giovedì 17 agosto 2023

 




GATTI EMMA RIVETTI 1939 VALDIVILLA


 

RICORDO DEL PARTIGIANO “SET”

Emma: < ero piccola, ma sentii raccontare, e non mi va più via dalla mente. A casa di Regina madre di mia cognata presero prigioniero un partigiano e lo portarono a Canelli dove lo sotterrarono con la testa fuori.>

 

Grazie ad Emma che col suo ricordo mi ha offerto la possibilità di ricostruire i fatti inerenti la morte dei PARTIGIANI “PININ” “TARZAN” “SET” “OSCAR”


 "SET" "PININ"



"TARZAN"

"FRECCIA"

DA: MEMORIE DI UN CAPO PARTIGIANO: OLIMPIO MARINO “FRECCIA”

Un giorno, il 24 febbraio, ero a casa mia con alcuni compagni, facevo i primi passi con le stampelle, vedemmo una forte colonna di repubblichini che partiti da Canelli, fatto il giro da Camo, ritornavano verso Santo Stefano, erano appena passati da  Valdivilla, pensai di attaccarli, ma erano troppi e noi molto pochi.

Ci appostammo lungo la strada Marini, vedemmo questi fascisti fermarsi e appostarsi in alcune case proprio dirimpetto a noi, non sapevo cosa pensare, che ci avessero visti era impossibile. Dopo alcuni minuti vidi spuntare sul Colle della Bruciata alcuni uomini, presi i cannocchiali e riconobbi che erano Partigiani Badogliani, vedevo che andavano verso la trappola tesagli forse a a causa di una spia, ma ero troppo distante per poterli avvertire. Appena arrivati allo scoperto sentii il crepitio degli sputa fuoco e li vidi ruzzolare giù per la china, era un macello. Passato il momento di sorpresa la nostra pattuglia aprì il fuoco dall’altra parte della collina. Per non essere presi tra i due fuochi i repubblichini si divisero, una parte salì su per i Marini e un’altra per Moncucco così mi trovai accerchiato senza via d’uscita. ……..Non potevo camminare,……………………………pensai di andare nella casa di un mio amico che aveva un nascondiglio abbastanza valido. Arrivato a pochi metri dalla casa sentii gridare: “fermati e vieni avanti con le mani alzate” Una pattuglia di fascisti sbucò dalla casa e vidi un borghese con le mani in alto, compresi che non mi avevano ancora visto, puntai le stampelle e mi buttai nel bosco, rotolai fino al torrente, si era aperta la ferita, perdevo sangue non ce la facevo più a

 camminare……………………………………………………………….

Sentimmo un rumore, alzammo gli occhi e vedemmo sopra di noi, provenienti da San Carlo diversi fascisti e davanti a loro un cane lupo, ci sentimmo perduti. Ci stendemmo in mezzo ai rovi…………………………La pattuglia passò a venti metri da noi……..Andarono verso Castiglione dove avevano portato i feriti catturati a Valdivilla, sentivamo le loro grida mentre li torturavano. Non si sentiva più sparare e pensavo che si sarebbero ritirati alla base.

Trascorsero diverse ore e non se ne andavano………………………

Verso sera udimmo il rumore di un trattore, vedemmo caricare sul rimorchio i morti ed i feriti. …….Li vedemmo partire per Canelli, cantavano, ero furioso, in preda alla rabbia per essere lì paralizzato e non poter far niente…………………

Non potendo andare verso casa ………………………ci riparammo in una grotta e trascorremmo la notte. Quando fece giorno raggiungemmo la casa di un amico che ci diede da mangiare e ci raccontò i fatti del giorno prima. Seppi così che era morto PININ BALBO CON DIVERSI ALTRI PARTIGIANI: ”TARZAN” E “SET”.

Mi raccontò pure che anche lui era stato preso come ostaggio, portato a Castiglione Tinella aveva visto “Suss” (una spia) che indossava il cappotto tolto a PININ BALBO E DISSE” <UNO HA GIÀ PAGATO, PRESTO SUONERA’ L’ORA DI “FRECCIA”, FATEGLIELO SAPERE!>

 

Da GIOVANNI SCAVINO : I FATTI DI VALDIVILLA

Con altri cinque partigiani, il 24 febbraio 1945, Pinin – Balbo Giovanni cl. 1888, Cossano Belbo – aveva seguito una colonna di repubblichini che, a piedi, stavano percorrendo lo stradone sul crinale delle colline sopra la valle del Belbo. Lui e il suo gruppo erano nascosti in una cascina, qualche chilometro dopo il paese di Mango, ed erano state le vedette partigiane ad avvistare quegli uomini, circa un centinaio di unità, diretti a Santo Stefano, dove avrebbero poi proseguito con dei camion fino a Canelli, sede del loro presidio.

    Tutti quei militi erano saliti fin lassú soprattutto con lo scopo di impossessarsi del materiale che gli aerei alleati avevano lanciato ai partigiani in quei giorni, ma ora mestamente stavano tornando alla loro base, non essendo riusciti nel loro intento, poiché il materiale era già stato occultato dai partigiani, che si erano anche ben sparpagliati e nascosti. La loro lunga colonna era chiusa da alcuni camion che trasportavano le armi pesanti, mitragliatrici e mortai, e che avrebbero anche dovuto trasportare il bottino conquistato…………………………………………………………………………………………………………….

le circostanze vollero che la retroguardia della colonna, una ventina di unità, si fosse fermata nell’osteria di Valdivilla, forse per mangiare qualcosa. Dopo una curva cieca, quindi, i partigiani si trovarono davanti al gruppo dei ritardatari, e lo scontro, repentino e violento, fu inevitabile. (E'  anche possibile che la retroguardia della colonna si fosse fermata in quel luogo, molto adatto ad una contro-imboscata, proprio per fare una sorpresa a eventuali partigiani inseguitori.) A distanza ravvicinata furono subito esplosi innumerevoli colpi di mitra e di fucile. Pinin e un altro partigiano di Canelli – Angelo Destefanis (Oscar) cl. 1921 – caddero quasi subito, colpiti a morte sullo stradone: nonostante fosse stato proprio Pinin ad aver avuto la reazione piú pronta. Anche i repubblichini subirono diverse perdite; ma poi la sparatoria continuò senza che ci fosse la possibilità, per i partigiani o per i repubblichini, di avere il sopravvento.

