sabato 30 marzo 2024

MOSSIO NANDO BOSIA 1909

 




MOSSIO LUIGI BOSIA 1843

DI MONTANARO CRISTINA E DI GIUSEPPE

MORTO A BOSIA 18 03 1916 REG. LANO 36

 

RETTEGNO GIUSTINA DI FRANCESCO

 

 

 

MOSSIO FERDINANDO BOSIA 1868 DI RETTEGNO GIUSTINA E DI LUIGI  ANNI 25 (1843)

 

 

MOSSIO LUIGIA DOMENICA BOSIA 26 APRILE 1880 DI RETTEGNO GIUSTINA E LUIGI

MORTA A TORINO L’8 01 1975

 

 

MOSSIO FERDINANDO FRANCESCO BOSIA 1889 VIA PROVINCIALE 20 DI RETTEGNO GIUSTINA E LUIGI (A. 46 1843

UNITO IN MATRIMONIO CON SCAVINO FRANCESCA COSTANTINA DI FU MORAGLIO TERESA E GIUSEPPE A BOSIA 2 06 1920

MORTO IL 23 05 1957 A MONTELUPO ALBESE

 


 

 

 

MOSSIO FILIPPO BOSIA 25 09 1872 DI RETTEGNO GIUSTINA E DI LUIGI(1843) DI GIUSEPPE VIVENTE1823?

 REG. FOSSATO FERRERO

 

 

MOSSIO FORTUNATA CELESTINA VIA PROVINCIALE 20 BOSIA 1883 DI RETTEGNO GIUSTINA LUIGIA E DI LUIGI

 TESTIMONI

SAFFIRIO ZEFFERINO DI A. 25 FLEBOTOMO

 VOLA FRANCESCO  DI A. 33 FALEGNAME

 

 

MOSSIO GABRIELE GIOVANNI BOSIA  LOC. LANO 16 03 1886 DI RETTEGNO GIUSTINA E DI LUIGI 1843

UNITO IN MATRIMONIO A LEQUIO BERRIA CON BORELLO ANGELA( DELLA FU COSTA TERESA E DI LUIGI) CON ATTO 10 03 1921


FIGLIO MOSSIO LUIGI BOSIA 31 10 1921

FIGLIA MOSSIO EMMA BOSIA  1923

FIGLIO MOSSIO ERIO 1922

 

 

MOSSIO VIRGINIA CRISTINA BOSIA 1875 DI RETTEGNO GIUSTINA E LUIGI

 

 

 

MOSSIO FELICE COSTANTINO BOSIA 17 02 1870 DI RETTEGNO GIUSTINA E DI LUIGI (1853) DI GIUSEPPE(VIVENTE)

Nell’atto di nascita si scopre che RETTEGNO GIUSTINA è FIGLIA DI FRANCESCO

-        CHE ABITANO IN LOCALITA’ “LANO” DI BOSIA

-        CHE I DUE TESTIMONI SONO VOLA FILIPPO DI 44 ANNI (1826) (DEL FU FRANCESCO) AGRICOLTORE

E SAFFIRIO COSTANTINO DI ANNI 21 (1849) (MAESTRO ELEMENTARE ) DI FRANCESCO (SEGRETARIO COMUNALE)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FAMIGLIA MOSSIO DELLA BOSIA CASCINA” BSOL”

 

PADRE: LUIGI                      MADRE: GIUSTINA  

                                                                                       

FIGLI: FELICE(MIO PADRE),FERDINANDO(Mè PARIN),GABRIEL(PADRE DI SuorEmma),

FRANCESCHIN (PADRE DEI MOSSIO DI RODELLO),

LUIGIA,

CELESTINA.

Mossio Felice nacque a Bosia nel 1870, si sposò con mia madre Porro Paola( Feisoglio 1884) nel 1905.


Generarono: Luigi(1907),Ferdinando(1909),Marcellina(1911),Pietro(1913),Aurelia(1917),

Annibale(1922)Disperso in Russia Caduto Battaglia Nikolajewka DECORATO CON CROCE DI GUERRA

 

 


 

 


 


 

 


 

 Nel 1914, mio padre, Felice si trasferì da masoè (mezzadro) con mia madre, presso la cascina”Maian” e vi rimase fino al 1920 , quando si sistemò alla cascina Langa fino al 1924. Le altre sistemazioni furono alla cascina Viarascio e quindi nel paese di Bosia alla cascina del Fré. Nel 1930, mentre ero militare si trasferirono alla Cascina Masseria di Arguello.

 

Vrava andé a sfojé ra meira!

 VOLEVO ANDARE A SFOGLIARE LA MELIGA

Mi ricordo che una volta, avrò avuto circa tre anni, loro dovevano andare a “sfoijé ra meira” dai vicini e io volevo anche andare .Le tentarono tutte per convincermi a rimanere con mio fratello Luigi: andarono a prendermi ”in pom” una mela ,”der noz”delle noci,ma io non mi capacitavo. Infine “mè pare u rà ficamie” mio padre mi ha sculacciato, e così mi ha convinto!

 

M’entrava nèn ra stoira ed Roma!!

