Papà Carlo Cav. di Vittorio Veneto
ALPINO ALDO GIRIBALDI RODELLO 1915
REDUCE DI RUSSIA
Aldo
Giribaldi nacque a Rodello, in borgata Ferreri il 26 Novembre 1915. La mamma
era nata a Lequio nel 1888 ed era della famiglia Castagnotti, il papà Carlo nel
1889.
Il papà
partecipò alla Grande Guerra e tornò soltanto nel 1919. Fu ferito a pochi
giorni dalla fine della guerra e quando tornò era in condizioni pietose. Aldo
ricorda, gli dissero che lui, bambino di tre anni, non l’aveva mai visto suo
padre e si impaurì, ci volle un po’ di tempo prima che lo accettasse e non
piangesse.
Veniva a
scuola a piedi formando il gruppo di bambini che provenivano dalle varie
cascine. Erano in tre dal “ Risot” una bimba dalla “Risetta”, 4 i figli di
“Pietrin ‘d Moriot”, due di loro, lui e suo fratello e una bimba figlia dello
zio “Venuto”, questa era della sua età ma si ammalò di Tetano e morì. In totale
formavano una carovana di 14 o 15 scolari che zoccoli ai piedi con il sole o con la neve
ogni giorno percorrevano tre chilometri nei sentieri dalla collina dei Ferreri
a Rodello. Dalla borgata Binelli
andavano a Lequio Berria.
ALDO A CUNEO NEGLI ALPINI
Aldo era
figlio unico di padre ferito in guerra e avrebbe dovuto essere esonerato dal
Servizio di Leva, ma per “esigenze di guerra” furono chiamate alle armi le leve
dell’ 1911-12-13-14 con gli abili anche di terza Categoria. Questi rimasero in
caserma quattro mesi poi vennero congedati, invece Aldo e i suoi compagni di
leva del 1915 furono trattenuti fino ad Ottobre. Nel 1939 Aldo venne richiamato
alle armi e tornò a casa solo dopo 5 anni di guerra. Arruolato nel 2°
Battaglione Alpini di Borgo San Dalmazzo a Giugno la Julia fu accorpata con il
9° Alpini a l’Aquila. Aldo ricorda che con lui vi era un Moraglio(Fiorenzo) di
Lequio Berria, un Gallo che era da mezzadro ai Cagnassi e Giacone di Neive.
MORAGLIO FIORENZO LEQUIO BERRIA (CADUTO)
CARLUCIO GIACON(REDUCE)
Furono
inviati in Jugoslavia con il compito di far pattuglie e rastrellamenti.
Rammenta che c’erano i Partigiani chiamati “banditi” mentre secondo lui i
Banditi erano gli italiani invasori. Con la sua Compagnia rimase in zona di
guerra tra Gorizia, Monfalcone e Trieste, correndo seri rischi anche dovuti
alla disorganizzazione dell’Esercito italiano.
1942 SI PARTE PER LA RUSSIA
Dopo due
anni in Jugoslavia, sia pure come Soldati di Complemento, Aldo e i suoi
commilitoni furono caricati sulle tradotte e inviati in Russia. Furono stipati
in 50 per vagone e fu un viaggio assurdo. Si dormiva da in piedi, le condizioni
igieniche erano pessime, e si era sempre fermi senza la possibilità di scendere
per sgranchirsi e per le esigenze fisiologiche. In quelle condizioni furono
condotti a Karkov dove infuriava la battaglia più violenta. Aldo ricorda che le
tradotte della Cuneense arrivate nei mesi precedenti, vi scaricarono gli Alpini
che dovettero poi effettuare il
ripiegamento a piedi con il risultato di essere annientati dalle armi e dal
gelo. Le tradotte su cui viaggiò anche lui non furono scaricate e furono spinte
dai locomotori verso Gomel che dista circa seicento chilometri. A percorrere il
tragitto in arretramento impiegarono quattro giorni con continui cambi di
direzione poiché i partigiani tentavano di bloccare i convogli.
