SIBONA GIUSEPPE MONFORTE 1935
La mamma Caffa Maria del 1914
e Luigi “Vigin” del 1906 si sposarono e rimasero per un po’ di tempo alla
Cascina Paterna nominata ”Cellano” ai Pozzetti di Lequio Berria con il nonno
Domenico “Mini” del 1881 e i fratelli e sorelle più giovani ancora da sposare.
Il fratello Mario ricorda:
<la mamma raccontava che mise tutte le sue cose dentro un “faudarass” di
tela per raccogliere l’erba e lasciarono il suocero e i cognati.>
Giuseppe racconta:
Mio padre e mia madre decisero di andare via per cercare
un’altra casa dove abitare e lavorare. Dapprima si sistemarono alla cascina da nonni
materni( Caffa Giuseppe e Cane Giuseppina1875 1945) in località “Capela” in
Borine di Lequio Berria e il papà aiutava gli zii nei lavori. Intanto cercò una
sistemazione da mezzadro. La trovò alla Località ”Torsela” Torricella di
Monforte. Si trattava di un Ciabòt (costruzione con due camere, una sotto e una
sopra e la scala da fuori) di proprietà di “Tiradoss” un tale che si trovava in
prigione perchè condannato a due anni per aver rubato due galline. I figli
dissero che potevano rimanere finchè il padre non avesse scontato la pena. Io
nacqui proprio in quel Ciabòt. Intanto mio padre trovò una casa di abitazione
di proprietà del Dottor Gaetini di Monforte, a quei tempi molto ricco e
conosciuto poiché curava i malati recandosi da loro con il calesse e il
cavallo. In questa sistemazione rimanemmo da mezzadri fino al 1941 ed io
intanto frequentai la prima classe. A San Martino del 1941 ci trasferimmo in
una cascina all’interno del muro di cinta del “Castello della Volta” di Barolo.
Qui rimanemmo fino al 1948, anno in cui nacque mio fratello Mario. Intanto
erano nati una sorella nel 1937 e Giovanni nel 1941.
LA GUERRA AL CASTELLO DELLA
VOLTA
Con la guerra tutto divenne
più difficile, e soprattutto, con l’arrivo dei nazifascisti che effettuavano
continui rastrellamenti alla ricerca di Partigiani e uomini renitenti alla
leva, la vita per mio padre e la famiglia divenne complicata. Papà, quando era
avvisato che arrivavano fuggiva e nessuno sapeva dove andasse a nascondersi.
Essendo del 1906 era a rischio di arresto poiché non aveva risposto alla
chiamata alle armi. Riuscì sempre a fuggire prima dell’arrivo dei soldati, ma
nel ’44 giunsero all’improvviso e lo trovarono intento al lavoro. Vollero
vedere i documenti siccome non potè giustificare il perché non fosse “a
combattere per la patria” lo presero e lo misero al muro della cinta del
Castello per fucilarlo. Io, che avevo
nove anni mi misi a urlare come impazzito:< non uccidete mio papà come
facciamo senza di lui?> Le mie urla colpirono un ufficiale che intimò al
plotone di esecuzione già pronto a sparare di fermarsi. Disse che lo avrebbero
deportato in Germania e poi avrebbero deciso cosa fare. Caricarono il papà sul
camion e ci presero un vitello ed un maiale. Si recarono alla loro sede a
Barolo presso l’albergo di Brezza e mentre scaricavano gli animali gli
intimarono di rimanere fermo contro un muro altrimenti”Kaputt”. Mio padre
rimase un po’ fermo, poi vedendo che erano impegnati e in difficoltà a
scaricare il maiale, valutò di fuggire imboccando il viottolo che portava al
lavatoio in località Pian drà Fava e così fece. Non fu inseguito né preso di
mira e così risalì lo “rian” che c’è tra Novello e Barolo e se ne tornò a casa
al Castello della Volta. Lo vedemmo arrivare e fu un sollievo per la mamma per
me e mia sorellina, il fratellino Giovanni aveva appena sei mesi.
