venerdì 10 novembre 2023

FEDRIGO ROMANO FIGLIO del Partigiano "Lampo"

 

FEDRIGO ROMANO


 FEDRIGO  ANTONIO “LAMPO”    

11/08/1926 CAORLE             22/03/1945


 

Mio papà Antonio, il partigiano "Lampo" fu giustiziato dai nazifascisti il 22 marzo 1945 assieme a Idilio Cappelletto, un altro "Lampo" di Chiarano (TV), residente a Monfalcone, a Derno Paravano "Milo" di Torsa di Pocenia e al milanese Giorgio De Santi "Milan".
"Lampo" e Rino De Sario Germano, mentre stavano tornando in bicicletta da una requisizione, erano stati sorpresi da tedeschi al ponte di Chiarisacco. "Lampo", che precedeva l'amico, era stato arrestato, mentre Germano si era buttato nel fiume Corno. Pur fatto segno di un nutrito lancio di bombe a mano, era riuscito a salvarsi, nuotando fino al macello di S. Giorgio, dove l'avevano nascosto.

"Lampo" era giovanissimo, appena 18enne, ma ero già nato io alla fine dell'anno prima: avevo quattro mesi quando uccisero mio padre. Mi aveva chiamato Romano, proprio in omaggio al suo comandante. Spesso i Diavoli Rossi si riunivano nella casa di mio papà, nel comune di Carlino, e sarà proprio il Mancino, come riporta nel diario, a giustiziare il colpevole della fucilazione di mio padre.

Con mia madre vivevo a Carlino.


Questa è la chiesa di Piancada (Palazzolo dello stella)

Sicuramente mi hanno battezzato qui ed anche ho ricevuto la Prima Comunione.(Son ricordi vaghi).Invece ricordo benissimo la Cresima. Tutto il paese, circa trecento persone, era in festa

Il padrino!!! Appena fuori dalla Chiesa, mi acquistò la medaglietta e me la applicò sulla giacca nuova.(quella che dopo il primo lavaggio si accorciò di dieci centimetri.)
A pranzo, a casa della nonna, il Padrino mi consegnò l’orologio. Purtroppo dopo un mese si staccò il cinturino e non funzionò più!

Il pranzo fu a base di brodo e bollito con giardiniera e ricordo ancora l’acidulo della carne trattata con l’aceto per essere conservata per più giorni (senza frigo)
Il Padrino della Cresima, dopo la Festa non lo vidi più.

 

Da Patria Indipendente



 

Si chiamavano Diavoli Rossi perché il Mancino, soprannome dovuto a una menomazione al braccio sinistro, aveva voluto rendere omaggio all’amico Romano Sguazzin, chiamato Diaul, e rossi a ricordo di Garibaldi.

Era stato proprio il Mancino a richiamare l’esperienza risorgimentale scrivendo nel suo diario che i tedeschi “furono cacciati dal patrio suolo da Giuseppe Garibaldi e che nel 1943 di nuovo i garibaldini sorgevano per soffocare i barbari”.

L’unico della brigata ad aver superato i trent’anni ispirerà anche il personaggio de Il Monco nel romanzo Il Ghebo dello scrittore friulano Elio Bartolini: mancin in friulano significa anche monco.

Anche la pittura ricorda l’azione leggendaria. Alfonsino Filiputti, “L’assalto alle carceri”, disegno a tempera.


Ma l’intera storia della formazione sembra quasi destinata a entrare nel mito attraverso l’arte. E per capire la forza del loro sentimento resistente, basti pensare che quando il 12 settembre 1943 i tedeschi avevano occupato la città, in appena 300 avevano disarmano il XXIV Corpo d’armata composto da ben 5.000 soldati.

Una delle più clamorose e ingegnose azioni dei Diavoli Rossi è l’assalto alle carceri di via Spalato a Udine del 7 febbraio 1945. Al limite della beffa, non potrà andar giù agli occupanti.

A raccontarla in una lirica riportata nel volume di Visentin è Umberto Zilli, commissario del Gruppo Brigate nella Garibaldi Mario Foschiani e conosciuto come il poeta-contadino, che morirà il 1° maggio 1945 durante la Liberazione della sua città, Udine – Medaglia d’Oro al Valore Militare per meriti acquisiti durante la Resistenza:

Accerchian la città con vari reggimenti,

li credono migliaia ed eran solo in venti;

sparano le mitraglie e sparan rivoltelle

ma già di tutte vuote son le celle;

sparano dei razzi,

ma fanno la figura dei miseri pupazzi.

La durissima rappresaglia dei nazisti arrivò l’11 febbraio. Ventitré prigionieri – partigiani e ostaggi – furono fucilati contro il muro del cimitero di Udine. Saranno presidiati da una guardia armata e i loro corpi avranno degna sepoltura solo molto tempo dopo, mentre un comunicato afferma che “i ribelli sono stati condannati a morte con una sentenza del Tribunale speciale per rappresaglia all’uccisione delle due guardie giudiziarie del carcere di Udine”. Tra le mura di via Spalato il colpo di coda nazista è datato 9 aprile, quando altri 29 partigiani sono fucilati da un plotone di militi delle SS, comandato da due ufficiali della Sd-Sipo, la Sicherheit Dienst-Sicherheits Polizei, la polizia segreta tedesca.


 “Silvio Marcuzzi-Montes, compagno del Mancino, impazzì dal dolore, piuttosto che parlare, morì urlando” scrive l’intellettuale Luciano Morandini in una cantata riportata nel volume.

 

LUCIANO MORANDINI “

…………………….

Laggiù tra altri mari

Forse qualcuno vedrà

La città promessa

Mite nei gesti e nelle opere

Verrà scorrendo i lustri

Il grande giorno

Saranno chiuse allora

Da uomini sapienti

Con serrami di ferro

Le terribili porte della guerra.          1996

 

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