RITA PEISINO BERTOLDO di GIN E GEPINO DI SOMANO
Peisino Rita nacque nel 1929 in Loc.
Bricco di Somano, da Donato detto “Gepino” del 1878 e da Rosa Pecchenino detta “Gin”
del 1891 che proveniva dalla Borgata “Garombo” una collina oltre Somano. Gepino e Gin
generarono nove figli: Carlo nel 1909, Emilio nel 1914, Giuseppe nel 1916, una bimba
che andò avanti piccolissima, Maria nel 1919 e ancora vivente, nel 1920 Teresa che diventò Suor Enrichetta, Annibale
nel 1923 e, con un parto gemellare, nel 1925, nacquero un maschietto Giovanni, purtroppo
soffocato dal cordone ombelicale e una bimba Giuseppina che morì all’età di
quattro anni in un tragico incidente. La mamma era andata a prelevare acqua ad
una fontana e lasciò la “ghisa”(paiolo) con “la Bèrnà”(minestrone) per le
pecore appesa alla catena del focolare. Il figlio di nove anni staccò il
pentolone che bolliva per mettere legna nel camino. La piccola bimba di quattro
anni, vestita con un abito di lana realizzato dalla mamma, agganciò col vestito
il pentolone che le si rovesciò addosso. Fu chiamata la mamma che accorse ma
non potè fare nulla per salvare la sua piccolina. Dopo questa tragedia i
genitori di Rita si appellarono alla Santa degli Impossibili “Santa Rita”
affinchè desse loro la gioia di un’altra bimba e furono esauditi! Il 20 Maggio
1929 mamma Rosa partorì una bambina a cui volle dare nome Rita.
Il padre nel 1916, pur con moglie e
tre figli piccoli fu chiamato alla Grande Guerra e tornò soltanto nel 1918.
La mamma le narrava: <Nella Borgata vi erano dieci famiglie che
rimasero senza uomini poiché tutti chiamati alle armi.> Le donne non si
persero d’animo e svolsero tutti i lavori nelle vigne e nei campi oltre a
badare ai bambini e agli anziani.
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
Rita visse direttamente le difficoltà
della guerra, e rammenta che i quattro fratelli erano tutti alle armi. Nella
loro borgata passavano sovente i “repubblichini”, poi i nazifascisti e anche i
Partigiani. Il papà si nascondeva poiché temeva che lo arrestassero e lo
deportassero. Aveva predisposto un nascondiglio sotto la letamaia e se avvisato
dell’arrivo scappava. Anche il fratello Annibale, che era riuscito a fuggire
dalla Caserma di Alba prima che arrivassero i tedeschi, con altri giovani e
anche anziani si nascondeva all’arrivo dei tedeschi. La prima volta che
vennero, lei era al pascolo e fu richiamata da un forte urlo della mamma che li
aveva scorti incolonnati sullo stradone. Rita fece in tempo a tornare con le
pecore e questi, fascisti e nazisti irruppero nel cortile e in casa alla
ricerca di armi, dicevano, ma in realtà cercavano l’oro!
Chiesero alla mamma se aveva figli
giovani come loro e lei, pronta, rispose di averli tutti e quattro soldati.
Quando venivano, oltre all’oro si procuravano anche da mangiare: lardo ,
salami, polli ecc.
Il fratello Annibale una volta, non
fece in tempo ad andare nel rifugio sotto la letamaia e attraverso la “trapa”(botola)
che c’era in cucina, si acquattò nella soffitta e dovette attendere che
terminassero di mangiare e se ne andassero. In un'altra occasione i
nazifascisti arrivarono improvvisamente e Annibale corse in direzione della
cantina, il padre pensò si fosse nascosto nella “tina” tino per pigiare. I
militi andarono a controllare proprio in quel luogo e uno di questi afferrò una
“sija” falce messoria e la passò dentro il tino buio! Il papà rimase senza
fiato e solo quando se ne andarono vide il figlio uscire dalla concimaia!
GRANO E PANE
Quando ero bambina c’era la
“Tessera “ cioè si aveva diritto a solo un po’ di pane “nero”! Il grano che si
produceva lo facevano versare tutto! Fortuna che il nonno ne recuperava un
sacco da quello che cadeva sulla “travà”(fienile) dove si accatastavano anche i
covoni di grano. Con quel sacco si andava a macinare e si faceva il pane. Si
andava al forno del ”quarté” (Borgata) e si cuoceva del buon pane bianco! La
nonna e la mamma realizzavano le “chernièle” (Treccie di pane zuccherate con
uvetta e cognà) e ceste di biscotti e Canestrèi ( cialde tipo creckers). Quando
ebbi 15 16 anni andai da una zia a Mondovì poichè era ammalata. In città
avevano solo il pane nero della tessera ed io non riuscivo a mangiarlo! Era
“Propi gram!”(cattivo!) e non mi toglievo la fame! Anche quando mi sposai e
venni ad abitare da “Carlinon” si andava a macinare e si cuoceva nel forno che
c’è ancora qui sotto.
