sabato 30 settembre 2023

 

GAI GIUSEPPE Arguello 29 03 1913 

di Montanaro Margherita Rosa e Gioacchino.



                           Valentina e Gepin

           



GRAZIELLA                            ALFONSO


Graziella Gai: <Ti scrivo i nomi  in ordine: in alto in piedi  il più piccolo è mio papà  Gai Giuseppe. Il fratello  Domenico   e  Gai Carlo. Nella seconda fila: Seduti il primo mio nonno Gioacchino, Il fratello Carlo vicino la moglie Bosio Rosina. Con l'ombrello   Filippetti  Delfina “Finin” “figlia dr’Ospidal”

 

Graziella Gai: <Gepin, mio papà, ultimo nella foto di famiglia, quando ebbe cinque anni rimase orfano della mamma che morì di Spagnola. Dopo pochi giorni, sempre a causa della influenza chiamata “Spagnola”, morì anche una sorellina di otto anni”.

 “Finin” Filippetti Delfina Santo Stefano1898 Arguello 1970, la prima nella foto, fu adottata dallo zio Carlo (fratello di mio papà) e da Bosio Rosina sua moglie originaria di Aure di Arguello.

Finin, che morì  quando io avevo 18 anni mi raccontò che di Spagnola, nella borgata della Cerrata di Arguello, morirono la Nonna Margherita che era incinta, una sua figlia, due figli di Bosio Rosina e Carlo(detto Galon) e altri due cugini. 

Finin le raccontò che quando morì la ragazzina ( sorella del padre) lei era andata alla Farmacia a prendere dei medicinali e quando fu vicino a casa le dissero che la piccola era deceduta. Dalla rabbia scagliò nel forno quei medicinali e pianse tanto!”

 Si racconta che a causa  dell’Epidemia di Spagnola il paese di Arguello che prima della guerra del ‘15/’18 contava circa 600 abitanti, dopo l’epidemia ne aveva solo più 300!

L’ultimo di Arguello a morire di “spagnola” fu il Parroco Don Quaglia Giuseppe nato a Canale nel 1877 e dal 1907 ad Arguello.

 


GAI GIUSEPPE 29 03 1913 ARGUELLO DI MONTANARO ROSA E GIOACHINO

3 LUGLIO 1933 ASSEGNATO ALLA FERMA MINORE DI I classe (MESI 12)

NEL RGT.34° FANTERIA

QUALIFICA “ZAPPATORE” CONGEDATO IL 5 DICEMBRE 1934

-18 AGOSTO 1935 RICHIAMATO ALLE ARMI 

CAMPAGNA DI GUERRA AFRICA ORIENTALE 1935/36 CON IL 41 ° FANTERIA

-4 LUGLIO 1940 RICHIAMATO DALLA LICENZA STRAORDINARIA ILLIMITATA IL

-18 LUGLIO 1940 DESTINATO AL III RGT FANTERIA MOBILITATO

-15 AGOSTO 1940 GIUNTO IN TERRITORIO DI GUERRA

-12 OTTOBRE 1940 PARTITO DA TERRITORIO DICHIARATO IN STATO DI GUERRA

CESSA DI ESSERE MOBILITATO perché RIENTRATO AL DEPOSITO 43° FANTERIA

-17 OTTOBRE 1940 RICOLLOCATO IN CONGEDO ILLIMITATO

-17 OTTOBRE 1940 PARTITO DA TERRITORIO IN STATO DI GUERRA

-17 OTT 1940 RIENTRATO AL DISTRETTO DI MONDOVì

-24 12 1940 RICHIAMATO ALLE ARMI PER EFFETTO CIRCOLARE

-25 GENNAIO 1941 GIUNTO AL 43° REGGIMENTO FANTERIA E MOBILITATO

-25 01 1941GIUNTO IN ZONA DI GUERRA

-5 02 41 PARTITO PER L’ALBANIA COL 43° RGT FANTERIA MOBILITATO E IMBARCATOSI  A BARI

-IL 9 02 41 SBARCATO A DURAZZO 

-12 GIUGNO 41 GIUNTO IN ZONA D’OCCUPAZIONE INVIATO IN GRECIA COL 43° FANTERIA

-24 NOVEMBRE 41 PARTITO PER L’ITALIA VIA TERRA, PER LICENZA STRAORDINARIA GG 30 +VIAGGIO

-8 DIC 41 GIUNTO IN PATRIA  

-9 01 42 Giunto a Mestre per rientro al Corpo concessi gg 19 di proroga licenza per  sosp.partenza Grecia

