giovedì 31 agosto 2023

BEVIONE GIOVANNI "NINO" FEISOGLIO 1929

 



                    BEVIONE GIOVANNI " NINO" FEISOGLIO 1929 


https://youtu.be/f920l9b1GCM                                                

I MIEI

NATO NEL 1929 alla CASCINA “SPAVENTO”, la mamma era Prandi Maria del 1899, il papà era Carlo del 1889. Ricorda i nonni materni Tonina e Luigi e il nonno paterno anche lui Luigi. Nonno Luigi si sposò tre volte, rimase vedovo a settant’anni, si risposò e nuovamente gli morì la moglie. Il terzo matrimonio lo fece con una “ poco di buono” molto più giovane di lui. Vennero i Carabinieri ad arrestarla, la portarono via e non la videro più. Nonno Luigi se ne fece una ragione e morì a 100 anni.

Erano tre fratelli, due sorelle e una “venturina” che i genitori avevano avuto da “r’ospidal” rimase con loro finchè si sposò. Il fratello più grande era Luigi del 1921, il secondo del 1925 la sorella del 1927, Nino del 1929 e nel 1944 nacque Romana.

 LA MAESTRA “LIBERA”

https://youtu.be/FoNqYc4GysU 

Ninu Andava a scuola a Feisoglio e la scuola era distante due chilometri. La maestra era proprio “grama” cattiva. Il suo nome era Libera e veniva da Somano, aveva l’abitudine di punire gli allievi chiudendoli nella scuola. Andava a mangiare e quando aveva terminato tornava ad aprire! Per colpa di “Carlino d’o rè” la maestra puniva anche Nino e li chiudeva nella scuola, così poi tornava a casa tardi e “m’ji ciapava ancora!” ( mi picchiavano ancora!). Un giorno, però lui e Carlino, essendo chiusi per punizione, videro arrivare un carro alto di “fascine” aspettarono che fosse sotto la finestra della scuola e ci saltarono sopra, così quando la maestra tornò non li trovò! Nino tornò a casa e raccontò l’accaduto al padre che andò a parlare al Podestà. Questi diede una bella sgridata alla maestra e da allora non chiuse più nessuno nella scuola.

DURANTE LA GUERRA

Una volta era sulla strada per Feisoglio e giunse un uomo, forse una “spia”, lo raggiunse e gli chiese di mostrargli la strada per il paese. In quel periodo c’erano i nazifascisti a Feisoglio. Quando furono da Vigio dèr Paré che aveva la”ressia” seghificio, videro un soldato armato di moschetto che pattugliava sullo stradone. L’uomo che era con lui, appena vide il soldato si girò e cominciò a correre in direzione opposta. Lui, “maraiott” ragazzino, vedendo l’uomo  scappare lo seguì, il militare vedendoli correre fece dui “bram” urla. Spaventato, Nino deviò nei cespugli e andò da “Vil” capendo che avrebbe potuto sparargli! Si vede che quel tale era proprio una spia!

Un ‘altra volta: avevano un “servitò” di nome Censo do Dego e con lui il papà lo mandò a prendere i due buoi che tenevano da Reste ‘d Vilan. Appena girarono dietro la casa videro i tedeschi da Moschin che venivano su per la strada vecchia. Questi vedendoli iniziarono a sparare, loro iniziarono a correre nella discesa che portava al cortile di “Reste” ma Nino vedeva la terra sollevata dai proiettili, finchè non raggiunsero la casa. I tedeschi smisero di sparare e lui e Censo si guardarono sbaruvà (spaventati)! Censo era stato colpito in uno zoccolo e il proiettile glielo aveva rotto però senza ferirlo, Nino ero arrivato senza essere colpito! Anche i tedeschi arrivarono nel cortile e  intimarono ai due ragazzini di alzare le mani, fortuna che il padre giunse e disse loro che eravano solo bambini!  A quel punto se ne andarono, ma anche in quella occasione se la vide brutta! Quel rumore dei proiettili e la terra che si sollevava durante la corsa a rotta di collo, li sogna ancora adesso!

NOI DI CASCINA SPAVENTO IN MEZZO ALLA BATTAGLIA TRA GARIBALDINI E NAZIFASCISTI


Grazie al Racconto di Nino e Romana risalgo alla storia del Comandante “PEREZ”

ROSSO  FRANCESCO  26/07/1917  ASTI 

PARTIGIANO  6° DIV LANGHE 16° BRG PEROTTI

Da ISRAT 'Con un gruppo di giovani reclutati nel rione San Pietro di Asti, entrai nella 16a Brigata Garibaldi - Langhe 'General Perotti', dislocata sulle alte Langhe, assumendo il nome di battaglia PEREZ.”

