martedì 5 settembre 2023


 

Bosio Secondina e la famiglia  di Lequio Berria

https://youtu.be/AJqxAsf8x9w                      LA MIA FAMIGLIA 









Bosio Secondina nasce a Lequio Berria il 21 Settembre del 1924 da Moraglio Caterina 1902 e da Luigi del 1899.

Il padre fu arruolato a solo diciotto anni e combattè tutta la grande Guerra. Al ritorno sposò Caterina e misero al mondo tre bimbe e due maschietti. Nel dare alla luce il piccolo, mamma Caterina, a 39 anni morì per le complicazioni dopo due ore dal parto. Il bambino dice Secondina:< Řoma anlevaro>( lo allevammo). Siccome abitavano in paese, nella casa che poi divenne il laboratorio del “mèi da bosch”(falegname) e poi scultore,"Fiori", il dottor Cardone intervenne e le aiutò nell’allevare il piccolo Giuseppe. Subito fu dato a “baila”( ad allattare) ma si accorsero che non lo nutrivano adeguatamente e anziché crescere deperiva, così il dottore consigliò di tenerlo a casa e lui lo seguì amorevolmente passando ogni giorno.  Le tre sorelle e il fratello con il papà lo aiutarono a crescere .

 



 La Famiglia materna: Moraglio Giuseppe 1874

e Ramoni Delfina 1876 

Borgata Maschera Lequio Berria

I nonni materni di Secondina abitavano alla Cascina Maschera situata sulla collina oltre il rio Laparea. I fratelli della mamma erano quattro  nati nel 1906-1911- Agostino1914 e Fiorenzo 1917. I due zii più giovani partirono per la guerra e non fecero ritorno.


Moraglio Agostino 1914

                   Agostino, arruolato nel 1936 nell’Artiglieria Specialità Someggiata, svolse tutte le campagne di guerra: Francia, Albania e Grecia, a settembre ’44 fu deportato in Germania e  nel 1946, giunse notizia di essere morto a Lipsia in Germania il 23 aprile 1944 e di essere ivi sepolto nel cimitero”Trinitatis”. Nel 1969, la Croce rossa comunicò che la salma di Agostino era “esumabile” e così fu possibile riportarlo a Lequio Berria dove fu tumulato nella tomba con la mamma ed il papà.


Fiorenzo Moraglio 1917

Zio Fiorenzo fu inviato in Russia e fatto prigioniero dall’Armata Rossa perì nell’Ospedale militare di Tambov. Fu dato Disperso, ma nel 1994 giunse la comunicazione dal Ministero della difesa.In seguito alle ricerche effettuate dall’Associazione “OnorCaduti” informarono che l’Alpino Moraglio Agostino era stato catturato dalle forze armate russe il 29 Gennaio 1943 a Valuiki, internato nell’ospedale n.2599 di Tambov dove morì il 29 Giugno 1943.

In quell’anno della comunicazione si tenne una Commemorazione per ricordare i fratelli Moraglio e altri caduti e Reduci di tutte le guerre. La notizia fu segnalata con un toccante articolo dal Generale Libero Porcari Partigiano e Storico della Resistenza di Alba Langhe e Roero

 

 

Secondina e Pietro Delponte 1917

 

Prima della guerra, Secondina, conobbe Pietro Delponte che abitava alla Borgata Vori ed era coscritto dello zio Fiorenzo. Ai balli e alle feste precedenti l’inizio della guerra si fece amicizia, poi  il 23 Giugno del 1937 Pietro partì soldato. Si ritrovarono quando tornò dalla Russia

 

 

Racconti di Pietro in Russia

 

   https://youtu.be/IXRiaUtC_qY   

    https://youtu.be/xONmfTBDUAc?si=eGq3QiGPQ7CRPDAr     

MARINA: RICORDO DEL NONNO BIS

  

     
          

Pietro era cuciniere nella sussistenza e preparava il rancio per i militari. Affinchè non gelasse lo tenevano in fosse profonde due metri.

Quando ci fu la ritirata anche Pietro rimase “sbandato” e vagò con altri compagni per molti giorni nella steppa gelata. Sovente tornavano al punto di partenza. Durante la ritirata, inizialmente si portarono dietro una slitta con dei viveri, trainata da un mulo, poi abbandonarono tutto poiché li rallentava e sia il mulo che loro non avevano forze per procedere carichi. Durante il tragitto Pietro si procurò un’oca e contava di spiumarla e farla cuocere, ma per il grande freddo e la stanchezza non gli fu possibile e dovette abbandonare il proposito. Scrisse un diario degli ultimi giorni di viaggio verso la stazione ferroviaria che lo avrebbe portato in Italia.   

Sono pagine di una piccola agendina che Pietro riuscì a conservare e Secondina custodisce con cura .



Pietro ricorda che il 21 Gennaio partirono al mattino e si fermarono alla sera che era notte. Sentendo dei partigiani sparare dovettero proseguire e procedettero per tutta la notte. Al mattino del 22, giunsero in un paese. La colonna si fermò ma arrivarono dei carri armati  che sparavano. Si riprese a camminare.

Distrutto dalla fatica si fermò che era notte e trovò riparo in una casa, ma alle due di notte la casa prese fuoco. Si ripartì al mattino e marciando tutto il giorno, verso le dieci di sera si giunse in un gruppo di case per dormire.

