sabato 30 settembre 2023

 

SARTINI MARIO  Borgomale 04 GIUGNO 1921

di MERLO TERESA E ADOLFO

REDUCE I.M.I. INTERNATO MILITARE


ONORE AL FRATELLO GEMELLO GIULIO

SARTINI GIULIO GIOVANNI BORGOMALE il 04/06/1921 DI MERLO TERESA E ADOLFO

 Contadino

SOLDATO FFAA Regie

CCCXXXVIII BTR ARTIGLIERIA S.P.

Luogo di morte: OZIERI (SS/I) il 25/11/1943

CATTURAT0 a Firenze: il 09-09-1943 

Deportato e Internato allo Stalag VI C

Liberato il 25 aprile 1945

RIENTRATO il 17-09-1945

FONTI Archivio Anrp - MEF

Carla, la figlia di Mario, con grande sofferenza e da grande Testimone della Memoria mi ha fatto conoscere il papà. La ringrazio poiché oltre ad avermi fornito materiale importante per presentare il Reduce Mario Sartini mi ha delineato la vita di un uomo che in vita soffrì molto ma seppe lasciare grandi insegnamenti.

Uomo di grande forza interiore, non si lamentò mai e seppe sempre dare esempio di disponibilità e servizio. Le grandi sofferenze provate, sia in prigionia che nella vita successiva, da reduce, non furono mai motivo di lagnanza. Si dedicò prima ai genitori e in seguito alla sua famiglia. Carla, la figlia, lo descrive come un marito e papà amorevole e attento a non preoccupare mai la moglie e la figlia. 

A distanza di tanti anni dalla sua dipartita sono onorato di poter scrivere la sua storia e far conoscere Mario che solo dopo molte insistenze, a 80 anni si convinse a dettare la sua vita nella prigionia. Carla condividendo la sofferenza del papà scrisse con la “lettera 22” il racconto del papà, Le chiese di tralasciare dei particolari che riteneva troppo intimi ma che traspaiono alle persone sensibili.

Si ringrazia il Signor Mario, la figlia Carla e Remo che hanno reso possibile di NON DIMENTICARE la storia di un uomo che con molti altri dovette soffrire per la cattiveria e barbarie umana.

Mario ricordò e citò sovente dei suoi compagni di Prigionia e portava nel cuore i tanti Caduti che vide soffrire e perire nel corso della terribile esperienza, sta a noi cogliere il “testimone” e continuare a passarlo affinchè non si DIMENTICHI!

L’11 settembre 1943 una colonna di mezzi blindati tedeschi entrò nella città di Firenze, dirigendosi in piazza San Marco dove le truppe tedesche occuparono il Comando di Corpo d’Armata. Gli ufficiali furono fatti prigionieri insieme al loro comandante, il gen. Chiappi Armellini, mentre i mezzi corrazzati raggiunsero i punti strategici di Firenze a partire dalle caserme che vennero circondate costringendo i soldati alla resa, come ricordò l’allora tenente Vittorio Valeri: “anche la Fortezza da Basso era compresa in questa capitolazione. La caserma fu occupata da un reparto tedesco comandato da un maggiore e le truppe furono così disarmate fra lo sbigottimento e lo sconforto generale”. Intanto i fiorentini assistettero attoniti al passaggio dei grandi carri armati con le croci nere per le vie del centro e i lungarni. Mentre poche ore dopo si riaffacciarono baldanzosi gli squadristi che erano scomparsi all’indomani del 25 luglio e della deposizione di Mussolini ad opera del Gran Consiglio del fascismo.

Prive di ordini le forze armate sbandarono. Ufficiali e soldati fuggirono, abbandonarono le divise, per cercare di tornare a casa, spesso aiutati dalla popolazione che assistette attonita al “fiume” di militari in fuga, offrendo spesso abiti civili, cibo, ripari temporanei. Anche Mario fuggì, ma fu catturato tra Firenze e Pistoia.




“Io sottoscritto MARIO SARTINI nato a Borgomale il 04 giugno 1921 e residente ad Alba, fui catturato dai tedeschi il 12 settembre 1943 tra Firenze e Pistoia e deportato al Campo 6° di Latten. Qui rimasi due giorni, poi fui trasportato al campo di concentramento di Krefeld. Ridotto in condizioni di schiavitù, prestai lavoro forzato nella fonderia- acciaieria “Wass Werk” di krefeld. Qui vissi in condizioni di vita estremamente dure, fui costretto a cercare il cibo nell’immondizia e a mangiare erba. Le condizioni di Prigionia furono disumane. Vidi morire tanti miei compagni e i loro cadaveri furono lasciati nelle baracche e vidi i loro corpi mangiati dai topi.