 Secondo i documenti ufficiali Perez combattè come partigiano dal 17 luglio 1944 fino all'8 giugno 1945, diventando, prima caposquadra, poi comandante, del distaccamento 'Alvarez', infine comandante di brigata dal 18 febbraio 1945 fino alla fine della lotta di liberazione. Si distinse per valore e coraggio tanto da meritare il riconoscimento della medaglia d'argento al valore militare, come recita la motivazione per l'assegnazione del riconoscimento:

ROSSO FRANCESCO Valoroso combattente della lotta di liberazione si segnalava anche per capacità di animatore e di comandante raggiungendo posto di responsabilità nell'organizzazione partigiana. Particolarmente si distingueva in quel di Feisoglio il 12 aprile 1945 quando, essendo stata la sua brigata attaccata da importanti forze, appoggiate da artiglieria resisteva  per diverse ore e, passato al contrattacco, risolveva vantaggiosamente la situazione.

Difronte a Cascina Spaventa c’è un “Brich” (altura), e lì i Partigiani si erano creati come dei bunker con tronchi di pino, Da quelle trincee videro i tedeschi che arrivavano dalla Niella e cominciarono a sparare. La famiglia Bevione era in mezzo, i Partigiani dissero loro di scappare. Nino e gli uomini scesero sullo stradone che va verso Feisoglio, mamma Maria aveva Romana piccola e scelse di scendere nella “pinera”(Pineta) di fianco alla casa e con Romana in braccio si accucciò in un affossamento da dove sentiva che i tedeschi transitavano sopra di loro. I tedeschi andarono alla cascina, fecero due buchi nel muro della stalla e drà “fnera” fienile e si misero a sparare a loro volta. La sparatoria durò per alcune ore poi i tedeschi se ne andarono e pare che chi risolvette la situazione fossero stati due russi che erano con i Partigiani e che appostati su dei pini avevano colpito i mitraglieri tedeschi e i soldati che cercavano di risalire la collina. I Partigiani di Perez avevano costruito un capanno dentro il quale non c’era nessuno ma servì a far sprecare munizioni ai tedeschi. Inoltre il vicino, il vecchio “muschin” che non era andato via dalla casa, ai tedeschi che chiedevano quanti fossero i Partigiani li spaventò dicendo che erano più di mille, mentre in realtà erano una trentina. Terminata la battaglia Nino e gli uomini attesero per vedere che non tornassero i tedeschi e poi andarono alla cascina. Trovarono il cane che era stato ucciso, dovettero portare via due carriole di bossoli dal fienile e soprattutto non trovarono la mamma Maria e Romana! La cercarono finchè lei impaurita, non udendo più colpi risalì alla casa. Nino dice che era “bianca pèì drà fioca!” pallida come la neve e si stringeva Romana al petto che era stata proprio buona e l’unica parola che pronunciò sotto quella pioggia di proiettili fu alla vista di una lepre anche lei spaventata dai colpi: oh Pilu! Nino commosso dice:<La povera mamma rimase mezza giornata nascosta nella pineta col terrore di essere colpita o scoperta, non solo un’ora!>

L’UCCISIONE DEL PARTIGIANO CACCIA  PIETRO                         28/04/1925  MONTABONE (ASTI) 

CANELLI  78° BRG GARIBALDI

CADUTO   IL 04/05/1944


https://youtu.be/8dF6H2lg-4I

Nino rivive quel giovedì del maggio 1944. Assistette a tutta la scena. Lui era presente quando catturarono il Partigiano “Macario”. A Feisoglio la base dei nazifascisti era proprio davanti all’Osteria. Lui Partigiano era all’osteria con altri militi della repubblica anche loro di Canelli. Vedendo arrivare il comandante  gli consigliarono di scappare, ma il giovane disse:<io non ho fatto nulla e non scappo!> Arrivato il comandante ordinò ad ognuno dei militi di sparargli, ma questi tutti si rifiutarono di sparare ad un loro compaesano. Il Comandante a quel punto esclamò: <se non sparate voi allora gli sparò io. Nino era davanti all’osteria con altri e lo obbligarono a rimanere. Il fascista o nazista lo mise contro il muro di fianco alla Chiesa di San Lorenzo e sotto gli occhi dei presenti sparò una raffica elo uccise. Nino dice:< mi tèrmorava pèi ‘dnà feuja>(io tremavo come una foglia) .Certo, era un ragazzino e allo sparo si voltò ma visse quel momento terribile dell’eroica morte del giovane Partigiano Pietro.

