lunedì 11 marzo 2024

BORRI SEBASTIANO SOMMARIVA BOSCO1915 U.R.S.S. 1943

 



















                                            



Sorella Anna

BORRI SEBASTIANO

Di CORNAGLIA DOMENICA (di Anna e Felice) di DOMENICO (di Margherita e Sebastiano)

nato a SOMMARIVA DEL BOSCO il 6/6/1915

Soldato Divisione Alpina Cuneense

IV Rgt. Artiglieria

31/1/1943 Fronte Russo

 

 

                                                                                                          

 

chiamato alle armi nel 4° Regg.Art:alpina-gruppo Mondovì il 16 Aprile 1936.

 

Il 3 Aprile 1937 è inviato in congedo illimitato.

 

Il 17 Agosto 1939 viene richiamato alle armi per esigenze eccezionali e aggiunto al 4° Regg.Art.Alpina

 

L’8 Febbraio 1940 è inviato in Lic. Straordinaria

 

Il 16 Maggio 1940 è richiamato alle armi e mobilitato in territorio dichiarato in stato di Guerra.

 

L’11 Giugno 1940 parte per l’Albania(si imbarca il 20 Ottobre a Bari sul Piroscafo Piemonte e il 30 sbarca a Valona).

 

Il 12 Giugno 1941 ritorna in Italia con il Piroscafo Puccini e sbarca a Brindisi.

 

Il 21 Giugno 1942 è inviato in Russia.

 

Scrive alla sorella Anna , alla mamma e ai fratelli nel periodo tra il 25 Settembre e il 25 Ottobre 1942.

 

Il 1°Marzo 1943 viene dichiarato disperso nei fatti d’armi svoltisi in Russia.

 

Il 1° Giugno 1943 la dichiarazione di irreperibilità è rilasciata dall’Uff. Mobilitazione del 4° regg.Alpina

 

 

 

 

 

Borri Sebastiano è il primogenito di Domenico detto Mini e di Cornaglia Domenica, nasce il 6 Giugno 1915 a Sommariva del Bosco e avrà dei fratellini che nasceranno nel 1919 Felice, 1921 Anna, 1924 Mario, 1925 Luigi.

Il padre, Mini era della discendenza dei Trèdì soprannominati così poiché il “Cé”(il nonno) si tagliò due dita con la “faussia”(falce messoria).

Domenica Cornaglia Mamma di Bastianin Menica Cornaglia, la mamma, andava come “serventa”(donna di servizio) dai marchesi al castello di Sommariva e Mini continuava il lavoro di “Cartoné”. Fu richiamato militare per la guerra del ’15/’18 e fu preso Prigioniero. Fintosi morto fu lasciato nel mucchio dei cadaveri con un compagno ferito. Con uno stratagemma prese in spalla il compare e passò davanti alle guardie salvando sé stesso e l’amico. Non ricevette decorazioni ma ebbe la riconoscenza a vita dell’amico, ogni volta che si trovavano all’Osteria, Masin si faceva raccontare come lo aveva salvato e gli offriva da bere. Mini:”l’on daje in pugn per andurmilo”(gli diedi un pugno per addormentarlo) perché strillava e aveva paura e avrebbe rovinato la fuga. All’osteria, Mini, ci stava volentieri e anche troppo, raccontava la nonna Menica. Lei lo conobbe prima che andasse militare di leva ed era un bel giovane gran lavoratore e sempre in viaggio col “Tombarèl” o con il “Carton”. Quando tornò dalla Calabria dopo il terremoto del 1908 aveva già iniziato a bere ed era cambiato, aveva visto troppi cadaveri e raccontava di aver già subito dei vaccini e trasfusioni di sangue che gli facevano avere incubi e visioni. Da gran lavoratore che era divenne gran frequentatore di osterie. Anna, la figlia, lo andava a prendere dall’osteria e con lei tornava a casa cantando. Se andava Bastianin, non tornava e una volta a casa spaccava tutto ”o r’ava èr vin gram” (aveva il vino cattivo). Il rapporto con Bastianin era conflittuale, il figlio lo sgridava e lui ci rimaneva male, così, vergognandosi e per difendersi faceva il matto. Aveva dei momenti in cui era simpatico e anche consapevole di aver maturato un caratteraccio ma con i figli e la moglie era terribile. Alle processioni, quasi per espiare le sue colpe portava la croce grande e procedeva scalzo e incatenato ma dopo la bevuta di rito era nuovamente l’ubriacone che sragionava.