Ricordo i nomi di alcuni miei compagni: Berchialla Vincenzo di Montelupo Albese, il colonnello Luccisani di Torino, il Capitano Medico Leandro Bonini di Sala Comacina (Como), il Tenente Cappellano Don Accorsi di San Carlo di Sant Agostino, Ferrara, 1909 – Modena, 1985 che scrisse un libro sul campo di Fullen-Meppen dove anch’io trascorsi alcuni mesi di prigionia.

Lavorai ai forni nelle acciaierie WASS WERK CHE RAGGIUNGEVANO I 4000° ed io dovevo rimanere nei pressi per far scorrere il metallo incandescente. Gli zoccoli che portavo ai piedi erano sempre bruciati e i rotoli di acciaio che dovevamo spostare erano pesantissimi

 Si lavorava tutti i giorni senza cibo e con poco riposo, inoltre la domenica si doveva ripulire la fabbrica dagli scarti di metallo che si accumulavano a terra. Furono mesi allucinanti e mi ammalai. Se avevo la febbre che non superava i 38° dovevo comunque lavorare, e così mi aggravai e fui trasferito al Lazaret-Fullen-Meppen dove fui sottoposto ad esperimenti medici. Mi conficcavano un grande ago nei polmoni e mi riempivano d’aria. Avevo sempre la febbre altissima e soffrivo molto.

Subii gravi danni alla salute e mi fu diagnosticata la pleurite e la dissenteria-itterite, arrivai a pesare 37 kg. Ero un Ragazzo forte e robusto, altrimenti come tantissimi miei amici non sarei sopravvissuto.

È molto difficile elencare quali altri danni subii ma dirò soltanto che soffrii oltre che di pleurite anche di tre ulcere allo stomaco, di diverticoli all’intestino e quando tornai a casa negli anni successivi mi sottoposi a diversi interventi chirurgici.

I danni alla salute furono purtroppo tanti e unitamente ai ricordi orribili mi annientarono fisicamente e psicologicamente.  difficile descrivere tutto quello che accadde in quei terribili lager chi come me deve compiere 80 anni tra pochi mesi desidera solamente che tutto questo non accada MAI PIU’!



BERCHIALLA VINCENZO Montelupo Albese 24 11 1922

SOLDATO DELLA SCUOLA CENTRALE DI FANTERIA

Matr. 25197

Cattura a Firenze l’11-09-1943

Internato allo Stalag VI J e KREFELD

Liberato l’8 maggio 1945 Rientrato il 6 Settembre 1945

 

Lo Stalag VI-C di Fullen, in Bassa Sassonia, vicino al confine olandese era dislocato a Krefeld, città a sud-ovest della regione della Ruhr, a pochi km a ovest del fiume Reno. Aperto nel febbraio 1941 chiuso il 9.10.44, fu riaperto a Dorsten fino all’aprile del 1945.A 6 km a ovest del villaggio di Oberlangen nell'Emsland, nella Germania nord-occidentale. Fu originariamente costruito con altri cinque nella stessa area paludosa di un campo di prigionia per i tedeschi.

Fu attivo dal 23 settembre 1943 al 29 giugno 1945; dunque, per motivi logistici, anche dopo la liberazione degli Alleati, avvenuta il 6 aprile 1945. Il suo solo nome desta ancora orrore tra i discendenti di chi vi fu deportato e ne serbano il ricordo.

Era un lazarettlager, un campo ospedaliero, e rientrava nella costellazione di lager (tra i quali Bathorn, Gross-Hesepe, Oberlangen, Wesuwe, appunto Fullen e altri posto attorno a quello di Meppen, cittadina allora di circa diecimila abitanti, collocata a 80 km da Osnabrück.