    I militi si erano asserragliati nelle case a fianco dello stradone e tenevano sotto tiro tutto lo spazio antistante, fino alla curva, e per i partigiani ancora vivi, riuscire a togliersi da quella posizione era l’unica cosa da fare. Cordara e Sandri – Giulio Cordara cl. 1925, Canelli; Riccardo Sandri cl. 1924 (Emiliano) di Rocchetta Belbo – ci riuscirono solo dopo un po', quando altri partigiani provenienti dal paese vicino, sentiti gli spari, vennero in loro aiuto aprendo il fuoco da una certa distanza con un paio di mitragliatrici.

    Per Set – Settimo Borello cl. 1925, Neive –  che era ferito ad una gamba, non ci sarebbe stata, invece, nessuna possibilità di muoversi dal luogo in cui era, se non l’avesse aiutato Tarzan, Dario Scaglione, giovane partigiano di Valdivilla, il quale, ancor prima che Cordara e Sandri riuscissero a sganciarsi, lo aveva trascinato fin oltre la curva, nella cunetta a lato dello stradone, fuori del tiro nemico. Lo aveva quindi trasportato caricandoselo sulle spalle, e poi  utilizzando un carretto che probabilmente aveva individuato in una  piccola grotta scavata nel tufo,  proprio di fianco allo stradone, dove i contadini depositavano gli attrezzi del loro lavoro, per ripararli dalla pioggia e per averli piú comodamente a disposizione.

I due partigiani si rifugiarono poi in una casa poco distante da Valdivilla, paese che Tarzan ben conosceva; e lí qualcuno pulí e fasciò la ferita di Set. Avrebbero cercato di raggiungere gli altri compagni a Mango, ma la donna che li aveva ospitati li convinse che era il caso di aspettare. Loro avrebbero badato al suo figlioletto e lei sarebbe andata in paese a vedere se la strada era libera.

    Nel frattempo, gli altri uomini della colonna, sentiti gli spari, ritornarono indietro per aiutare i propri compagni. Arrivati sul luogo dello scontro aprirono a loro volta il fuoco: e fu proprio il riaccendersi della sparatoria, – simultanea al fuoco dei soccorritori dei partigiani, – che permise,  nella gran confusione che si era creata, il fortunoso sganciamento di Cordara e Sandri. Successivamente, il combattimento proseguí ancora per un po', ma le forze in campo erano troppo impari. I partigiani, alcuni feriti, si ritirarono; uno di loro, Praiuso Pasquale, fu fatto prigioniero e a Canelli, dove fu poi portato, nei giorni seguenti fu fucilato.

    A mezzogiorno, non piú di un’ora dopo l’inizio dello scontro, tutto era finito e i fascisti, dopo aver caricato, prima su un carro trainato da un bue e poi su dei camion, i loro morti e i due partigiani, Pinin e Oscar, caduti sullo stradone, iniziarono un rastrellamento nella zona circostante. Avevano individuato le tracce del sangue di Set: le seguirono e sorpresero Tarzan e Set nella casa dove si erano rifugiati.

    Tarzan in quella circostanza rinunciò a sparare, proprio perché in casa c’era la donna, con il suo bambino, che li aveva ospitati, e una sparatoria avrebbe causato inevitabilmente il loro ferimento o la loro morte. Lei era appena tornata e aveva comunicato ai due partigiani che i militi non erano in paese e che la strada, al momento, era ancora libera. Dal piano superiore, pur avendo a tiro i repubblichini, Tarzan gettò il mitra e si arrese. Catturato con Set, fu portato sul luogo dello scontro, e sullo stradone, fra le case e un muro di pietre, fu fucilato. In quel luogo, sul muro,  c’era una piccola nicchia contenente un’immagine sacra; oggi c’è anche una lapide con una sua fotografia, per ricordarne il sacrificio.

    Set fu portato a Canelli e lí il giorno dopo fu fucilato anche lui. Lo portarono vicino al cimitero e gli spararono dopo averlo adagiato per terra; in piedi non poteva stare a causa della ferita alla gamba.

    Tarzan, fino alla fine, dimostrò gran forza d’animo; e persino alcuni repubblichini, parlando fra di loro, qualche giorno dopo a Canelli di lui ebbero a dire: “Un ragazzo cosí in gamba meritava una medaglia per quello che ha fatto, non di morire”. Dario Scaglione aveva solo diciannove anni e fu forse anche per questo che, prima di ucciderlo, i repubblichini gli concessero il conforto di un prete e gli permisero di scrivere un bigliettino ai suoi famigliari. (Quella breve lettera è stata pubblicata, per interessamento di Beppe Fenoglio e di Italo Calvino, fra “Le lettere dei condannati a morte della Resistenza Italiana” p. 289, struggente documento della lotta di liberazione).

 

 


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