domenica 9 ottobre 2011

Dilia e Augusto ed Pianfré





Augusto
Sono nato in Aure (frazione di Arguello) nel 1926 ,qui, vivevano ben 33 persone. In famiglia eravamo nove , papà ,mamma ,tre fratelli e quattro sorelle. Da bambino giocavo con poche cose ,perché (smore = giocattoli) non ne avevo. Appena sono stato capace mi costruivo (dei caross= piccoli carri di legno, Parette =delle palette di legno per giocare con la terra e le pietre).
Dilia
Giocattoli non ne avevamo e quindi ci arrangiavamo a costruirceli, prendevamo due assette di legno, le inchiodavamo e mettevamo le ruote e le barre per trasportarlo. Prendevamo esempio dai carri e carrette che usava il papà.   
Foto Dino Volpe
Augusto
Con la mia famiglia, siamo sempre stati in Aure a coltivare la terra
finchè ognuno di noi figli e figlie si è sposato . Io sono venuto a vivere qui a Pianfré (Frazione di Lequio Berria) e sono ancora qui.
Non ho fatto il servizio militare perchè avevo due fratelli in guerra,e pertanto sono stato esonerato.
Durante la seconda guerra mondiale , anche in questi posti così isolati, abbiamo avuto tanti problemi. Difficoltà, perché arrivavano i Tedeschi , i Partigiani , i Russi e tutti volevano mangiare e bere.

Dilia :
Una volta sono arrivati dei Russi e avevano tantissime armi, io ero piccola e mi facevano tanta paura. Le posarono sotto il tavolo,un mucchio! ci fecero capire che se davamo loro da mangiare e bere non ci avrebbero fatto niente, ma come facevi a stare tranquilla , avrò avuto dodici o tredici anni.



Dilia:
Un altro motivo di timore era quando arrivavano i Tedeschi e guardavano il foglio di quanti eravamo in famiglia ,e se mancava qualcuno erano grane. 
Augusto:
Sì i Tedeschi avevano fatto compilare uno stato di famiglia in ogni casa ,quando passavano volevano vedere il foglio e sapere dove era chi mancava da casa.
Mio fratello Armando aveva terminato il militare,aveva già il congedo in mano a Borgo San Dalmazzo e invece è partito per l’Africa (16 mesi) ,poi è andato in Francia e infine in Russia da dove è tornato con i piedi e un dito della mano congelati. Riuscì ad arrivare a Rimini dove lo curarono ma mentre era in Ospedale ebbe una paralisi, meno male che era ancora sotto cura!Caterina di Cantabusso e Marina del Bricco andarono a trovarlo.
Mio fratello Mario andò in guerra in Albania.


Il Carnevale 

Per parlare di cose più allegre, mi ricordo del Carnevale. Si preparavano “er raviore”(i ravioli) i taiarin (i taglierini) in tutte le case e si andava a mangiare a pranzo da una famiglia e a cena da un’altra.


Dilia:
Alla sera si organizzavano dei balli in casa. I suonatori erano locali e ci divertivamo così, ballando.

Augusto:
In zona avevamo tre suonatori di fisarmonica. Uno abitava in una casa qui alla cascina der Posèt ed era “Giolo” suonava con questo ritmo”tre tome tretome tretome”!






