Internato Militare
MARENDA GIOVANNI di Molea Giuseppina e Giuseppe
Nato a Cortemilia 11 3 1923
Il 7 settembre 1942 è chiamato alle armi
L’11 settembre è trasferito al 104° Rgt Alpini di marcia
Il 12 febb. 1943 giunge a Gorizia in zona operazioni di guerra
Il 6 agosto è trasferito al Brennero
<sono stato preso
prigioniero a Bolzano l’8 settembre 1943 e portato in Germania nel Campo di
smistamento di Holiboste? numero di
Matricola 150781 e costretto a lavorare
nella fabbrica di Stalimber?
Rientrato in Italia il 4 agosto 1945>
9 settembre 1943 INTERNATO A VESENDOC (Campo 83 Wietzendorf)
Rientrato 16 Maggio 1946
Furono 284 i Lager che “ ospitarono” gli IMI Internati Militari Italiani: SANDBOSTEL,WIETZENDORF, FALLINGBOSTEL………………………
Immaginiamo che Giovanni si riferisse a questi quando scrisse, al ritorno, il breve ricordo. Lo ringraziamo per quanto ci ha lasciato e lo Onoriamo collegandoci ad altre persone che di questi terribili luoghi scrissero e ci permettono di divulgare e NON DIMENTICARE.
https://deportati.it/triangolorosso/1998/la_vera_storia_ufficiali/
Roberto Barontini
Presidente
dell’Istituto Storico della Resistenza
e dell'età Contemporanea
in Provincia di Pistoia
< Dopo l’8 settembre 1943, quando l’esercito italiano fu
lasciato senza sapere come
muoversi e con l’unico riferimento dell’ambiguo comunicato
di Badoglio che annunciò
l’armistizio per poi scappare via insieme al Re, alla corte
e al tesoro lasciando soli
e indifesi i soldati italiani catturati nei Balcani, in
Italia e in Francia e rinchiusi nei
campi di concentramento. Riportando quanto scritto in un
saggio di Nicola Labanca
le cifre ufficiali dell’Italia repubblicana parlarono (a
fronte di forze 408.000 prigionieri
in mano inglese, 125.000 in mano statunitense, 37.000 in
mano francese e un numero
imprecisato, fino forse a 80.000 in mano sovietica) gli
italiani rimasti nel Reich e deportati
furono circa 615.000 ma la cifra in seguito aumentò dopo le
ricerche di Schreiber
furono portati a 650.000. Gli internati militari patirono
la fame, le malattie, molti di loro
morirono, si è parlato di una cifra di 60.000 morti. Sempre
riportando lo scritto di Nicola
Labanca ‘la lotta per la sopravvivenza individuale, la
totale soggezione al carceriere,
lo sforzo di essere uomini in lager dove la
spersonalizzazione sembrava costituire lo
scopo finale, minavano, oltre al fisico, il morale degli
IMI. Ma quando l’ufficiale nazista
chiedeva ai militari schierati di fare un passo avanti per
rimandarli in patria ponendo
fine alle loro sofferenze purché entrassero nell’esercito
nazista sotto la cappella, non di
Mussolini ormai disprezzato, ma di Hitler e dei criminali
che lo circondavano rimasero
quasi tutti fermi e aderirono, non per vigliaccheria ma per
paura solo il 5%. Alcuni di
questi, quando tornarono in patria andarono a combattere
coi partigiani……………>
ALESSANDRO NATTA
Diversa persecuzione,
stesso odio
Nel capitolo delle
atrocità naziste,
scrive Natta, “le
pagine
di Auschwitz e di
Buchenwald fanno
impallidire
le nostre, di
Fullen e di
Wietzendorf. Altri
avevano
impresso a fuoco
sulla carne
un numero: per noi
bastava
la cartella
segnaletica del delinquente.
La fame fu comune e
atroce,
ma abbiamo ancora
vergogna
della nostra fame
pensando
al crematorio di
Birkenau.
Rifiutammo di
lavorare e non
ci uccisero. Ci
promossero
solo da internati a
prigionieri
politici.
Quando i tedeschi
decisero di usare contro di
noi
la rappresaglia feroce era
ormai
troppo tardi.
I nostri morti non li contammo
a milioni, solo a decine
di migliaia. Morirono ancora
‘uomini’.
Sappiamo dunque quale fu il
nostro posto nel sistema dei
lager. Ma nel corso della
vicenda,
poiché i campi erano
mondi senza finestre, dalla
persuasione di essere giunti
all’estremo del sacrificio
scaturì
per ognuno un odio estremo.
Se l’intensità della
persecuzione
non fu uguale, uguale
fu il sentimento di
esecrazione
e di condanna dei nazisti.”
“Una crudele saggezza”
Così Natta definisce in questa
conversazione l’atteggiamento
del governo Parri verso
i reduci perché evitò ogni
contrapposizione tra coloro
che erano stati prigionieri in
Germania e quelli che lo erano
stati nei campi di
concentramento
degli Alleati, tra chi
aveva detto “no” ai tedeschi
e chi aveva detto “no” agli
angloamericani,
tra i reduci e i
partigiani. Si realizzò così
un
generale appiattimento. E non
ci fu il fenomeno del
“reducismo”.
Nota Collotti che “si
deve in misura sostanziale
all’esempio
ed al comportamento
della massa degli ex
internati se i reduci della
seconda
guerra mondiale non
hanno rappresentato, nel
nostro
dopoguerra, un freno nel
processo di affermazione della
democrazia, ma al contrario
una componente di sostegno
contro ogni nostalgia fascista.
Perché Bisogna Ricordare
“Bisogna ricordare”, dice
Natta, “perché ci sono stati
silenzi
stesi su pagine di vergogna
dei vertici politici e
militari.”
“Perché 600 mila soldati
e ufficiali furono traditi
e abbandonati a se stessi
eppure
trovarono la forza di
rifiutare
l’adesione al fascismo
ed al nazismo. Perché ci fu
silenzio
sui 17 generali e sulle
decine di migliaia di soldati
e di ufficiali italiani morti
nei
lager tedeschi.”
“Bisogna ricordare perché ci
furono riconoscimenti tardivi
e anche silenzi da parte delle
vittime, per un comprensibile
desiderio di rimozione, per
il timore di non essere
ascoltati
e creduti.”
“Bisogna ricordare perché con
l’altra Resistenza avevamo
voluto lottare per i medesimi
valori per i quali
combattevano
nelle città e sui monti i
Nessun commento:
Posta un commento