Mamma CAROLINA Papà LORENZO
https://youtu.be/1gqj-q68Db8 MIO NONNO E LA BAMBINA
DELL’OSPEDALE
https://youtu.be/yxsU3WQ3xqs LA MIA INFANZIA
In
famiglia eravamo tre sorelle con mamma e papà. Si abitava in una cascina
distante tre chilometri da Somano e posta “a r’invernènt!”( a nord) Per andare
a scuola o risalivamo la collina e scendevamo al paese o percorrevamo la strada
che girava attorno alla collina. Dalla borgata eravamo sei o sette bambini e
tutti con “èr socrette” zoccolette,ce ne partivamo di buon’ora per iniziare
alle nove la scuola. Ognuno aveva la propria sacca- cartella di stoffa per il
libro e un quaderno e un altro sacchetto con la cordicella dove tenevamo il
pranzo, che consisteva in un po’ di pane e formaggio o mezzo uovo e una mela o
una pera. Per parecchi mesi si arrivava con i piedi bagnati poiché i percorsi o
erano umidi o erano fangosi. Comunque si rimaneva con i piedi bagnati fino alle
16.00 quando si tornava a casa. La pausa pranzo era alle 12.00 e alle 13.00 si
riprendeva lezione fino alle 15.00 allorché si riprendeva il viaggio di
ritorno.
Quando
nacqui io vi erano solo più due sorelle, ma mia madre aveva perso ben quattro
figli. Due morirono appena nati do otto mesi di gestazione, uno morì a due anni
di Pertosse e una bimba gliela portarono a casa “bruciata” quando aveva 5 anni.
Mi raccontarono che era una bimba molto bella e intelligente. Una zia, quasi a
profetizzare cosa sarebbe successo, anni prima disse a mia madre: Carolina stai
preparata perché questa bambina non la vedrai crescere, possiede una bellezza e
un’intelligenza che non è di questo mondo!> Infatti Eleonora quando ebbe
cinque anni, in un giorno di dicembre che permetteva ancora di condurre le
pecore al pascolo, con altre due sorelle si recò in un prato poco distante da
casa. Accesero il fuoco e ad Eleonora presero fuoco i vestiti. Mio padre vide
cosa stava succedendo, ma essendo ferito di guerra con le stampelle non potè
correre e le urlò di venire verso di lui, ma lei corse da un’altra parte e il
vento la rese una “torcia di fuoco”. Neppure un cugino della mamma che accorse
con un lenzuolo per spegnerle il fuoco riuscì a giungere in tempo. La avvolse e
la portò a casa ma la bimba ebbe il tempo di chiamare”mamma” e spirò. Si era
verificato quanto previsto dalla zia. La mamma ricordava sempre anche a me la
saggezza di quella “sorellina” che rimase poco tempo in terra perché era della
“categoria “ degli Angeli. Quando aveva appena quattro anni, guardando
l’affresco raffigurante le anime del Purgatorio che era sul Pilone vicino a
casa, sussurrò alla mamma: solo chi prega le anime del Purgatorio salirà in
Paradiso, Maria (la sorella più grande) non le prega mai.
IL NONNO E LA BIMBA DR “OSPIDAL”
Èr
nòno e rà bailota
Quando
mia nonna aveva mia mamma piccola successe che sa masnà à pianta lì èd pupé
(smise di allattarsi) Mia nonna aveva ancora “tant lacc” (tanto latte) e allora
decisero di prendere “Nà bailota” (bimba a balia dall’Ospedale). Mio nonno andò a Mondovì all’Ospedale e portò a casa
una bimba. Era grosa pèid’nà grissia(era grossa come una piccola pagnotta di
pane )ma con il latte della nonna si allevò bene. Dopo qualche mese arrivò una
lettera dall’Ospedale di riportare la bambina perché avevano saputo che la
lasciavano piangere e non la trattavano bene. I nonni andarono dal Sindaco e
fecero rispondere che non l’avrebbero
riportata e che se volevano vedere come stava la bambina che fossero venuti
personalmente. Il nonno era sempre attento poiché dubitava che fosse qualche
vicino invidioso che avesse BItà mà!( detto male), infatti una sera sentì dei
rumori sotto la finestra e uscì a vedere. Scorse una persona che scappava
girando attorno alla casa per dileguarsi nel noccioleto. Prese un “Biron”, lo
aspettò all’angolo e glielo tirò colpendolo alle gambe. Dopo qualche giorno
vide un vicino che camminava tutto “Schirlà” e gli chiese cosa avesse fatto, questi
gli rispose:A scoté sota ar fnestre èt vagni gnènte ‘d bon! Ad ascoltare sotto
le finestre degli altri non guadagni nulla di buono.