PAPÀ CI PORTÒ VIA DA CASA
Alla mamma disperata e in
lacrime per quanto era successo, il papà disse di prendere due coperte e lui
avrebbe preso una “Faussetta” per tagliare
qualche palo e dei rami per preparare una capanna ed un giaciglio in un
profondo canalone dove saremmo stati al sicuro.
Prese anche un rastrello per
ammucchiare delle foglie e preparare un letto rudimentale. Dormimmo per due
mesi in quel ricovero nascosto. Di giorno la mamma saliva da sola alla casa e
prelevava le uova. Le cucinava su di un fuoco di rami secchi e mangiavamo uova
e il pane che il papà recuperava dai suoi amici di cascine isolate di Vergne.
Con l’arrivo del freddo fummo ospitati nella stalla di una cascina di un amico
di Vergne. Nella Primavera del ’45 tornammo ad abitare alla casa del Castello,
ma il padre continuò a stare molto guardingo poiché arrivarono ancora a
spaventarci.
Nel periodo della guerra io
frequentai le scuole a Barolo, per modo di dire, perché, una volta si arrivava
a scuola e il Maestro Cucco ci rimandava a casa per l’arrivo dei tedeschi, un
altro giorno il papà aveva bisogno che lo aiutassi davanti ai buoi per arare, o
per andare a fare legna o andare al pascolo. Quindi furono più i giorni che non
frequentai di quelli che fui a scuola. Diedi l’esame di quinta ma non so come
fecero a promuovermi!
A BAROLO FINO AL 1948
Rimanemmo al Castello della
Volta fino al 1948 e nacque mio fratello Mario. Intanto mio padre era rimasto
solo a Lequio Berria e non ce la faceva più a mandare avanti la Cascina del
Possèt e ci trasferimmo con la mia famiglia. Con il Geometra Gallina di Mango
fu stipulato un accordo per tutelare mio padre e i fratelli e le sorelle. Si
stabilì che mio padre avrebbe versato al nonno Cinque mila Lire al mese finchè
fosse stato in vita, poi alla sua morte avrebbe versato “la legittima “ ai
fratelli e sorelle.
Mio padre accettò, ma solo
dopo si rese conto che a recuperare quei
soldi con il lavoro della campagna e della cascina era impossibile. Allora
decidemmo di andare io e lui da manovali, ma ancora non bastava. Decise di
sistemarmi da Servitò a Monticello d’Alba. L’accordo fu che mi avrebbe
retribuito con Lire 190.000 all’anno e che ogni settimana, quando il sabato
venivo a casa per il giorno di riposo mi avrebbe dato dieci mila lire, io li
avrei portati al nonno che nel frattempo si era trasferito ad Alba in via
Ospedale. Ormai anziano, si sistemò in due camere e arrotondava la misera
pensione da Cav. Di Vittorio Veneto svolgendo lavori umili come “stalliere”
(manovale nelle stalle) e “busé” (raccoglitore di sterco di cavallo).
RICORDI DEI NONNI paterni
Alla cascina del Possèt di Lequio Berria
vivevano Nonno Domenico detto Mini 1881 e Nonna Castagnotti Giuseppina. Avevano
già 6 figli quando nonno Mini fu richiamato per la Guerra Europea del 1915/18.
Nel 1917 nonna Giuseppina si ammalò di “Spagnola” e morì. Rimasero da soli 6
orfanelli: Giovanni detto Giovanin era il più grande ed era del 1905, Luigi
Vigin, nostro papà era del 1906, poi vi era Celestina, Paolin, …….., e la più piccola del 1915 Felicina.
Papà mi raccontava sempre che
loro più grandi vennero “adottati” dai vicini e loro in cambio aiutavano
nell’andare al pascolo o andando “’dvan ai beu” e in altri lavori.
La più piccola Felicina fu presa
dalla zia Suora che era a Lequio Berria e la allevò finchè poi andò in Convento
a Savigliano e divenne Suor Sofia, andò Avanti nel 2000.
Papà Luigi si diede da fare e
anche se aveva solo 11 anni si mise a produrre “tajarin e lasagne” con le uova
delle sue galline e la farina che recuperava dai vicini. Aveva imparato dalla
mamma Pina a stendere la sfoglia ad arrotolarla e tagliare lasagne e tajarin
così sfamava fratelli e sorelle.
