GATTI EMMA RIVETTI 1939 VALDIVILLA
RICORDO
DEL PARTIGIANO “SET” BURELLO SETTIMO
Emma: <
ero piccola, ma sentii raccontare, e non mi va più via dalla mente. A casa di
Regina madre di mia cognata presero prigioniero un partigiano e lo portarono a
Canelli dove lo sotterrarono con la testa fuori.>
Grazie ad
Emma che col suo ricordo mi ha offerto la possibilità di ricostruire i fatti inerenti
la morte dei PARTIGIANI “PININ” “TARZAN” “SET” “OSCAR”
DA: MEMORIE DI UN CAPO
PARTIGIANO: OLIMPIO MARINO “FRECCIA”
Un
giorno, il 24 febbraio, ero a casa mia con alcuni compagni, facevo i primi
passi con le stampelle, vedemmo una forte colonna di repubblichini che partiti
da Canelli, fatto il giro da Camo, ritornavano verso Santo Stefano, erano
appena passati da Valdivilla, pensai di
attaccarli, ma erano troppi e noi molto pochi.
Ci
appostammo lungo la strada Marini, vedemmo questi fascisti fermarsi e
appostarsi in alcune case proprio dirimpetto a noi, non sapevo cosa pensare,
che ci avessero visti era impossibile. Dopo alcuni minuti vidi spuntare sul
Colle della Bruciata alcuni uomini, presi i cannocchiali e riconobbi che erano
Partigiani Badogliani, vedevo che andavano verso la trappola tesagli forse a a causa
di una spia, ma ero troppo distante per poterli avvertire. Appena arrivati allo
scoperto sentii il crepitio degli sputa fuoco e li vidi ruzzolare giù per la
china, era un macello. Passato il momento di sorpresa la nostra pattuglia aprì
il fuoco dall’altra parte della collina. Per non essere presi tra i due fuochi
i repubblichini si divisero, una parte salì su per i Marini e un’altra per
Moncucco così mi trovai accerchiato senza via d’uscita. ……..Non potevo
camminare,……………………………pensai di andare nella casa di un mio amico che aveva un
nascondiglio abbastanza valido. Arrivato a pochi metri dalla casa sentii
gridare: “fermati e vieni avanti con le mani alzate” Una pattuglia di fascisti
sbucò dalla casa e vidi un borghese con le mani in alto, compresi che non mi
avevano ancora visto, puntai le stampelle e mi buttai nel bosco, rotolai fino
al torrente, si era aperta la ferita, perdevo sangue non ce la facevo più a
camminare……………………………………………………………….
Sentimmo
un rumore, alzammo gli occhi e vedemmo sopra di noi, provenienti da San Carlo
diversi fascisti e davanti a loro un cane lupo, ci sentimmo perduti. Ci
stendemmo in mezzo ai rovi…………………………La pattuglia passò a venti metri da noi……..Andarono
verso Castiglione dove avevano portato i feriti catturati a Valdivilla,
sentivamo le loro grida mentre li torturavano. Non si sentiva più sparare e
pensavo che si sarebbero ritirati alla base.
Trascorsero
diverse ore e non se ne andavano………………………
Verso
sera udimmo il rumore di un trattore, vedemmo caricare sul rimorchio i morti ed
i feriti. …….Li vedemmo partire per Canelli, cantavano, ero furioso, in preda
alla rabbia per essere lì paralizzato e non poter far niente…………………
Non
potendo andare verso casa ………………………ci riparammo in una grotta e trascorremmo la
notte. Quando fece giorno raggiungemmo la casa di un amico che ci diede da
mangiare e ci raccontò i fatti del giorno prima. Seppi così che era morto PININ
BALBO CON DIVERSI ALTRI PARTIGIANI: ”TARZAN” E “SET”.
Mi
raccontò pure che anche lui era stato preso come ostaggio, portato a
Castiglione Tinella aveva visto “Suss” (una spia) che indossava il cappotto
tolto a PININ BALBO E DISSE” <UNO HA GIÀ PAGATO, PRESTO SUONERA’ L’ORA DI
“FRECCIA”, FATEGLIELO SAPERE!>
Da
GIOVANNI SCAVINO : I FATTI DI VALDIVILLA
Con altri cinque partigiani, il 24 febbraio 1945,
Pinin – Balbo Giovanni cl. 1888, Cossano Belbo – aveva seguito una colonna di
repubblichini che, a piedi, stavano percorrendo lo stradone sul crinale delle
colline sopra la valle del Belbo. Lui e il suo gruppo erano nascosti in una
cascina, qualche chilometro dopo il paese di Mango, ed erano state le vedette
partigiane ad avvistare quegli uomini, circa un centinaio di unità, diretti a
Santo Stefano, dove avrebbero poi proseguito con dei camion fino a Canelli,
sede del loro presidio.
Tutti quei militi erano
saliti fin lassú soprattutto con lo scopo di impossessarsi del materiale che
gli aerei alleati avevano lanciato ai partigiani in quei giorni, ma ora
mestamente stavano tornando alla loro base, non essendo riusciti nel loro
intento, poiché il materiale era già stato occultato dai partigiani, che si
erano anche ben sparpagliati e nascosti. La loro lunga colonna era chiusa da
alcuni camion che trasportavano le armi pesanti, mitragliatrici e mortai, e che
avrebbero anche dovuto trasportare il bottino conquistato…………………………………………………………………………………………………………….
le circostanze vollero
che la retroguardia della colonna, una ventina di unità, si fosse fermata
nell’osteria di Valdivilla, forse per mangiare qualcosa. Dopo una curva cieca,
quindi, i partigiani si trovarono davanti al gruppo dei ritardatari, e lo
scontro, repentino e violento, fu inevitabile. (E' anche possibile che la
retroguardia della colonna si fosse fermata in quel luogo, molto adatto ad una
contro-imboscata, proprio per fare una sorpresa a eventuali partigiani
inseguitori.) A distanza ravvicinata furono subito esplosi innumerevoli colpi
di mitra e di fucile. Pinin e un altro partigiano di Canelli – Angelo
Destefanis (Oscar) cl. 1921 – caddero quasi subito, colpiti a morte sullo
stradone: nonostante fosse stato proprio Pinin ad aver avuto la reazione piú pronta. Anche i repubblichini subirono
diverse perdite; ma poi la sparatoria continuò senza che ci fosse la
possibilità, per i partigiani o per i repubblichini, di avere il sopravvento.