Una volta c’era tanta miseria e tanta invidia!
Quando la bambina ebbe tre anni mio nonno con grande tormento dovette
prendere una grave decisione: riportare la bimba all’ospedale. Si era fatta
“bela e propi grassiosa “ bella e proprio graziosa ma “in toca mandé er nostre
masnà da sèrvente e servitò e i rà foma nen a manténe cò chila!”( ma devo
mandare da servi i miei figli, e non riesco a mantenere anche lei. Fu così che
la riportarono all’ospedale e la riconsegnarono alle suore. Il nonno, per tutta
la vita non dimenticò le urla della bambina mentre le suore la portavano via! Diceva
sempre: <ho sperato fino all’ultimo che la accogliessero con dolcezza,
invece la presero e senza concederle il tempo di salutare la trascinarono via mentre urlava!>.
ALBARELLO SILVANO
NONNO CAMIA LORENZO detto “CINOT”
nacque a Dogliani nel 1874 , si sposò con DE MATTEIS CAROLINA
Riuscì ad acquistare un Ciabòt
in località Altavilla a cà ‘d Giulia era una piccola casa con cinque giornate
di terra. Ebbero sette figli, tre morirono in tenerissima età e una figlia morì
in seguito alle ustioni procuratesi dopo aver acceso un falò con altre
ragazzine mentre erano al pascolo. Fu richiamato alle armi per la guerra
Europea del 1917. A causa di una ferita gli fu amputata la gamba sinistra al
disopra del ginocchio.
Tornò a casa e, nonostante la
sua “gamba di legno”, come la definiva lui stesso, riuscì a continuare a
coltivare la sua terra e ad allevare un piccolo gregge di pecore e capre
aiutato dalla moglie, dalle figlie e da qualche manovale preso a giornata. Le
figlie rimaste furono Luigia del 1909, Maria del 1913 e Assunta mia mamma del
1921.
Cinot la Domenica, tempo
permettendo, dopo essersi alzato molto presto, con le due stampelle si avviava
e raggiungeva la Chiesa in paese per la “Messa prima”.
Don Gallesio, il Parroco,
raccontò che fu sempre il primo ad arrivare in Chiesa. E poi se ne ritornava
con energia e sicuramente con fatica a Cà ‘d Giulia.
Visse nella sua casa fino alla
fine dei suoi giorni nel 1957. Nonna Carolina , di dieci anni più giovane, lo
raggiunse esattamente dieci anni dopo nel 1967.
VENNERO I nazi-fascisti A SOMANO
16 novembre 1944
Mi ricordo che vennero i nazisti nel paese.
Tutti
gli abitanti impauriti si nascosero lasciando gli animali senza mangiare e così
“Bramavo” urlavano. Intanto i militari nazisti entrarono nelle case e
razziarono di tutto. Mio papà rimase a guardia della casa. Io con dei vicini mi
rifugiai in un boschetto poco distante da casa e mi portai dietro un materasso
delle lenzuola e dell’abbigliamento. Passammo la notte sotto quegli alberi e il
giorno dopo, quando se ne furono andati rientrammo nelle case. Avevano portato
via molte cose e soprattutto uccisero parecchie persone nella frazione
Sant’Antonio.