                                       BASTIANIN




crebbe con gli insegnamenti dei nonni e imparò a rispettare il padre e a giustificare le sue intemperanze, ma visse addolorato per avere un padre abbrutito dal vino e incapace ad aiutare la moglie a crescere i propri figli.

Bastianin terminata la terza elementare andò dai nonni e zii come “Vachè”(vaccaro), ma appena potè, andò da garzone di panetteria. Quella sarebbe stata la sua professione “Panaté” e anche il fratello Felice e la sorella Anna lo avrebbero aiutato nel forno e in panetteria. A 18 anni aveva già una buona esperienza ma continuò da garzone fino al 1936 quando partì militare. Fu arruolato nel 4° Regg.Artiglieria Alpina gruppo Mondovì e rimase  come fornaio fino al 3 aprile 1937 e inviato in Congedo illimitato. Appena torna a casa inizia a far progetti, intanto che si raggranellano un po’ di soldini per aiutare la mamma che pur di non far sfigurare la famiglia va a lavorare in campagna e dalla Marchesa. Il padre ha sempre dei comportamenti incomprensibili e ora frequenta anche delle donne che gli mangiano i pochi soldi che riesce a guadagnare. Su di lui non bisogna contare, viene persino ad esigere il sacco di grano o di granturco che mamma Menica e riuscita a produrre nelle terre dei Pralot avute in eredità da nonno Bastian.

                                          zia CICHINA

Nel 1938 con l’aiuto di Magna Cichina si va a rilevare un forno a Verduno. L’idea è quella di avviare la panetteria con Anna e la zia in negozio in attesa che Felice assolto il servizio militare entri a collaborare nel Pastin(laboratorio del forno). Si lavora, Verduno è un buon paese, la gente va a cuocere ma si vende anche pane e “galuperie”(dolci-golosità). 

      

                             

                                                  Anna

    Limpio racconta “Ritrovai Bastianin a Verduno”

Il 25 Giugno del 1938 passai a Verduno e vidi un’insegna di Panetteria che sapeva di nuovo. Attratto dal profumo del pane appena sfornato legai il Biond all’anello drà pila d’r’ara dèr mèrcà( all’anello della pila dell’ala del mercato). Con me arrivò uno che mi disse chiamarsi Redento. Era piccolo biondo, capelli all’umberta e due occhi chiarissimi con cilia bianche e doi pomin ross(Guance rosse), spingeva una carretta con  due ghirbine. O jera ‘n ciaciarètt! (Uno che parlava molto!) Vèn a cheuse,bèica che bela pasta(vengo a cuocere,guarda che bella pasta),sollevò la tela bianca e mi mostrò la pasta già alvà (Lievitata), abbiamo èr panaté neuv e sua soréla nà bela panatéra, na brunota marca leon!!! aggiunse sottovoce quasi a confidarmi un segreto. Redento andò nel pastino e spaventò i canarini della gabbietta sul tronco che fungeva da panca.

Io entrai nella Bottega del pane, boia faoss! Aveva ragione Redento, una bella brunetta stava sistemando dèr biove e di micon sfarinà , <Bondì>-disse  rivolgendo lo sguardo,mi affrettai a gaveme èr capèl e a ravviarmi con la mano i capelli schiacciati e risposi al saluto ambajà (abbagliato) dalla bellezza di quella ragazza. Aveva la coda di cavallo che raccoglieva i capelli neri ondulati, la carnagione olivastra la rendeva attraente e il sorriso leggero interessante. Le chiesi una biova  e lei :< l’alo in sachèt che èi la buto ‘n drinta> (Ha un sacchetto? Così gliela metto dentro). Le porsi il sacchetto che mamma Tina aveva cucito ripiegando due fazzolettoni di tela blu a quadri, si chiudeva con un bindèll (una fettuccia) e lo usavamo solo per il pane.