Lo zio Giovanin quando ebbe 13
o 14 anni se ne andò di casa e raggiunse Genova e svolse il lavoro di “Foricc”
(manovale dei muratori) non se ne seppe più nulla finchè fu comunicato al nonno
che era morto in un incidente mentre in bicicletta era in città a Genova.
Ai Possèt venne una ragazza
incinta, era la moglie di zio Giovanni. Fu accolta in famiglia e a Settembre
1935 partorì il bimbo a cui fu dato nome Giovanni come il papà
Zio Paolo ”Paolin” sposò la
vedova di suo fratello e fece da padre al nipote. Ebbero altri cinque figli e
forse è ancora vivente Luigi.
RICORDI DEI NONNI MATERNI
I nonni materni della località
Capela di Borine di Lequio Berria erano
Caffa Giuseppe di San Donato di Mango e Cane Giuseppina 1875 + 1945
Ebbero 8 figli e ne adottarono
3 dr’Ospidal. Furono tre femmine. Adottavano solo le bimbe forse perché poi si
sposavano e non potevano vantare diritti sull’eredità e perché fino a dodici
anni ricevevano un contributo dallo stato.
I figli furono
Tina, la più grande, del 1896.
Andò sposa a soli sedici anni a Castino alla Cascina”Can”.
Stevo Giovanni del 1898 che fu
Mutilato di guerra
Mario del 1909
Pietrin del 1912 Vigia del
1914 si sposò al Vilè di Borgomale
Una ragazza “ventirina” sposò
un cugino di papà Luigi.
La più giovane fu nostra mamma
Giuseppina del 1914
Ricordo che il nonno Gepin si
sedeva vicino alla stufa e cuoceva i Patatin nella cenere. Li spellava, mi
prendeva sulle ginocchia e insieme mangiavamo quei teneri frutti della terra.
Io felice, andavo da mamma e le dicevo: “o rè propi brao o nono ch’om dà i
patatin da mangé!” Era già anziano e chissà quante difficoltà aveva già
passato, però sapeva esprimere tanto affetto per i bambini.
La nonna Pina la ricordo alta
e “ardija” (attiva) fino al termine dei suoi giorni.
AI POZZETTI SI VISSE IN GRAVE
DIFFICOLTÀ
Mia mamma mi mandava
dalla vicina “Gina” a chiedere du uova
in prestito per fare la dozzina e poi mi mandava alla bottega a prendere due
etti di zucchero e due etti di petrolio da mettere nel “lume” ed avere un po’
di luce alla sera. Di questo zucchero e petrolio se ne aveva per due giorni e
poi occorreva sperare che le galline producessero sufficienti uova da
restituire a Gina poter nuovamente andare a scambiare alla bottega, altrimenti
si “faceva cinghia” e si stava al buio
IL MIO LAVORO DA SÈRVITÒ
Come ho già detto verso i 15
anni, siccome il papà aveva bisogno dei soldi per riscattare la cascina dal
nonno e dai fratelli, andai a servizio prima a Monticello d’Alba dove faticai
tanto e poi a Roddino per tre anni. Lavoravo in campagna ed accudivo gli
animali della stalla. A Roddino avevano tanti campi e commerciavano in tronchi
di albero. Avevano anche due cavalli ai quali ero addetto per la loro pulizia
personale e della stalla. Mi affezionai tantissimo a questi animali e quando me
ne andai mi dispiacque lasciarli.
Al mattino davo loro fieno e
biada e li strigliavo, poi li utilizzavo per arare o per qualsiasi lavoro.
Erano forti e docili.
In vigna davo l’acqua di
verderame con le gomme lunghe e c’era un uomo che pompava. Era faticoso ma
sempre meglio che darla con la macchina in spalla come faceva mio padre.
Andai anche un anno in
Vaccheria dove faceva molto caldo, ma mio padre sceglieva i posti dove pagavano
di più! Andai militare e quando tornai dal Servizio militare andai ancora a
servizio a Sinio.
VENNE A CERCARMI A CASA.