NON RIUSCIVO A IMPARARE LA STORIA DI ROMA

Del periodo della scuola ricordo che una volta mi avevano dato da studiare la storia di Roma e “a m’entrava nen! Non riuscivo ad impararla!., così decisi di non andare a scuola e andai a nascondermi nella vigna fino a mezzogiorno. Destino volle che mio padre incontrasse la maestra che gli chiese perché non ero a scuola e lui stupito mi attese a casa con la cinghia dietro la schiena e dopo avermi chiesto perché avevo marinato la scuola mi fornì una dose di cinghiate sul sedere. Da quella volta non mancai più da scuola!! Anzi, presi in terza mio fratello Luigi, che era più grande di 2 anni! Lo bocciarono due volte!!

Fu la prima e ultima volta che mi picchiò. Mio padre mi voleva un gran bene, anche perché io lo seguivo molto. La mamma mi mandava con lui all’Osto(osteria) perché “chiel o beiviva an poch!”Lui beveva un po’! Con gli amici faceva la partita a tresette ed erano capaci di bersi una bottiglia ciascuno! Poi, “bele cioch”(ubriaco) se non lo accompagnavo a casa non riusciva a rientrare.

 

Dvan ai beu DAVANTI AI BUOI


 A quel tempo ,1917,si usava così, appena terminate le scuole mio padre mi mandò da servitò alla Cascina Bsol a Bosia dal “Cé” (nonno Luigi) per fare il garzone davanti ai buoi ( “er tocao” “dvan ai beu”)  Mio padre se ne era andato dalla famiglia a 14 anni per fare il servitò, in seguito mise su famiglia e prese prima la cascina Majan e poi la Cascina Langa da masoé (mezzadro).

 

R’infruensa Spagnola L’INFLUENZA SPAGNOLA

Fu il periodo dell’epidemia di influenza Spagnola. Mia madre venne a chiamarmi con lo scialle sulle spalle (con er scialèt ansre spole a rè vnime a ciamè) poiché mio padre e il fratello erano a letto febbricitanti. Fortunatamente,nella mia famiglia nessuno morì di Spagnola. Quella volta venne il medico che girava tra Cerretto Arguello Bosia Benevello Borgomale tutto con il calesse a cavallo e mi diede un passaggio fino al mulino di Campetto poiché avevamo finito la farina.Mi caricarono un sacchetto da undici chili di grano e così andai a farlo macinare.

 

 

Gistò da servitò incarico “ tocào”:

SISTEMATO DA SERVO

 

Quando ebbi 16 anni, nel 1925 ,mio padre “o rà gistane da servitò” ci ha sistemati da garzoni,io a Costepomo( da Letizia zia di Suor Emma) e Vigin(Luigi) a Castino. Quando Luigi mi accompagnò, andai di buon passo fino ad Arguello, poi vedendo Bosia così lontana tornai indietro e ci volle tanta pazienza da parte di mio fratello a convincermi. Con le lacrime agli occhi mi disse: < se torniamo a csa “on fèrta tuti doi! Se torniamo a casa ci picchia tutti e due!”

Guadagnavo 320 Lire all’anno ma rimasi un mese e poi dopo Natale,con la scusa di tornare a prendermi degli abiti scappai e neppure accompagnato dal papà non volli rimanere. Soffrivo la malinconia di casa(magonava!),ero troppo distante. Tornando, mio padre mi disse:”Tant et giust da n’atra part, a cà et ten nèn!” Tanto ti sistemo da un’altra parte,a casa non ti tengo. “E o ra fà parèi!”E ha fatto così!

Mi sistemò presso una famiglia di Borgomale alla Cascina Priosa. Erano solo”chiel e chila” (lui e lei) e andavo davanti ai buoi con lui o al pascolo con lei ,e a sboré ra feuja per i bigat (a raccogliere le foglie di gelso per i bachi da seta).Lui era un po’ sbrajasson(irascibile),ma lei mi voleva proprio bene e di nascosto dal marito mi dava r’euv sbatù (l’uovo sbattuto) o da cuché! ( da bere ancor caldo).Un po’ per lei e un pò perché dalla Priosa vedevo La Bosia, rimasi volentieri per un anno.  

 

 

Er papà o fàva er ghirbine (Il papà fabbricava le ceste)

https://youtu.be/4dxW20O4okI              NANDO MOSSIO 1909 2004 IMPAGLIATORE CON FOGLIE DI MELIGA


Mio padre sapeva fare tutti i mestieri, dal minusié ar caglié ar saroné ar cadreghè (falegname, calzolaio, carraio, impagliatore di sedie. Inoltre era bravissimo nel fabbricare le GHIRBINE ed doi mani – er toalete. Faceva cuocere i pali “BROPE” di castagno nel forno,quindi si sedeva su una panca che aveva un pedale per fermare la bropa e con il coltello a due manici pelava i pali e otteneva gli “SCROS” (CORTECCE). O TAJAVA QUATR E QUATR OT SCROS e o ‘ncaminàva a ‘ntersé er fond ( iniziava a intrecciare il fondo).Poi metteva quattro assette e “o tessiva i scros come fé na sesta” fino al bordo dove inseriva due manici di salice curvati. Mi sembra di vederlo mentre lavora. Aveva “na vos fausa ma o cantova:Rosin Rosin campme giù er ciavin che veui avni a dorme ansém a tì” .( aveva una voce stridula ma lavorava e cantava:Rosin Rosin buttami il chiavino che voglio venire a dormirti vicino!)