<Veul d’aot ?(Vuole altro?) Si accorse che non le toglievo gli occhi di dosso e arrossì leggermente,<ch’ame scusa, ch’am daga ‘dcò due tirole crocante!(Mi scusi,mi dia anche due pani lunghi croccanti.> Rispose:< Sì sì son bìn cheuite.> (Sì sì son ben cotte).

Incuriosito per la sua parlata le chiesi di dove fosse e seppi che era di Sommariva del Bosco nella pianura, il mio dubbio fu confermato. Ero stato in Africa da militare e avevo un compagno di Sommariva col quale riuscimmo a tornare con un po’ di fortuna, il suo nome era Borri Bastianin. Glielo dissi e lei: L’è mé fratèl ,l’è ‘ntèl pastin ! è mio fratello è nel pastino.Lo chiamò e incredulo fece babola dalla porta e: oh diaolèri cò ‘t fasi sì Limpio? Era trascorso un anno da quando riuscimmo a tornare dall’Africa e poi fummo congedati. Ci abbracciammo e mi accompagnò dove aveva il forno. Siediti Limpio che devo preparare il pane per Redento. Era il Matot che avevo conosciuto fuori, mi salutò come un vecchio amico e riprese a far fischiettare i canarini. Bastianin riprese a posare le pagnotte sull’asse con la tela ,aveva una rapidità che già conoscevo per averlo visto lavorare nel forno a Ualaddaie. Mentre si muoveva veloce tra le assi posate su cavalletti : ‘tlo pii ‘n cafè ? o, prima foma colassion ,mi l’è da doi bot dè stanot che scorat (è dalle due di stanotte che corro) però sono contento perché lavoro per me. Mi piaceva sentirlo parlare, con la cadenza Turinèisa  e il raccontare gioioso esprimeva felicità e la trasmetteva. Venne Magna Cichina e ci presentò :

Chiel l’è Limpio ,soma stà soldà ansèma, e chila l’è magna Cichina ,la sorela d’la mama l’è la nostra banchéra e socia in affari, sènsa chila saria pà riéssì a dorbe sa panetteria! (Lui è Limpio,siamo stati soldati insieme,e lei è zia Franceschina.la sorella della mamma,è la nostra banchiera e socia in affari,senza di lei non sarei riuscito ad aprire il forno.

 Era una bella Signora con i capelli chiari raccolti in un chignon e un vestito signorile  che frusciava quando si muoveva. L’on gità ‘s matèt parèi  fon co cheicòs mì.(Ho aiutato stò ragazzo,così faccio qualcosa anch’io Bastianin mi aveva raccontato che magna Cichina era rimasta vedova giovane e non aveva figli.

Corse a guardare nel forno dallo spioncino e rapido prese la pala per sfornare. Aprì entrambe le parti della porta di ghisa e con gesti morbidi ma felini estrasse sei biove robie (ramate ,ben cotte) e fumanti. Per qualche momento non parlò più,concentrato a manovrare la pala riempì la prima ghirbina di Redento che attirato dal profumo era rientrato per assistere alla sfornatura, con le piccole mani dietro la schiena si pose a debita distanza e assistette in silenzio al rito lanciandomi qualche occhiata come a dire : Che bravo e che abilità !

Il religioso silenzio si mantenne per la successiva infornata di tirole,erano tutte lunghe uguali e gemelle anche nella somatica dovuta alla lievitazione al pezzo ,il taglio aveva prodotto leggere onde e increspature. Bastianin le scopriva e riverente con due mani ,quasi trattenendo il respiro le spostava e incolonnava sulla pala lunga. Redento interruppe il silenzio e con la sua voce stridula : èiro beutti quandi er brèn? Intendeva la crusca  per far scorrere i pezzi . Era così rapido che il gesto per spargere il brènn sulla pala era sfuggito a Redento. Io l’avevo notato e risposi per Bastianin” o ra bitòro sta tranquil!Senza parlare Bastianin prese una pessià (Pizzico) di crusca sul tavolaccio e tra uno spostamento di una tirola e l’altra la spantiò (sparse) sullo spazio rimanente gettando un’occhiata di intesa a Dento . Questi sorrise felice e tornò a seguire le mani e i piedi del fornaio in quei gesti che ti rapivano e incantavano. Quando ebbe infornato, Dento sospirò.

