SIBONA Travaglio Rosa
Lequio Berria 1925.
Sibona Michele 1893 Cavallotto Maria Margherita 1897
genitori di Rosa e di Felice
il
fratello che rinomina il nonno.
LA STORIA
DI PADRE E MADRE
Rosa fa
riaffiorare per me la storia dei suoi.
Il padre
Michele era nato nel 1893 nella Cascina “ ’d Bald”(perché il bisnonno aveva
nome Teobaldo) di Lequio Berria. Maria Margherita, la mamma era nata nel 1897
alla Cascina Cavallotti posta alla “Crosiera- Crocevia” per Albaretto Torre e
Cerretto Langhe. I genitori di Rosa iniziarono a “parlesse”(frequentarsi) già
prima della Grande Guerra, poi nella famiglia Sibona si ammalò la mamma Rosa,
il padre Felice per prestarle le cure necessarie, fu costretto a vendere
parecchi terreni e il figlio per aiutare la famiglia, d’inverno si recava in
Francia, al Porto di Toulon a scaricare le merci col carro e il cavallo. A
malincuore scrisse a Margherita di sentirsi libera poiché lui non poteva
sposarsi. La giovane donna fece la conoscenza di un giovane di Cornegliano e lo
sposò, intanto iniziò la Guerra e il marito fu arruolato e perì durante il
conflitto. Maria Margherita con la bimba piccola tornò, dopo il 1918, a vivere
nella casa paterna. Era destino che formasse una famiglia con Michele e infatti
si ritrovarono. La vedova e la bambina furono accolte nella Cascina “ da Bald”
e la famiglia Sibona aumentò di numero con il figlio Felice e la figlia
Rosa.
FELICE FU
ARRUOLATO
Il
fratello di Rosa, nel 1939 fu inviato in Grecia, il padre Michele non volle
vederlo partire e se ne andò nella vigna. Rosa ricorda che il padre, a lei
ragazzina che gli chiedeva perché fosse così triste rispondeva: - <soma pì
‘d gnun- (siamo più di nessuno) non abbiamo notizie di Michele! > Lei
ribatteva < E io sono nessuno?> Lui le sorrideva e < ....mancano le
braccia più forti!>. Poi successe che il padre, a causa di una congestione
subì un’ ischemia che contribuì a renderlo debole e depresso. Rosa lo aiutava
ma lui diceva sempre che non avrebbe più visto tornare il figlio. Se ne andò
nel 1942 spirando tra le braccia della figlia, aveva cinquant’anni.
Lei e la mamma rimasero da sole per tre anni
ad accudire alla campagna poiché il padre morì a Gennaio del 1942. Il fratello
Felice era in Grecia e fu preso prigioniero, deportato in Germania ritornò dopo
tre anni. Rosa ricorda che quando tornò pesava ancora 45 chili. Era notte e
Felice si fermò al fondo di una scala che portava in cantina, con la barba
incolta e smagrito, lei non lo riconobbe, lui le chiedeva di andare vicino,
forse per farsi riconoscere e consapevole della sua condizione non spaventare la
mamma, ma lei si prese paura e corse a chiamare un coscritto di suo fratello
che andava da loro a dormire la notte poiché avevano subito dei furti da poco.
Rosa disse a Luigi di andare a vedere poiché vi era un uomo che la chiamava ma
lei aveva paura. Questi ritornò dicendo che era suo fratello!
AL TEMPO
DEI PARTIGIANI
Per due
donne da sole non fu facile tirare avanti in quei tempi con tanto lavoro e
timore per i nazifascisti e per i Partigiani, ma con qualche aiuto riuscirono a
coltivare i campi e ad allevare gli animali. Rosa ricorda che doveva procurarsi
l’acqua recandosi ad attingerla dalla “tampa” (laghetto della sorgente), che distava duecento metri dalla
cascina, con il “bazo” (bastone sagomato per portare i secchi d'acqua) e dei secchi. Doveva procurarla per la casa e per le
bestie.
Né i
repubblichini né i Partigiani non crearono mai problemi alle due donne, certo
che la paura era tanta e assistettero a parecchi fatti d’armi a cui dovettero
partecipare loro malgrado.
I DUE
TEDESCHI
I
tedeschi vennero a Lequio e si fermarono otto giorni. Due di questi, repubblichini
si “fecero na moroza del paese” e ritornarono per incontrarsi con le ragazze,
forse informati che non vi erano Partigiani. Invece i Partigiani, avvisati, arrivarono e li
catturarono, li condussero non lontano dalla cascina “Bad” di Sibona e li
uccisero. La mamma di Rosa, avendo sentito gli spari accese la luce e dopo poco
i Partigiani si fermarono dalle due donne per mangiare. Avevano solo una
bottiglia di vino Marsala e uno “scartocc(sacchetto) di ciliegie” e la mamma offrì
loro qualcosa da mangiare. Uno dei due a cui avevano sparato si finse morto e
si salvò perché il portafoglio aveva deviato il proiettile. Intanto che i
partigiani erano alla cascina il milite raggiunse il paese di Lequio e dalla
famiglia che aveva la bottega si fece dare dei vestiti e accompagnare dal
medico Cardone che gli prestò le prime cure e gli indicò la strada per arrivare
ad Alba. Così fece e attraverso sentieri e rittani giunse a Ricca d’Alba dove
ebbe un passaggio da un contadino con un carro che lo condusse in Ospedale dove
fu curato.
