sabato 30 settembre 2023

BIANCHINI FAZIO ERMINIA 1908 Bra Rocchetta Belbo Cossano Belbo Ricca d'Alba

 

ERMINIA BIANCHINI  nata a Bra nel 1908 fu adottata da una famiglia di Rocchetta Belbo


 


https://youtu.be/KRExM4nijmk                          
    https://youtu.be/wPlfDcKFHic         

https://youtu.be/-qFIx4zpATE                              

La famiglia che mi prese “jero nèn bon a bèicheme, im davo poch da mangé e robe poche!” Non erano capaci di allevarmi, mi davano poco da mangiare e mi vestivano malamente, mi lasciavano nuda su di un tavolaccio e così, mi ricordo, faceva male! Successe che la donna che mi aveva “presa” all’ospedale morì e i famigliari non mi guardavano

Fu Madlinin Defilippi Diotti che si prese cura di Erminia e la portò a Vesime. Dice Erminia: Madlinin a jera propi brava e a ra portame a Vezme! A rava i fréi an Campèi, eh ma o rè ampèss! Mi jerà propi cita!>(Madlinin Defilippi era proprio brava, e mi ha portata nella sua famiglia a Vesime. Lei aveva i fratelli a Campetto di Bosia. Eh ma questo è successo tanto tempo fa! Io ero molto piccola.

Non conobbi mai la mia vera famiglia, seppi che era di Bra ma mia madre e mio padre non vennero mai da me! Nella mia lunga vita sovente li pensai! Fu molto triste!

Quando, pur piccolina andavo già a prendere l’acqua con una Tola” alla “tampa” (vasca) con una lastra di ghiaccio di dieci cm., finii nell’acqua gelida. Il tolin rimase sul ghiaccio ed io finii nel buco. Cercarono “Minia” e qualcuno vide il tolin sul ghiaccio, chiamo degli uomini che mi ripescarono, ben! non sono morta! Avrò avuto due o tre anni e avendo sentito dire che occorreva andare a prendere l’acqua per far cuocere i “Patatin”, io presi il “tolin e andai finendo nell’acqua!

A sette o otto anni, venne da noi nel cortile un tale che aveva la bicicletta, io curiosa provai a salirci sopra, ma fatti pochi metri caddi suscitando le risate di Armando Defilippi. Ci rimasi molto male,  per la caduta ma soprattutto per le risate e promisi che non sarei mai più salita su di una bicicletta, e fu così!. Non va mai bene ridere quando uno cade, occorre aiutarlo e chiedere se si è fatto del male ma mai ridere!

Andai sempre a piedi oppure, se qualcuno mi caricava salivo sui “birocin “ col cavallo oppure sulla motocicletta. Vi era Cin di Camo che aveva i cavalli e faceva servizio con i “ birocin”

Nel ’18 ci fu la “Spagnola”! La presero tutti , ma io no! Così andavo ad aiutare i vicini malati e guardavo i bambini. Fu proprio una brutta influenza, ma io non temevo di ammalarmi e così facevo anche i “papin” a chi aveva la polmonite!

A scuola andavo a Rocchetta Belbo,ma dopo la spagnola non la frequentai più.

Poi incontrai Luigi ‘d Pianprissio, mi sposai e lì mi vollero sempre bene. Mio marito era ambizioso e preciso nei lavori in campagna e anch’io “lavorai sempre la terra”.

Quando ero ancora da sposare, una volta andai in festa e c’era il ballo, Venne un giovane e mi chiese se volevo ballare, io acconsentii, poi i famigliari avendomi vista ballare con quel giovane mi dissero di tornare a casa. Io feci per avviarmi e il ballerino chiese di accompagnarmi e io gli dissi di sì, ma quando fummo vicino a casa i miei fratelli e sorelle gli tirarono delle pietre, così quel giovane si spaventò a tal punto che non lo vidi mai più.

MÈI UN CON DRA TERA Meglio uno con della terra

Dovevo sposare un Bona di San Donato poi, i miei mi consigliarono: < pija un con drà tera, armeno ‘t mangi sempre!> (sposa un uomo che possiede terreni, perlomeno avrai sempre di che mangiare!> Li ascoltai e sposai Vigin ‘d Pianprissio che aveva “tanta tèra”. Vi fu anche Andrea di San Donato che voleva sposarmi, ma anche lui era figlio di una maestra e con suo padre Luigi non avevano “Terra”. Si che suo padre propose di comprare una casa per non pagare affitti, ma mio padre disse: ricorda che “chi semina raccoglie”ma se non hai terra come fai?

 

 

 

MACH A BALÈ CON VIGIN! Solo a ballare con Luigi

Fino ai diciassette diciotto anni andavo a ballare e mi piaceva tanto! “Reu parlaje ! Uscii qualche volta con Morando di Castiglione Tinella che aveva già la motocicletta a quei tempi, era anche un bravo giovane, ma preferii Vigin! Una volta sposata, andavo solo più a ballare con Vigin, ma poi con il lavoro si pensava “ar’interesse”( economia di casa) e non si avevano più tanti “driveri”.

