PORTA SERGIO "DÈR PILON"
MONTELUPO ALBESE 1932 DI FASCIOLA ANTONIA DI SANTA MARIA di La Morra DECEDUTA NEL 1985 E DI PIETRO 1895 1951
Il nonno, chiamato “CARLUCC”
diede il nome alla dinastia dei PORTA del “Pilon” che ancora oggi sono ‘D
CARLUCC. Carlo del 1859 con la nonna
Sappa Virginia ”GIN” ebbero 4 figli
maschi e tre femmine. Una prozia sposò Settimo Giuseppe 1882 della località
“Bolichin “ di Rodello. Era incinta e morì col bimbo che portava in grembo a
causa dell’Epidemia di Spagnola. (Sergio dice che quasi tutte le donne incinta
che si ammalarono di Spagnola non si salvarono).
Il marito Giuseppe
Il fratello Teresio, del 1922
partì per la Campagna di Russia che non aveva ancora vent’anni, fu dato in un
primo tempo “Disperso” e solo nel 2000 giunse una Comunicazione da ONOR CADUTI
che comunicava che era stato preso Prigioniero dai Russi e deportato al Campo
58 di TEMNIKOV. REP. DI MORDOVIA dove morì in data sconosciuta. Fu sepolto in
una fossa comune con tanti altri e non fu possibile rimpatriare i resti
mortali.
ZIO PORTA MICHELE 1905 FERITO DAI NAZIFASCISTI
RACCONTO DI PORTA SERGIO
<La gente uscita da Messa , si
avviò versò la “Tagliata” dove avevano visto i Partigiani all’Osteria.
I nazifascisti arrivarono e ne
fecero una fila lì nella via per controllarli. Mio zio che non aveva fatto il
militare e comunque non era più giovane , ebbe sempre una gran paura dei
fascisti e tedeschi. A zio Michele prese l’affanno ed essendo in prossimità del
peso dove c’è una lunga scarpata, pensò bene di mettersi a correre e andar giù
nella riva. I militi, quando videro che correva, iniziarono a sparare. Fece un
lungo tratto di corsaed era quasi arrivato ad entrare in un boschetto do lo
avrebbero più visto, ma fu colpito, fece ancora qualche passo pensando lo
avessero solo preso nel cappotto, poi sentì il sangue in bocca e crollò Un
proiettile gli aveva trapassato schiena polmone e torace. Lui era un uomo forte
, cadde ma fu ingrado di resistere e quando i Tedeschi lo andarono a prendere,
avendolo visto accasciarsi e lo fecero camminare fino dal peso. Quando fu
davanti all’osteria lo fecero sederesu una sedia ma continuava a perdere
sangue. Gli tamponarono le ferite e lo fasciarono, ma lo tennero esposto quasi
a far vedere cosa erano capaci di fare!
Siccome sveniva lo portarono
in una camera sopra l’osteria. Il sangue continuò a fuoriuscire e trapassò il
materasso e creò un lago sotto il letto. Era ormai in procinto di morire
dissanguato eppure i tedeschi volevano portarlo nuovamente sotto perché dovevano
incendiare il rione. Arrivò il Parroco Don Castella che li pregò in ginocchio
di avere pietà di un morente e riuscì a convincerli. Lo zio Michele rimase lì
in fin di vita e sentendosi morire chiese di vedere suo fratello, mio padre.
Ricordo che io ero da poco arrivato a casa dopo un lungo giro per evitare le
pattuglie appostate “ ar Ciosse e alla Torretta” e sentimmo arrivare un sidecar
tedesco che era venuto a prendere mio padre per portarlo dallo zio Michele. Lo
zio intanto aveva voluto fare Testamento, ma non potendo scrivere lo lasciò a
due testimoni. Mio padre chiese se qualcuno dietro compenso di 500 Lire poteva
andare a cercare un medico. Si offrì Giovanni che svolgeva l’attività di
“conducente d’auto”. Era ormai sera, ma prima nessuno aveva osato proporre un
medico poiché tutti sotto tiro delle armi nazifasciste. Giovanni tornò con il
medico Cardone di Lequio Berria che non potè fare altro che consigliare il
ricovero all’ospeale. Lo condussero con un altro ferito grave di Lequio Berria.
Anche lui scampò ma rimase paralizzato.Mio zio rimase quaranta giorni in
ospedale, poi tornò a casa e riprese a lavorare come prima. La forte tempra gli
permise di vivere fino ad ottant’anni. Non ebbe neppure un po’ di pensione di
guerra perché gli fecero firmare una dichiarazione in cui affermava di essere
guarito bene e non aver subito conseguenze per il ferimento.
NOI RAGAZZINI E LA GUERRA
Quando uscimmo dalla Messa quella domenica 16 novembre del ‘44 ci avviammo anche noi verso la Tagliata, ma incontrammo molte persone che scappavano e ci dissero che c’erano i tedeschi, così scappammo anche noi e facemmo un lungo giro per evitare le pattuglie piazzate alle Borgate “Ciosse e Toretta”. Incontrammo anche uomini che andavano a nascondersi e anche un nostro vicino che era nei Partigiani che con un fascio di fucili cercava di nasconderli. con i compagni vicini di casa, sentivamo il sibilo dei proiettili ma andò bene e rimanemmo al coperto finchè non si sentirono più spari. Nel tardo pomeriggio con un ampio giro risalimmo alla Torretta e da lì giungemmo a casa, proprio quando una moto dei nazisti venne a prelevare mio padre Pietro per condurlo dal fratello morente che lo invocava.
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