 Bastianin andò al “gaross”(bigoncio di legno) dell’acqua e si diede una sciacquata al viso e si asciugò ravviandosi  i capelli , risistemò la bustina bianca da panaté e fregandosi le mani ci invitò a prendere la fetta di pane con il formaggio ammorbidito dal calore. Il grammofono suonava una canzone di Gigli ”Mamma” , negli occhi di Bastianin  lessi la gioia di vivere e l’emozione mista a felicità per l’essere con gli amici. Chiamò la zia e la sorellina e brindammo con un Pelaverga che aveva il profumo dei fiori e sapeva di spezie. Redento salì su di un sacco e disse “viva j’amis e viva èr forn èd Bastianin.” Quasi a presagire il richiamo alle armi Bastianin sommessamente : “Speroma che la salute e la guèra an lassa andé avanti” e andò a girare il disco che riprese a suonare “Una furtiva lacrima”.

Ad Agosto del 1939 ci incontrammo nuovamente, io e Bastianin, questa  volta non nel Pastin ma in Caserma al 4° Reggimento Alpini con la qualifica di “conducenti”. Fummo insieme in Albania, insieme in Russia. Vidi ancora Bastianin “ballare” per infornare e sfornare, lo vidi “ballare “ in un Isba di Rossosch al suono di un’armonica, poi sentìi solo più cantare “mamma”, era Bastianin . Ci perdemmo in una distesa bianca come la farina, mi risvegliai, la ragazza russa ballava da sola, aveva gli occhi di Annetta.

 

Il 10 agosto 1939 fu una data che lasciò il segno nella famiglia Trèdì. Bastianin era uscito a guardare le stelle, dalla porta del Pastin di Verduno vide alcune stelle cadenti e sorrise pensando alla scaramanzia dei desideri. Ne aveva espressi tanti in cuor suo ma l’importante era procedere bene nel lavoro e pensò a Maria di Barge compagna di lavoro di Anna, doveva decidersi ad esprimerle il suo sentimento. Erano le quattro di mattina e la compagnia del fuoco, del forno e dei canarini gli rendevano meno faticosa la notte.

Arrivarono presto alcune donne a cuocere e iniziò la giornata scherzando con qualcuna che gli chiedeva quando avrebbe preso moglie. Era solito dire che aveva troppe donne che lo coccolavano e lo facevano ballare per decidersi a sposarne una. Ma quella mattina, iniziata con tanti auspici di gioia, serenità e allegria, verso Mezzogiorno, con l’arrivo di Luigi, il fratello più giovane, si trasformò in un terremoto che avrebbe cambiato la vita di Bastianin, Annetta e Zia Cichina, unitamente al paese di Verduno che avrebbe dovuto trovare un altro Panaté. Luigi recava un telegramma con la dicitura “ Borri Sebastiano è richiamato alle armi per esigenze eccezionali ai sensi del foglio n°9863. Deve presentarsi al Distretto per aggregarsi al 4° Reggimento Artiglieria alpina di Mondovì il giorno 21 Agosto 1939”. Per sdrammatizzare, e consolare la sorellina Bastianin disse: “oh bin, von a fé an poche éd ferie!”(oh bene vado a fare un po’ di ferie!)

Nel giro di pochi giorni smantellarono la panetteria e consegnarono le chiavi e la licenza del forno in Comune.

Bastianin andò dai Carabinieri per informarsi meglio circa il richiamo alle armi, ma quando vide la ressa davanti alla caserma capì che tutto era chiaro, Mussolini ne aveva combinata un’altra delle sue. Vide parecchi padri di famiglia che protestavano perché dovevano abbandonare moglie e figli per tornare a “servire la Patria”. Loro avevano già servito la patria e soprattutto non volevano andare in guerra.

Non ci fu nulla da fare. Si salutò la famiglia in lacrime, si depose l’abito nuovo da “borghese” e si partì.    