UCCISIONE DI MIO FRATELLO CARLO
AGOSTO
CATERINA sorella di Carlo
CIPPO in ricordo della strage nazifascista a
Sant'ANTONIO DI SOMANO 16 11 1944
MIO MARITO PARTIGIANO
ALBARELLO PAOLO
09/02/1915 SOMANO (CUNEO)
IDRAULICO
CAPORALE MAGG FANTERIA Reparto 38°RGT
“PAOLUCCIO” PARTIGIANO 3° DIV GL 1° BRG
BANDE GARIBALDI Dal 01/05/1944 Al 20/11/1944
CAPO NUCLEO Dal 01/03/1945 Al 08/06/1945
3° DIV GL 1° BRG MONTE BRAM
STRERI STEFANO RICCARDO 14/11/1923
CUNEO
Nome di battaglia NELLO PARTIGIANO 3°
DIV GL
Prima formazione SQ
D'AZIONE CITTADINE -CUNEO Dal 01/06/1944 Al 01/01/1945
Grado conseguito CAPO
SQUADRA Dal 01/07/1944 Al 31/08/1944
1° DIV GL Dal 01/06/1945 Al 01/01/1945
COMANDANTE
DIST Dal 01/09/1944 Al 01/02/1945
3° DIV GL 1°
BRG Dal 02/01/1945 Al 08/06/1945
COMANDANTE
BTG Dal 01/02/1945 Al 08/06/1945
Mio marito raccontò del suo Comandante l’avvocato di Cuneo Nello Streri e del Lancio degli
alleati quando ricevettero un cannoncino e altre armi. Diceva che avevano
ottimi rapporti con il Parroco Don Gallesio e che questi consentiva che
mettessero in Canonica I materiali ricevuti con I lanci. Don Gallesio fu anche
il prete che, quando I nazifascisti arrivarono da Dogliani per chè avevano
saputo dei partigiani e volevano incendiare, coraggiosamente si parò loro
davanti assicurando che I partigiani non c’erano. Anche le Suore dell’asilo
andavano a curare I feriti pur sapendo di correre gravi rischi!
IL LUOGO E
LE VICENDE (A.N.P.I)
Nella
primavera del 1944, nella porzione di territorio compresa tra Dogliani, Somano,
Bossolasco, Bonvicino e Lovera, si formarono bande di partigiani, composte in
gran parte da stranieri, quasi tutti provenienti dalle zone occupate
dall’esercito italiano, imprigionati ed evasi dal carcere di Fossano. L’undici
settembre 1943, infatti, dal carcere “Santa Caterina” erano evasi diverse
decine di maquis francesi e di partigiani slavi. La maggior parte di loro
proveniva dalle zone di occupazione italiana in Jugoslavia ed in Francia, dove
erano stati arrestati dai militari italiani come ribelli. Processati e
condannati, erano arrivati per diverse vie e in tempi diversi a Fossano e, dopo
l’evasione, un buon numero di loro si era fermato a combattere in Langa.
Tra i
francesi vi era Luis Chabas (il leggendario “Lulù”), tornitore meccanico
originario di Lione già appartenente ai maquis del Vercors, che doveva scontare
una condanna inflittagli dal Tribunale Militare della IV Armata per
partecipazione a banda ribelle. Tra gli slavi vi era invece Eugenio Stipcevic,
che divenne famoso con il nome di “Genio lo Slavo”. Nato a Zara nel 1908 era
stato comandante partigiano in Slovenia, catturato dagli italiani nel settembre
1942 e rinchiuso nel carcere di Fossano nel maggio successivo. Dopo l’evasione,
molti di questi stranieri entrarono a far parte delle formazioni partigiane in
fase di organizzazione nella provincia di Cuneo. Nella primavera del 1944 nella
zona di Somano, Bonvicino e Lovera (nei dintorni di Dogliani) si costituì un
gruppo di francesi capeggiati dal sarto Simon Samuel e uno di slavi capeggiati
da Eugenio Stipcevic.
Poco tempo
dopo, questi ed altri gruppi dall’Alta Langa si riunirono in un’unica
formazione e costituirono la 16ª Brigata d’assalto Garibaldi “Generale Perotti”
che ebbe sede nella frazione Lunetta di San Benedetto Belbo, e che coordinava
tre distaccamenti lungo le direttrici Somano-Monforte-Barolo-La Morra,
Monforte-Dogliani e Bossolasco-Serralunga-Roddi.