Dilia :
 Conosceva e  suonava tre pezzi “doi istess e un precis”(due uguali e uno identico).
Augusto:
Poi c’era Adriano che abitava al Bricco di Arguello e abitava con uno di nome Anselmin e lo faceva dormire nella greppia insieme all’asino, infine alla cascina “Roé” (Roero) viveva Giorsèt che aveva sposato la sorella di Celin . Giorsèt era un suonatore già un po’ più moderno e veniva a suonare in un salone grande delle  case che sono ormai diroccate nella borgata qui sopra. Tutti i sabato lui veniva a suonare in questo salone, portava sua moglie Ginota e organizzavano una serata di ballo. Suonava la fisarmonica e si radunava un po’ di gente delle cascine dei dintorni. A differenza di Giolo der Posèt sapeva suonare e potevi ballare.
Dilia: si ballava tutta la notte alla luce del lume!                                                                        
acetilene e lume a petrolio                                      
Augusto:Erano tempi brutti, ma forse più belli di adesso,perché avevamo niente , però tutti erano allegri e tutti cantavano e ballavano. Certo ,in seguito c’è stato il periodo della guerra che ha toccato tutte le famiglie e son cambiate un po’ le abitudini, tuttavia vi erano Vigin ed Mini, Gioanin di Cavalot er pare ed Renso, Remigio e Carlucio dra Braja, che organizzavano delle ”Sarabande”( Serate di gruppo) a cantare e avevano delle gran belle voci.  Era veramente bello sentirli! Vigin ed Mini, quando gli naquero le due “matote” (bimbe), voleva festeggiare cantando e siccome la moglie Maria gli disse di non disturbare le bambine lui disse: “Anlora andoma a canté da Gusto ed Pianfrè, là son tuti già grand !”Allora andiamo a cantare da Augusto di Pianfré, là i bambini sono già grandi!(la cascina Pianfré è in una posizione più isolata). Non andavano né da Vigina der Saré né in Aure da Paolin perché la moglie non gradiva e poi era un po’ tirchia!
Dilia: Una volta,era Carnevale, io, Carla (moglie di Augusto) e altre siamo andate a prendere le uova nel loro “Gioch” (pollaio) e le abbiamo portate a lei perché le cucinasse, se ne accorse dopo e ci rimase male ma Paolin invece ci rise sopra!
Augusto:
Si, Paolin era da compagnia!
Tiravamo avanti così, lavorando e divertendoci. Ogni Sabato ci riunivamo in questo salone da Filipin di Pianfré e si ballava, a volte c’erano anche i cantori e così la festa era più bella ancora.
Bravi cantori erano Remigio e Carlucio dra Braja ,  Carlucio dra Srà(Cerrata) zio di Alfonso e figlio ed barba(zio) Galon( aveva sposato la sorella di mio papà.) Galon e mia zia ebbero tre figli ma dopo la guerra del 1915 con la Spagnola(epidemia influenzale) morirono tutti. Adottarono una ragazza senza famiglia, di nome Finin che contribuì a rendere meno triste la loro vecchiaia.
Dilia : Finin era piccolina ma proprio simpatica, lei scherzava, se poteva fare qualche “marminela”(birichinata) la faceva e teneva allegra la famiglia.
Ogni sera si andava a “viè” nelle stalle , si giocava a carte, si raccontavano storie …..
Augusto:Magari a Mezzanotte ci veniva voglia di preparare “doi friceu”(due frittelle) e allora si andava a prendere una bottiglia d’olio e si friggevano sulla “Stiva”.(stufa di ghisa)
Un’altra occasione per fare festa era lo”Spojè i canon  ed meira”(sollevare le foglie delle pannocchie di granoturco), ci si trovava nel cortile e cantando si lavorava, però per ballare occorreva terminare la meliga e prepararla per metterla  a essiccare legata ai pali di castagna sulla facciata delle cascina e sta meira non finiva mai, allora qualche giovane per poter ballare metteva le pannocchie tra le foglie o come è successo ai Giameis (Frazione Giamesi) le hanno buttate nel pozzo. Certo che quella fu una birbonata grossa, ma c’era qualcuno che pur di iniziare a ballare le studiava tutte.

