mercoledì 23 agosto 2023



RITA CORTINI ALBA ARGUELLO 1930

Nasce ad Alba nel 1930

Il papà lavorava come escavatorista presso la ditta di movimenti terra Marino di Alba. Nel 1940 si fa assumere dal Marchese della tenuta La Mandria di Venaria Torino e si trasferisce con tutta la famiglia. Rita ricorda il trasloco: San Martin

“Mio padre affittò un camion e caricò tutto il mobilio, con noi tre figli, io, Angelo, Attilio e la Mamma ci trasferimmo alla Mandria. Si stava bene poiché il mangiare non mancava e il posto era meraviglioso. Andavo a scuola a Venaria e avevo già il senso del commercio, scambiavo con la maestra due KG. di farina per due Kg. di riso. Sembrava di vivere in un mondo di favole anche se nel periodo di guerra bisognava anche ritirarsi nei rifugi per ripararsi dai bombardamenti.

                               RITA E ANGELO

 



Quando veniva la marchesina Maria Camilla io e mio fratello Attilio salivamo sugli alberi e le lanciavamo le pigne. Nella tenuta vi erano trecento famiglie che lavoravano e a Natale ricevevano un pezzo di cervo come dono. Certo non bisognava sgarrare, perché se ti prendevano a cacciare di frodo ti mandavano via.” 


Ho un bellissimo ricordo degli anni vissuti alla Tenuta “La Mandria”, anche se abbiamo vissuto la guerra con tutti i suoi pericoli. Nella Tenuta vi lavoravano e vivevano più di cento famiglie. Il cortile della cascina dove abitavamo noi, ospitava almeno dieci famiglie ed era lungo circa 100 metri.. Nell’aia vi era sempre un andare e venire di carri, di donne che chiamavano le loro galline e i loro bambini. Non so come facevano ma alla sera ogni famiglia metteva a “gioch”(pollaio) le proprie galline.


 Quando il Marchese organizzava la battuta di caccia con i suoi amici, il fattore o direttore avvisava di non lasciare la “stenduva”(biancheria stesa) sul balcone e per noi bambine e bambini era una festa poiché vivevamo la frenesia dei cacciatori, dei cani e dei battitori. Anche mio padre fece il battitore. Il loro compito era di richiamare la selvaggina e sospingerla verso le altane dove erano appostati i cacciatori. Ricordo che il papà raccontava che siccome i battitori ricevevano per pranzo soltanto brodo di pollo e cavoli

Adottarono una forma di protesta curiosa. Anziché urlare “brr brr” aggiunsero “còi” (cavoli) lasciando stupiti i cacciatori e il Marchese. I signori mangiavano nel castello serviti di tutto punto con i piatti preparati dai cuochi con i cappelli  alti e bianchi, invece i battitori mangiavano nel capannone!

Quando scoppiò la guerra, la famiglia del Marchese si trasferì in Svizzera e rimase il sovrintendente che dirigeva i lavori e provvedeva a organizzare gli operai. Durante il periodo di guerra nella tenuta vedemmo i Tedeschi che arrivavano a cercare i partigiani e a tal proposito ricordo che eravamo in Chiesa


di San Giuliano a La Mandria

e si stava celebrando la Messa, i Tedeschi entrarono e ci fu un fuggi fuggi  generale con sospensione della Messa. Alcuni uomini furono portati fuori e malmenati, fortunatamente c’era ancora la Marchesa che protestò e allora i Tedeschi se ne andarono. Un’altra volta, non lontano dalla Chiesa e dalle case, però nei campi, cadde una bomba che non esplose ma creò un tale spostamento d’aria che si ruppero i vetri delle case e procurò il panico sia degli adulti che dei bambini e degli animali.

Durante la guerra ricordo che vi erano i prigionieri inglesi che lavoravano nei campi e noi bambini per poterli vedere portavamo l’acqua da bere. Io e una mia amica prendevamo un “sigilin e na cassa”(secchio e mestolo) e siccome era pesante lo portavamo in due con un “baròt”(bastone).

A volte ,durante il tragitto il secchio si rovesciava e allora lo riempivamo con l’acqua dei fossi, a quei tempi si poteva bere!

Facevamo tanta fatica, però i contadini e anche gli inglesi ci ricompensavano con una mela o altra frutta o anche solo con un complimento ma noi eravamo felici perché era un gioco e ci eravamo rese utili.

In cascina il mangiare non mancava poiché tutti allevavano polli,galline,conigli e si scambiava con chi lavorava nelle stalle e avendo il latte produceva burro e


farina bianca noi l’abbiamo sempre avuta e mia madre faceva il pane bianco.A scuola i miei compagni che avevano solo il pane nero della “tessera”, mi vedevano il pane bianco e me lo prendevano,fortuna che avevo mio fratello Attilio che mi difendeva.Attilio era un bambino dell’ospedale che papà e mamma avevano adottato. Era bellissimo, biondo con i riccioloni e vivacissimo, proprio un“arsifèl”(monello). Quando venivano i Tedeschi, lui non aveva paura e andava loro in mezzo a guardare le armi, saliva sulle moto, oppure con gli amici del Marchese che venivano a caccia, andava ad accarezzare i cani e si faceva benvolere.

