martedì 23 gennaio 2024

COCCIO FRANCO SINIO 1929 FRATELLO DI ELIGIO

 



https://youtu.be/WPUeW-E3qls

                      ASCHERI MARIA                COCCIO GIUSEPPE FIORENTINO


                                               COCCIO ELIGIO

Coccio Franco.  Mio fratello Eligio decorato e morto in Russia

I due fratelli più grandi di Coccio Franco Sinio (1929) erano Eligio del 1918 e Attilio del 1920. Entrambi partirono soldato e dopo le Campagne militari di Francia, Albania e Grecia furono inviati in Russia. Eligio non tornò e la sua storia fu raccontata ai famigliari da Carlo DeFabbri di Cerretto Langhe. Il fratello Franco, in lacrime, rinnovella il ricordo.

L’amico Carlo riferì che furono insieme per tutta la ritirata, lui, Eligio e Marengo di Perno. Stremati dal freddo e dalla fatica giunsero in prossimità di un’isba e si fermarono a soccorrere l’amico Marengo che era stato ferito nell’andare a tirare l’acqua ad un pozzo. Gli diedero da bere, poi Eligio si soffermò ulteriormente con l’amico, Carlo si avviò e girandosi sentì che l’Alpino di Perno diceva ad Eligio: <tieni, il portafoglio e l’orologio, portali a mia madre, io rimango qui>. Eligio salutò l’amico, si sollevò e fu colpito a morte da un cecchino russo. Era l’ultimo giorno di marcia, stavano per arrivare al campo di smistamento dove sarebbero stati condotti a Karkov per il rientro in Italia. Franco mi mostra la foto del fratello e aggiunge:< Mia madre fece tanti di quei pianti, non si dava pace per il destino avverso che era toccato al suo figlio Eligio.> Eligio fu anche insignito di Medaglia d’argento al Valor militare per un’azione compiuta e che aumenta il valore del suo Sacrificio.


L’artigliere  Coccio Eligio del IV Artiglieria Alpina fu Decorato con la seguente motivazione:

“Conducente, in aspro combattimento contro preponderanti forze nemiche che avevano raggiunto le posizioni del gruppo, si lanciava di iniziativa all’assalto col moschetto e bombe a mano contribuendo a contenere l’avversario. Ferito non desisteva dalla lotta” Nowo Postojalowka (fronte russo) 20 Gennaio 1943

MIO PADRE FIORENTINO

Coccio Franco racconta che suo padre Giuseppe, conosciuto da tutti come Fiorentino era del 1886 ed era un “sovversivo” al partito fascista. Nel 1929, Franco era appena nato ed era nella culla, siccome suo padre era tenuto d’occhio come contrario al fascismo vennero i Carabinieri a prelevarlo per interrogarlo in merito a dei volantini contrari al partito messi in Chiesa. Il padre, molto intraprendente, disse che sarebbe andato a prendere la giacca, in realtà fuggì da una finestra posteriore e rimase nascosto per un po’ di tempo. A quei tempi, a Sinio, vi era un segretario politico di nome Cuda che cercava in tutti i modi di incastrare chi non prendeva la tessera del Fascio. Fiorentino sapeva che correva il rischio di essere mandato al confino e preferì rimanere nascosto alla cascina Stèirot . I carabinieri lo attesero un po’ e dopo, capendo che era fuggito rientrarono in caserma. Quando le acque si furono tranquillizzate rientrò anche di giorno alla vita normale. Il padre di Franco aveva amicizia con un antifascista di Govone, inviato al confino con Romita che fu poi nel gruppo della Costituente. Franco ricorda di essere andato a far visita a questo amico del padre con la Lambretta e fu in quell’occasione che conobbe l’Onorevole Romita Giuseppe (Tortona 1887 1958).Dopo l’otto settembre 1943 aumentò la paura poiché arrivavano i nazifascisti e se trovavano qualche giovane in età di Leva lo portavano via. In tutte le cascine si erano attrezzati creando dei nascondigli e anche al Bricco, quando si era avvisati che arrivavano, i giovani e  gli uomini si nascondevano in un rifugio realizzato tra il muro della vecchia stalla e quello del portico. Per mimetizzare l’entrata l’avevano ricoperta con un mucchio di barbabietole. Una volta, Franco ricorda,  vennero alcuni tedeschi e piazzarono la mitragliatrice proprio nella loro aia per tenere sotto controllo il paese che dalla loro cascina si vedeva molto bene. In quell’occasione alcuni uomini con suo padre rimasero nascosti finchè questi non se ne andarono.

In un’altra occasione vennero i Partigiani garibaldini e si fermarono otto o dieci giorni. Dopo un po’ di tempo che i partigiani se ne erano andati vennero i nazifascisti a chiedere a Fiorentino se avesse visto dei ribelli e se sapesse che fossero alla cascina Rittà. Lui per niente intimidito rispose di non avere visto nessuno, ma questi lo obbligarono a procedere davanti a loro e giunti in prossimità di un cucuzzolo che copriva la visuale della cascina lo mandarono a vedere se vi erano  dei partigiani. Se non vi fosse stato nessuno avrebbe dovuto segnalare. Fiorentino andò e trovò i segni del passaggio dei partigiani, allora avvisò i mezzadri di sistemare stalla e fienile poiché sarebbe arrivata la “repubblica”, poi segnalò che era tutto a posto. I nazifascisti vennero avanti e avendo notato nulla procedettero oltre, se avessero trovato i segni del passaggio partigiano avrebbero bruciato tutto. Ancora costrinsero il padre di Franco a stare avanti a loro e si fecero condurre verso il Bricco dello Stornello e al Fontanass dove Sinio e Albaretto sono separati da un “Rian” profondo. A quel punto, vedendo tutto tranquillo, gli consentirono di tornare a casa. Fiorentino non se lo fece dire due volte e attraverso i filari della cascina Stèirot rientrò verso casa. Ancora per strada, sentì il fragore di una sparatoria. Oltre il rio vi erano i partigiani che presero di mira i repubblican, e questi risposero al fuoco ferendo un giovane partigiano di Roddino che tribolò a lungo. Il padre di Franco tirò un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo, ma sperò che quei giovani ribelli ce l’avessero fatta a fuggire poiché sapeva che i nazifascisti non avrebbero avuto nessuna pietà nè scrupoli a sterminarli.     

 

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