EIRALE MARIO BENEVELLO 1931
RICORDI DEI FATTI DI GUERRA A BENEVELLO 1945
< Quel
13 Febbraio 1945 fu una mattina Drammatica. Era il “drè dì ‘d Carvé”! (era
l’ultimo giorno di Carnevale!)
Quando si
parla di guerra, il mio pensiero va ad Oreste e Giacinto!
Noi
abitavamo nella cascina sotto la Chiesa della Madonna di Langa e mio padre
Pietrin ‘d Langa era “Mazoé dèr Parco”(mezzadro del Parroco).
Giunse la
notizia che i repubblicani erano arrivati a Lequio Berria e avevano ucciso
quattro o cinque Partigiani e civili che conoscevamo, con quei partigiani vi
era anche l’avvocato Coppa Partigiano Giorgio che si salvò.
( Morti: Morando Celestino, Negro Michele,
Capra Attilio, Giacosa Natale, Oschiri Carlo, la Maestra Lucia Capello e Ravera
Giovanni ).
Il Lunedì
sera arrivarono queste notizie che ci allarmarono e ci fecero presagire che
sarebbero arrivati anche da noi. Mio cugino Viberti disse a mio fratello di 18
anni: <preparati, se i repubblican son venuti su, noi andiamo giù!>I suoi
fratelli più grandi avevano preso a mezzadria la Cascina Cà Nova vicino alla
Casassa sopra Ricca d’Alba e l’intenzione era di nascondersi da loro.
Al mattino, non erano ancora le otto, io e Aurelio eravamo nella stalla, mio padre mia madre e una mia zia, sorella di mamma, di Alba, “ch’a fava an poch èd sartora” che faceva la sarta ed era sfollata da noi, erano già andati alla funzione delle “quarant’ore”( Il significato originario delle Quarant’Ore è quello di onorare Gesù Cristo durante le quaranta ore in cui giacque nel sepolcro durante la Settimana Santa.. L’uso di esporre il SS. Sacramento all’adorazione dei fedeli per quaranta ore continue al fine di propiziarsi l’intervento del Signore, specie in tempi di calamità e guerre, avvenne per la prima volta nel 1527 presso la chiesa del S. Sepolcro a Milano.) e mentre “ij davo da mangé ar bestie” sentimmo abbaiare il cane, mio fratello più giovane aprì la porta e commentò: jè in partigian!>, mia sorella Pierina , più grande gli intimò:”cito ch’ò rè in repubblican!.Richiuse la porta ma lui venne avanti ed entrò nella stalla. Salutò e le chiese se in paese vi erano i “ribelli”, mia sorella gli rispose che non sapeva, e questi un po’ stizzito: “come non lo sa?”. Pierina prontamente ribadì che non lo sapeva poiché non era andata in paese al mattino.
Il fascista uscì dalla stalla e salì dalla Chiesa, andò a piazzare il mitragliatore e cinque minuti dopo si sentì un crepitare di spari e delle urla. Mia sorella spaventata, con le mani tra i capelli si chiese cosa sarebbe successo. Dalla finestra di casa vedemmo salire altri militari a piazzare anche un cannone. Fu spaventoso vedere passare quei soldati sulla sternija che portava alla Chiesa. Ancora parlandone mi rivedo il fuoco di quelle armi che usciva dalle bocche e il rumore che invase la vallata. Trascorsero dieci minuti di quell’inferno e vedemmo transitare un’infinità di militari. Ogni tanto mia sorella Pierina correva fin su dalla Chiesa e noi la supplicavamo: “scapa nèn Pierina!”(non andare Pierina!).
Non
saprei dire se passò una mezz’ora e poi le armi tacquero, gli armati ormai
erano transitati e sentimmo nuovamente i cani abbaiare. Giunsero Albina e
Cichina la nonna di Franca a chiedere se avevamo visto “ i matòt”(ragazzi)
Giacinto e Oreste che erano stati presi nel cortile. Come raccontarono in
molti, furono sorpresi dai nazifascisti che provenivano dalla Frazione ERBA
FRESCA e transitavano in alto rispetto alla cascina BELMONDO. Oreste e Giacinto
si arresero e Oreste urlò alla mamma di scappare che avrebbero preso anche lei!