La forte
presenza di stranieri all'interno della Brigata portò alla costituzione di un
distaccamento plurinazionale, il cosiddetto “Islafran” (dalle iniziali delle
tre nazioni da cui provenivano: italiani, slavi, francesi), comandato da
Eugenio Stipcevic, e dal vicecomandante Daniel Fauquier. Nel corso del tempo
questo distaccamento crebbe di dimensioni e, nel luglio 1944, dopo la
liberazione dal carcere di Fossano di molti prigionieri stranieri ad opera di
squadre partigiane, vi entrarono anche numerosi russi, austriaci e cechi. Tra
la fine del 1944 e il gennaio 1945 i garibaldini si riorganizzarono e
l'”Islafran” divenne un distaccamento del GAD (Gruppo Arditi Divisionale)
comandato dallo stesso Stipcevic. Si trattò dunque di una vera e propria
formazione internazionale che nella lotta comune contro la dittatura diede
corpo al sogno di un'Europa libera e democratica. A loro, poi, si unirono altri
due reparti: uno della Banda Monte Bram e uno della Banda Monterosso della
brigata GL Valle Grana.
STORIE
DI “MASCHE”
Mio
papà racconta che una volta andò a viè ant’nà stala a Dogliani e arrivoò uno
che disse:”Volevo portarvi a vedere una bella pecora ,ma mi è scappata!”Disse
che venendo per strada nella vallata vide una pecorella in un prato,se la
caricò sulle spalle col proposito di vederla alla luce ma quando fu “a rancò
d’réra a ré scapaié! In quella vallata deserta ,ogni tanto si vedevano dei
Bocin e si diceva fossero masche.
RA
MASCA ZANTERNA
In
un Ciabòt abitava una vecchia e i divo ch’à réva na Masca (dicevano che era una
Masca).Si ammalò e chiamarono il prete per farle portare r’Euri Sant (olio
Santo). A quei tempi per portare l’olio Santo si faceva come una “procession”
di un po’ di persone. Quando il prete col gruppo di persone fu per la strada
che porta a Monforte, si addensò su di loro una nube “Propi bruta! Ch’à fova
pao!”(Proprio brutta, che faceva paura) .Il prete disse :”Fomse corage che
r’oma NoSgnor ansèm!” (facciamoci coraggio poiché abbiamo il Signore Dio con
noi!)
Arrivarono
al ciabòt da chila sì (questa defunta) gli somministrò l’olio Santo e gli
scoprì i piedi, poiché l’usanza era che dop r’ori Sant ìi désquatavo i pé,Dis
ch’à r’ava i pé èd fèr ! ( dopo l’aver impartito l’Olio Santo si dovevano
scoprire i piedi. Si dice avesse i piedi di FERRO!). Il prete commentò “andoma
andoma r’avo stò avisò da ra nivora! Diso che a iera na masca! ( Andiamo,
eravamo stati avvisati dalla nube. Si dice fosse una Masca!) Mia mamma era bambina,
partecipò a quella processione, e lo ha sempre raccontato!
IL
GATTO DALLA FINESTRA
C’era
una donna che aveva un bimbo piccolo. Era preoccupata, perchè vedeva che veniva
sempre un gatto, non loro, dalla finestra. Lo riferì al marito e questo disse ”In
dì o r’atr mi r’ò rangg! In dì ò rà svaciòro e con ò siròt o rà tajaie na
piota! Èss gat ò rè scapà Dis che dop an poch,( un giorno o l’altro lo sistemo
io! lo trovò alla finestra e con l’accetta gli tagliò una zampa. Sto gatto
fuggì ma si diceva che in una
cascina lì attorno si vide una donna senza una mano. Pare fosse una masca.
Grazie alla foto inviata dal nipote Silvano si evince che Nonno Cinot fu aggregato all'ottavo Fanteria.
Dal Diario della Brigata riportiamo le fasi della guerra che fu "costretto" a combattere e in cui perse una gamba!
BRIGATA "CUNEO" (7° e 8° Fanteria)
ANNO 1917.