Si conduceva una vita serena pur nella semplicità e nel rispetto delle regole, perché se sgarravi e ti scoprivano dovevi lasciare la tenuta.

Il papà, a volte, falciando o arando con il trattore, trovava un fagiano o un leprotto e lo nascondeva in una manica della tuta da lavoro per non farsi vedere dagli altri perché se venivi scoperto erano grane.



A diciassette anni andai a lavorare presso la filanda di proprietà del Marchese e ho un bel ricordo poiché si faceva il tratto di strada dalla cascina alla fabbrica in bicicletta con le amiche e amici e succedeva sempre qualcosa per cui ci si divertiva. Alla sera si rientrava che era già buio e io e qualcun altro non accendevamo la dinamo, successe una volta che mi scontrai con uno anche lui in bici, cademmo entrambi ma la sua bici ebbe la peggio e questo il giorno seguente venne a cercarmi perché voleva che gli pagassi i danni. Gli dissi che era buio e non si poteva sapere chi era il responsabile e quindi ognuno si teneva i propri danni.

La sera del Sabato si usciva in bicicletta e si andava a ballare con gli amici e quando si rientrava i portoni d’entrata della tenuta erano chiusi e allora cercavamo di far passare le biciclette sopra il cancello ma era un’impresa che sovente svegliava il sorvegliante poiché nel tentativo di fare piano riuscivamo sempre a esplodere in fragorose risate o a lasciar cadere qualche bicicletta . Ci divertivamo con poco ed eravamo sempre allegri. Bei tempi davvero! 


A 16 anni conobbe Secco Ferdinando, il figlio più giovane della famiglia di Clemente (di Francesco 1832) e Pasqualina Conterno. Clemente e Pasqualina ebbero 12 figli e vissero alla Cascina Fornace costruita da Clemente con i mattoni che produceva.                                             

 

Nel 1946 Rita e Ferdinando si sposarono e vennero ad abitare alla Fornace di Arguello .

Rita racconta: “ Sinceramente a me non piaceva abitare ad Arguello e infatti il primo anno di matrimonio l’ho vissuto più alla Mandria che alla Fornace , poi mi sono convinta sia perché Nando mi diceva “Entrare da questi cancelli e in questi recinti, mi sembra di tornare prigioniero in Africa”,

sia perché rilevammo la bottega di Arguello da Oreste Francone. Non avevamo una lira, ma Oreste fu comprensivo. Intanto allevammo due maiali  e riuscimmo a pagare.”


 


BEPPE FENOGLIO E ALDO AGNELLI DA RITA

 


Una volta, alla fine degli anni cinquanta, quando avevo l'Osteria qui ad Arguello, entrarono "Doi Monssù" e chiesero due caffè. Prontamente feci per girarmi nel bancone e caricare il filtro doppio, ma non so più chi, mi venne vicino e mi disse: guarda che quello è Beppe Fenoglio lo scrittore di Alba e l'altro il suo amico fotografo Aldo Agnelli. Allora, pensai un attimo che non andava bene dare loro il caffè nel bicchiere come lo servivo a quelli di Arguello o agli avventori dei dintorni. Mi ricordai che avevo le tazzine con il filo dorato che mi avevano regalato quand jera mariame! Diedi una passata a tazzine, piattini e cucchiaini d'argento e portai loro il caffè. Rimasero un po', e quando vollero pagare dissi che era offerto. Ringraziarono e se ne andarono. La settimana dopo qualcuno scrisse un articolo su la Gazzetta d'Alba e scrisse che ad Arguello servivano il caffè nelle tazzine dorate. Meno male che qualcuno mi avvisó, poiché io non li conoscevo e avrei messo il caffè nei bicchieri! Che figuraccia avrei fatto!.

SILVANO RICORDA RITA 

 

 Grazie a Silvano Castagno che mi hai ricordato una storia circa il recupero di una copia di questa Cartolina di Arguello




<...più di trent'anni or sono venni ad Arguello ed entrai nella bottega tabaccheria per un "sanguiss"(panino al salame). Allo scampanellare della porta, venne una bella signora (Rita Cortini Secco) che mi preparò due panini al salame deliziosi. Incuriosito dall'unica cartolina con il Panorama di Arguello, le chiesi di vendermela. Lei mi disse che era l'unica e ultima che aveva e non poteva vendermela, ma che me l'avrebbe prestata ed io gliela avrei inviata dopo aver fatto una copia. Così feci e dopo una settimana le spedii la cartolina per posta in una busta, con immensi ringraziamenti per la fiducia e gentilezza prestatami.> Un mese fa Silvano, mio compaesano(neivese) e amico su F.book mi chiese se riuscivo a risalire alla gentile signora. Ho riferito a Rita( classe 1930) i saluti e lei: (sì sì 'm ricordo l'avija da fene stampé ma peui l'ai sarà 'l negossi!) Sì si mi ricordo, dovevo farne stampare poi però chiusi il negozio.

 La sua parlata è torinese poichè prima di sposare Nando Secco visse per molti anni alla Mandria. Buon Cammino Rita. Buon Cammino Silvano, Rita ricambia i saluti!

 


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