A GOMEL DA SBANDATI
Giunti a
Gomel non avevano più comandanti e per un mese dovettero arrangiarsi. Aldo fece
gruppo con un compagno di Roccavione che era disperato e pensava alla moglie e
ai tre figli a casa, e un sergente Maggiore abruzzese che aveva conosciuto a
l’Aquila. Furono però presi di mira da un “Tenentino” giovane che pretendeva
disciplina in quelle condizioni. Presero iniziativa e si recarono dal
Capomastro di Gomel per essere aiutati nella disinfezione, poiché erano pieni
di pidocchi. Questi li condusse presso un salone comunale dove ebbero la
possibilità di spogliarsi, di far bollire le divise rimanendo solo vestiti di
coperte militari. In tal modo si liberarono dei pidocchi e cercarono di tenere
su il morale al compagno depresso di Roccavione. Aldo gli diceva: “Mach a
pianze èt risolvi niente, tai da voghe che tornoma a cà!”(Solo a piangere non
risolvi nulla, vedrai che torneremo a casa.) Furono aiutati dai contadini del
posto e ricorda che ogni tanto arrivavano delle “nonne” a portar loro qualche
patata bollita, rammenta la grande stufa alimentata a palle di letame e torba impastata
che riscaldava l’ambiente mentre fuori le temperature arrivavano a -40°,fino
-50°. In quel mese a Gomel al confine tra Ucraina e Polonia i militari di
Complemento scampati all’accerchiamento russo ebbero modo di apprezzare la
solidarietà della gente ucraina. Dai ragazzini impararono qualche parola russa
utile per elemosinare un po’ di cibo e poter sopravvivere non avendo altro che
la “divisa estiva” piena di pidocchi. Un gruppo di ragazzini li invitò ad
andare con loro in uno scantinato per una piccola festa. Un graduato diffidente
sconsigliò di seguirli, ma Aldo e alcuni altri, incuriositi li seguirono e
videro che con una armonica e un tamburo suonavano per far danzare. Ballavano
danze tradizionali che Aldo ricorda:<se storzivo e èss cinavo, o jera bèl voghie!>(
effettuavano dei giri e delle riverenze, era bello vederli!>Vi erano anche
ragazzine sui 13 14 anni ma non si comprendevano se non in poche parole
relative al cibo, il problema principale in quei tempi e in quei luoghi. Quei
ragazzi offrivano semi di girasoli che loro soldati italiani non sapevano
mangiare, invece quei ragazzini mangiavano e sputavano, avevano le tasche piene
di semi.
Quando
poi furono trasferiti a presidiare una zona in Ucraina dovettero nuovamente
imparare la lingua che era diversa, ma anche qui furono aiutati dai contadini.
RICORDO DI UNA POVERA DONNA
Aldo si emoziona a raccontare che nel loro
girovagare per le Izbe a elemosinare qualcosa da mangiare trovarono una donna
sui trent’anni con due figlie in giovane età. Molto impaurita, quando vide quei
tre uomini si gettò a terra, spiegò che
da tre anni non aveva notizie del marito e piangendo li pregò di non farle del
male. I due soldati si misero a piangere commossi e Dardo, il suo compagno la
rassicurò che non avevano cattive intenzioni, le mostrò le foto dei suoi due
figli. A quel punto, la donna si tranquillizzò e offrì loro quel poco che
poteva. Era terrorizzata, dice Aldo, aveva già avuto brutte esperienze
soprattutto con i soldati tedeschi. Purtroppo vi era anche la grande difficoltà
nell’esprimersi e sovente succedevano dei malintesi.