CASTAGNE
Nel periodo della guerra ci
toglievamo la fame con le castagne. Si facevano essiccare nello “scao”
(essiccatoio) e si conservavano. La mamma cuoceva “na bronssa” pentola di
castagne bianche e ognuno le mangiava come voleva: mio padre con il vino, noi e
la mamma con il latte. Avevamo la padella bucherellata per cuocere nel Fornel
sul fuoco le castagne “rustije “ dopo averle incise perchè non scoppiassero. Si
facevano anche sulla stufa, oppure nel forno e si ottenevano i “bischeucc “
morbide e ottime. Le castagne le macinavamo anche per preparare la “bèrnà”
(Zuppa con castagne crusca e verdure) per pecore mucche e maiale.
TOME
Io provengo dalla località Bricco di Somano e perciò ero
conosciuta come Rita “Ra Bricaletta”. Mio Papà andava a vendere le “tome “ che
produceva mia mamma con il latte delle pecore e capre che allevavano. Finché ci
fu il mercato a Bossolasco veniva mamma Gin a venderle e vinse anche parecchi
premi che l’organizzazione del “fascio” promuoveva. Riceveva anche degli
asciugamani con il logo del fascio che serviva a coprire le robiole nella cesta
e lei orgogliosa se ne partiva da casa a piedi per proporre le sue tome!
Quando poi fu necessario andare a Dogliani al mercato
andava Papà Gepino e con la cesta un po’ in spalla e un po’ al braccio, sempre
a piedi poiché mezzi di trasporto non ne aveva, portava a vendere tome e uova e
con quella vendita settimanale ci allevarono tutti e sette.
Quando venni ad abitare qui da Carlinon diventai Rita ra
Bricaletta ‘d Pinoto ‘d Carlinon anche se suo padre era Alban! Continuai ad
aiutare suoceri e marito ad allevare pecore e capre e produrre tome. Ora a
novantuno anni andrò via da questa cascina che mi ospitò per tanti anni e un
po’ mi dispiace. Però mi porto tanti ricordi e l’affetto delle mie figlie e
nipoti e per questo sono serena!
Rita, ad Aprile del 1952 sposò
Bertoldo Pinoto di Teresa Fracchia 1897 1983 e Albano 1892 1965 e andò ad
abitare alla Cascina da Carlinon fondata da Bertoldo Stefano 18541926 detto di
Stranom ”Carlinon”.
I “BENI” E I LAVORI ALLA CASCINA DI CARLINON
A 23 anni sposai Giuseppe Bertoldo chiamato Pinoto ‘d
Carlinon. che era il nonno di mio marito. io non l’ho conosciuto, ma dissero
che era un “omone” grande e grosso e per questo gli misero il soprannome. I
“beni” di questa cascina erano e sono lì sotto e qui sopra. Ci sono due o tre
Piovà (terrazzamenti) un pezzo “snèrt” pendente e un bel prato dove si metteva
grano e meliga. Io rastrellavo erba e fieno per gli animali. Lo si faceva
scendere negli “arssion”(Trapa, o Barion)Attrezzo per trasportare erba, fieno
,paglia sulla schiena), e mio suocero e Pinoto mio marito lo trasportavano su
per la ripida salita, poiché c’era il rio(rian) in fondo e nessuna strada per
scendere col carro.Dopo lo sistemavano sulla Travà(fienile) o sul tamagnon(rimorchio
gommato) o nella stalla. Sui terrazzamenti e anche qui sopra, dove ora c’è
l’orto si lavorava con l’aratro e i buoi!
Ero sposata da pochi giorni, quando avvenne che una delle “Vacche” fu in procinto di partorire. Il suocero mi disse: <Rita, ti ch’it ià èr gambe bonè, (Rita tu che hai le gambe buone) vai un po’ a chiamare il Re, il Vescovo e Napoleone che vengano ad aiutarci a far nascere sto vitellino!> Io rimasi un po’ stupita e pensavo scherzasse, ma Teresa, la suocera, sorridendo mi spiegò che nella Cascina poco sopra di loro abitava un tale soprannominato “ il re”, poco sotto il “ vescovo” e in un’altra località , ancora oggi denominata così viveva Napoleon! A quel punto mi avviai veloce e mi recai a chiamare i tre Personaggi che con grande disponibilità accorsero a collaborare. Quando il vitellino venne alla “Luce” e la tensione calò, si preparò il caffè e si bevve un bicchiere di vino scherzando sul fatto che non avessi saputo chi erano i tre “titolati”, mi fu inoltre spiegato che alla prossima necessità avrei anche dovuto chiedere collaborazione al ”Papa” che abitava alla “Bicoca”. Intanto che la mucca provvedeva a coccolare il suo vitellino con abbondanti “leccate” questi, dopo alcune prove si mise su 4 zampe. Con qualche risata il “Vescovo” in mancanza del Papa lo benedì lanciandogli qualche goccia di vino come buon auspicio!