CI TRASFERIMMO AD ARGUELLO


Nel ‘38/’39 quando morì il papà noi combinammo di trasferirci ad Arguello alla Cascina Masseria. Nel 1939 sposai Marina dei Giamesi e nel 1940 avemmo il primo figlio, Carlo. Tutto filava tranquillo nonostante la guerra e i republican, quando mi arrivò la Cartolina Precetto per la “ Mobilitazione per motivi di guerra” Era a Dicembre 1942, Marina aveva partorito da poco Lucia, ma non ci fu nulla da fare, dovetti partire e fui mandato a Fiume a pattugliare sul confine jugoslavo. Ricordo che di notte si vedevano i treni che favo èr spluve! Facevano scintille sui binari!



Fortunatamente riuscirono a procurarmi le carte per la Licenza Agricola e a Maggio ’43 fui mandato a casa in congedo illimitato

.

 

I PARTIGIANI CI PRESERO IL MAIALE APPENNA MACELLATO!

 

Mi ricordo che nell’inverno del  ’44 avevamo ucciso il maiale. Eravamo alla Masseria di Arguello. Venne Augusto ‘d Pianfré a gistéro (a fare i salami).Stavo mangianda r’oiròt, ii ruva er partigian Moreto con otri tre.Mangio e beivo con noi, dop er Moreto om dis: Bèica Nando, e rò ra squadra a ra Srea(Cerretta) e antria che ei porteisa da mangé. Mi rò dije slarganda i bras: Lasme in bon e pijte sa part ed crin da Gisté A jera ra part der padron!(Con er Moreto soma sempre andò d’acordi).(Stavamo mangiando r’oriòt ,e arrivò il Partigiano Moretto con altri tre,mangiano e bevono con noi. Poi mi dice,:guarda Nando,ho la squadra alla Cerretta e dovrei portare loro da mangiare.Io gli ho detto:Lasciami una ricevuta  e prenditi la parte di maiale ancora da lavorare.Era la parte del padrone! (con il Moretto siamo sempre andati d’accordo). Pensa che in Primavera un conoscente di Cerretta mi disse che sgelata la neve aveva trovato mezzo maiale che i partigiani avevano lasciato perché costretti a fuggire per l’arrivo dei nazifascisti.  

 

Pinin er mascon birichin PININ IL “MASCONE “ SCHERZOSO

Una volta caricai il carro di” scros ed pin” da portare al panettiere di Cravanzana. R’ava na bela caria ed fas de scros(avevo un bel carico di fascine di cortecce). Mi avviai dalla Cascina Langa e quando fui a cinquecento metri un gatto attraversò la strada e senza spaventare i buoi ra carà a ré anversase. Strano,perché i buoi non si erano spaventati e il carico era ben sistemato! Inizio a ricaricare le fascine, quando da una riva appare Pinin ,un vecchietto che viveva da solo in un Ciabòt(casotto).Mi salutò e mi aiutò a caricare.Tirai bene le corde e ripartii. Feci tre o quattrocento metri e”te lì natr gat” (ecco un altro gatto) e si rovesciano nuovamente le fascine.Sacramentando un po’ mi rimetto a caricare ed ecco dinuovo arrivare Pinin che mi aiuta. Aveva tutte le mani insanguinate eppure continuò ad aiutarmi. Per fera curta, e rò anversa ra carà quatr vote prima ed rivè a Cravansana e sempre Pinin o rà gitame a cariè.(Per farla corta,ho rovesciato il carico quattro volte prima di arrivare a Cravanzana, e sempre Pinin mi ha aiutato a caricare.)

Quando arrivai dal panettiere gli raccontai l’accaduto e lui mi confermò che Pinin o jera in mascon Birichin ) Ma mi e rava già mangiò ra feuja!(Pinin era una masca scherzosa. Ma a me era già venuto il dubbio)

 

Quella mattina del 20 Giugno1944 venni ad Alba con “er padron dra cassina dra Masseria Monsù Vigna.

Lui commerciava in caffè e doveva passare al Bar Coraglia in piazza Savona. Arrivando da Corso Italia avevo visto una moto spinta da due giovani e chissà perché dissi “Son doi partigian”. Uno aveva una giacca lunga. Mentre pensavo quello, arrivarono in piazza una macchina e un camion e io dissi a Monsù Vigna:” Andoma co rè ora”, non feci in tempo a ripeterlo che dalla macchina scesero dei tipi armati che ci squadrarono per poi andare qualcuno verso l’officina di Gamberani e qualcuno sotto i portici di piazza Savona.

Seppi in seguito che avevano arrestato Pitros, un partigiano di Neive e lo avevano prima massacrato di “ patéle” nella Caserma “Govone” poi trascinato per le vie di Alba per farlo vedere alla popolazione e infine lo avevano fucilato a Benevello.

Mentre tornavo a casa pensavo a quanti giovani erano già morti e quanti ne sarebbero ancora stati uccisi da una parte e dall’altra, senza contare quelli che erano stati dispersi in Russia per una guerra che nessuno aveva voluto .