 

RICORDO DEI LANCI DEGLI AEREI ALLEATI

Nino ricorda che a Gorzegno, gli aerei alleati effettuarono parecchi lanci per i Partigiani. Quando erano previsti accendevano delle “acetilene” e formavano delle lettere “w” o “z” che fungevano da bersaglio affinchè sganciassero i paracadute con i bidoni ripieni di materiali e armi. Nino e suo fratello Piero andavano ad aiutare i Partigiani a recuperare i materiali lanciati e li portavano nella Cappella di San Giovanni. Venivano ricompensati con i cordini e la tela dei paracadute. La seta dei paracadute veniva utilizzata per realizzare camicie, pantaloni, mentre i cordini venivano “sfirà” (sfilati) e si facevano delle maglie ed altro. Parecchi ragazzini e giovani andavano a curiosare dalla Cappella di San Giovanni che è adiacente alla piana dei lanci e così i Partigiani decisero di richiedere il loro aiuto fornendo loro la parola d’ordine da “pronunciare” alle sentinelle che presidiavano la zona. Una volta Nino e Piero ritornando dal lavoro di recupero dei lanci, al chiarore della luna videro che in una riva vi era un paracadute che non era stato recuperato, ma non si fidarono di avvicinarsi per timore di essere visti e fatti oggetto di qualche raffica.

I SALAMI SALVARONO DALL’ARRESTO IL FRATELLO PIERO DEL 1925

Il fratello Piero , essendo del 1925 avrebbe dovuto presentarsi alla “repubblica sociale” ma come molti altri non lo fece e perciò correva il forte rischio di essere deportato in Germania essendo renitente alla leva. Una volta era in casa che mangiava e si sentì il cane lupo alla catena che abbaiava. Nino uscì e si trovò i tedeschi nel cortile. Piero scappò nelle camere sopra e si nascose sotto ad un letto. I tedeschi entrarono in casa e salirono nella camera sopra dove avevano appeso i salami ad asciugare avendo da poco ucciso il maiale. Piero era proprio nascosto sotto quel letto, ma loro colpiti dai salami li staccarono tutti per portarseli via e non stettero a controllare se ci fosse qualcuno sotto il letto. Se avessero scoperto il giovane lo avrebbero ucciso sicuramente, invece la scampò.

La mamma Maria con la piccola Romana tra le braccia pregò quei soldati di lasciare qualche salame per la famiglia ma un milite ridendo la colpì in faccia con un salame. La mamma raccontava sempre il fatto alla figlia Romana che aveva assistito alla scena ma fortunatamente aveva rimosso i ricordi di quelle paure.

UCCISIONE DI “FORTUNIN”

CAMERA LUIGI FEISOGLIO 16/01/1916 di LORENZO

Contadino ucciso dai nazifascisti FEISOGLIO il 07/03/1945

Nino rammenta anche l’uccisione di un uomo che era il fratello di “Nin” marito di Rina una loro vicina. Questo uomo era chiamato “Fortunin” e vedendo arrivare i nazifascisti si prese paura e iniziò a correre nel ”Bojeu”, un vallone che scende verso il Bormida. Fu visto e gli spararono senza pietà. Dice Nino: Jera di desgrassiò, fascista o tedesch che set voghivo a rabèl tè sparavo!>( c’erano dei disgraziati che se ti vedevano in giro ti sparavano!)

COME NINO DIVENNE SUONATORE











                      https://youtu.be/NiGvNNNrvQM     


Il padre di Nino lo mandava al pascolo ed aveva acquistato una fisarmonica al figlio Piero. Nino si lamentò col papà e gli disse se per ripagarlo del lavoro di pastorello gli avesse comprato anche una fisa, ma questi gli rispose che a lui avrebbe comprato il clarinetto. Lo portò a Savona e spese 12.000 lire per un “Clarin”.

Così lui iniziò ad andare a lezione da Dino do Scaron. Dopo il pascolo andava da Dino per un’ora a suonare. Continuò a migliorarsi e fino a trent’anni girò con il gruppo a suonare alle Leve, e soprattutto a Carnevale. Si stava tre o quattro giorni senza tornare a casa. Suonava con il fratello Piero, con il cognato e con molti altri. Andavano in bicicletta e lui e il fratello affittavano un tandem. Andavano alla Torsella verso Dogliani, e si recavano persino in Liguria. Qualcosa lo guadagnavano ma più che altro vi era la passione per la musica e il divertimento di far divertire altri. Poi a trent’anni iniziò a lavorare alla Ferrero e divenne operaio notturno, mansione che mantenne per trent’anni, e così “addio musica” di notte lavoro alla Ferrero e di giorno lavoro in campagna. Ma quando andò in pensione riprese a “scaldare” il clarinetto per qualche occasione come “Carnevale o Canté i’euv” ,e così si riprendono le tradizioni e si propone ai bambini e ragazzi la semplice allegria della Langa.