I
militi si erano asserragliati nelle case a fianco dello stradone e tenevano
sotto tiro tutto lo spazio antistante, fino alla curva, e per i partigiani
ancora vivi, riuscire a togliersi da quella posizione era l’unica cosa da fare.
Cordara e Sandri – Giulio Cordara cl. 1925, Canelli; Riccardo Sandri cl. 1924
(Emiliano) di Rocchetta Belbo – ci riuscirono solo dopo un po', quando altri
partigiani provenienti dal paese vicino, sentiti gli spari, vennero in loro
aiuto aprendo il fuoco da una certa distanza con un paio di mitragliatrici.
Per
Set – Settimo Borello cl. 1925, Neive – che era ferito ad una gamba, non
ci sarebbe stata, invece, nessuna possibilità di muoversi dal luogo in cui era,
se non l’avesse aiutato Tarzan, Dario Scaglione, giovane partigiano di
Valdivilla, il quale, ancor prima che Cordara e Sandri riuscissero a
sganciarsi, lo aveva trascinato fin oltre la curva, nella cunetta a lato dello
stradone, fuori del tiro nemico. Lo aveva quindi trasportato caricandoselo
sulle spalle, e poi utilizzando un carretto che probabilmente aveva
individuato in una piccola grotta scavata nel tufo, proprio di
fianco allo stradone, dove i contadini depositavano gli attrezzi del loro
lavoro, per ripararli dalla pioggia e per averli piú comodamente
a disposizione.
I due partigiani si
rifugiarono poi in una casa poco distante da Valdivilla, paese che Tarzan ben
conosceva; e lí qualcuno pulí e fasciò la ferita di Set. Avrebbero cercato di
raggiungere gli altri compagni a Mango, ma la donna che li aveva ospitati li
convinse che era il caso di aspettare. Loro avrebbero badato al suo figlioletto
e lei sarebbe andata in paese a vedere se la strada era libera.
Nel
frattempo, gli altri uomini della colonna, sentiti gli spari, ritornarono
indietro per aiutare i propri compagni. Arrivati sul luogo dello scontro
aprirono a loro volta il fuoco: e fu proprio il riaccendersi della sparatoria,
– simultanea al fuoco dei soccorritori dei partigiani, – che permise,
nella gran confusione che si era creata, il fortunoso sganciamento di Cordara e
Sandri. Successivamente, il combattimento proseguí ancora per un po', ma le
forze in campo erano troppo impari. I partigiani, alcuni feriti, si ritirarono;
uno di loro, Praiuso Pasquale, fu fatto prigioniero e a Canelli, dove fu poi
portato, nei giorni seguenti fu fucilato.
A
mezzogiorno, non piú di un’ora dopo
l’inizio dello scontro, tutto era finito e i fascisti, dopo aver caricato,
prima su un carro trainato da un bue e poi su dei camion, i loro morti e i due
partigiani, Pinin e Oscar, caduti sullo stradone, iniziarono un rastrellamento
nella zona circostante. Avevano individuato le tracce del sangue di Set: le
seguirono e sorpresero Tarzan e Set nella casa dove si erano rifugiati.
Tarzan
in quella circostanza rinunciò a sparare, proprio perché in casa c’era la
donna, con il suo bambino, che li aveva ospitati, e una sparatoria avrebbe
causato inevitabilmente il loro ferimento o la loro morte. Lei era appena
tornata e aveva comunicato ai due partigiani che i militi non erano in paese e
che la strada, al momento, era ancora libera. Dal piano superiore, pur avendo a
tiro i repubblichini, Tarzan gettò il mitra e si arrese. Catturato con Set, fu
portato sul luogo dello scontro, e sullo stradone, fra le case e un muro di
pietre, fu fucilato. In quel luogo, sul muro, c’era una piccola nicchia
contenente un’immagine sacra; oggi c’è anche una lapide con una sua fotografia,
per ricordarne il sacrificio.
Set
fu portato a Canelli e lí il giorno dopo fu fucilato anche lui. Lo portarono
vicino al cimitero e gli spararono dopo averlo adagiato per terra; in piedi non
poteva stare a causa della ferita alla gamba.
Tarzan,
fino alla fine, dimostrò gran forza d’animo; e persino alcuni repubblichini,
parlando fra di loro, qualche giorno dopo a Canelli di lui ebbero a dire: “Un
ragazzo cosí in gamba meritava una medaglia per quello che ha fatto, non di
morire”. Dario Scaglione aveva solo diciannove anni e fu forse anche per questo
che, prima di ucciderlo, i repubblichini gli concessero il conforto di un prete
e gli permisero di scrivere un bigliettino ai suoi famigliari. (Quella breve
lettera è stata pubblicata, per interessamento di Beppe Fenoglio e di Italo
Calvino, fra “Le lettere dei condannati a morte della Resistenza Italiana” p.
289, struggente documento della lotta di liberazione).
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