UN
ALTRO FATTO SUCCESSO A GOMEL
Quando
erano a Gomel, uscì per prendere dell’acqua, mandavano sempre lui che era il
più giovane. Quando fu a una trentina di metri da un isba abitata da un nonno
una nonna la figlia e due bambine, si sentì chiamare con la voce e con un gesto
della mano dall’anziano. Andò a vedere cosa volesse e questi gli chiese a gesti
se avesse fame. Aldo sorrise e disse di sì, il vecchio lo invitò a entrare
nella loro izba e gli fece capire che poteva mangiare con loro. Sul tavolo vi
era una pignatta di terracotta con dei mestolini di legno appesi, era una zuppa
di verdure con dei pezzi di carne, ne mangiò a sazietà sotto gli occhi felici
dei cinque. Ringraziò e quando fu per andare, il vecchio gli fece segno di
attendere, tornò con una scatola contenente un colbacco e glielo regalò, aveva
anche messo nella scatola un foglietto con il loro indirizzo. Aldo ringraziò e
abbraccio l’anziano ucraino. A distanza di tantissimi anni Aldo descrive
perfettamente l’izba di quella cara famiglia: <Tuta èd bosch, rivestija ‘d
tèra che a vniva dura pèi do ciman. A rava na stanssia sola con an mèz èr “pech’”
Forn. Èr nom Izba o deriva dar russi antich e o veur dì “stanssia ca sé scaoda”(Tutta
di legno, rivestita di terra che diventava dura come il cemento. Aveva una
camera sola con in mezzo il forno. Il nome Izba deriva dal russo antico e vuol
dire camera che si scalda). Infatti al centro di questa stanza vi era il forno
che usavano a cucinare. Sopra il forno ci dormivano i due anziani, gli altri
dormivano sulle panche attorno al forno. Nel pavimento vi erano delle botole
che coprivano il passaggio per accedere alle buche dove venivano riposte le
patate e altre verdure affinchè non gelassero.>
Aldo conservò il
colbacco nella scatola fino all’arrivo a Vipiteno, dove un Maggiore comandante
del campo di raccolta per la quarantena fece consegnare tutto il vestiario e il
bagaglio con la promessa che dopo la disinfezione avrebbero visto restituire
tutto. Invece con la voce tremante di rabbia e scrollando il capo “ ro pi nèn
vist niente!”(non vidi più nulla!). È ancora dispiaciuto non tanto per il valore del
colbacco ma per il foglio con l’indirizzo di quella brava gente. Un suo
compagno di Govone che conservò l’indirizzo di una famiglia ucraina, alla fine
della guerra tornò con i famigliari a ringraziarli e i discendenti mantennero e
forse hanno ancora oggi contatti.
Aldo nel ricordare questi fatti si sovviene di
altri aneddoti concatenati e racconta che loro, Alpini della Julia li inviarono
a casa per ultimi. Suo padre, per 15 o 20 giorni, dopo l’arrivo di parecchi
compagni che erano stati in Russia come lui, si recò sovente a chiedere notizie
del figlio da Milio del Risot, temendo non tornasse più.
1943
RITORNO IN ITALIA
Nel 1943 anche la Compagnia dell’Alpino Giribaldi,
dopo otto giorni di licenza e la nuova vestizione a Cuneo, ritornò alla sede di
Gorizia per pattugliamento, era il 23 Agosto 1943.
In attesa del “Patatrac”l’otto Settembre , giorno
dell’Armistizio, furono inviati al Passo della Mendola. Accampati in mezzo ai
boschi, nessuno “ ci prendeva in carico” ricorda Aldo e reclamarono con un
Maggiore tal Cimarro che concesse un po’ di pane.
Era poco per quei giovani Alpini, e Aldo tenendo
d’occhio i portatori del pane capì quando arrivavano e per un po’ di mattine
andò loro incontro e si fece dare non solo pane ma anche castagnaccio che
divise con alcuni amici. Purtroppo altri scoprirono i portatori e allora sempre
più Alpini li assalirono!