 



          PER FORTUNA CONOBBI GIUSEPPINA

Giuseppina, mia moglie, originaria della Campania, lavorava a Roma ed era in contatto con Franca mia cognata. Venne a Feisoglio per salutare Franca che voleva fargli conoscere Bruno il nIpote di Gigi do Scaron il mio maestro di musica.

Bruno era uno grosso e “rozzo” e Pina un po’ spaventata chiese dove abitava Franca. Le fu indicata la nostra casa, e anzi fu proprio Bruno ad accompagnarla. Ricordo che arrivarono nel nostro cortile lui 50 metri prima e lei dopo un po’, sconvolta!

Entrarono in casa e lui pur con il caldo forte, non si sbottonava la giacca. Lo invitammo a togliere la giacca poiché grondava sudore, ma lui era veramente impacciato. Io gli dissi: < Bruno complimenti, hai trovato “nà bela moroza” (una bella ragazza)> Lui disse :< sì sì ma è troppo piccola, se dovesse spostare un quintale non sarebbe capace!>

GIUSEPPINA  di Filomena Palmieri e Pietro di VibonatI (Salerno)RACCONTA:

Andò così: Dal paese andai a Roma a salutare mio fratello e conobbi Franca, sua cognata che lavorava presso un Dottore. Franca era venuta via dal suo paese Caselle in Pittari( Salernoa) poiché da nubile ebbe un bimbo da un giovane che non volle riconoscerlo. Con Franca diventammo amiche e mi confidò che aveva già una sorella in Piemonte e le aveva trovato un giovane che l’avrebbe sposata. La mentalità della gente del meridione era molto ristretta e maltrattavano le ragazze che avevano figli al di fuori del matrimonio!

Diventammo amiche e rimanemmo in contatto anche quando venne qui a Feisoglio e sposò il fratello di Nino. Mi scrisse che voleva farmi conoscere Bruno dello Scarrone. Mi inviò una foto e devo dire che era un bell’uomo! Venni accompagnata da mio fratello e andai allo Scarrone di Gorzegno in questa Borgata di Capii subito che Bruno non era convinto di sposarmi perché mi valutò “piccolina” e non adatta alla vita di campagna.

Io avevo 26 anni e chiesi di essere accompagnata da Franca qui alla cascina Spavento di Feisoglio. Da incosciente mi incamminai con lui attraverso il bosco, ma compresi che non c’era pericolo! Bruno era un bonaccione che procedeva quasi non ci fossi e guardava gli animali, le piante, le castagne!

La mia intenzione era quella di salutare Franca e poi di ritornarmene a Roma. Invece incontrai Nino e parlandoci scoprimmo di avere qualcosa che poteva maturare. Ricordo che nella casa c’era la mamma e la nonna e Nino col vestito della festa poiché era di Domenica. Scambiammo qualche parola mentre mi mostrava il portico e la stalla,  e gli chiesi se aveva già una fidanzata. Lui che forse pensava già a qualcosa mi disse che, sì aveva una ragazza ma nulla di impegnativo, sarebbe bastato restituirle l’orologio che gli aveva regalato e tutto sarebbe finito. Io non ci pensai più, anche perché lui aveva undici anni più di me, e me ne tornai a Roma.

Dopo poco Nino mi scrisse, facendosi dare l’indirizzo dalla cognata e ci scambiammo un po’ di lettere per un anno.

Nelle sue lettere mi scriveva che lavorava alla Ferrero e faceva il contadino e che voleva sposarmi. Io lo giudicai un buona persona, lavoratore ed affidabile ed accettai. Quando venni in Piemonte io avevo già 12 anni di contributi per il lavoro svolto presso una famiglia e speravo di venire a continuare la mia vita ed a formare una famiglia con un uomo adatto a me, e fu così.

Pur giovane avevo un passato da lavoratrice, due anni a Napoli e poi dieci a Roma e fui sempre benvoluta. Alla sua richiesta di matrimonio risposi decisa che mi era sembrato un uomo onesto e che poteva essere adatto ad essere mio marito, ma che non ero venuta in Piemonte per “essere presa in giro”.

Lui mi disse che aveva intenzioni serie, e che sarebbe venuto a parlare con la famiglia. Nell’autunno venne a casa mia e ricordo che parlò molto con la mia mamma Filomena e mio papà e li rassicurò che avrebbe voluto bene alla loro figlia. Si fece il matrimonio giù da noi e poi i miei vennero ancora parecchie volte a farci visita.







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