 

 

GARZONI DI CAMPAGNA : Beppe Sivorin




Quando rimasi solo a lavorare la campagna della Masseria, presi dei manoà, Manovali. Uno era mio nipote Beppe, figlio di Marcellina mia sorella. Già da giovane Beppe, detto Sivorin, al lavoro preferiva far baldoria, cantare, fischiare e suonare. Successe tante volte che andasse in festa e pur con le raccomandazioni affinchè tornasse per  il Lunedì in quanto o c’era da falciare i prati o da tajé èr gran lui tornava, se andava bene il martedì  e stanco, ogni occasione era buona per dormire.

Dopo l’ennesima sgridata gli intimai di rimandarlo  a casa, ma lui da buon attore mi faceva delle scene con lacrime per impietosirmi. Sempre cedevo e gli dicevo che sarebbe stata l’ultima volta. Una volta mi fece veramente innervosire. Si portò in festa a Lequio anche un altro manovale ed io non vedendoli arrivare né al lunedì né al mertedì mi dovetti arrangiare da solo a falciare a mano. Dovetti alzarmi alle quattro e lavorare tutto il giorno senza fermarmi neppure a mangiare. Mangiai al mattino prima di partire, un po’ di polenta e bagna cada scaldata sulla stufa e poi feci cena quando tornai. Fu quella volta che andai a parlare con Monssù Vigna.

 

 

 

 


 

 

Nel 1948, stanco di tribolare a lavorare da solo e mal servito dai servitò, decisi di accogliere la proposta di Monsù Vigna e mi trasferii ad Alba e andai a lavorare come “tostatore “ di caffè alla Brasilera. Stetti pochi mesi in affitto da Francone Luigi poi trovai due camere al “Bonòm”. Rilevammo anche la piccola bottega di alimentari che facevano andare avanti Marina e Lucia.

In seguito acquistammo con Giaco Deltetto un pezzo di casa nel loro cortile sempre al “Bonom”.

 



martedì 26 marzo 2024

PIAZZA MORENO FELICINA FEISOGLIO 1926

 


PIAZZA MORENO FELICINA 1926 Feisoglio

Sono nata il 13 agosto 1926 a Feisoglio in una Borgata,  chi la nomina “Bertorelli” chi ”Unzione”.. Era abitata dalle famiglie di 6 fratelli Piazza, tre abitavano da una parte del cortile e tre dall’altra. Mio papà era Carlo e mamma Tappa Margherita del 1899. Ho compiuto ad agosto 97 anni e sono stata festeggiata da tanti nipoti e pronipoti. Avere tanti anni a volte è faticoso, ma diciamo che tra cose belle ed un po’ meno belle ringrazio Dio di essere arrivata fin qua.

Avevo due fratelli e una sorella.Il fratello Giuseppe era del 1921

PIAZZA GIUSEPPE DI CARLO

FEISOGLIO (CN/I) il 18/11/1921

Contadino FFAA Regie

C.DO II CORPO ARMATA XV BTG ARTIERI

SOLDATO

Luogo di morte: FILENOVO (URSS) il 17/12/1942

Soldato del genio militare, addetto a lavori di vario genere (scavi, trasporti, costruzioni, ecc.).

 

  è partito per la seconda guerra mondiale e non è più tornato, è Caduto in U.R.S.S., un altro fratello del1924 è morto qualche anno fa e non è andato militare ma collaborò con i partigiani e doveva sempre nascondersi, la sorella più giovane di tutti vive a Torino ed ha 94 anni.

LA MIA INFANZIA

Quando ero piccola ricordo che si viveva con poco, pochi soldi e il vestiario era semplice. Si andava a piedi, e quando iniziai a venire a scuola a Feisoglio papà mi accompagnava e poi veniva a prendermi quando uscivo.Anche piccolina aiutavo già andando al pascolo e poi in campagna nel lavoro con la meliga, le patate, l’orzo. Le famiglie avevano animali nella stalla e da cortile e con le pecore si otteneva la lana e il latte per le “Tome”. Si andava a vendere lana e tome e con il ricavato si poteva comprare altro.

È sempre stato bello andare al pascolo, al mattino andava mamma, poi al pomeriggio andavamo noi bambini, anche da piccoli. Con la scuola ci portavamo il libro e ricordo che papà ogni tanto veniva a vedere se studiavo. Poi a partire dai sette otto anni iniziai ad andare ai mercati a vendere le tome. Andavo a piedi con lo zio Pietro ed io con il mio cesto e le sue figlie con il loro, a piedi ci recavamo a Serravalle Langhe al mercato del giovedì. Ci recavamo anche a Niella Belbo, ma io preferivo Serravalle. Scendevamo per il sentiero ed arrivavamo al fiume Belbo che a volte era anche bello ricco d’acqua e lo zio mi dava mano per guadare, poi si saliva la collina e si arrivava a Serravalle dove vi era un bel mercato.

Ricordo entrambe le nonne con nome Felicina, per questo il mio nome le rinomina. Sono contenta di portare il loro nome, è bello ricordarle.

La nonna paterna veniva da Prunetto. Il nonno materno era Luigi e quello paterno Giuseppe originario della Borgata.

