa della Guerra in terra d’Africa dove aveva sperato di costruirsi una vita decorosa con il lavoro.
Giovanni Cogno del 1924 fu chiamato alle armi e arruolato nella Fanteria. A Gennaio 1943 fu nella Caserma di Saluzzo, da Giugno a Revello per addestramento e pattugliamento. La sera dell’otto Settembre giunse un Tenente in bicicletta che disse loro che erano liberi di andare dove volevano: “andate a casa, in montagna oppure nascondetevi, sappiate però che a Saluzzo ci sono i tedeschi che o vi arruolano o vi mandano in Germania!”
Lui e un
suo compagno di Serralunga decisero di avviarsi verso casa, ma prima si
recarono da un panettiere, loro amico, dal quale andavano a segargli della
legna in cambio di una pagnotta di pane. Gli chiesero se avesse la possibilità
di rifornirli di abiti borghesi e questi li vestì dalla testa ai piedi.
Gettarono armi e divisa nel “fassiné” e partirono attraversando il Fiume Po ma
evitando Saluzzo. Procedettero passando nella parte alta della cittadina e
arrivarono verso sera in una cascina dove chiesero di dormire nel fienile.
Rassicurarono i proprietari che al mattino se ne sarebbero andati e così
fecero. Camminarono per un po’ in aperta campagna, poi affaticati andarono
sulla provinciale e chiesero un passaggio ad un uomo con cavallo e “Birocin”
Calesse. Questi li portò fino a Roreto, poi disse che lui doveva andare al
mercato di Bra, ma consigliò loro di chiedere ad un fattore, suo amico, che
abitava al fondo della discesa per Pollenzo. Anche quest’uomo, gentilissimo
attaccò il cavallo al calesse e li condusse a casa. Giovanni ricorda che
transitarono ancora sul ponte di Pollenzo che fu poi preso di mira dagli aerei
inglesi e in seguito minato dai Partigiani.
Quando fu
a casa realizzò immediatamente che era troppo esposto ai rastrellamenti dei
nazifascisti e scelse di andare a nascondersi presso i nonni paterni di Sinio.
A Castiglione Falletto, i contadini vicini avevano abbattuto una grande quercia
che impediva il passaggio dei mezzi nella strada e quindi se lui fosse rimasto
a casa sarebbe stato subito interpellato dai nazifascisti.
La sera
del suo arrivo a casa, Giovanni fu contattato da un gruppo di “Ribelli” che si
erano radunati presso una cascina tra Castiglione e Monforte. Questi chiedevano
a lui e ad altri giovani di pattugliare nella notte intanto che loro dormivano.
Giovanni ed altri giovani andarono e controllarono le strade durante la notte.
Il giorno successivo tornarono a casa, con l’accordo di presentarsi nuovamente
la sera per prestare opera di guardia, ma seppero che durante il giorno erano arrivati i tedeschi e avevano catturato tutti i Partigiani asserragliati nella
cascina. Lui tornò a Sinio dove il Parin(suo nonno Materno) gli aveva
realizzato due nascondigli: uno presso un pozzo sotto la strada che porta alla
Cascina Mombello. Durante l’ampliamento della strada avevano coperto
parzialmente un pozzo utilizzato per l’acqua del verderame per le viti, il
Parin l’aveva completato con un “voltin” "arco di pietre" di pietre e così questo era diventato
un ricovero sotto la strada, nel quale si poteva accedere attraverso un foro
mimetizzato da sterpaglie o altro. Giovanni si nascose per ben due volte avendo
sentito arrivare i nazifascisti in rastrellamento e vi rimase finchè non venne
avvisato del terminato pericolo. Qui nel pozzo si nascose ben due volte e il
nonno gli portava da mangiare, ma questo nascondiglio era situato un po’ troppo
lontano dalla casa, e allora Parin” o rà studiane n’atra” (realizzò un altro
nascondiglio). In fondo all’aia vi era il portico con le fondamenta rinforzate
dai Voltin, lui da sotto il portico scavò realizzando sotto le fondamenta uno
spazio adatto a ospitare due persone e raggiungibile dall’esterno, mise un
tavolato che ricoprì di terra e gli mise contro delle attrezzature.
Dall’esterno l’entrata era mimetizzata da una legnaia e catasta di fascine.
Anche qui si nascose in alcune occasioni con un altro giovane del 1926, quando
arrivarono sia i Muti (Milizia fascista) sia i nazifascisti che cercavano
proprio i giovani.
Giovanni
ricorda altri due fatti in cui riuscì con un po’ di spavento ad evitare di
essere preso dai repubblican: Una volta stava tornando a casa da Sinio e quando
fu an mira ao Soran dao simiteri drà Croz dove ancora oggi c’è la Cantina di
Tota Virginia, sentì degli spari proprio dal ponticello sullo rio dove avrebbe
dovuto attraversare. Rapidamente scelse di non più scendere, poiché si sarebbe
trovato “in bocca” a loro e decise di attraversare il rio togliendosi scarpe e
calze. Anche se c’era la neve e l’acqua era gelida, attraversò e di buon passo,
scalzo raggiunse la casa.
In
un’altra occasione era a casa e sentì che arrivavano per la loro strada, quindi sarebbero passati nel cortile, poiché la provinciale era impraticabile per la
quercia di cui si disse precedentemente. Velocissimo salì sulla Travà (fienile) e li vide che caricavano le nocciole messe ad essiccare.
Fortunatamente ripartirono e non lo individuarono lasciandogli soltanto un po’
di affanno.
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