SARTINI
MARIO Borgomale 04 GIUGNO 1921
di MERLO TERESA E ADOLFO
REDUCE I.M.I. INTERNATO MILITARE
SARTINI GIULIO GIOVANNI BORGOMALE il 04/06/1921 DI MERLO TERESA E ADOLFO
Contadino
SOLDATO FFAA Regie
CCCXXXVIII BTR ARTIGLIERIA S.P.
Luogo di morte: OZIERI (SS/I) il 25/11/1943
CATTURAT0 a Firenze: il 09-09-1943
Deportato e Internato allo Stalag VI C
Liberato il 25 aprile 1945
RIENTRATO il 17-09-1945
FONTI
Archivio Anrp - MEF
Carla, la figlia di Mario, con grande sofferenza e da grande Testimone della Memoria mi ha fatto conoscere il papà. La ringrazio poiché oltre ad avermi fornito materiale importante per presentare il Reduce Mario Sartini mi ha delineato la vita di un uomo che in vita soffrì molto ma seppe lasciare grandi insegnamenti.
Uomo
di grande forza interiore, non si lamentò mai e seppe sempre dare esempio di
disponibilità e servizio. Le grandi sofferenze provate, sia in prigionia che
nella vita successiva, da reduce, non furono mai motivo di lagnanza. Si dedicò
prima ai genitori e in seguito alla sua famiglia. Carla, la figlia, lo descrive
come un marito e papà amorevole e attento a non preoccupare mai la moglie e la
figlia.
A
distanza di tanti anni dalla sua dipartita sono onorato di poter scrivere la
sua storia e far conoscere Mario che solo dopo molte insistenze, a 80 anni si
convinse a dettare la sua vita nella prigionia. Carla condividendo la
sofferenza del papà scrisse con la “lettera 22” il racconto del papà, Le chiese
di tralasciare dei particolari che riteneva troppo intimi ma che traspaiono
alle persone sensibili.
Si
ringrazia il Signor Mario, la figlia Carla e Remo che hanno reso possibile di
NON DIMENTICARE la storia di un uomo che con molti altri dovette soffrire per
la cattiveria e barbarie umana.
Mario
ricordò e citò sovente dei suoi compagni di Prigionia e portava nel cuore i
tanti Caduti che vide soffrire e perire nel corso della terribile esperienza,
sta a noi cogliere il “testimone” e continuare a passarlo affinchè non si
DIMENTICHI!
Prive di ordini
le forze armate sbandarono. Ufficiali e soldati fuggirono, abbandonarono le
divise, per cercare di tornare a casa, spesso aiutati dalla popolazione che
assistette attonita al “fiume” di militari in fuga, offrendo spesso abiti
civili, cibo, ripari temporanei. Anche Mario fuggì, ma fu catturato tra Firenze
e Pistoia.
Ricordo
i nomi di alcuni miei compagni: Berchialla Vincenzo di Montelupo Albese, il
colonnello Luccisani di Torino, il Capitano Medico Leandro Bonini di Sala
Comacina (Como), il Tenente Cappellano Don Accorsi di San Carlo di Sant
Agostino, Ferrara, 1909 – Modena, 1985 che scrisse un libro sul campo di Fullen-Meppen
dove anch’io trascorsi alcuni mesi di prigionia.
Lavorai
ai forni nelle acciaierie WASS WERK CHE RAGGIUNGEVANO I 4000° ed io dovevo rimanere
nei pressi per far scorrere il metallo incandescente. Gli zoccoli che portavo
ai piedi erano sempre bruciati e i rotoli di acciaio che dovevamo spostare
erano pesantissimi
Si lavorava tutti i giorni senza cibo e con
poco riposo, inoltre la domenica si doveva ripulire la fabbrica dagli scarti di
metallo che si accumulavano a terra. Furono mesi allucinanti e mi ammalai. Se
avevo la febbre che non superava i 38° dovevo comunque lavorare, e così mi
aggravai e fui trasferito al Lazaret-Fullen-Meppen dove fui sottoposto ad
esperimenti medici. Mi conficcavano un grande ago nei polmoni e mi riempivano
d’aria. Avevo sempre la febbre altissima e soffrivo molto.