8
SETTEMBRE CONSEGNA DELLE ARMI
Dopo l’8 Settembre i tedeschi li raggiunsero,
intimarono loro di consegnare le armi e arrestarono il Maggiore. Aldo e alcuni
compagni non impiegarono molto a capire che era giunta l’ora di fuggire con
l’aiuto degli abitanti del posto che spiegarono cosa era accaduto con
l’Armistizio, iniziarono il viaggio verso casa.
ORIENTAMENTO
CON IL SOLE
Aldo e Milio suo coetaneo seguiti da altri quattro
: Cavallo che gestì la Tabaccheria di Corso Piave ad Alba, Gallo mezzadro dei
Binelli, Moraglio Lipin di Lequio, Giacone di Neive, leggendo la carta e
osservando il percorso del sole, attraversarono le montagne e impiegando 13
giorni e mezzo tornarono a casa.
Vi era un compagno che aveva famiglia e aveva
timore di essere preso dai tedeschi e per questo li pregava di non
abbandonarlo. Con l’aiuto dei “trentini” si liberarono della divisa e si
vestirono con abiti civili, certo che essendo partiti dopo qualche giorno
ebbero dei vestiti un po’ logori poiché molti altri militari erano già
transitati presso quelle famiglie e avevano avuto i vestiti migliori. Fu
necessario fare attenzione poiché vi erano anche molti fascisti pronti a
tradire, ma il gruppo di Aldo fu sempre aiutato e consigliato. Quando salirono
su qualche treno ebbero sempre l’aiuto, sia dei Capotreno che della gente che
li avvisava quando vi erano i tedeschi alla stazione. Allora saltavano dal
treno e riprendevano il percorso dei boschi. Si fermarono tre giorni su
versante svizzero del Lago Maggiore e qualcuno propose di rimanere in Svizzera,
ma i più saggi, pensando alla famiglia scelsero di rientrare in Italia anche
correndo molti rischi.
UNA
“CIOCA”(sbornia) PRESSO UNA FAMIGLIA
Il gruppo di sbandati giunse nei pressi di una casa
e chiesero se potevano essere ospitati per la notte. La famiglia li accolse in
casa e quando seppe che erano di Rodello disse che loro avevano un figlio
ViceCurato al Santuario della Madonna Moretta di Alba. Furono talmente felici
di aver trovato persone così amichevoli che “si lasciarono un po’ andare” e
presero una “una cioca”(sbornia) memorabile. Quando al mattino scesero dalla
“cassina”pagliaio dove avevano dormito, dice Aldo< ci vergognammo molto, ma ormai
era fatta e chiedendo scusa ripartimmo>.
RICORDO DEI GIOVANI NEL RIPIEGAMENTO
Chiedo se al termine della guerra ebbe modo di
trovarsi con qualche Reduce che aveva effettuato il ripiegamento. Mi dice che
Milio do Risot suo amico “o rà vist èr masche an Russia!”Per salvarsi si
aggrappò alla canna da fuoco di un carro armato che sparava. Ma, continua:
<Non raccontava volentieri, voleva dimenticare, come abbiamo cercato di fare
tutti>. Dice ancora del Cappellano della Cuneense che partì con più di mille
alpini e tornò con 42, sussurra accorato: <fu un massacro!>
Aldo si sente in dovere di ricordare che lui e i
suoi compagni furono fortunati in confronto ad altri che durante “la Ritirata”
effettuarono un percorso di sessanta giorni nel gelo con i piedi fasciati nelle
pezze di coperta e senza scarpe. Se si toglievano gli scarponi poi non li
infilavano più. Con quei calzari di stoffa procedevano nella neve che sembrava
“brèn”Crusca. Nomina Carbone dei Binelli e suo cugino Nando con Milio do Risot.
Gli occhi si velano di lacrime e pensieroso sussurra “son mort tuti”, sia
quelli che son rimasti in Russia sia quelli che son tornati.
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