AL TEMPO DELLA GUERRA

Nel periodo della guerra succedettero tanti fatti tristi. Poco sopra casa nostra vi erano i partigiani e ricordo che una volta vennero anche nella nostra borgata e avevano le armi che incutevano paura.Un altro fatto che ci preoccupò è quando da Riblòt, sotto la nostra borgata, vennero a prelevare tre partigiani che si nascondevano sul fienile. Due li uccisero sul posto e uno lo fecero marciare fino in paese, lo misero al muro e lo fucilarono.

Mio fratello ed un suo amico erano del 1924 e non si presentarono alla Chiamata di Leva. Per un po’ di tempo si nascosero nella casa di mia mamma che era un po’ isolata e dormivano e si facevano da mangiare là, sempre attenti a quando fossero arrivati i nazifascisti, poi, per essere più sicuri si costruirono un altro nascondiglio. In prossimità di un campo vi era un buco, loro vi portarono due materassi e poi lo coprirono con fasci di legna assi e pietre. Si trasferirono lì. Una volta andarono a lavorare nel campo e non fecero in tempo ad entrare nel nascondiglio. Arrivarono i tedeschi e siccome loro continuarono a lavorare, i soldati non fecero loro nulla.

Anche zio Pietro e Carlucio che aveva solo 16 anni andavano a nascondersi quando erano avvisati che arrivavano i tedeschi. Tutti gli uomini, un po’ più giovani o più grandi sapevano dove andare per evitare sti nazifascisti. Nel bosco, poco distante, noi avevamo un castagnon, vecchio albero che aveva nel grande tronco una caverna naturale dove ci stavano due o tre persone. Mio padre non volle tagliarlo proprio perché serviva per nascondersi. Invece, mio cognato, una volta che arrivarono i tedeschi con i cani, andò in un buco che si era costruito sotto la “liaméra” Concimaia. Avevano tutti paura, poiché se non ti uccidevano ti portavano in Germania!

Ad un mio cugino, Paglieri Rinaldo del “Caplèt” di Cravanzana 18/12/1927,  e ad un suo compagno Rabino Luigi Carlo del ‘25, spararono e li uccisero mentre dal Belbo fuggivano. Era il 21 novembre 1944. Li videro mentre tentavano di andare a nascondersi alla Cascina “Brandona”.

                   



PAGLIERI RINALDO     RABINO LUIGI CARLO

 

 

 

 



 Mio marito Moreno Ermenegildo era del 1911 e fece tutta la seconda guerra mondiale, suo padre Carlo  e gli zii Eugenio parteciparono alla guerra del 1915 18. Il papà ritornò dopo sette anni di guerra e prigionia , i due zii:    Pietro 1894 morì a Cosana

MORENO PIETRO DI GIUSEPPE FEISOGLIO 5 12 1894

SOLDATO 56° RGT FANTERIA “Marche”

MORTO IL 9 NOVEMBRE 1915 A COS(B)ANA

 


 ed Eugenio 1898 morì di malattia in Ospedale da campo n. 139 a San Zenone degli Ezzelini Treviso

MORENO EUGENIO DI GIUSEPPE FEISOGLIO 26 GIUGNO 1898

SOLDATO 67° RGT FANTERIA

MORTO 10 AGOSTO 1917 OSPEDALETTO DA CAMPO N. 139  SAN ZENONE DEGLI EZZELINI (TREVISO)

 

venerdì 22 marzo 2024

SECCO ALFREDO BOSIA 1932

 







Mamma Giuseppina 1902 Papà Giacinto "Cento" 1900 





                   CAVALIERE del lavoro

ALFREDO SECCO

DI GIUSEPPINA SCAVINO 1902 e

DI GIACINTO DETTO “Cento”1900

 nato a Bosia nel 1932

Io nacqui a Bosia e a due anni mio padre e mamma si trasferirono a Lequio Berria.

Mio papà era figlio di Pasqualina Conterno di Sinio e Clemente Secco della Fornace San Micé di Arguello.

 

 

PAPÀ E MAMMA SPOSI

Quando si sposò, papà andò ad abitare per un po' in Cantabusso di Arguello. Rimasero poco e con i due o tre fratelli che erano ancora alla Fornace si trasferirono da mezzadri in località “Ciòrgn” a Bosia. Papà lavorava anche da falegname e dopo due o tre anni ci trasferimmo a Lequio in una sola camera dove in seguito stabilirono il Consorzio. Era nel cortile del “Mirinè” o Còrt èd Chin ed era situata proprio attaccata alla casa della famiglia del mugnaio Gepin Cavalot Papà di mia moglie, di Filippo e Angela mia cognata.

Ricordo che papà lavorava fuori e dentro dove si mangiava e dormiva. Acquistò poi la casa dove abbiamo vissuto fino a prima di venire a Tre Cunei, ma ricordo che si viveva in due sole camere, e quando morì mia mamma abitavamo solo due camere perché il resto della casa era da riparare! Mi ricordo come adesso che prima di andare a scuola andavo con mia sorella e fratello a prendere alla fontana del “Cherpo” due secchi d’acqua. Si andava con il “bazo” ( bastone sagomato per la spalla).