I primi soldi della stagione arrivavano con i “cochèt”(i bozzoli dei bachi da seta). I bachi da seta li ho ancora tenuti qualche anno qui in Pianfré. Si vendevano a San Pietro e, a volte, con un quarto di oncia di “smens”(uova di baco da seta) facevi venticinque kilogrammi di bozzoli ma a volte i “bigat” (bachi da seta) marcivano tutti e allora non avevi nulla.
Dilia:
L’allevamento dei bachi era un lavoro grande e delicato.  Quando erano piccoli si tenevano in una cesta , venivano nutriti con la foglia di “mo” ( gelso) tagliata fine , facendo attenzione di non far prendere “ra corènt ed marin”( il vento di Scirocco ) che poteva farli morire. Man mano che crescevano venivano messi su delle
“Pontà d’as”(ponti di assi di legno), ogni ponte aveva un piano da 5 assi,si occupava una camera intera.
Augusto:
In alcune annate, con un’oncia di semente si ottenevano ottanta chilogrammi di bozzoli. Nel 1936, io avevo dieci anni , mi ricordo che con mio fratello Toni abbiamo portato i sacchi di “cochèt” fino a Lequio dove c’era uno di nome Cico il quale con le mule portava il papà a venderli ad Alba.
Tornati a casa ci raggiunse un brutto temporale, grandinò e apparentemente non sembrò granché ma il giorno dopo andammo a vedere le vigne: un paesaggio desolante, aveva pelato tutto, c’erano solo più “i scaloss”( i pali di sostegno), in quell’anno non ci fu vendemmia , eravamo o a San Giovanni o a San Pietro. “Bonor chi iera i sod di cochèt”(meno male che c’erano i soldi dei bozzoli) perché quella grandine portò via anche il grano!
”La tempesta”(la grandine)nel 1965 nuovamente ci portò via sia l’uva che il grano. Ero andato a tagliare il con mio fratello Giovanin nel campo vicino al “ciabot”, avevamo fatto due o tre “cabale” (mucchi di grano) con le “giavéle” “fasci”   quando cominciò a piovere e il cielo lasciò cadere dei pezzi di ghiaccio che facevano male, fortuna che riuscìi a ripararmi in un “voltin” (riparo a forma di piccola volta in pietra),ma sentìi mia cognata Agnese che chiamava a gran voce “so om”(suo marito) e così  passando rasente ai muri delle “piovà” arrivai dalla stalla altrimenti “am masava” (mi uccideva). Giovanin si era attardato a formare le Cabale e poi si era ritirato nel ciabot.
Dilia:
Quanto lavoro si faceva “rispet adess” (in confronto ad oggi!) .
Si tagliavano le spighe a mano e si facevano “le giavéle”che venivano legate con le “tortagne”(rami flessibili di salice) ,se pioveva occorreva girarle per farle asciugare , poi si formavano le “cabale” nel campo oppure la “borla”(mucchio più grande)  ,era necessario non farlo essiccare troppo  altrimenti si perdeva una parte di grano nel campo. In seguito lo si portava nel cortile e con il “ribat” (pesante tronco di legno dentato) si “bativa”(trebbiava).
Augusto: Con il passare degli anni iniziammo ad avere la maggior parte del grano nei campi aldilà del Belbo e lo si portava alla cascina della Cà Bianca dove veniva la trebbiatrice .
Fino a qualche anno fa andavo nelle famiglie a “massé er crin” e a “rangero” e così ho potuto conoscere tantissime persone delle zone di Arguello, Cerretto, Sinio,  Bossolasco che si ricordano di me e mi conoscono ancora, ma io non li riconosco più a meno che non mi dicano di dove sono. Non posso ricordarmi di tutti, anche perché in certe annate, io e il mio socio uccidevamo fino a 110 maiali e voleva dire andare presso circa un centinaio di famiglie. In certe cascine stavamo fino a tre giorni, come ad esempio da Chiavarino a Bossolasco. Loro erano tre fratelli e tenevano tre maiali, sono sempre andato io a “rangeie e masseie” e mai che ci siano stati dei problemi. Vigin ed Ciavarin veniva a prendermi alle cinque di mattina e aspettava che terminassi di “ciadlé er bestie”.
Mio “cé” “o r’ ava na man a fé i saram e mi e ro amprendì da chiel” , di salami ne ho fatti tanti e “iè  mai andaine gnun a mar”.C’è stato un periodo che allevavo dodici maiali e poi facevo salami e mai che se ne siano guastati.
Bisogna farli asciugare in una camera che non sia troppo fredda ma che sia umida. Andavo sempre a Gottasecca a sistemare il maiale a uno che poi è andato a Ricca e ricordo che quando andò ad abitare a Ricca li fece asciugare in una camera che aveva una parete con un termosifone, io lo sconsigliai ma lui non mi ascoltò.
Un sabato ,mentre andavo al mercato ad Alba passai e mi disse di andare a vedere i salami, erano tutti da buttare via! Il caldo del termosifone aveva fatto staccare e seccare la pelle dei salami che così erano irranciditi.

Nel 1936/37 vennero il Chirurgo Carusi e un altro medico a operare a casa mia mamma che aveva la pleurite , dopo l’intervento nei giorni successivi gonfiò in tutto il corpo , allora partirono mio fratello Toni e mio cugino Giovanoto e andarono dal settimino di Cessole. Questi diede loro delle erbe e disse di farle bollire e somministrarne tre cucchiaiate.Così fecero e il giorno dopo lei era guarita, scampò ancora parecchi anni.
L’intervento ci costò sedicimila Lire, mio padre diceva: “con seddesmila lire podavo catè quatr cobie ed bo ed 100 e passa
milia! “ (con sedicimila lire avremmo potuto comprare quattro coppie di buoi di 100 e più miriagrammi)
Eravamo d’inverno e il Dottor Alfonso Busca di Feisoglio ,che aveva in cura la mamma ci consigliò così, di far venire a effettuare l’intervento a casa. Per curare la mamma ,il Dottor Busca venne 51 volte, lasciava il motorino al di là del Belbo e veniva in Aure a Piedi. Disse a mio padre “ e ro fo 51 vire ma t’emno paghi mac 50.” In quei tempi là non esisteva la mutua e bisognava pagare tutto.

Una volta ad Arguello vivevano tante persone e c’erano delle borgate che adesso sono scomparse o è rimasta qualche casa diroccata. Il mulino d’Arguello era abitato,poi c’era la cascina del mulino, quella dello Scopton , la cascina di Cavallo da Bulot, la Masseria dove hanno abitato a lungo Nando,Pietro e Annibale, l’Arditao dove c’erano le famiglie di Filipin, Dolfo,Giovanin..Al Brichett vivevano Giovanin e Ceco .
Noi della Borgata di Aure  andavamo a scuola ad Arguello poiché il territorio del comune la comprende e anzi anche il pian del Giribec è sotto Arguello. Una volta , la strada che scende in Belbo aveva il ponte e poi si saliva per un sentiero verso il paese.
Quando c’era il ponte questa strada era molto battuta anche per andare a Cravanzana e nel periodo della Fiera di Cravanzana un’ora prima che facesse giorno era già piena di gente che portava gli animali ! 


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