-22 01 42 Presentatosi base marittima di Bari concessi altri 20 gg di proroga per sosp. Partenza Grecia

-14 02 42Presentatosi base marittima di Bari

-14 02 42Giunto in territorio di guerra

-10 03 42 Imbarcatosi a Bari

-13 03 42 Sbarcato a Corinto

-17 03 42 Giunto presso il 43° fanteria mobilitato in zona guerra

-9 settembre 1943 Catturato dalle truppe tedesche

Internato in vari Stalag zona di Brandeburgo

-8 Maggio 15 giugno 1945 Liberato dalle truppe alleate

-7 giugno 1945 Rimpatriato dalla Prigionia

Rientrato a piedi il 25 Giugno 1945

il 21 agosto 1945 Collocato in congedo  illimitato



 



 

Gai Giuseppe raccontò alla nuora Maestra Ornella (moglie del figlio Alfonso):

“Eravamo in Albania, quando l’8 Settembre ‘43 i tedeschi ci fecero consegnare le armi e ci caricarono su dei camion. Noi si capiva nulla poichè i comandanti non c’erano più e non sapevamo dove ci avrebbero portati! Quando fummo in Italia non so se a Trieste a Gorizia o a Bolzano, ci fecero salire su dei carri bestiame con la scritta “Cavalli 8 uomini 40” e con un viaggio lunghissimo,  in treno, senza mangiare e senza la possibilità di scendere per i nostri bisogni, ci portarono dove non so, ma so che faceva un gran freddo. Durante il viaggio dall’unico finestrino qualcuno leggeva dei cartelli che indicavano la città ma erano scritti in una lingua che non conoscevamo! Nel Campo dove ci condussero  si dormiva dentro a delle baracche e si usciva incolonnati per andare a scavare delle fosse che secondo me dovevano servire da trincea anti-carro. I bombardamenti aerei avvenivano molto sovente e allora noi ci buttavamo in queste fosse, sperando di non essere colpiti. Tra fame, freddo e botte delle guardie che ci sorvegliavano con i cani. Verso fine Aprile i tedeschi ci incolonnarono e ci fecero marciare per alcuni giorni. Poi avvenne che capitammo in una città che fu bombardata e rasa al suolo.( N.d.r.: probabilmente Dresda. Vedi libro MORIRE NELLA NEVE DI LUIGI ROGGERO La Morra Reduce di Russia e poi Reduce della prigionia in Polonia dove descrive con grande precisione luoghi e fatti di prigionia e dopo). Cercammo di metterci al sicuro e per fortuna io fui tra quelli che mi salvai, ma molti miei compagni rimasero colpiti o sepolti dalle macerie. Finito il bombardamento arrivarono i Russi (eravamo a maggio del 1945)e anche questi volevano incolonnarci per portarci chissà dove, allora io e altri miei amici ci fingemmo morti e attendemmo che i russi se ne andassero, i tedeschi erano già spariti, e ci avviammo nella direzione opposta a dove erano andati quei militari. Viaggiammo sempre a piedi, senza capire dove andavamo, chiedendo qualcosa da mangiare nei cascinali che trovavamo e devo dire che se ne avevano qualcosa ci offrivano. Certo a volte si capiva che non avevano di che mangiare neppure loro!

Un giorno incrociammo dei militari che non erano nè tedeschi, nè russi e facendoci coraggio andammo loro incontro con le mani alzate dicendo che eravamo italiani. Anche questi non capivamo che lingua parlassero ma si fecero capire e ci condussero in un campo dove almeno c’era da mangiare e potemmo darci una lavata e spidocchiarci un po’! Dopo un po’ di tempo di caricarono su dei camion e finalmente ci portarono in Italia. In questo campo ci disinfestarono e ci diedero qualche vestiario meno stracciato ma sempre usato e non della nostra taglia. Eravamo sempre dei derelitti sia nelle condizioni fisiche che di vestiario. Quando fummo un po’ in forze, ci dissero che potevamo tornare a casa. Io, con altri invece che prendere dei treni, preferimmo andare a piedi. Anche perchè ci avevano detto che le linee erano interrotte e c’era più rischio ancora.” 

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