                      LETTERE DI BASTIANIN

 

Dintorni di Valona 06 Febbraio 1941

Carissimo fratello Felice, giungo a te con questo povero scritto, sono Sebastiano nella foto vestito in borghese. Ti faccio sapere che sono in ottima salute come spero di te. Mi ha fatto piacere ricevere la tua cara lettera con la foto che mi ha fatto contento. Hai fatto bene a “cimentare”(riprenderlo) padre e avete fatto bene a comprare la radio. Ah se potessi farvi avere mie notizie via radio! Ah se potessi parlarti a voce ,avrei tante cose da raccontarti! I Greci mi hanno preso una volta e io sono fuggito però ho perso tutto il mio corredo  e zaino. Ma è andata bene,ora i miei superiori mi daranno nuovamente tutto. Forse adesso faremo parte della Divisione Julia ,per ora l’indirizzo è sempre il solito fino a nuovi ordini. Cosa mi rincresce “dispiace” è che sono morti dei miei amici di Sommariva: Tista, Perot, il Borgno,il Naco e altri ancora!

Abbiamo pianto pensando ai loro genitori! Ci facciamo coraggio,tutto passerà. Io comunque sono sempre contento e fiero di combattere. Caro Felice ,non preoccuparti per me che io per ora sono fuori pericolo e tutto mi è ancora a favore. Qua tutti i santi giorni piove e quando al mattino esco dalla tenda e prendo le scarpe sono piene di acqua! Ci sarà anche fango attaccato a queste pagine! Compatiscimi per il mal scritto ma sto scrivendo  sdraiato per terra. Guarderò se posso scrivere da un po’ più comodo, e mi farò prendere una foto e te la invierò. Capisco  che sei  preoccupato per me ma per ora non si può esprimere questa idea (basta con sta guerra )Tutti i santi giorni arrivano militari dall’Italia.

Che bello se fossi stato a casa anche tu quando ero in licenza per 10 giorni, sì che  ci saremmo divertiti!

Arriverà anche quel beato giorno!

Capisco che il Padre potrebbe anche scrivere ma ci vuole tempo e spero che almeno mi pensi. Purtroppo questo è il suo carattere. Ti invierò qualche soldo perché a me ne rimangono  sempre piuttosto e spero che li riceverai. Ritiro dalla naia 8Leh al giorno che sarebbero 10 Lire Italiane e vedrò di inviarne qualcuno alla mamma e voglio sperare che se “padre” lavora non li useranno e  li terranno per quando torno a casa se Dio vorrà. Così li useremo e faremo fare bella figura a tutta la Famiglia. Se posso qua in Albania mangio bevo e fumo anche per non  prendere la malaria, e cercherò di non fare patire questo mio corpo per fare bella figura .Ti pare faccio bene? Caro Felice cosa ne dici? Se Dio vuole verrà di nuovo il giorno che saremo nuovamente insieme e potremo farci le confidenze! Che felicità per me! Lascio la penna con (rincrescimento) dispiacere  caro Felice e  mando una pioggia di baci sul tuo bel viso ,saluti ai genitori , ai fratelli e a Annetta. Tuo affezionatissimo fratello Sebastiano

 

 Giovedì 24 9 42 U.R.S.S.









Salve carissima sorella e mamma, vi rendo noto che ho ricevuto questa mattina la lettera inviatami il giorno 13. Sono molto contento che mi dite che state bene e pure io sto bene. Ho ricevuto altri vostri scritti ma ero in marcia e non ho potuto rispondere subito. Ma state certi che le vostre lettere non vanno perse e mi fa piacere di sentirvi sovente. Ho ricevuto anche da Felice e ho saputo che anche lui sta bene. Sentite, finalmente proprio oggi sono arrivato nel posto vicino al fronte. Mi trovo in un bel posticino lontano dal pericolo, anche se sento il rombo del cannone. Carlo Strumia si trova a quattro chilometri da qui, è poco che ci siamo visti e anche lui sta bene. Bravi, cari miei, avete fatto benissimo a ritirarmi per bene il mio tanto desiderato vestito da borghese. Così spero che al mio ritorno potrò indossarlo. Sono anche contento che padre fa il bravo e che anzi vi lascia un po’ di granoturco. Eh sì,cara sorellina, sarei felice di essere lì vicino a te ,e ti sopporterei anche se mi facessi ben disperare. Lo so che abbiamo passato dei bei giorni insieme ascoltando quella bella radio e che pure per me è un gran desiderio di esserti di nuovo vicino, cara Anna e miei cari. In ogni modo finirà. Io sono contento ugualmente anche se sono qua, lontano da voi tutti ma ben vicino con il cuore e fiero di essere in gradi di affrontare qualsiasi ostacolo. Senti cara sorella,se aspetti me ad uccidere l’oco, poi viene un po’  duro! Ma si mangia lo stesso.

