venerdì 22 settembre 2023

GIRIBALDI ALDO RODELLO 1915

 



 Papà Carlo  Cav. di Vittorio Veneto



ALPINO ALDO GIRIBALDI RODELLO 1915 

REDUCE DI RUSSIA

https://youtu.be/P7yDi5yl4fM 


Aldo Giribaldi nacque a Rodello, in borgata Ferreri il 26 Novembre 1915. La mamma era nata a Lequio nel 1888 ed era della famiglia Castagnotti, il papà Carlo nel 1889.

Il papà partecipò alla Grande Guerra e tornò soltanto nel 1919. Fu ferito a pochi giorni dalla fine della guerra e quando tornò era in condizioni pietose. Aldo ricorda, gli dissero che lui, bambino di tre anni, non l’aveva mai visto suo padre e si impaurì, ci volle un po’ di tempo prima che lo accettasse e non piangesse.  

Veniva a scuola a piedi formando il gruppo di bambini che provenivano dalle varie cascine. Erano in tre dal “ Risot” una bimba dalla “Risetta”, 4 i figli di “Pietrin ‘d Moriot”, due di loro, lui e suo fratello e una bimba figlia dello zio “Venuto”, questa era della sua età ma si ammalò di Tetano e morì. In totale formavano una carovana di 14 o 15 scolari che  zoccoli ai piedi con il sole o con la neve ogni giorno percorrevano tre chilometri nei sentieri dalla collina dei Ferreri a Rodello.  Dalla borgata Binelli andavano a Lequio Berria.

ALDO A CUNEO NEGLI ALPINI

https://youtu.be/MNKyeq8h8L8    

Aldo era figlio unico di padre ferito in guerra e avrebbe dovuto essere esonerato dal Servizio di Leva, ma per “esigenze di guerra” furono chiamate alle armi le leve dell’ 1911-12-13-14 con gli abili anche di terza Categoria. Questi rimasero in caserma quattro mesi poi vennero congedati, invece Aldo e i suoi compagni di leva del 1915 furono trattenuti fino ad Ottobre. Nel 1939 Aldo venne richiamato alle armi e tornò a casa solo dopo 5 anni di guerra. Arruolato nel 2° Battaglione Alpini di Borgo San Dalmazzo a Giugno la Julia fu accorpata con il 9° Alpini a l’Aquila. Aldo ricorda che con lui vi era un Moraglio(Fiorenzo) di Lequio Berria, un Gallo che era da mezzadro ai Cagnassi e Giacone di Neive.

 


MORAGLIO FIORENZO   LEQUIO BERRIA (CADUTO)          

   


CARLUCIO GIACON(REDUCE)

Furono inviati in Jugoslavia con il compito di far pattuglie e rastrellamenti. Rammenta che c’erano i Partigiani chiamati “banditi” mentre secondo lui i Banditi erano gli italiani invasori. Con la sua Compagnia rimase in zona di guerra tra Gorizia, Monfalcone e Trieste, correndo seri rischi anche dovuti alla disorganizzazione dell’Esercito italiano.

 

 

1942 SI PARTE PER LA RUSSIA

Dopo due anni in Jugoslavia, sia pure come Soldati di Complemento, Aldo e i suoi commilitoni furono caricati sulle tradotte e inviati in Russia. Furono stipati in 50 per vagone e fu un viaggio assurdo. Si dormiva da in piedi, le condizioni igieniche erano pessime, e si era sempre fermi senza la possibilità di scendere per sgranchirsi e per le esigenze fisiologiche. In quelle condizioni furono condotti a Karkov dove infuriava la battaglia più violenta. Aldo ricorda che le tradotte della Cuneense arrivate nei mesi precedenti, vi scaricarono gli Alpini  che dovettero poi effettuare il ripiegamento a piedi con il risultato di essere annientati dalle armi e dal gelo. Le tradotte su cui viaggiò anche lui non furono scaricate e furono spinte dai locomotori verso Gomel che dista circa seicento chilometri. A percorrere il tragitto in arretramento impiegarono quattro giorni con continui cambi di direzione poiché i partigiani tentavano di bloccare i convogli.