LA PICCOLA GIUSI E LA NASCITA DEL VITELLINO
Rita e
Giuseppe ebbero tre bimbe, e fin da piccoline le abituarono a collaborare per
gli eventi della stalla. Quando Giusy, ebbe sei anni, venne istruita per
correre a chiedere l’aiuto dei vicini per aiutare le mucche a partorire. In un’
occasione in cui mio marito era in Ospedale e il suocero anziano, dovetti
procedere da sola a far nascere il vitellino. Solitamente erano parti naturali,
ma in quell’ occasione vi furono complicazioni e così dissi a Giusy:< lesta
va a ciamé Carleto!>(svelta vai a chiamare Carletto). Era un vicino che
abitava in una cascina raggiungibile percorrendo un ripido sentiero. Giusy
partì di corsa, ma quando fu senza fiato a metà della salita si fermò e urlò
rivolta verso casa: < o lassé meuiri rà vaca, o meuiri mi!> (o lasciar
morire la mucca o morire io!) Raccontò poi che nel pronunciare quella frase
comprese che anche con sofferenza doveva compiere il suo dovere! Infatti arrivò
senza fiato nel cortile di Carleto, ma lo fece intervenire a portare aiuto. Nacque una bella vitellina e Giusy fu orgogliosa
di aver contribuito all’esito positivo dell’evento.
Qui
in cascina da Carlinon si battè il grano nell’aia finchè si usarono “ le
cavaglie” e il “ribat” poi quando si prese “la macchina a feu” macchina a
fuoco” si fece la “borla “(catasta di grano nel campo grande . Quando riuscimmo
a realizzare la strada e la trebbia con il “testa calda” riuscì a venire nel cortile fu una doppia
festa. Feci “er raviore” (agnolotti), cucinai èr gall e i “pajarin” vravo pì
nen andé via!” (gli addetti alla macchina, non volevano più andare via!).
RACCONTO DI RITA PEISINO BERTOLDO
UCCISI PER RAPPRESAGLIA: CERCAVANO IL “ROSSO”
Il due Ottobre 1944 i nazifascisti irruppero nella
casa del Belbo sotto Niella Belbo. Le “squadracce” racconta Rita, cercavano un
partigiano che aveva nome di battaglia “ O Ross”, era del Gruppo di “Lupo”.
Avevano ricevuto una delazione ed erano arrivati a casa di Sottimano Filippo
che aveva i capelli “rossi”. Filippo era sposato con Fracchia Carmela e avevano
due figli Bruna e Renzo. Carmela era la sorella di Teresa Fracchia Bertoldo suocera di Rita.
Filippo aveva saputo dell’arrivo dei tedeschi ed
era già fuggito a nascondersi nella boscaglia verso Niella Belbo, ma si accorse
di non essersi preso dei soldi e decise di tornare a recuperare qualche
banconota dal gruzzoletto dei risparmi famigliari, nascosto nel materasso.
Fece in tempo ad arrivare nella casa, ma non riuscì
a fuggire prima che giungessero i nazifascisti. Lo presero e iniziarono a
malmenarlo, volevano sapere dove fossero i Partigiani, e siccome Filippo non
parlava stavano per ammazzarlo. La moglie trattenuta dagli sgherri urlava a più
non posso implorando di lasciare stare il marito che non sapeva nulla. Le urla
si fecero così terribili che uno degli aguzzini le sparò in bocca uccidendola.
La donna era in attesa di un bimbo ma quei delinquenti non ebbero pietà.
Presero poi i due poveri corpi e li trascinarono sotto gli alberi per
nasconderli.
SOTTIMANO FILIPPO DI LORENZO NIELLA BELBO il 05/11/1909
Contadino
VI DIV LANGHE 16^ BRG PEROTTI NIELLA BELBO il
02/010 /1944
FRACCHIA CARMELA DI SERAFINO NIELLA BELBO il 18/07/1916
Casalinga VI DIV LANGHE 99^ BRG FIORE
NIELLA BELBO il 02/10/1944
Rita aveva tre fratelli tutti
partiti per la guerra.Il primo era del 1909 fu arruolato nell’Artiglieria da
montagna, il secondo Emilio del 1912 inviato in Jugoslavia e il terzo , Piero del 1914 fu arruolato nei paracadutisti.
Rita era piccolina quando i
fratelli partirono per la guerra, ma ricorda che era grande la tristezza di
mamma epapà senza notizie dei figli.