Subii
gravi danni alla salute e mi fu diagnosticata la pleurite e la
dissenteria-itterite, arrivai a pesare 37 kg. Ero un Ragazzo forte e robusto,
altrimenti come tantissimi miei amici non sarei sopravvissuto.
È
molto difficile elencare quali altri danni subii ma dirò soltanto che soffrii
oltre che di pleurite anche di tre ulcere allo stomaco, di diverticoli
all’intestino e quando tornai a casa negli anni successivi mi sottoposi a
diversi interventi chirurgici.
I danni alla salute furono purtroppo tanti e unitamente ai ricordi orribili mi annientarono fisicamente e psicologicamente. difficile descrivere tutto quello che accadde in quei terribili lager chi come me deve compiere 80 anni tra pochi mesi desidera solamente che tutto questo non accada MAI PIU’!
BERCHIALLA
VINCENZO Montelupo Albese 24 11 1922
SOLDATO DELLA SCUOLA
CENTRALE DI FANTERIA
Matr. 25197
Cattura a Firenze
l’11-09-1943
Internato allo Stalag VI J e
KREFELD
Liberato l’8 maggio 1945 Rientrato
il 6 Settembre 1945
Lo
Stalag VI-C di Fullen, in Bassa Sassonia, vicino al confine olandese era dislocato a Krefeld,
città a sud-ovest della regione della Ruhr, a pochi km a ovest del fiume Reno.
Aperto nel febbraio 1941 chiuso il 9.10.44, fu riaperto a Dorsten fino
all’aprile del 1945.A 6 km a ovest del villaggio di Oberlangen
nell'Emsland, nella Germania nord-occidentale. Fu originariamente costruito con
altri cinque nella stessa area paludosa di un campo di prigionia per i
tedeschi.
Fu
attivo dal 23 settembre 1943 al 29 giugno 1945; dunque, per motivi logistici,
anche dopo la liberazione degli Alleati, avvenuta il 6 aprile 1945. Il suo solo
nome desta ancora orrore tra i discendenti di chi vi fu deportato e ne serbano
il ricordo.
Era
un lazarettlager, un campo ospedaliero, e rientrava nella
costellazione di lager (tra i quali Bathorn, Gross-Hesepe, Oberlangen, Wesuwe,
appunto Fullen e altri posto attorno a quello di Meppen, cittadina allora di
circa diecimila abitanti, collocata a 80 km da Osnabrück.
A
tale campo Ettore Accorsi (San Carlo di Sant Agostino,
Ferrara, 1909 – Modena, 1985),citato da SARTINI MARIO, frate domenicano,
cappellano militare, resistente, medaglia d’oro al valor militare, dedicò
un libro, uscito subito dopo la fine del conflitto, dal significativo
titolo: Fullen. Il campo della morte (Istituto italiano d’arti
grafiche, Bergamo, 1946;
Dei
“sottocampi” si parlava poco, erano ignorati dalle organizzazioni di soccorso e, quindi, anche per
questo, vi avvenivano orrori di ogni genere. Mentre nei campi principali
c’erano alcuni servizi e tutele, in quelli minori come Meppen si era completamente
abbandonati a sè stessi. Si dormiva sulla paglia; non c’erano coperte; le
scarpe, nonostante il freddo intenso, erano zoccoli olandesi; non vi era
biancheria intima. Cimici, pidocchi, dissenteria, tubercolosi, cancrena, erano
diffusissimi. Poco e scadente il cibo; era abitudine dei prigionieri
appropriarsi di nascosto, rischiando la vita, delle bucce di patate gettate
nella spazzatura dai tedeschi per cercare di ricavarne ancora del nutrimento.