A GOMEL DA SBANDATI

Giunti a Gomel non avevano più comandanti e per un mese dovettero arrangiarsi. Aldo fece gruppo con un compagno di Roccavione che era disperato e pensava alla moglie e ai tre figli a casa, e un sergente Maggiore abruzzese che aveva conosciuto a l’Aquila. Furono però presi di mira da un “Tenentino” giovane che pretendeva disciplina in quelle condizioni. Presero iniziativa e si recarono dal Capomastro di Gomel per essere aiutati nella disinfezione, poiché erano pieni di pidocchi. Questi li condusse presso un salone comunale dove ebbero la possibilità di spogliarsi, di far bollire le divise rimanendo solo vestiti di coperte militari. In tal modo si liberarono dei pidocchi e cercarono di tenere su il morale al compagno depresso di Roccavione. Aldo gli diceva: “Mach a pianze èt risolvi niente, tai da voghe che tornoma a cà!”(Solo a piangere non risolvi nulla, vedrai che torneremo a casa.) Furono aiutati dai contadini del posto e ricorda che ogni tanto arrivavano delle “nonne” a portar loro qualche patata bollita, rammenta la grande stufa alimentata a palle di letame e torba impastata che riscaldava l’ambiente mentre fuori le temperature arrivavano a -40°,fino -50°. In quel mese a Gomel al confine tra Ucraina e Polonia i militari di Complemento scampati all’accerchiamento russo ebbero modo di apprezzare la solidarietà della gente ucraina. Dai ragazzini impararono qualche parola russa utile per elemosinare un po’ di cibo e poter sopravvivere non avendo altro che la “divisa estiva” piena di pidocchi. Un gruppo di ragazzini li invitò ad andare con loro in uno scantinato per una piccola festa. Un graduato diffidente sconsigliò di seguirli, ma Aldo e alcuni altri, incuriositi li seguirono e videro che con una armonica e un tamburo suonavano per far danzare. Ballavano danze tradizionali che Aldo ricorda:<se storzivo e èss cinavo, o jera bèl voghie!>( effettuavano dei giri e delle riverenze, era bello vederli!>Vi erano anche ragazzine sui 13 14 anni ma non si comprendevano se non in poche parole relative al cibo, il problema principale in quei tempi e in quei luoghi. Quei ragazzi offrivano semi di girasoli che loro soldati italiani non sapevano mangiare, invece quei ragazzini mangiavano e sputavano, avevano le tasche piene di semi.   

Quando poi furono trasferiti a presidiare una zona in Ucraina dovettero nuovamente imparare la lingua che era diversa, ma anche qui furono aiutati dai contadini.

RICORDO DI UNA POVERA DONNA

 Aldo si emoziona a raccontare che nel loro girovagare per le Izbe a elemosinare qualcosa da mangiare trovarono una donna sui trent’anni con due figlie in giovane età. Molto impaurita, quando vide quei tre uomini si gettò a terra,  spiegò che da tre anni non aveva notizie del marito e piangendo li pregò di non farle del male. I due soldati si misero a piangere commossi e Dardo, il suo compagno la rassicurò che non avevano cattive intenzioni, le mostrò le foto dei suoi due figli. A quel punto, la donna si tranquillizzò e offrì loro quel poco che poteva. Era terrorizzata, dice Aldo, aveva già avuto brutte esperienze soprattutto con i soldati tedeschi. Purtroppo vi era anche la grande difficoltà nell’esprimersi e sovente succedevano dei malintesi.

 UN ALTRO FATTO SUCCESSO A GOMEL

Quando erano a Gomel, uscì per prendere dell’acqua, mandavano sempre lui che era il più giovane. Quando fu a una trentina di metri da un isba abitata da un nonno una nonna la figlia e due bambine, si sentì chiamare con la voce e con un gesto della mano dall’anziano. Andò a vedere cosa volesse e questi gli chiese a gesti se avesse fame. Aldo sorrise e disse di sì, il vecchio lo invitò a entrare nella loro izba e gli fece capire che poteva mangiare con loro. Sul tavolo vi era una pignatta di terracotta con dei mestolini di legno appesi, era una zuppa di verdure con dei pezzi di carne, ne mangiò a sazietà sotto gli occhi felici dei cinque. Ringraziò e quando fu per andare, il vecchio gli fece segno di attendere, tornò con una scatola contenente un colbacco e glielo regalò, aveva anche messo nella scatola un foglietto con il loro indirizzo. Aldo ringraziò e abbraccio l’anziano ucraino. A distanza di tantissimi anni Aldo descrive perfettamente l’izba di quella cara famiglia: <Tuta èd bosch, rivestija ‘d tèra che a vniva dura pèi do ciman. A rava na stanssia sola con an mèz èr “pech’” Forn. Èr nom Izba o deriva dar russi antich e o veur dì “stanssia ca sé scaoda”(Tutta di legno, rivestita di terra che diventava dura come il cemento. Aveva una camera sola con in mezzo il forno. Il nome Izba deriva dal russo antico e vuol dire camera che si scalda). Infatti al centro di questa stanza vi era il forno che usavano a cucinare. Sopra il forno ci dormivano i due anziani, gli altri dormivano sulle panche attorno al forno. Nel pavimento vi erano delle botole che coprivano il passaggio per accedere alle buche dove venivano riposte le patate e altre verdure affinchè non gelassero.>

Aldo conservò il colbacco nella scatola fino all’arrivo a Vipiteno, dove un Maggiore comandante del campo di raccolta per la quarantena fece consegnare tutto il vestiario e il bagaglio con la promessa che dopo la disinfezione avrebbero visto restituire tutto. Invece con la voce tremante di rabbia e scrollando il capo “ ro pi nèn vist niente!”(non vidi più nulla!). È ancora dispiaciuto non tanto per il valore del colbacco ma per il foglio con l’indirizzo di quella brava gente. Un suo compagno di Govone che conservò l’indirizzo di una famiglia ucraina, alla fine della guerra tornò con i famigliari a ringraziarli e i discendenti mantennero e forse hanno ancora oggi contatti.