La brigata rimase nello stesso settore
(Sober q. 102-q. 95) fino alla 10a battaglia dell’ Isonzo (12 maggio-8 giugno),
trascorrendo il lungo periodo ora in trincea ora nella zona di Moraro, Pubrida,
S. Lorenzo e Pradis.
La normale attività non venne turbata da
alcun notevole avvenimento, ma il 10 febbraio e più volte in marzo i suoi fanti
furono costretti a rintuzzare i continui colpi di mano avversari contro la
posizione di q. 102.
Il 13 e 14 maggio i due reggimenti si
riunirono a Gorizia per essere impiegati: il 15 si portarono nel settore di
Panovizza per entrare in azione verso il bosco omonimo, costituendo così
elemento di saldatura tra le colonne operanti, a nord contro S. Gabriele, a sud
contro S. Marco. Il 16 diedero inizio al loro attacco che venne sferrato con la
massima decisione e con estrema energia, ma non arrise ai fanti della Cuneo il
meritato successo; il nemico tenacemente impedì loro ogni progresso e li
costrinse ad aggrapparsi alla q. 174.
L’ avversario, cui furono catturati un
centinaio di prigionieri e due mitragliatrici, avrebbe voluto ricacciarli anche
da questa quota, ma gli attacchi da esso lanciati il 16, il 17 e il 18 vennero
nettamente respinti; anzi nei giorni successivi l’occupazione di q. 174 venne
rafforzata e il 25 reparti dell’8° riuscirono ad ampliarla verso sud,
conquistando la così detta “Casa a Striscie”, che il nemico non lasciò di
contrattaccare più volte invano.
In questa battaglia (dal 16 al 25 maggio)
la brigata perse 1270 uomini di cui 33 ufficiali.
Dal giugno all’ottobre essa fu in linea
nel settore del M. Santo ed alternò il servizio di trincea, con periodi di
riposo presso Subida.
Il 3 ottobre fu schierata con la 66a
divisione nel settore del S. Gabriele e il 24, all’inizio dell’offensiva di
Caporetto, non riuscì ad impedire che il nemico penetrasse nel tratto della
nostra linea tra q. 462 e V. Sorgente (M. S. Gabriele). La situazione venne
ristabilita quasi del tutto grazie ad un
pronto ed efficace contrattacco dei battaglioni di rincalzo; ma il 27, in
seguito alle avverse vicende sulla fronte Giulia, fu dato l’ordine a tutte le
truppe di ripiegare sulla destra dell’Isonzo. La brigata prese posizione sulle
alture di Gradiscutta - Valerisce, indi il 30, abbandonate quelle alture, iniziò
la marcia verso il Tagliamento.
Presso Codroipo le compagnie di coda
dell’8° fanteria, vennero attaccate da reparti nemici e coinvolte in
un’improvvisa lotta assieme a reparti di altri reggimenti ; tentarono insieme a
questi di disimpegnarsi e di difendere l’abitato, ma il nemico rieuscì a
circondarli e catturarli. La brigata dopo aver avuto circa 1600 tra morti e
dispersi, passò il Tagliamento, raggiunse il Piave e il 6 novembre si riunì nei
pressi di Rustega (Camposampiero) ancora con una forza di circa 3000 uomini e
114 ufficiali.
In dicembre, rinfrancata appena dalle
fatiche del ripiegamento, ritornò in linea e si schierò nel settore occidentale
di M. Pertica. Quivi, allo scopo di alleviare la pressione nemica contro la
fronte Col Caprile - Col della Berretta, attaccata dall’avversario, il 14
dicembre tentò di ampliare l’occupazione di M. Pertica e lanciò all’assalto il
I battaglione dell’8° e il II del 7°, i quali, attaccando con il loro consueto
slancio e valore, giunsero rispettivamente nei pressi della cima del Pertica e
del Col della Berretta, su cui però non poterono affermarsi perchè un
contrattacco in forze, sostenuto da violento fuoco d’artiglieria, li costrinse
a far ritorno alle trincee di partenza.