Rosa, con
fatica ed emozione, riporta alla mente altri particolari. A guerra terminata,
quando lei era già sposata, la mamma le disse che quel giovane scampato alla
fucilazione era tornato a Lequio Berria ed era passato alla cascina a
ringraziarla per aver ospitato i partigiani ed aver così permesso a lui di
fuggire. Era diventato medico e le mostrò il segno della ferita. L’altro
giovane ucciso, ricorda Rosa, fu recuperato dai famigliari qualche giorno dopo,
ma ancora sofferente dice<l’avevano sepolto proprio bene! Con una mano fuori
dalla terra!> Lei, andando al pascolo, ebbe modo di vedere quella povera
mano che fuoriusciva e scappò spaventata a riferirlo alla mamma Maria.
L’INCONTRO
CON I FASCISTI E ALTRI FATTI
Successero
altri fatti che lasciarono un segno indelebile nella mente di Rosa.
Una volta
andando al pascolo trovò due militari nazifascisti che le chiesero dove andava
e le consigliarono di tornare a casa, lei impaurita radunò le sue pecore e
rientrò alla cascina.
In
un'altra occasione ebbe modo di seguire le fasi di un arresto e della fuga di
una presunta spia. I partigiani vennero alla cascina con un uomo che
rinchiusero in una legnaia. Nella notte questi riuscì a fuggire ma astutamente
lasciò nell’aia un foglio con scritto il nome di una vera spia allegato a una
banconota. I partigiani non lo inseguirono e seguirono le sue indicazioni.
Un altro orribile avvenimento ancora ben presente nei ricordi di Rosa fu l’agguato in cui persero la vita la sua cara insegnante Maestra Lucia Capello di Ceresole d’Alba e ferita la collega insegnante di Montà d’Alba Candida Casetta. Della Maestra Capello, Rosa, conserva ancora una foto con dedica che mi mostra e mi permette di pubblicare.
Rammenta
anche di quei periodi l’agitazione e lo spavento che procurava la notizia
dell’arrivo dei nazifascisti. Narra che l’allarme veniva in genere dato da
Bosio Ettore.
Il 16 GENNAIO 1944 era una Domenica, a LEQUIO vi fu il primo arrivo dei nazifascisti. Rosa Sibona abitante alla Cascina “Bald” ricorda che giunse di corsa, tutto trafelato, Bosio Ettore (negossiant da bestie di Lequio commerciante di animali)
ad avvisare che in paese erano arrivati i tedeschi. Erano una trentina con due mezzi, rovistarono in tutte le case alla ricerca dei giovani, che fortunatamente riuscirono a nascondersi bene. Rosa ricorda che Amedeo Castagnotti suo coscritto, come raccontò lui stesso, si nascose nell’asilo dove vi erano Suor Consolata e Don Marchisio il Parroco di Lequio.
Amedeo fu sorpreso da un militare tedesco in mimetica che lo perquisì e non trovandogli nulla addosso, se ne andò. Durante quel rastrellamento arrestarono Renato Toni che svolgeva l’attività di panettiere e Leone Ferrero muratore. Questi furono portati ad Asti e interrogati, vennero rilasciati il giorno dopo. I repubblichini con i tedeschi, volevano scendere a Bosia andando verso San Michele, ma rimasero impantanati nel fango e dovettero tornare indietro per dove erano venuti.
Il giorno
successivo i tedeschi ritornarono con tre autocarri, ma per non rimanere
“piantà” impantanati si fermarono con i mezzi a Tre Cunei. Con un gruppo
marciarono verso “ra brufairora Fraz. Buffarola” e con un altro verso Lequio
berria. Videro che nella valletta scoperta verso le Cascine “Ciprian e
Presentin” vi erano due persone che correvano, iniziarono a sparare e colpirono
Riccardo Merlino del 1924 e il suo coetaneo Prioglio Giuseppe. Merlino Riccardo
fu curato dapprima dal medico Cardone e poi trasportato all’Ospedale di Alba da
dove venne dimesso ma rimase paralizzato.(racconto di Luigi Bordizzo“Ciprian”
1930 Lequio Berria).
Infine Rosa mi racconta di suo marito. Secondo Travaglio nato a Pian Noé, ultimo di cinque, due fratelli e due sorelle, non conobbe la mamma che morì dandolo alla luce. Fu dato a "Balia", ma il padre e le sorelle andando a fargli visita, lo trovarono “pin èd mosche! Coperto di mosche” e cos’ decisero di comprare “na crava una capra” e lo allevarono nella propria casa. Anche Secondo fu inviato in Grecia, fu preso prigioniero e deportato in Germania, ritornò nel 1945, senza mai aver dato sue notizie. Infatti dice Rosa, non lo aspettavano più, lo pensavano morto. I fratelli, raccontava Condo, “ravo aizò èr mè lèt a feje ro stabi ar crin!”(avevano usato il mio letto per costruire il recinto al maiale.) Anche lui, come il fratello di Rosa, Felice non ha mai raccontato delle sue peripezie della guerra e prigionia, ricordava solo la tanta fame provata.
Luca Secondo TRAVAGLIO di fu PARUSSO MARIA E DOMENICO
Bossolasco 15-08-1915
Reparto: 43 Rgt. Fanteria
CATTURA Fronte: Greco
Data cattura: 09-09-1943
Liberato il 20 aprile 1945.
RIENTRO 31-07-1945
INTERNAMENTO
Luogo internamento: Chemnitz
FONTI
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