Ti ringrazio delle Benedizioni che mi mandi, ti ricompenserò poi al mio ritorno. Pure io sono del tuo parere, che quando si riceve posta da voi tutto è più fiorito. Il mio unico dispiacere è che non posso più avere nessun divertimento, qui non so neppure quando è festa! Non ho neppure fatto gli auguri a Maria di Paesana non sapendo se in questi mesi era il suo Onomastico.

Stai contenta cara sorella e non lacrimare e se vuoi pregare fai bene. Sono pure contento dell’immagine della Madonna che mi hai inviato, la custodisco! Scusatemi ancora cara Anna e cara mamma se vi scrivo un po’ male, ma sapete che mi manca la sedia e il tavolino. Domani nuovamente vi parlerò ma ora devo smettere perché già viene notte e debbo ancora andare a prendermi un po’ di paglia per dormirci sopra.

Ciao a tutti dal vostro Sebastiano. Pure sono contento di te cara mamma che mi ricordi Ciau.

 

 

25 10 1942 URSS

Carissima sorellina Anna e pure a te cara mamma, dopo un mio lungo silenzio eccomi di nuovo a voi con notizie che la mia salute è sempre stata più che ottima e così pretendo e auguro a tutti voi. Sentite cara sorellina e mamma, è da tempo che era mio desiderio di parlare un pochettino con voi che siete miei primi fedeli, ma la colpa non è tutta mia e ora ve lo spiegherò. A causa di tutti questi passi che ho fatto per andare avanti ed ora pure mi trovo indietro e ho perso lo zainetto dove tenevo la carta per scrivervi. Ed è per questo che mi trovavo sprovvisto di lettere per scrivervi. E siccome oggi ho ricevuto da te, e comprendimi, non solo uno scritto ma bensì tre: una da te una da Felice e una da Maria di Paesana. Siccome mi trovo molto indietro dal fronte e questi vostri scritti prima di venire a me se ne vanno alla Batteria. Come ora vedi cara Anna che ho cambiato indirizzo e così ero privo di vostre buone notizie. Mi fa molto piacere saper che a casa tutto sta funzionando bene e vi voglio dire alcune cose che so vi faranno piacere. Di nuovo mi trovo in un bellissimo paesetto dove questa gente Russa è ancora molto di cuore.

 E così già ci siamo sistemati e questo è importante. Il mio Comandante mi ha preso in grazia e quando gli ho detto che ero panettiere, lui si è interessato e mi ha fatto avere un forno in questo bel paese ed ora sono già 15 giorni che preparo il pane per i soldati. Faccio come mi pare ed è come essere a lavorare per conto mio, nessuno mi dice niente. Lavoro da solo e non ho mai trovato un posto così piacevole. Il mio grande desiderio sarebbe di essere con voi, ma credetemi per star bene non mi sono mai trovato meglio di qua. Queste donne mi portano uova e miele e lavorando sono al caldo. D’ora in avanti spero di poter ottenere qualche foglio e busta per potervi scrivere più sovente. Se volete inviarmi un pacco, fatemi avere anche dell’inchiostro stilografico e qualche busta. Sappiate che sto bene e fatemi avere vostre notizie. Grazie cara Anna per tutte le lettere che hai incluso, in due c’era foglio e busta in un’altra francobolli e una medaglietta. Anche Felice dice che si trova bene e mi ha detto che vi invia Lire 500. Anch’io appena ci sarà miglior comodità vi invierò qualcosa. Sentite miei cari, se non li adoperate metteteli da parte  al sicuro, così quando torniamo potremo tutti insieme camminare a testa dritta e ce ne freghiamo di tutti quei parenti ignoranti ed imbecilli.