Io e mio padre stavamo
“lavorando” (arando) in un campo e Venuto ‘d Sini venne a chiedermi se volevo
andare al suo servizio. Gli dissi che se mi pagava bene sarei andato,
diversamente non intendevo più svolgere quel lavoro sotto padrone. Mi chiese
quanto volevo ed io e il padre, siccome era mezzogiorno lo invitammo a pranzare
con noi. Era uno alla buona e si accontentò del poco che avevamo, poi parlammo
di affari. Gli dissi che avrei voluto 500.000 mila Lire all’anno. Lui non battè
ciglio e mi disse: < bèn, mi tii dag ma senssa “mance”!> Io ribattei
orgoglioso che dovunque ero stato a servizio non avevo mai chiesto mance e chi
aveva ritenuto me le meritassi me le aveva date. Si fece il contratto e devo
dire che fu il padrone che mi diede più mance, ogni Domenica mi dava soldi
perché soddisfatto del lavoro che avevo svolto. Da Nuto ero tuttofare, lavoravo
in campagna e anche nel mulino. I vicini si chiedevano come facessi ad andare
d’accordo con Nuto che era buono ma anche mezzo pazzo e lunatico.
Una volta arrivò un vecchietto
con una decina di chili di grano da macinare e siccome si stava andando via con
il camioncino, lo trattò malissimo e iniziò a sbattere i “parott” e èr
garossette del mulino, io intervenni e lo feci ragionare. Gli dissi: <Venuto
non fare così perché offendi me!> Quelle parole furono sufficienti a farlo
calmare e dopo un po’ mi disse che avevo ragione.
In un’altra occasione eravamo
a zappare nelle vigne e venne anche un suo zio che aveva settantotto anni.
Venuto venne a vederci e iniziò a deridere lo zio dicendogli che era lento.
Anche in questa occasione gli dissi di pensare a quando noi fossimo stati della
età dello zio e così chiese scusa allo zio Mario e mi disse che avevo ragione e
riconobbe di aver sbagliato.
A FÈ ÈR “MORÀN-È”( MORENE)
In un’altra occasione, mentre
eravamo intenti a realizzare le “Morene” per produrre il Tross”(terriccio come
concime naturale), Venuto prese una vecchia mucca alla quale attaccò l’aratro,
ma questa non ce la faceva! Lui si infuriò e si rivolse al filare di fagioli e
fece per prendere uno dei pali con la chiara intenzione di battere la mucca
“per fera andé!” per farla muovere, io mi buttai davanti e gli dissi< se picchi la bestia io me ne
vado e non mi vedi mai più!> Gettò via il palo e mi chiese:< ..ma cosa
fomni?> cosa facciamo? Io con fermezza ribattei: <Prendiamo un’altra
mucca nella stalla e le mettiamo in coppia!> Sorrise e così facemmo. Era un
personaggio singolare che pur avendo 15 anni più di me, aveva bisogno di
qualcuno che lo facesse ragionare.
IL MULINO DI BENVENUTO
Il mulino di Benvenuto era ad
acqua ed elettrico, quando vi era l’acqua si sollevava il “Serraglio” e facendo
girare il “Rodon” si macinava, se non vi era acqua si collegava la corrente
elettrica. Prima che arrivasse la corrente elettrica quasi tutti i mulini
macinavano soltanto con l’energia dell’acqua e quindi quando c’era. Ricordo il
mulino sotto Cerretto Langhe, quello di Arguello, che furono rovinati dalle
alluvioni del 1948, quello dello “Riao” sotto Roddino al quale andavo quando
ero da “servitò a Roddino, quello di Lequio Berria da Lipo, quello di Tre
Cunei, quello di Romolo a Campetto e tanti altri sul Belbo.
TERMINAI DA SERVITÒ DA
BENVENUTO
Venuto era un uomo strano ma
buono e non voleva che me ne andassi, ma al termine dell’annata decisi che dopo
nove anni di lavoro sotto padrone era l’ora di provare a realizzare qualcosa
per la mia vita. Lo zio di famiglia mi abbracciò e si raccomandò affinchè
tornassi l’anno successivo. Non gli dissi che non sarei più tornato, ma lo capì
poiché “o piorava pèi ‘d na maznà” piangeva come un bambino.
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