Albina
chiese a mia sorella Pierina se le andava insieme a vedere se trovava i ragazzi
ed aveva con sé i documenti. Quando ebbero superato la curva videro i due corpi
con ancora gli zoccoli ai piedi, erano Oreste e Giacinto.
Cichina,
la mamma di Oreste, ricordo sempre che mi disse:<Ho lasciato da solo
Angelo,(il figlio più giovane del 1935) e c’è l’acqua sulla stufa, voi avete
paura se vi lascio da soli?>Io non risposi perché avevo altro che paura!, ma
intanto sentimmo delle urla e arrivarono Pierina e Palmina inorridite: r’an
massaje, e piangevano!. Pierina mi chiese di andare a riferirlo alla Cascina
Belmond. Intanto che mi dice quello, arrivò Ghistin Gallesio con l’altro figlio e mio
padre che erano tutti alla Scià, poiché erano fuggiti dal paese. Ne arrestarono una
ventina! Ghistin, quasi avesse avuto un presentimento si avviò verso casa
passando per la cascina Loreto che era in basso. Mio padre disse che se avesse
alzato gli occhi li avrebbe visti mentre arrestavano Oreste e Giacinto e non
sarebbe salito, ma tardò un po’ e bastò a salvarlo.
Trascorse
un po’ di tempo e tornò Albina, si interrogava su cosa fare per i due giovani.
Ricordo che io, con il buon senso di un bambino le dissi: “ veuti lasseje là an
sra fioca?”(Vuoi lasciarli là sulla neve!), Troviamo qualcosa per caricarli e
toglierli di là!
Mi venne in mente di prendere rà sivéra (PORTANTINA PER FIENO E LETAME)
e mettere uno scaròtt di traverso con qualche sacco di juta. Nel frattempo giunse mio padre e arrivò anche il padre di Gallesio che aveva percorso la scorciatoia avendo sentito dai vicini che alla cascina Belmond ”o jera dan poch chi brajavo!” (era da un po’ che urlavano). Quando seppe cosa era successo al figlio Giacinto commentò amaramente: <è scampato alla Russia e al Brennero( sfuggì ai tedeschi che deportavano tutti in Germania) ed è venuto a”lassé j’oss sì a cà!” (morire qui vicino a casa!”)
Venne
anche su Venanzio il padre di Carla e decisero di andare a caricare i poveri
corpi.
Ne
trasportarono uno con quella “sivera”, lo adagiarono su due balot(balle di fieno) e lo ricordo
con gli zoccoli ai piedi e le maniche della camicia “argaocià” (arrotolate).
Mio padre e Venanzio, prima di ripartire per andare a caricare l’altro corpo
chiesero di bere un “cichèt di grappa”, erano sfiniti per il dolore più che per
la fatica! Caricato l’altro giovane e percorsi alcune decine di metri e
fermandosi sovente, poiché si sentivano venire meno, a rendere più tragica la
situazione arrivò un camion da Lequio Berria con un repubblicano col fucile in
piedi sul predellino. Quando fu nei pressi loro, il camion fermò e si sentì che
il militare toglieva la sicura al moschetto: Mio padre disse: “mio caro
Venanzio ora tocca a noi(morire)!”. Con gesti lenti si spostarono verso la
sponda della neve e adagiando la portantina sulla neve per far transitare il
camion ricevettero il saluto del soldato. Mio padre raccontò che dopo
l’incontro si riavviarono, ma fu tale la tensione che furono costretti a
fermarsi una decina di volte poiché le mani non avevano più forza a stringere e
a reggere il povero corpo. Fu una fatica sovrumana trasportare quei poveri
corpi alla cascina Belmondo che dista quattrocento metri da dove avvenne
l’uccisione.
A BENEVELLO ARRESTARONO 20 PERSONE
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