Al Cherpo(Carpino) c’era una sorgente e il lavatoio dove tutte le donne si recavano a lavare. Al mattino vi erano già sette o otto donne che lavavano al lavatoio. In particolare ricordo Beltrandi Amalia che aveva bottega di stoffe dopol a Canonica e poi si trasferì davanti alla Chiesa. Lei faceva la lavandaia per il Medico Cardone e per tante altre famiglie. Una lavoratrice infaticabile. Me la ricordo con lenzuola in spalla e bucato nella cesta che scendeva al lavatoio.

Amalia detta Maiina era la suocera di Dèrico storico Cantoniere di Albaretto Torre. Lei era anche addetta ad accendere le quattro stufe delle aule scolastiche. Quando noi arrivavamo a scuola le stufe erano già accese e ognuno di noi bambini portava una “leggna”( pezzo di legno ) che serviva a far fuoco per il giorno. Tutte le mattine noi si arrivava con la legna sotto il braccio.

AL TEMPO DELLA GUERRA

Dal 1940  quando avevo otto anni, al ’45 ebbi modo di vere e vivere tanti fatti che si sono fissati nella mia mente. Vi erano i repubblican prepotenti che entravano nelle case e derubavano la gente, i partigiani che prendevano vitelli e pollame e li facevano cuocere nel cortile di Chin, l’annonaria faceva portare il grano nella Chiesa di San Rocco e le famiglie dovevano arrangiarsi con il pane della tessera.

Ti racconto un fatto successo a mio fratello Guido.

Nel periodo di guerra ad Alba affidavano cavalli a famiglie di campagna. Anche noi ne prendemmo uno che serviva a Guido per andare a lavorare a San Micè col carro. Un giorno, dei partigiani ce lo presero e lo lasciarono legato ad un pino sul bricco sopra San Micé. Nella notte strappò la corda che lo teneva legato e andò a Serravalle Langhe dal capannone dell’”ammasso”. Era d’inverno e vi era un gran gelo. Una famiglia di mezzadri, lo vide e lo mise nella stalla. Mio fratello venne a saperlo e si recò a chiedere a quei contadini se gli restituivano il cavallo. Questi dissero che non lo davano a nessuno perché chiunque avrebbe potuto reclamarne il possesso. Allora mio fratello chiese se poteva vederlo per vedere che “gest” faceva il cavallo, questi acconsentì e appena il cavallo vide mio fratello iniziò a nitrire di gioia . Il mezzadro vedendo la reazione del cavallo disse a Guido che poteva prenderlo, era chiaro che lo aveva riconosciuto.

DUE REPUBBLICANI E I PARTIGIANI

I partigiani presero due fascisti e li condussero per la strada che va in “Campé” lì li obbligarono a scavarsi la fossa e a mettersi dentro nudi. Spararono e se ne andarono. Uno lo uccisero, l’altro si finse morto e dopo si alzò e si recò dal medico Cardone che lo curò e gli indicò la strada per Alba.

UCCISIONE DI GAVARINO JOSEPH

Il 29 giugno 44 al Vignasso uccisero il figlio del maestro Gavarino Felice, Noè Lorenzo, e due o tre partigiani.

 

IL 12 FEBBRAIO 1945

 dopo un lancio che i partigiani avevano recuperato il giorno prima, arrivarono i repubblican e uccisero la maestra Capello, ferirono la Maestra Casetta e uccisero ben 5 partigiani.

Il dottor Cardone venne da mio padre e gli chiese di preparare le casse per i deceduti della sparatoria.Mio padre con l’aiuto di Modesto, un uomo che abitava nei pressi prepararono le semplici casse. Tornarnarono i nazifascisti e si fermarono davanti al laboratorio di mio padre. Presero me, mia sorella, mio padre, Modesto, mio zio Ceco di Dogliani e una ragazza che passava casualmente ed era apprendista sarta, ci misero al muro e volevano fucilarci perché avevamo preparato le casse. Arrivò dalla strada di fianco alla Chiesa il Dott. Cardone che vedendo sti armati e noi contro il muro, cominciò ad urlare. Spiegò che era il medico ed aveva ordinato lui di preparare le casse e disse. < se volete uccidere me fate pure, ma lasciate stare quelle persone che hanno solo lavorato!>

Sentendo quello sospesero la fucilazione, ma se non fosse arrivato il medico ci avrebbero uccisi tutti.

 

IL DOTTOR CARDONE

Era un Medico di una volta! Estate ed inverno lui portava pantaloni alla “zuava” e stivali di cuoio. Si recava da tutti quelli che venivano a chiedere la sua opera e lo accompagnavano dai malati. Presso molte famiglie povere, la maggioranza, non faceva pagare nulla. Era anche molto abile come Ostetrico e ricordo che purtroppo la gente si affidava di più alle Ostetriche donne! Nell’anno in cui morì di parto mia madre un’ostetrica  non di Lequio, ne lasciò morire tre: una che abitava da “Cirill” una del “Zèch” e rà mama ‘d Secondina. Ricordo che si diceva che Cardone, una volta che lo chiamarono dopo che una Levatriz aveva “pastissà” commentò: < mi chiamate ora che è morta?>

CONDINA LEVATRIZ BRAVISSIMA!

U’ottima Levatrice di Lequio che “portò tante maznà, fu Condina che abitava an Castèl. Era una donnetta proprio in gamba e dicevano fosse meglio di un’ostetrica.

