domenica 10 settembre 2023

 


MARENDA GIOVANNI CORTEMILIA 1923 

Internato Militare




MARENDA GIOVANNI di Molea Giuseppina e Giuseppe

Nato a Cortemilia 11 3 1923

 

Il 7 settembre 1942 è chiamato alle armi

L’11 settembre è trasferito al 104° Rgt Alpini di marcia

Il 12 febb. 1943 giunge a Gorizia in zona operazioni di guerra

Il 6 agosto è trasferito al Brennero

 <sono stato preso prigioniero a Bolzano l’8 settembre 1943 e portato in Germania nel Campo di smistamento di Holiboste?  numero di Matricola 150781 e costretto a lavorare  nella fabbrica di Stalimber?

Rientrato in Italia il 4 agosto 1945>

 

9 settembre 1943 INTERNATO A VESENDOC (Campo 83 Wietzendorf)

Rientrato 16 Maggio 1946



 Furono 284 i Lager che “ ospitarono” gli IMI Internati Militari Italiani: SANDBOSTEL,WIETZENDORF, FALLINGBOSTEL………………………

Immaginiamo che Giovanni si riferisse a questi quando scrisse, al ritorno, il breve ricordo. Lo ringraziamo per quanto ci ha lasciato e lo Onoriamo collegandoci ad altre persone che di questi terribili luoghi scrissero e ci permettono di divulgare e NON DIMENTICARE.






https://deportati.it/triangolorosso/1998/la_vera_storia_ufficiali/ 


 Roberto Barontini Presidente

dell’Istituto Storico della Resistenza

e dell'età Contemporanea in Provincia di Pistoia

< Dopo l’8 settembre 1943, quando l’esercito italiano fu lasciato senza sapere come

muoversi e con l’unico riferimento dell’ambiguo comunicato di Badoglio che annunciò

l’armistizio per poi scappare via insieme al Re, alla corte e al tesoro lasciando soli

e indifesi i soldati italiani catturati nei Balcani, in Italia e in Francia e rinchiusi nei

campi di concentramento. Riportando quanto scritto in un saggio di Nicola Labanca

le cifre ufficiali dell’Italia repubblicana parlarono (a fronte di forze 408.000 prigionieri

in mano inglese, 125.000 in mano statunitense, 37.000 in mano francese e un numero

imprecisato, fino forse a 80.000 in mano sovietica) gli italiani rimasti nel Reich e deportati

furono circa 615.000 ma la cifra in seguito aumentò dopo le ricerche di Schreiber

furono portati a 650.000. Gli internati militari patirono la fame, le malattie, molti di loro

morirono, si è parlato di una cifra di 60.000 morti. Sempre riportando lo scritto di Nicola

Labanca ‘la lotta per la sopravvivenza individuale, la totale soggezione al carceriere,

lo sforzo di essere uomini in lager dove la spersonalizzazione sembrava costituire lo

scopo finale, minavano, oltre al fisico, il morale degli IMI. Ma quando l’ufficiale nazista

chiedeva ai militari schierati di fare un passo avanti per rimandarli in patria ponendo

fine alle loro sofferenze purché entrassero nell’esercito nazista sotto la cappella, non di

Mussolini ormai disprezzato, ma di Hitler e dei criminali che lo circondavano rimasero

quasi tutti fermi e aderirono, non per vigliaccheria ma per paura solo il 5%. Alcuni di

questi, quando tornarono in patria andarono a combattere coi partigiani……………>


 

ALESSANDRO NATTA

Diversa persecuzione,

stesso odio

Nel capitolo delle atrocità naziste,

scrive Natta, “le pagine

di Auschwitz e di

Buchenwald fanno impallidire

le nostre, di Fullen e di

Wietzendorf. Altri avevano

impresso a fuoco sulla carne

un numero: per noi bastava

la cartella segnaletica del delinquente.

La fame fu comune e atroce,

ma abbiamo ancora vergogna

della nostra fame pensando

al crematorio di Birkenau.

Rifiutammo di lavorare e non

ci uccisero. Ci promossero

solo da internati a prigionieri

politici. Quando i tedeschi

decisero di usare contro di noi

la rappresaglia feroce era ormai

troppo tardi.

I nostri morti non li contammo

a milioni, solo a decine

di migliaia. Morirono ancora

‘uomini’.

Sappiamo dunque quale fu il

nostro posto nel sistema dei

lager. Ma nel corso della vicenda,

poiché i campi erano

mondi senza finestre, dalla

persuasione di essere giunti

all’estremo del sacrificio scaturì

per ognuno un odio estremo.

Se l’intensità della persecuzione

non fu uguale, uguale

fu il sentimento di esecrazione

e di condanna dei nazisti.”

“Una crudele saggezza”

Così Natta definisce in questa

conversazione l’atteggiamento

del governo Parri verso

i reduci perché evitò ogni

contrapposizione tra coloro

che erano stati prigionieri in

Germania e quelli che lo erano

stati nei campi di concentramento

degli Alleati, tra chi

aveva detto “no” ai tedeschi

e chi aveva detto “no” agli angloamericani,

tra i reduci e i

partigiani. Si realizzò così un

generale appiattimento. E non

ci fu il fenomeno del “reducismo”.

Nota Collotti che “si

deve in misura sostanziale all’esempio

ed al comportamento

della massa degli ex

internati se i reduci della seconda

guerra mondiale non

hanno rappresentato, nel nostro

dopoguerra, un freno nel

processo di affermazione della

democrazia, ma al contrario

una componente di sostegno

contro ogni nostalgia fascista.

Perché Bisogna Ricordare

“Bisogna ricordare”, dice

Natta, “perché ci sono stati silenzi

stesi su pagine di vergogna

dei vertici politici e militari.”

“Perché 600 mila soldati

e ufficiali furono traditi

e abbandonati a se stessi eppure

trovarono la forza di rifiutare

l’adesione al fascismo

ed al nazismo. Perché ci fu silenzio

sui 17 generali e sulle

decine di migliaia di soldati

e di ufficiali italiani morti nei

lager tedeschi.”

“Bisogna ricordare perché ci

furono riconoscimenti tardivi

e anche silenzi da parte delle

vittime, per un comprensibile

desiderio di rimozione, per

il timore di non essere ascoltati

e creduti.”

“Bisogna ricordare perché con

l’altra Resistenza avevamo

voluto lottare per i medesimi

valori per i quali combattevano

nelle città e sui monti i

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 


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