MARRONE SERGIO FIGLIO DI GIUSEPPE 1913 LEQUIO BERRIA
Sergio Marrone figlio di Giuseppe, Alpino Reduce di Francia, Albania(a recuperare i
cadaveri dei compagni) Grecia, Africa e Russia per sette lunghi anni con Bosio
Cesare padre di Angelo e Gian Paolo, mi ha permesso di recuperare una
testimonianza che possiede una rilevanza notevole sia perché è raccontata da un
figlio molto attento ai racconti del padre quando scambiava ricordi con l’amico
Cesare, sia perché ha saputo memorizzare fatti che i due Alpini si rivelavano
tra loro, ma che in età avanzata avevano quasi perso.
Picozza realizzata da Giuseppe (quando era in Albania) con un bossolo fuso
Cesare abitava nella frazione Aure di Arguello, ma per le
vijà (veglie), accompagnato da moglie e figli si recava dall’amico Giuseppe
alla Cascina “Fojach” per mangiare due castagne e bere un bicchiere di vino
raccontandosi ricordi della loro lunga vita militare. Le donne rammendavano o
filavano o sferruzzavano, e i figli dopo avere giocato un po’ a carte,
incuriositi dal parlottare dei padri avvicinavano i balòt sui quali sedevano e
ascoltavano facendo domande. Raramente ottenevano risposta, ma almeno
sollecitavano i due Alpini a continuare i ricordi.
Durante il ripiegamento dal Don i due Alpini di Lequio
Berria procedettero con il resto della
Colonna per un po’ di giorni poi si confidarono e decisero di staccarsi e di
andare in un'altra direzione, convinti che il grosso della colonna stesse
dirigendosi verso il nemico. La considerazione si rivelò esatta poiché chi
seguì la grande colonna finì nella Sacca e fu preso prigioniero o peggio
ucciso. Girovagarono per circa un mese in condizioni terribili per quel
territorio che è l’attuale Ucraina. Durante il procedere, con temperatura di
-30 ° e senza nulla di cui nutrirsi né abbeverarsi se non neve, trovarono una
pagnotta di pane, forse persa da qualche slitta anche in ripiegamento. Cesare
estrasse il coltello e cercò di tagliare quel pane congelato, gli sfuggì la
lama e si procurò un taglio ad un dito. Non avendo medicazioni e con il gelo il
dito si necrotizzò e andò in cancrena, ma Cegio, così era chiamato in famiglia,
aveva una tempra eccezionale, pur con la febbre tenne duro. Con l’amico
Giuseppe continuarono la loro marcia nella neve e nel gelo, un giorno videro
del fumo uscire da un comignolo e cautamente si avvicinarono, temevano vi
fossero dei russi. Dopo aver controllato compresero che non vi erano pericoli,
l’ isba era abitata da una donna con due figlie. Le tre donne subito furono
spaventate, poi vedendo che i due militari non avevano armi né cattive
intenzioni e tranquillizzate dalle medagliette che Giuseppe donò, erano le
medagliette della Madonna che il Cappellano aveva distribuito loro, li fecero
entrare e attivarono il fuoco della stufa con piante secche di meliga.
Ricevettero qualcosa da mangiare e
sostarono la notte, quindi al mattino ripartirono procedendo senza alcun
riferimento, cercando di evitare la direzione da dove giungevano gli spari. Marciarono
per tre mesi in condizioni difficilissime senza potersi lavare né rasare,
finché giunsero alla stazione ferroviaria di Gomel dove trovarono ancora dei
presidi italiani e furono rimpatriati, condotti in Ospedale a Rimini rimasero
una quarantina di giorni. Giuseppe avendo subito un congelamento a una falange
venne amputato della stessa, invece Cesare fu curato per la ferita alla mano.
Il figlio di Cesare, Angelo e la zia Dilia mi raccontarono che Cesare
dovette rimanere più a lungo in Ospedale perché fu colpito da infarto.
Fortunatamente essendo ancora ricoverato fu salvato.
IL nonno, Marrone Giovanni di Francesco 1881
Lequio Berria partì per la grande guerra quando già aveva i due figli Giuseppe nato
nel 1913 e una bimba appena nata nel 1915. Combattè per due anni nella zona
dell’Adamello dei Sette Comuni. Quando tornò i bimbi non riconoscendolo
fuggirono a nascondersi.
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