Il 18 dello stesso mese il nemico attaccò
la nostra linea Ca’ d’Anna - M. Asolone, conquistò quest’ultima cima e riuscì a
far ripiegare il I e III battaglione del 7°, di presidio alle pendici di Val
Cesilla (fianco orientale dell’Asolone). I reparti di rincalzo della Cuneo,
prontamente intervenuti nella lotta, con un deciso contrattacco arrestarono
l’irruzione degli austriaci, che dovettero limitare la loro occupazione alla
sola sommità del monte.
Due giorni dopo una compagnia dell’8° con
un improvviso colpo di mano rioccupò di primo impeto la linea di M. Asolone, ma
ne fu quasi immediatamente scacciata.
ANNO 1918.
Nell’ultimo anno di guerra la brigata
Cuneo prense parte solo alla battaglia di Vittorio Veneto (24 ottobre - 4
novembre). Essa infatti dal gennaio, epoca in cui lasciò il Col della Berretta
e l’Asolone, al marzo fu a Carmignano di Brenta, il 10 di questo mese si portò
in linea nel settore di Cornuda, ove, durante la battaglia del giugno, esplicò
solo azioni di pattuglie. Ripiegato il nemico sulla sinistra del Piave (23
giugno), ardite pattuglie della brigata tentarono più volte di passare il
fiume, mantenendo l’avversario in continuo orgasmo.
Nella battaglia di Vittorio Veneto la
Cuneo fece parte del XXVII Corpo d’Armata, che, assieme ad altre unità dovette
oltrepassare il Piave tra Onigo e Fontana del Buoro. Il 24 mattina essa fu
riunita a ridosso della strada militare poco sotto la sommità del versante sud
del Montello; verso sera si attestò alla strada pedemontelliana sulla destra
del fiume, in attesa di ripassarlo; ma le avverse condizioni atmosferiche
ritardarono l’operazione, che ebbe inizio la sera del 26 alle ore 20,30. Nella
notte i fanti della “Costantissima” , usufruendo del ponte costruito in quella
zona dal XXII Corpo e superando difficoltà non lievi derivanti
dall’interruzione del ponte stesso e dalla vivissima reazione del nemico, la
cui artiglieria tempestò furiosamente anche il greto del fiume, ne raggiunsero
la riva sinistra e portarono subito il loro travolgente attacco alla linea
avversaria tra Molino Pilonetto e C. Bastiani. Vinta in breve la resistenza di
audaci nuclei nemici, che tentarono vivamente ed ostinatamente di contrastar
loro il passo, i fanti della Cuneo procedettero con risolutezza verso Moriago e
Mosnigo. Né il loro impeto si arrestò davanti alle successive forti difese
austriache, che essi oltrepassarono, riuscendo la sera del 27 ad affermarsi
lungo la linea Bosco Case Paludotti - pressi di Mosnigo, linea che difensero
con tenacia e con felice esito dai continui contrattacchi nemici, a prezzo di
perdite sensibili (328 di cui 19 ufficiali).
Il giorno successivo il nemico ritornò al
contrattacco, ma le truppe della brigata resistettero sulle posizioni
conquistate per continuare, dopo riattati i ponti ed avuti i rinforzi,
l’avanzata oltre il fiume. In questi due giorni i reparti della Cuneo furono
vettovagliati a mezzo di audaci stormi di aeroplani discendenti a bassa quota.
Due battaglioni dell’8° fanteria e uno della brigata Messina il giorno 29
occuparono il Castello, le alture a nord di Vidor ed Abbazia, rendendo in tal
modo facile e possibile il gittamento del ponte, necessario in quel tratto per
far passare altri reparti.
Nei giorni successivi la brigata occupò
Mosnigo ed il 30 raggiunse Fontana e Farra di Soligo, ove sostò sino al 4
novembre.
La condotta ammirevole tenuta per tutta la
guerra dalle truppe della brigata, che anche l’avversario chiamò “una delle
migliori brigate italiane” fu stata premiata con la concessione alle Bandiere
dei due reggimenti della medaglia d’argento al valor militare. A quella dell’8°
è stata anche conferita un’altra medaglia di bronzo per il contegno tenuto
nell’ultima battaglia, che portò le armi italiane a Vittorio Veneto.
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