giovedì 9 novembre 2023

RIZZO ALDO 1919 SAN DONATO DI MANGO

 

Ricordo del figlio Silvano

Rizzo Aldo è stato un Alpino della Divisione Cuneense, battaglione Borgo San Dalmazzo.

 

La Cuneense era costituita sostanzialmente da montanari e contadini e lui era uno di loro.

Classe 1919, veniva da S. Donato del Mango ed era semianalfabeta; aveva frequentato solo prima elementare, perché ai quei tempi il lavoro nei campi significava sussistenza e veniva prima dell’istruzione. Orfano di padre a 12 anni, a 16 viene messo da “servitù”, fino al servizio di leva negli alpini, a ridosso della 2a guerra mondiale.

Era un conducente, quindi gli era stato affidato un mulo.

Era anche un tiratore scelto; al poligono aveva colpito un disco rotante 10 volte su 12, fallendo il primo colpo per aggiustare il tiro e l’ultimo per stanchezza. Per questa sua abilità, gli era affidato il compito di colpire e far scoppiare le bombe inesplose cadute davanti alle trincee. 

 

Partecipò alle campagne di Francia, Albania, Grecia e Russia. Quindi, ad esclusione dell’Africa, a tutte le campagne militari in cui si era imbarcata l’Italia in quel conflitto.

 

Della spedizione in Francia del 1940, breve perché l’intervento italiano giunse quando ormai i francesi erano già stati messi alla corda dai tedeschi, ricordava solo che – nonostante si fosse in giugno – sulle montagne diversi commilitoni ebbero i piedi congelati. Questo la dice lunga sul tipo di equipaggiamento di cui era dotato il nostro esercito, pressoché lo stesso col quale sarebbero poi stati mandati in Russia.

 

Il 24 dicembre dello stesso anno, il battaglione Borgo San Dalmazzo si imbarcò a Bari sul piroscafo Firenze per raggiungere Valona in Albania. Questo, benché fosse scortato da un convoglio militare, venne silurato in prossimità della costa albanese e la poppa cominciò ad affondare velocemente. Il comandante si rese subito conto della gravità della falla e ordinò l’evacuazione della nave. La maggioranza degli alpini non solo non sapeva nuotare, ma non aveva neanche visto il mare prima e nessuno era preparato per l’emergenza in mare. Si scatenò il caos, si rovesciarono parecchie scialuppe cariche di soldati già calate in mare, molti alpini si tuffarono con i pesanti scarponi e annegarono, altri cercarono di aggrapparsi al relitto mentre i marinai li scongiuravano di non farlo perché li avrebbe trascinati sotto. Rizzo decise che se doveva morire era meglio farlo sulla nave e si aggrappò a prua, in attesa dei soccorsi, ripromettendosi per il resto della vita di non lavorare mai più la vigilia di Natale se fosse scampato. Fu la scelta giusta, perché i soccorsi arrivarono prima dell’inabissamento completo del piroscafo.

 

Ma non sarebbe stata la prima volta che scampava alla morte.

 

La guerra in Grecia fu poi combattuta sotto una pioggia quasi incessante, con gli indumenti sempre fradici,  in un fango che impediva i movimenti della truppa e dei mezzi e… invasi dai pidocchi.

Per combattere la malaria, i dottori raccomandavano di fumare e mio padre, che non aveva mai fumato prima, da allora diventò un accanito fumatore e lo resterà per tutta la vita.

Durante quella campagna fu nuovamente fortunato, perché una bomba d’aereo gli cadde due metri  davanti e sprofondò completamente nel terreno  senza scoppiare.

 

Poi venne la campagna di Russia, tra il 1942 e il 1943. Le divisioni alpine Cuneense, Julia e Tridentina, con divisioni di altri corpi e alcune tedesche erano attestate su una sponda del fiume Don, mentre su quella opposta c’erano i russi. Al sopraggiungere del freddo, un freddo così intenso mai sentito prima, gli alpini - quando non combattevano o erano di sentinella - si riparavano dal freddo in rifugi scavati nel terreno gelato ed infestati dai pidocchi. Il fiume gela e il ghiaccio è così spesso da sorreggere i soldati e i mezzi corazzati russi , che così possono attaccare le nostre postazioni attraversando il fiume. Rizzo diceva che i nemici venivano mandati contro di loro come le pecore e venivano falcidiati dalle mitragliatrici, cadendo come mosche. Ma i russi, a novembre 42, riescono a sfondare ai lati lo schieramento alleato e lo accerchiano a tenaglia, formando un'enorme sacca. A tutte le unità viene dato l’ordine di ripiegamento, da ultima alla  Cuneense (che fino ad allora aveva respinto i russi e tenuto la posizione), decidendone il sacrificio per proteggere la ritirata delle altre divisioni.

