ARTIGLIERE
CAPORAL MAGG. FLORI GIACINTO
nato a
DIANO D’ALBA nel 1910 DI SOLA TERSILLA E
CARLO
REDUCE
DI RUSSIA
Svolsi il Servizio Militare di
Leva e fui congedato, il 6 Dicembre 1940 fui richiamato e assegnato al
R.M.V.(reparto comando) del XXIII Gruppo 105/28 del 2° R. Artiglieria di Corpo
d’Armata con sede ad Acqui Terme (Alessandria). Il 24 Giugno 1942 Partii CON
L’A.R.M.I.R.PER LA RUSSIA.
Giacinto raccontò:
il 15 Gennaio 1943 le truppe russe occuparono Rossosk con mezzi
corazzati e truppe avanzando da sud-nord
da Kantemirowka (in mano russa dal 16 dicembre 42) e avanzando
contemporaneamente in direzione nord-sud sul fronte di Voronesh dove avevano
travolto le divisioni tedesche-ungheresi. In tal modo attuarono quella manovra
a tenaglia che si chiuse su Popowka-Podgornoje e chiuse l’intero Corpo d’Armata
Alpino.
Il 15 Gennaio 1943 alle 14.00
il Corpo d’Armata Alpino diede ordine al 23°gruppo di riportarsi sulle
posizioni di Kolubaja Krinitza, e così ripiegammo la sera stessa iniziando
un’azione di disturbo con i pezzi rimasti
efficienti al fine di proteggere il ripiegamento delle truppe del Corpo
alpino.
A
mezzogiorno del 16 gennaio iniziammo a ripiegare su Annowka presso il Quartier
Generale della Cuneense e vi giungemmo soltanto nella notte fra il 16 e il 17.
Nella mattinata del 17, mancando il carburante, ricevemmo l’ordine di rendere
inefficienti i pezzi, i trattori e gli autocarri. RIPIEGAMENTO DEL CORPO
D’ARMATA ALPINO E I COMBATTIMENTI PER USCIRE DALLA SACCA (16- 26 gennaio 1943)
Così, appiedati, in serata
iniziammo con la Cuneense il ripiegamento verso ovest, alla ricerca di una via
d’uscita, dopo aver spartito i pochi viveri rimasti: ricevemmo due scatolette e
due gallette a testa. Il gruppo restò compatto sino Podgornoje, qui forze
nemiche valutate all’incirca in due reggimenti, appoggiate da numerose
batterie, da mortai di ogni calibro e katiusche, sferrarono violenti attacchi
nella zona di congiunzione tra la “ Tridentina” e la “ Vicenza”, ma si
mantennero le posizioni nonostante le gravi perdite.
Il Vestone respinse il solo
giorno 15 ben sette attacchi.
Tanto valore degli Alpini non bastò a
conservare le posizioni tenute a prezzo di tanto sangue. Eventi verificatisi su
altri settori costrinsero le superiori autorità ad ordinare il ripiegamento
della “Tridentina” nel solco di Podgornoje. Il ripiegamento venne eseguito su
tre colonne sotto la protezione di una forte retroguardia.
L’accanito combattimento
notturno di Podgornoje e molti altri generarono un totale scompiglio per cui
anche il XXIII gruppo si frantumò in nuclei isolati.
Il ripiegamento proseguì per
Postojali dove vi fu il primo tentativo dell’armata italiana di rompere
l’accerchiamento russo e aprire un varco alla ritirata.
Il 18 Gennaio, il comando del
corpo d’armata degli Alpini, inviò il Battaglione Verona nel paese di Postojali
che si trova a circa venticinque chilometri da Podgornoje. Era un punto
nevralgico per la manovra di ripiegamento dell’armata. Il comando lì voleva
riunire tutte e tre le Divisioni che ripiegavano dal Don. Il Verona ebbe un
compito di estrema importanza: occupare Postojali e sistemarsi in difesa per
aprire la strada della salvezza per migliaia di compagni. Dopo la lunga marcia
dal Don, il Battaglione Verona, il 18 Gennaio venne sistemato in un paesino, e
nonostante tra gli Alpini ci fossero casi di congelamento con vesciche ai polsi
come scottature provocate dal vento della steppa che era riuscito a penetrare
negli inadatti cappotti, nel tardo pomeriggio le cinque compagnie furono
caricate sui mezzi verso Postojali. Gli Alpini vennero avvisati della probabile
presenza di nuclei partigiani, ma la notizia risultò infondata, il Verona si
trovò ben altre forze a contrapporsi. Quando furono in vista del paese: una
doppia schiera di isbe si scatenò la furia dell’armata rossa. Gli Alpini, al
grido di <Verona avanti> procedettero nell’ampia cittadina fortemente
presidiata e caddero in 144 insieme ai compagni del sesto Reggimento.
Ricordo di essere transitato
per Postojali, per Olchovaja , senza soste nei giorni seguenti percorremmo le
seguenti tappe: Schebekino, Belgorod, Sejetino, Golodscino, Pissarewka,Storaja,
Riabina, Kutusoje, Tschenandino, Mali Grunj, Stupki, Welka Paulowka, Gladiasch,
Lipowaja Dalina, Sassulse, Mals Burij, Melojo Sribnoje, Perowolotschana,
Priluki.
Da Priluki ci trasferirono in
treno a Gomel e poi a Klintsy.
Arrivati a Schebekino nella
mattinata del 31 gennaio, trovammo un posto di ristoro con gli infermieri della
sussistenza che ci aspettavano. Ad ogni camion in arrivo, fosse tedesco o
italiano, accadevano scene indicibili di uomini ormai diventati bestie, tutti
cercavamo di salirci sopra, alpini, tedeschi, ungheresi, chiunque aveva ancora
un briciolo di energia per farsi largo in mezzo alla calca dei disperati.
I tedeschi, dal canto loro,
permettevano solo ai propri commilitoni di salire.
Così, con altri procedemmo a
piedi per altri venti chilometri fino Belgorod.
Nella marcia da Annowka a
Veprik furono percorsi a piedi ben oltre mille km.: marciammo senza soste,
assetati ed affamati in territorio controllato dai russi. Non si poteva
riposare e neppure si potevano medicare i feriti congelati e con la dissenteria
che consumava ancora di più i nostri corpi già scarniti e dilaniati dal freddo
che si manteneva su punte di oltre i 30° sottozero. Per molti giorni mangiammo
solo neve e poche patate congelate che
si aveva la fortuna di recuperare. Ci nutrimmo della carne dei muli e cavalli
che cadevano sfiniti e rimanevano a disposizione sulle piste. A Klintsy il
nostro gruppo arrivò ridotto Al 20% dei suoi effettivi.
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