Una
torbiera umida e paludosa circondava Fullen, a poche decine di chilometri dal confine con l’Olanda.
Pur non essendo ufficialmente un campo di sterminio (i prigionieri di guerra
non dovevano essere eliminati come gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali e i
testimoni di Geova), era divenuto un lazarettlager riservato
a italienischen militärinternierten (“militari
italiani”) ammalati, destinati a morirvi senza alcuna assistenza medica.
La media era di duemila “ricoverati”. I deceduti saranno il 50% circa. Sulla
definizione di “internati” vi è qualcosa da dire. La derubricazione
da prigionieri a internati implicava che ai
secondi non venivano concessi i diritti derivanti dalla Convenzione di
Ginevra del 1929. Pertanto, erano collocati in un limbo giuridico (sebbene
gli internati fossero formalmente riconosciuti da altri accordi
internazionali), finendo per essere alla mercé dei tedeschi.
Sull’“ospedale”
di Fullen – in realtà, campo
finale di sterminio – Vi sono le testimonianze del FRATE ACCORSI ETTORE, di TRIPODI
FRANCESCO, E DI FERRUCCIO FRANCESCO FRISONE che si aggiungono a questa di
SARTINI MARIO.
FRANCESCO
TRIPODI, nato a Oppido Mamertina
(Reggio Calabria) il 1° febbraio 1923, deceduto a soli 48 anni (anche per i
postumi delle ferite e delle sofferenze patite in guerra), a Reggio Calabria,
il 20 giugno 1971. Dopo l’8 settembre 1943, come quasi tutti i militari
italiani, si rifiuta di “collaborare” con l’esercito tedesco: è il primo atto
della Resistenza italiana e del recupero dell’onore della Patria. Saranno
46.000 i soldati italiani trucidati in pochi giorni nei Balcani, a Cefalonia,
nel Dodecaneso; e altri 40.000 periranno nei lager.
FERRUCCIO
FRANCESCO FRISONE libro/diario su Fullen:
BINARIO MORTO
“Catturato dai tedeschi in Albania dopo l’armistizio
dell’8 settembre 1943, Ferruccio F. Frisone subì una lunga prigionia come
internato militare (IMI): prima a Semlin, presso Belgrado, poi, ai confini con
l’Olanda, a Versen e nel Lazarett di Fullen, il Lager-ospedale tristemente noto
come ‘campo della morte’. Per più di 600 giorni Frisone tenne un diario,
corredato dai 109 disegni realizzati durante l’internamento. Si tratta di una
fonte documentaria straordinaria che racconta una quotidianità intima, sospesa
e dolorosa, fatta di fame, freddo, malattia, ma anche di sforzi disperati per
conservare la dignità. Una testimonianza ‘per diario e immagini’ che si fa
prezioso tassello per quella storia degli italiani tra il 1943 e il 1945”.
Riporto
uno stralcio della testimonianza di Francesco Tripodi che aggiunge molto al
mite racconto lasciato da Sartini Mario:
“
Il sottoscritto Tripodi Francesco di Salvatore dichiara: che
nell’estate 1944 fu trasferito, perchè molto ammalato, al Campo di Fullen
(MEPPEN). Dopo pochi giorni che si trovava in detto campo, non arrivavano
più viveri, senonchè verso il terzo giorno, mentre si trovavano inquadrati al
centro del campo in attesa di ricevere finalmente qualcosa da mangiare, invece
di ricevere il rancio è apparso sul campo un aereo tedesco il quale con una
buona mitragliata, lasciò sul campo moltissimi morti e feriti.
Pare che non avendo più niente da dare per mangiare agli internati ed essendo degli esseri
ammalati, si era deciso di eliminarli. Dopo la liberazione, le autorità
militari americane, trovarono un documento, il quale fu tradotto in italiano e
letto apertamente a tutti gl’internati del campo di Fullen, il quale detto
documento autorizzava le S.S. di procedere alla eliminazione degli internati
ammalati.”
Nessun commento:
Posta un commento