Per gli alpini comincia l’inferno della steppa. Devono lottare contro un freddo che arriva a -40 °, la fame (dopo 2 giorni di digiuno, Rizzo divide una rapa gelata con un compagno), il sonno (se ti addormenti fuori, congeli in pochi minuti; perché non si congelino i piedi devi batterli continuamente) oltreché contro i russi. Di questi, Rizzo temeva in modo particolare la  Katiuscia, un lanciarazzi con un incredibile potenza di fuoco, che diceva “a laureva ra tera” (parlandone, sovrapponeva le dita delle mani, per mostrare come erano caricati i razzi sulla rampa di lancio) e le incursioni aeree. In una di queste gli uccidono il mulo e lui si ripara il corpo con la carcassa e la testa con le cassette delle munizioni che portava il mulo.

Ricorda comunque l’umanità dei contadini russi, che hanno sempre aiutato i soldati italiani , riconoscendo loro la stessa umanità, che invece non apparteneva ai tedeschi. Questi, quando catturavano un partigiano russo, lo passavano immediatamente per le armi o lo impiccavano, mentre gli italiani no. Una volta Rizzo, preso un ragazzo partigiano, rende inoffensivo il suo fucile togliendogli l’otturatore e poi lo lascia libero.    Rizzo verrà anche ospitato da un vecchio, padre di due figlie, che gli propone di nasconderlo fino alla fine della guerra e gli offre una figlia in sposa, ma lui rifiuterà.

Verrà ferito 2 volte. Una pallottola gli trapasserà il collo, entrando davanti ed uscendo dietro senza ledere parti vitali. Una seconda si conficca nel polpaccio e fuoriuscirà a forza di camminare. Ma questa gli fa gonfiare gamba e piede, costringendolo a buttare gli scarponi che non entrano più e a sostituirli con due sacchi di juta riempiti di paglia e legati alla bell’ e meglio.

Con questi ai piedi si farà gran parte della ritirata, camminando e combattendo, anche all’arma bianca quando le armi non funzionano più per il freddo.

Ma userà l’ultima bomba a mano contro i tedeschi. Una sera, con altri alpini, arriva stremato dal freddo, dalla fame e dalla stanchezza ad un’isba occupata dagli “alleati”, i quali - armi spianate - impediscono agli italiani di entrare. E la bomba lanciata dentro l’isba è stata il miglior lasciapassare.  

 

Riuscirà comunque a raggiungere le retrovie e sarà uno dei pochi fortunati, perché del suo battaglione tornerà solo il 2%, e di questi, i più con piedi o mani congelati.

 

Verrà ricoverato all’ospedale militare di Bologna e ci resterà per 40 gg, sempre in pericolo tra la vita e la morte, con la costante minaccia dell’amputazione della gamba, alla quale lui però si opporrà sempre.

 

Riuscirà comunque a salvare la vita ed anche la gamba.

 

La storia di Rizzo Aldo è la storia di tutti gli  alpini della spedizione in Russia, perché tutti hanno vissuto quella tragedia e pochissimi “sono tornati a baita”, usando le parole di Rigoni Stern.

Tra le vittime c’è anche suo fratello Adelio, partito come lui alpino conducente, ma mai più tornato da quell’inferno bianco.

Sulla chiesa di San Donato del Mango c’è una lapide che riporta il suo nome, insieme agli altri del paese.

 

 

RIZZO ADELIO DI GIORGIO MANGO (CN/I) il 27/02/1916 Contadino

FFAA Regie DIV ALPINA CUNEENSE 2^ RGT SOLDATO

URSS il 31/01/1943

 

 

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