Mio padre per tutta la vita non dimenticò la morte di parto di sua moglie. Quando mia moglie doveva partorire venne un’ostetrica e mio padre disse: < se fate ancora entrare un’ostetrica qui non mi vedete più. Capimmo cosa voleva dire e il suo tormento e mia moglie fu portata alla Casa di Cura di Alba.

ERCOLE FRATELLO SARTO

Mio fratello Ercole del 1937, quando morì la mamma, andò da una zia di Dogliani che faceva la sarta. Imparò da lei il mestiere e divenne un abile sarto. In seguito andò a lavorare in una sartoria di Bra e conobbe una ragazza, sartina anche lei che aveva già due sorelle in Francia. Si sposarono e si trasferirono in Francia. Si trovava bene là ma per la festa di Lequio veniva sempre al paese e faceva le vacanze fermandosi un mese. Un anno, proprio qui, non si sentì bene, fu ricoverato in ospedale dove gli fu diagnosticato un tumore. Si era ad agosto, tornò in Francia e a dicembre morì ancora giovane.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NONNA PASQUALINA E NONNO CLEMENTINO

SECCO CLEMENTE ARGUELLO  02 08 1869 ARGUELLO 28 08 1928

CONTERNO PASQUALINA SINIO 27 03 1875 

ALBA 06 06 1967

              

 

La nonna andò avanti a 92 anni, aveva avuto ben tredici figli. Mi ricordo bene di zio Teresio, Ernesto, mio padrino Fredo, Mabil,Vito morto in prigionia. Come in un sogno rivedo zio Vito che era venuto quando morì mia mamma, poi partì per la guerra e non lo vedemmo più.

Nonno Clementin morì a 51 anni e gli zii raccontavano di quando avevano la fornace. Avevano tagliato tutti i pini e realizzato dei buchi come forni. Dicevano che quando loro non ci fossero più sarebbero cresciuti nuovamente tutti gli alberi e se tu guardi è proprio così. Tutto attorno sopra la cascina è tornata la pineta.

          

 

CICO E ZITA CON FIGLIO STEFANO

Cico Busca faceva il trasportatore, aveva due mule e i buoi. Portava ad Alba i Cochètt con la mula poi passava a Ricca a caricare la botte di acqua salata. Io e il figlio Stefano, che si ammazzò in bicicletta alla Buffarola quando aveva circa 24 anni, gli andavamo incontro con i buoi per “tachéjè trèna”.

Stefano era il più “pazzo” di noi! Pensa che il nostro divertimento consisteva nell’effettuare la discesa di Gasola con un birocin . Lui teneva una barra e alcuni di noi stavamo al sedile e prendendo velocità e spostando il peso nostro si volava pericolosamente con lui appeso!

Dopo la guerra, quando avevo già 15 o 16 anni con Stefano che aveva un 122 venimmo in festa ad Arguello, eravamo una trentina e lui che andava come un pazzo in quella stradina da asfaltare!

Stefano si ammazzò in bicicletta nel 1955. Ricordo che aveano montato il ballo a palchetto qui a TreCunei dove ora vi è la casa di Remo. A quel tempo c’era una cascina e vi era un cortile.Ci si radunò lì,noi ragazzi e ragazze e forse si fece qualche gara, fatto sta che Stefano partì con la sua bici e quando fu ai Cavalot investì due persone dèr Fontane che facevano i “Cuzinè” (cucinieri) ferendoli , lui fu portato in ospedale ad Alba ma non ci fu nulla da fare. Gli realizzai una bara bianca!

Era un simpaticone e “maznaron” (ragazzaccio). Sul ballo a palchetto gettava della polverina che faceva “grattare” e poi si faceva delle gran risate a vedere le persone che avevano prurito.

Aveva un cane che gli ubbidiva in tutto.  Gli ordinava di andare a prendere la legna e questo partiva e tornava col pezzo di legno per la stufa.

FAMIGLIA DI LIPO

I miei suoceri Gepin Cavallotto e Margherita, ebbero otto figli, 5 ragazze e 3 maschi venivano da in Borine, e fecero i mugnai nel cortile di Chin. Io e mio fratello conoscemmo le nostre spose fin da piccoli e quando morì mia mamma mia moglie allora ragazza preparava da mangiare anche per tutti noi.

BALLI E FESTE DI UN TEMPO

Un tempo si facevano delle belle feste! Qui a Lequio si ballava da Pierin che avevano un salone, oppure io andavo a Benevello dove c’era un salone. Per la musica bastava una fisarmonica e a volte vi era anche un clarinetto e un saxofono.

I balli a palchetto “andavo a r’incant”(all’asta) e chi offriva di più al Comune, aveva diritto a mettere il ballo. Mio cognato Lipo lo mise per trent’anni il palchetto davanti al mulino. Lo affittava da Talin Gennaro di Borgomale. Si ballava con la corda fissata al palo di mezzo. Ricorso si prendevano otto biglietti. Lipo tirava la corda e noi dto il biglietto iniziavamo il ballo, quando lui terminava il giro prendeva un altro biglietto. A volte per amicizia lasciava correre, ma più di otto dieci balli non si effettuavano.