 

 

 

 

 

 

 Storia del 4° Artiglieria alpina gruppo Mondovì Val Po

All’atto della dichiarazione di guerra contro la Francia il gruppo al comando del magg. Mariano Rossini è costituito dal reparto comando, batterie 10^ - 11^ - 12^ , reparto munizioni e viveri.


Terminate le ostilità venne trasferito in Carnia in Val Chiarzò.
Nel dicembre 1940 è in Albania al comando del ten.col. Rossini e con il 1° reggimento alpini viene assegnato alla 9^ Armata per poi passare al XXVI °corpo d’armata del generale Nasci. Viene impiegato frazionato alle dipendenze delle divisioni “Tridentina” e “Parma”. La 10^ e 11^ batteria sono disposte nella zona Ermej-Vidani sulle pendici di destra di Val Tomorezza , la 12^ batteria sulle pendici del Bregu i Math.

Nel marzo 1941 unitamente alla “Cuneense” lascia la Val Tomorezza  e prende parte all’offensiva contro la Jugoslavia.
Terminate le ostilità dal porto  di Durazzo rientra in Italia nel mese di maggio.


Merita la medaglia di Bronzo al VM allo stendardo del 4° reggimento artiglieria alpina.


Alla vigilia della partenza per la campagna di Russia, il gruppo è dislocato:


- Comando e 11^ batteria – Mondovì
- 10^ e 12^ batteria – Villanova Mondovì
- Reparto munizioni e viveri – Magliano Alpi
L’11 agosto 1942 durante il trasferimento in ferrovia, in territorio ucraino, tra Minsk e Gomel, una tradotta sulla quale viaggia l’11^ batteria viene attaccata dai partigiani russi. Nella sparatoria vengono feriti il capitano Rodolfo Berti e il sottotenente Aldo De Michelis i quali hanno il triste privilegio del battesimo di fuoco della “Cuneense”.

Il 16 dicembre 1942 con un pezzo  tratto da ciascuna batteria  del “Mondovì” viene costituita la batteria “Villanova” assegnata in appoggio al battaglione  alpini  “Pieve di Teco”.


Il 17 gennaio 1943 inizia il ripiegamento .

Il  19 ,il gruppo assieme al 1° reggimento è in testa alla colonna della “Cuneense”. Nel pomeriggio avviene l’incontro coi reparti della “Julia” sistemati a difesa dopo che un successo iniziale al kolkhoz di Nowo Postojalowka si era tramutato in ritirata a seguito dell’intervento dei carri armati russi.
Viene deciso di attaccare le posizioni nemiche col battaglione “Ceva” appoggiato dal gruppo “Mondovì”.
Il giorno 20 inizia l’attacco che si protrae per tutta la giornata. Vengono impiegati altri battaglioni e gruppi d’artiglieria ma il concentramento di forze nemiche non permette di forzare la posizione.
I pezzi continuano a far fuoco contro i carri sino a che non vengono tutti distrutti. Cadono tutti i comandanti di batteria del gruppo “Mondovi”, cap.Anton Filippo Donini  e cap. Giuseppe Cassone della 10^, cap. Silvio Sibona della 11^ e cap. Alessandro Calanchi della 12^.
Numerosi sono gli atti d’eroismo, il cap. Sibona della 11^ , il ten. Giulio Siragusa  e il serg.maggiore Michele Filippi della 10^ batteria meriteranno la Medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria.

Gli artiglieri ormai senza pezzi combattono assieme agli alpini come fucilieri.

Nella notte i pochi superstiti riescono ad attraversare le linee nemiche ed a ricongiungersi con i resti della “Cuneense” il giorno 22. Dopo altri combattimenti saranno fatti prigionieri nei pressi di Nikonorowka il giorno 27 gennaio 1943.

Parte del reparto munizioni e viveri s’accodò alla colonna della “Tridentina” uscendo dalla sacca.
Nel marzo 1943 i superstiti sono rimpatriati.
Merita la medaglia d’Oro al VM allo stendardo del 4° reggimento artiglieria alpina.