Tornarono tutti e raccontarono
delle loro peripezie in guerra.
Luigi ricordava le fatiche nel
portare i pezzi dei cannoni in montagna.
Piero raccontava che mentre
era in Jugoslavia gli giunse la notizia che essendo il secondo di tre fratelli
tutti sotto le armi avrebbe potuto usufruire del congedo. Felice di poter
tornare a casa, si recò a Valona in Albania e si imbarcò con destinazione Bari.
Si presentò alla caserma per comunicare il suo rientro, ma gli fu comunicato
che il Duce aveva abolito la legge poiché vi era bisogno di uomini sui vari
fronti di guerra. Deluso e stanco, dovette effettuare nuovamente l’imbarco per
giungere a Valona e poi tornare alla caserma dal proprio battaglione. All’arrivo
alla caserma ebbe la triste sorpresa di scoprire che tutti i suoi compagni
erano stati o uccisi o deportati. Rita non sa come riuscì a tornare a casa e
ricorda che il fratello ringraziava sempre la Madonna per averlo protetto. Se
non avesse effettuato quel viaggio di andata e ritorno, anche a lui sarebbe
toccata la sorte dei compagni: o uuciso o deportato.
Per effettuare delle
supposizioni su come riuscì a scampare ai nazisti e ai soldati di Tito, ci
affidiamo ai racconti del Testimone della Memoria Albezzano Natale Olmo di
Castagnole Lanze 1921
La fuga
verso l’Albania |
Così ci organizzammo e fuggimmo
nuovamente. Ci spostammo in Albania dove da sbandati lavorammo un po’ in
cambio di cibo. Durò poco perché fummo nuovamente arrestati e rinchiusi. Si
sentiva dire che a Durazzo imbarcavano militari diretti in Italia e allora
fuggimmo in direzione Durazzo. Camminammo per dei giorni, dormendo nei fossi
e mangiando quel che trovavamo, bacche ninsorin(nocciole selvatiche)
rèjz(radici). A Durazzo vi era una confusione indicibile, c’erano dei “mila
soldà” (migliaia di soldati) che volevano rientrare e nessuno che sapeva cosa
decidere. Venne una volta un Generale che “o rà fane an poc èd moral!”( ci ricordò che
eravamo militari e come tali dovevamo comportarci!)Lo fischiammo e avevamo
voglia di farlo correre! |
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Mangiammo
erba per tre mesi |
Vedevamo arrivare dei barconi che
portavano viveri agli albanesi e a noi non portavano niente. Inoltre
caricavano 250 militari, non si sa con che criterio, e noi ci lasciarono
sbandati, senza ordini né mangiare. Vivemmo tre mesi a erba poiché non si
trovava altro! Dopo tre lunghi mesi giunsero al porto delle grandi navi che
ci caricarono e ci condussero a Taranto. Qui nuovamente si trattava di andare
a lavorare per i nazi fascisti, si fece una rivolta e requisito un treno ci
facemmo portare a Bari, poi un po’ a piedi e un po’ con mezzi di fortuna,
poiché il treno “o jera mac a sciancon” (c’era solo a tratti) o per i ponti e
binari distrutti o perché temevamo di essere catturati, arrivammo a Torino
impiegando sette giorni. Per tutta la settimana di viaggio ebbi una febbre che
mi fece stare proprio male, ma arrivando a Torino mi passò. |
Per quanto riguarda il
fratello Piero del 1914, Rita rammenta che fu arruolato nei “paracadutisti” e
di lui non si ebbero notizie per lunghi otto anni. La mamma Gin, ogni volta che
sentiva un aereo correva fuori e alzava gli occhi nella speranza di veder
scendere suo figlio Piero con il paracadute.
Piero fu preso prigioniero
dagli Americani e quindi collegandoci ai racconti del Testimone Noè
Secondo di Lequio Berria Reduce della
prigionia in Africa prima prigioniero dei francesi poi degli inglesi e quindi
degli americani supponiamo che sia poi stato condotto, in Sardegna a lavorare e
combattere per gli alleati fin oltre la fine della guerra.
Riportiamo anche questa
informazione sui prigionieri degli Americani: “Dei
600.000 militari italiani fatti prigionieri dagli Alleati nella seconda guerra
mondiale, 125.000 furono detenuti dagli americani, e di questi oltre 51.000
furono inviati negli Stati ……”
Riportiamo anche le testimonianze di Fenocchio Ernesto che ricordò che l’amico Rivetti Mario Aviatore di Neive dal campo di prigionia russo finì anche prigioniero in America.
Anche Ines Rapalino e il figlio Sandri Oreste ci hanno riferito che il loro papà e marito fu prigioniero degli americani e condotto in America da dove tornò al termine della guerra.
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