Aldo nel ricordare questi fatti si sovviene di altri aneddoti concatenati e racconta che loro, Alpini della Julia li inviarono a casa per ultimi. Suo padre, per 15 o 20 giorni, dopo l’arrivo di parecchi compagni che erano stati in Russia come lui, si recò sovente a chiedere notizie del figlio da Milio del Risot, temendo non tornasse più.

 

1943 RITORNO IN ITALIA

Nel 1943 anche la Compagnia dell’Alpino Giribaldi, dopo otto giorni di licenza e la nuova vestizione a Cuneo, ritornò alla sede di Gorizia per pattugliamento, era il 23 Agosto 1943.

In attesa del “Patatrac”l’otto Settembre , giorno dell’Armistizio, furono inviati al Passo della Mendola. Accampati in mezzo ai boschi, nessuno “ ci prendeva in carico” ricorda Aldo e reclamarono con un Maggiore tal Cimarro che concesse un po’ di pane.

Era poco per quei giovani Alpini, e Aldo tenendo d’occhio i portatori del pane capì quando arrivavano e per un po’ di mattine andò loro incontro e si fece dare non solo pane ma anche castagnaccio che divise con alcuni amici. Purtroppo altri scoprirono i portatori e allora sempre più Alpini li assalirono!

 

 

 

 

 

8 SETTEMBRE CONSEGNA DELLE ARMI

 

Dopo l’8 Settembre i tedeschi li raggiunsero, intimarono loro di consegnare le armi e arrestarono il Maggiore. Aldo e alcuni compagni non impiegarono molto a capire che era giunta l’ora di fuggire con l’aiuto degli abitanti del posto che spiegarono cosa era accaduto con l’Armistizio, iniziarono il viaggio verso casa.

 

ORIENTAMENTO CON IL SOLE

 

Aldo e Milio suo coetaneo seguiti da altri quattro : Cavallo che gestì la Tabaccheria di Corso Piave ad Alba, Gallo mezzadro dei Binelli, Moraglio Lipin di Lequio, Giacone di Neive, leggendo la carta e osservando il percorso del sole, attraversarono le montagne e impiegando 13 giorni e mezzo tornarono a casa.

Vi era un compagno che aveva famiglia e aveva timore di essere preso dai tedeschi e per questo li pregava di non abbandonarlo. Con l’aiuto dei “trentini” si liberarono della divisa e si vestirono con abiti civili, certo che essendo partiti dopo qualche giorno ebbero dei vestiti un po’ logori poiché molti altri militari erano già transitati presso quelle famiglie e avevano avuto i vestiti migliori. Fu necessario fare attenzione poiché vi erano anche molti fascisti pronti a tradire, ma il gruppo di Aldo fu sempre aiutato e consigliato. Quando salirono su qualche treno ebbero sempre l’aiuto, sia dei Capotreno che della gente che li avvisava quando vi erano i tedeschi alla stazione. Allora saltavano dal treno e riprendevano il percorso dei boschi. Si fermarono tre giorni su versante svizzero del Lago Maggiore e qualcuno propose di rimanere in Svizzera, ma i più saggi, pensando alla famiglia scelsero di rientrare in Italia anche correndo molti rischi.

 

UNA “CIOCA”(sbornia) PRESSO UNA FAMIGLIA

Il gruppo di sbandati giunse nei pressi di una casa e chiesero se potevano essere ospitati per la notte. La famiglia li accolse in casa e quando seppe che erano di Rodello disse che loro avevano un figlio ViceCurato al Santuario della Madonna Moretta di Alba. Furono talmente felici di aver trovato persone così amichevoli che “si lasciarono un po’ andare” e presero una “una cioca”(sbornia) memorabile. Quando al mattino scesero dalla “cassina”pagliaio dove avevano dormito, dice Aldo< ci vergognammo molto, ma ormai era fatta e chiedendo scusa ripartimmo>.

 

RICORDO DEI GIOVANI NEL RIPIEGAMENTO

Chiedo se al termine della guerra ebbe modo di trovarsi con qualche Reduce che aveva effettuato il ripiegamento. Mi dice che Milio do Risot suo amico “o rà vist èr masche an Russia!”Per salvarsi si aggrappò alla canna da fuoco di un carro armato che sparava. Ma, continua: <Non raccontava volentieri, voleva dimenticare, come abbiamo cercato di fare tutti>. Dice ancora del Cappellano della Cuneense che partì con più di mille alpini e tornò con 42, sussurra accorato: <fu un massacro!>

 

Aldo si sente in dovere di ricordare che lui e i suoi compagni furono fortunati in confronto ad altri che durante “la Ritirata” effettuarono un percorso di sessanta giorni nel gelo con i piedi fasciati nelle pezze di coperta e senza scarpe. Se si toglievano gli scarponi poi non li infilavano più. Con quei calzari di stoffa procedevano nella neve che sembrava “brèn”Crusca. Nomina Carbone dei Binelli e suo cugino Nando con Milio do Risot. Gli occhi si velano di lacrime e pensieroso sussurra “son mort tuti”, sia quelli che son rimasti in Russia sia quelli che son tornati.

 


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