A tale campo Ettore Accorsi (San Carlo di Sant Agostino, Ferrara, 1909 – Modena, 1985),citato da SARTINI MARIO, frate domenicano, cappellano militare, resistente, medaglia d’oro al valor militare, dedicò un libro, uscito subito dopo la fine del conflitto, dal significativo titolo: Fullen. Il campo della morte (Istituto italiano d’arti grafiche, Bergamo, 1946;

 

Dei “sottocampi” si parlava poco, erano ignorati dalle organizzazioni di soccorso e, quindi, anche per questo, vi avvenivano orrori di ogni genere. Mentre nei campi principali c’erano alcuni servizi e tutele, in quelli minori come Meppen si era completamente abbandonati a sè stessi. Si dormiva sulla paglia; non c’erano coperte; le scarpe, nonostante il freddo intenso, erano zoccoli olandesi; non vi era biancheria intima. Cimici, pidocchi, dissenteria, tubercolosi, cancrena, erano diffusissimi. Poco e scadente il cibo; era abitudine dei prigionieri appropriarsi di nascosto, rischiando la vita, delle bucce di patate gettate nella spazzatura dai tedeschi per cercare di ricavarne ancora del nutrimento.

Una torbiera umida e paludosa circondava Fullen, a poche decine di chilometri dal confine con l’Olanda. Pur non essendo ufficialmente un campo di sterminio (i prigionieri di guerra non dovevano essere eliminati come gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali e i testimoni di Geova), era divenuto un lazarettlager riservato a italienischen militärinternierten (“militari italiani”) ammalati, destinati a morirvi senza alcuna assistenza medica. La media era di duemila “ricoverati”. I deceduti saranno il 50% circa. Sulla definizione di “internati” vi è qualcosa da dire. La derubricazione da prigionieri a internati implicava che ai secondi non venivano concessi i diritti derivanti dalla Convenzione di Ginevra del 1929. Pertanto, erano collocati in un limbo giuridico (sebbene gli internati fossero formalmente riconosciuti da altri accordi internazionali), finendo per essere alla mercé dei tedeschi.

Sull’“ospedale” di Fullen – in realtà, campo finale di sterminio – Vi sono le testimonianze del FRATE ACCORSI ETTORE, di TRIPODI FRANCESCO, E DI FERRUCCIO FRANCESCO FRISONE che si aggiungono a questa di SARTINI MARIO.

FRANCESCO TRIPODI, nato a Oppido Mamertina (Reggio Calabria) il 1° febbraio 1923, deceduto a soli 48 anni (anche per i postumi delle ferite e delle sofferenze patite in guerra), a Reggio Calabria, il 20 giugno 1971. Dopo l’8 settembre 1943, come quasi tutti i militari italiani, si rifiuta di “collaborare” con l’esercito tedesco: è il primo atto della Resistenza italiana e del recupero dell’onore della Patria. Saranno 46.000 i soldati italiani trucidati in pochi giorni nei Balcani, a Cefalonia, nel Dodecaneso; e altri 40.000 periranno nei lager.

 

FERRUCCIO FRANCESCO FRISONE libro/diario su Fullen:
BINARIO MORTO
“Catturato dai tedeschi in Albania dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, Ferruccio F. Frisone subì una lunga prigionia come internato militare (IMI): prima a Semlin, presso Belgrado, poi, ai confini con l’Olanda, a Versen e nel Lazarett di Fullen, il Lager-ospedale tristemente noto come ‘campo della morte’. Per più di 600 giorni Frisone tenne un diario, corredato dai 109 disegni realizzati durante l’internamento. Si tratta di una fonte documentaria straordinaria che racconta una quotidianità intima, sospesa e dolorosa, fatta di fame, freddo, malattia, ma anche di sforzi disperati per conservare la dignità. Una testimonianza ‘per diario e immagini’ che si fa prezioso tassello per quella storia degli italiani tra il 1943 e il 1945”.

 


 

 

Riporto uno stralcio della testimonianza di Francesco Tripodi che aggiunge molto al mite racconto lasciato da Sartini Mario:

Il sottoscritto Tripodi Francesco di Salvatore dichiara: che nell’estate 1944 fu trasferito, perchè molto ammalato, al Campo di Fullen (MEPPEN). Dopo pochi giorni che si trovava in detto campo, non arrivavano più viveri, senonchè verso il terzo giorno, mentre si trovavano inquadrati al centro del campo in attesa di ricevere finalmente qualcosa da mangiare, invece di ricevere il rancio è apparso sul campo un aereo tedesco il quale con una buona mitragliata, lasciò sul campo moltissimi morti e feriti.

Pare che non avendo più niente da dare per mangiare agli internati ed essendo degli esseri ammalati, si era deciso di eliminarli. Dopo la liberazione, le autorità militari americane, trovarono un documento, il quale fu tradotto in italiano e letto apertamente a tutti gl’internati del campo di Fullen, il quale detto documento autorizzava le S.S. di procedere alla eliminazione degli internati ammalati.”

 






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