 

Mini racconta:

Mio padre, Felice, era un uomo semplice e di grande fede. Sicuramente lo ammiravo  per la sua laboriosità e rettitudine  ma già da bambino mi sentivo diverso da lui. Quando nonno Bastian si tagliò due dita con la “faussia”, avevo dodici anni, eravamo nel 1900 e lo adoravo.I cavalli erano all’ombra del grande “mo” (gelso) dei Pralòt e ogni tanto nitrivano perché infastiditi da qualche tafano. Seguivo il nonno a debita distanza per non essere nel raggio d’azione della falce e raccoglievo le spighe che gli sfuggivano. A dire il vero non erano molte, ma lui mi voleva vicino e il padre mi aveva incaricato di seguirlo. Gli piaceva il vino e che fosse buono e non bruschèt o vinot. Nella bota’d cossa marchiata BB,Borri Bastian, provvedeva lui stesso a mettere il vino “dla bonza bona”(della botte buona) poiché sapeva che Felice avrebbe messo quello del botalin ancora allungato con acqua . Con il mazzolino di spighe osservavo orgoglioso quel gesto ampio e flessuoso che il nonno compieva e accompagnavo il suo canto ascoltando la musica che produceva la falce nel taglio e il mannello cadendo; lo gettava con precisione  a formare Ra cheuv-(il covone). Quando fermava per legarla, poiché non voleva fomre antorna(donne attorno), di solito era compito delle donne legare i mannelli- èr giavéle, posava la falce e senza smettere di cantare si allungava, prendeva il gorèt(rami di salice), legava con quel nodo che mi aveva insegnato e riprendendo il ritmo mi sorrideva e o tacava n’atra cansson(iniziava un altro canto). Aveva un ampio repertorio che io avevo ormai appreso, ma se potevo gli facevo cantare “Moretto” o “Morettina”.Allorché la faussia era da moré(affilare), altra fermata, bevuta , recupero d’ra co dal coé-(contenitore appeso alla cintura dei pantaloni), e nuovo gesto con musicale accompagnamento. Questo rapiva i miei occhi e le orecchie mentre nonno Bastian  con maestrìa molava la lama e la rendeva lucente e tagliente. Lisciandosi i baffi mi porgeva la falce e mi invitava a sfiorare la lama dicendomi “s’a lè caoda a lè pronta a esse eizà.”(Se è calda è pronta a essere usata.) Sfioravo con cautela ……..e provavo a falciare un pugno di spighe,poi, sapendo qual era il mio compito restituivo l’attrezzo, soddisfatto di aver espletato er mè travaj.

Il rito del taglio del grano procedette in armonia fino a che il nonno mi mandò dai cavalli. Fermò il lavoro e bevve un sorso a “Garganela” si asciugò i baffi e mi ordinò:”Mini, và a bèjve là a l’ombra e dajne ‘d cò ai cavaj”(Mini vai a bere all’ombra e danne anche ai cavalli)Tron e Losn erano la nostra coppia di cavalli e sembrava avessero capito, nitrirono all’unisono.

Abbeverati i cavalli bevvi anch’io a garganella e mi sbrodolai, mi rivolsi ridendo verso il nonno e notai che si era fermato e aveva raggiunto il bordo del campo, al ritorno presso di lui vidi che il fazzoletto non era più annodato al collo bensì fasciava la mano sinistra. Osservai un laghetto rosso , ma non di vino, vicino a una cheuv -covone , nonno aveva già ripreso il lavoro. Al termine del solco si fermò e si sedette, cosa strana per lui, mi guardò coi suoi occhi chiari ma duri e mettendo il dito indice vicino al naso per intimarmi silenzio mi mostrò, in segreto, svolgendo il fazzoletto insanguinato, la mano sinistra .Mancavano due dita, “l’èi sotraje là-li ho sotterrati là” indicandomi il bordo del campo e continuò “l’on disinfétaje col piss e col vin, la feuja ‘d lapass a férma èl sang-la foglia di lapazio ferma il sangue. Mi diede da pulire il coltello da innesto che aveva usato a eliminare la pelle e mi fece segno di falciare , come nulla fosse accaduto. Riprese a cantare con voce forte, intonò “noi vogliam Dio”.La cantava nei momenti in cui voleva ringraziare il Signore .

Prendendomi la giavela-mannello mi guardò sorridendo e sussurrò” da ancheui noi soma i “Tre dì!(da oggi noi siamo i Tredì! 

 

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