 





“TALIO” MIO COGNATO LO VIDI L’ULTIMA VOLTA

FAZIO ITALO DI REMIGIO COSSANO BELBO 1913

CONTADINO

SOLDATO DIVISIONE MESSINA 93° RGT FANTERIA

CADUTO A CETINJE(MONTENEGRO YUGOSLAVIA) CETINJE (AL) il 02/12/1941


Mio Cognato Italo venne a casa in Licenza, ma io non lo riconobbi,ero nell’aia con una cesta “marandà” (malmessa) del pane, era la prima volta che cuocevo il pane e stavo andando a farmene preparare una nuova, arrivò sto soldato col quale discorremmo un po’, quindi mi disse “ma am anvitla manch a entré an cà?(ma non mi invita neppure ad entrare in casa?) Arrivò Vigin che lo riconobbe e allora ci salutammo. Quella fu l’ultima volta che lo vidi, Ripartì richiamato e non tornò più, per molto tempo fui dispiaciuta di non averlo riconosciuto!

AH LA GUERRA!

Quanti spaventi e difficoltà durante la guerra!

Una volta davanti alla nostra cascina passò un cavallo con “birocin” senza nessuno alle briglie. Andava al trotto e non lo fermai, ma per una buca perse un fucile. Io presi quel fucile, lo misi in un sacco e lo portai ai partigiani a San Donato, certo ebbi un po’ paura ma andò tutto bene. Quel cavallo lo avevano requisito i partigiani ma lui era scappato e stava tornando alla sua stalla. In quel periodo si viveva male poiché arrivavano sia i partigiani che i repubblican e tutti volevano mangiare. Noi si nascondeva farina e Bruz perchè te lo portavano via, e nemmeno ad avere dei soldi non trovavi a comperare nulla, né zucchero, sale olio o caffè.

Mi ricordo di un partigiano di nome Bagnèt di San Pé. che veniva sempre a cercare da mangiare anche per i suoi compagni, ma noi avevamo poco. Qualche cosa glielo davamo, però,un po’ di generi commestibili li nascondevamo in un pozzo che poi coprivamo, dove non era possibile trovarli!

Da noi venne a nascondersi un partigiano e mi chiese di scrivere una lettera a sua mamma per avvisarla che lui stava bene. Io scrissi con piacere e tranquillizzai la mamma, il partigiano mi ringraziò e poi se ne andò. Finì la guerra e di quel giovane non seppi più nulla, un giorno,quarant’anni dopo si presentò un signore e mi mostrò la lettera che avevo scritto io. Mi fece piacere sapere che avevano conservato la lettera.

Don Servetti Antonio

            foto Archivio Luigi Chiarle San Donato

RICORDO DI DON SERVETTI

Mio Marito fu amico di Don Antonio, di don Camillo e soprattutto di Don Servetti. Una volta il Parroco disse a mio marito< lascia venire tua moglie Minia a rifarmi il letto! Mi son nèn bon!(io non sono capace). Aveva uno di quei letti dove si formavano tutti buchi e si dormiva male. Vigin gli disse < Già ch’a ven!(certo che viene!). Lui si comportò da persona molto educata, mentre io facevo il letto non entrò nella camera e “o rà sempre spassgià da na stanssia a r’atra! Ha sempre passeggiato da una camera all’altra.

Molto collaborativo con i Partigiani, Don Servetti fu condotto alle carceri di Cuneo e fu anche torturato Povr om! Povero uomo.

I TEDESCHI A COSSANO E SAN DONATO

I  tedeschi essendo amici di un avvocato di Cossano Belbo rimasero parecchio tempo in paese spadroneggiando e creando paura. Poi vennero anche a San Donato e incendiarono la casa dove vi erano stati i Partigiani. Quella casa era stata acquistata dalla famiglia di mio marito i Fazio e fu distrutta. Ah che tempi! Non tornino mai più quei periodi di guerra!

R’ABITUDINI ‘DNA VOTA

Quando “is fava passé”( si arava a mano) si prendevano i manovali e”d’o dì!”(appena faceva giorno) erano già nel cortile, allora io avevo già pronta sul tavolo una polenta alta una spanna e coniglio o pollo, così sti lavoratori mangiando presto fino, a mezzogiorno non si fermavano più.

Quando ero più giovane ma già sposata, in Pianprissio e dintorni ero rinomata perché mangiavo poco. Quando si chiamavano le donne a raccogliere l’erba queste dicevano: <se c’è anche Minia non veniamo perché lei mangia poco e ci tocca lavorare tanto e “mangè poch anche noi”

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