A quei tempi i soldi erano pochi e quando avevi 20 Lire in tasca per andare in festa era già tanto. Si andava anche a ballare a Cravanzana a  piedi neh. Si scendeva in Aure e si attraversava Belbo e salivi in paese. In festa o mangiavi “la mica”(sanguiss) o ballavi! Queste erano le alternative. Ricordo che quando non avevo più soldi si guardava ballare e se qualcuno ti chiedeva perché non ballavi dicevi: <n’eu pì nèn veuja!>(non ho più voglia!)

IL PILASTRO DEL FASCIO

Nel 1945 un gruppo di antifascisti tra i quali il fabbro Gioanin Cagnasso, padre di Romolo l’idraulico e  Michel Destefanis padre di Nino d’an Beria abbatterono il pilastro con il fascio che era sul Castello e lo fecero rotolare in strada tra urla di evviva della gente.

Il “fré” era uno intelligente, produceva le prime macchine per dare il verderame, aveva depositato il brevetto ed andava a venderle ad Alba.

Ai tempi del fascio ricordo che vi era un Podestà, tale Tappa che il sabato indossava la camicia nera e con altri in divisa marciavano da in piazza fino alla Madonna. Anche noi bambini, da Balilla e le ragazzine da piccole italiane sfilavamo. Eravamo obbligati. Mio suocero, Gepi Cavalott, non volle più indossare la camicia nera e prendere la tessera ma fu obbligato con maniere forti. Ricordo invece un altro fatto in cui questo Tappa che si mise a urlare “Duce, Duce!” e fu messo in un angolo non so più da chi e malmenato!

Un altro personaggio di Lequio fu il Maestro Gavarino che fu Sindaco dopo la guerra e che teneva comizi dopo la Messa della Domenica. Mi pare fosse Candidato per essere eletto al Consiglio Provinciale.

Segretario com. Casetta 

Sindaco Maestro Gavarino FELICE

                       Leva Coscritti 1932


 

IL PADRE DI “GILIO” IL MESSO

Ho conosciuto il padre di Gilio il Messo Comunale di Lequio Berria, era Capocantoniere della provincia e lo rivedo con due manovali sulla strada.

Avevano una cesta ciascuno e raccoglievano la ghiaia nei fossi, poi la mettevano nei buchi della strada. Se trovavano qualche buca più grande prendevano una pietra e la spaccavano con una martellina e riparavano la buca. Questo era il duro lavoro che svolgevano.

RÀ TRÈINA

Ricordo quando i contadini portavano l’uva dentro i’arbi( navazza)sul carro fino in paese poi Cico con i buoi “oi tacava trèina” attaccava i buoi fino da Gazola, da lì staccava i buoi e scendevano in Alba.

 

 

 CADUTI 29 GIUGNO 1944

GAVARINO JOSEPH DI FELICE CANELLI (AT/I) il 14/03/1913

Professione :MEDICO

Qualifica: CVL Unità: VI DIV LANGHE

LEQUIO BERRIA (CN/I) il 29/06/1944

 

GALLIZIA  BENEDETTO GIUSEPPE DI MARCELLO 

12/05/1907  COSSANO BELBO (CUNEO) -

MECCANICO CORPO AUTOMOBILISTICO Reparto 33° AUTOCENTRO
Nome di battaglia GILERA  CADUTO  FORM MAURI

2° DIV LANGHE Dal 18/12/1943 Al 29/06/1944

 Caduto il 29/06/1944  LEQUIO BERRIA  CADUTO IN COMBATTIMENTO

 

NOE' LORENZO DI LUIGI LEQUIO BERRIA (CN/I) il 31/08/1915

Contadino CVL Unità: VI DIV LANGHE

LEQUIO BERRIA (CN/I) il 29/06/1944

 

 CADUTI 12 FEBBRAIO 1945

 

CAPELLO LUCIA di PAOLO CERESOLE D'ALBA (CN/I) il 07/02/1902

Insegnante CVL X DIV LANGHE 21^ BRG G. ALESSANDRIA

LEQUIO BERRIA (CN/I) il 12/02/1945

 

CAPRA ATTILIO di GIOVANNI DIANO D'ALBA (CN/I) il 28/09/1923

Operaio CVL X DIV LANGHE 21^ BRG G. ALESSANDRIA

LEQUIO BERRIA (CN/I) il 12/02/1945

 

GIACOSA NATALE di LUIGI ALBA (CN/I) il 06/12/1925

Contadino CVL X DIV LANGHE 21^ BRG G. ALESSANDRIA

 LEQUIO BERRIA (CN/I) il 12/02/1945

 

MORANDO CELESTINO di GIOVANNI ALBA (CN/I) il 21/07/1917

Operaio CVL X DIV LANGHE 21^ BRG G. ALESSANDRIA CAPOCANTONIERE.

LEQUIO BERRIA (CN/I) il 12/02/1945

NEGRO MICHELE DI EDOARDO ALBA (CN/I) il 12/08/1926

Operaio CVL X DIV LANGHE 21^ BRG G. ALESSANDRIA

LEQUIO BERRIA (CN/I) il 12/02/1945

OSCHIRI CARLO DI EGIDIO PEZZOLO VALLE UZZONE (CN/I) il 14/01/1922

Contadino CVL X DIV LANGHE 21^ BRG G. ALESSANDRIA

LEQUIO BERRIA (CN/I) il 12/02/1945