 

Il giorno 25 si camminò tutto il giorno tra  molti pericoli ma  riuscirono a recuperare due galline che cucinarono e mangiarono nella notte . Si partì nuovamente il 26 e camminando dal mattino alla sera alle 21si arrivò ad attraversare la ferrovia ma in prossimità di un paese furono obiettivo per delle mitragliatrici e un mortaio che sparavano fitto.

  Il 27, appena si fece giorno si partì di corsa. I militari Italiani, per un’ora furono presi di mira da armi Parabellum e molti caddero per strada e nelle case dove si erano riparati. Anche il 28 si marciò dal mattino presto fino alla notte e non trovando un riparo sicuro per dormire qualche ora prima che facesse il giorno 29, si decise di partire e ci si fermò solo alla sera che era già notte per dormire in un rifugio tutto bagnato.

Sabato trenta, dopo aver camminato per due ore incontrarono qualcosa di Italiani, fu un segnale che erano fuori pericolo. Dopo Mezzogiorno riuscirono a entrare in una casa per dormire.

  Il trentun gennaio fu veramente un giorno di festa. Dopo tre ore di marcia si giunse in un paese dove incontrò un suo amico e compaesano Filippo Boffa. Pietro si fermò con lui e alla sera cucinarono due capretti che mangiarono con la polenta.

 

Al mattino si avviarono e dopo poche ore di marcia incontrarono il posto di smistamento dei militari dove trovò un compaesano infermiere che gli fornì indicazioni. Grazie a lui fu caricato su di un autoambulanza e trasportato a Karkov. Ricevette la prima visita per il congelamento al piede e fu medicato.

Il giorno sei un’altra autoambulanza lo trasportò alla stazione, viaggiò tutto il giorno e il successivo in treno senza mangiare nulla poi ancora in treno gli diedero moltissimo cibo insieme a sigarette e caramelle.

Anche il 9 e il dieci si viaggiò in treno provando disagio a causa del bagaglio che puntava sulla schiena. Dopo medicazioni e disinfestazioni si cambiò treno e si ripartì che era notte.

Il viaggio in treno proseguì per i giorni 11 e 12 Febbraio fino a mezzogiorno, da mangiare diedero soltanto una galletta alla sera. Quindi li trasferirono sul treno ospedaliero e viaggiarono tutta la notte verso il confine per poi arrivare a Brescia. Qui una parte dei feriti fu fatta scendere e si proseguì per Varese dove furono trasportati in ospedale.

 

Raccontava di aver visto molti suoi amici cadere spossati oppure colpiti da un proiettile mentre si fermavano a riposare o a legare uno scarpone. Le donne russe li aiutavano come potevano e con quel poco che avevano, patate,cavoli e pomodori in composta, ma era rischioso fermarsi alle Isbe, c’era il pericolo vi fossero dei russi nascosti o anche dei tedeschi pronti a tutto pur di non dividere con altri il nascondiglio. Pietro faceva il confronto con le donne che aveva conosciuto in Grecia e ricordava che quelle soldatesse cercavano con il tridente o la baionetta i soldati italiani nascosti nei fienili o nei pagliai!

Quei ricordi erano dolorosi e raccontava malvolentieri.

Prima fu ricoverato all’Ospedale militare di Varese dove fu curato per le ferite da congelamento riportate. Venne a casa in licenza una prima volta per 90 giorni poi dovette rientrare al corpo ed ebbe un’altra licenza di 60 giorni.

 

Dal Settimino di Cessole

Durante la licenza andò dal Settimino di Cessole ma non per farsi curare bensì per farsi consigliare un rimedio che gli permettesse di mantenere le ferite aperte e poter ottenere ancora convalescenza.

Il guaritore gli disse di mettere una fede d’oro su un punto della ferita affinchè fosse circoscritta e di versare dell’olio bollente, quindi metterci sopra un’erba(il geranio selvatico: cicatrizzante) che manteneva la bolla e poi la ferita aperta.

Adottò il rimedio finché ci fu l’armistizio dell’otto settembre ’43 e

si aggregò ai Partigiani. Lui e altri giovani collaboravano con i “ribelli” e si nascondevano quando c’erano i terribili rastrellamenti dei nazifascisti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il pozzo come nascondiglio

 

 

 Alla Cascina Delponte vi è tuttora un pozzo costruito dal nonno GIUSEPPE e dai figli, prima di realizzare la casa. In Langa è fondamentale trovare l’acqua per "stabilire"una casa.

 È profondo 25 metri e fu scavato nella marna(tufo di Langa), fino a 15 metri non trovarono l’acqua e allora scavarono un “Crotin” laterale che aveva uscita nella riva sotto casa. In seguito approfondirono il pozzo fino a 25 metri e trovarono la sorgente. Bene, il pozzo servì a Piero ai fratelli e ai giovani vicini come nascondiglio. Quando non si riusciva a fuggire nei boschi perché la milizia arrivava improvvisamente, si calavano con una fune nel pozzo e si riparavano nel crotin posto a 15 metri dove erano state sistemate delle assi che fungessero da giaciglio  e si rimaneva fino a che le donne e gli anziani non comunicavano(con la stensione di un lenzuolo) che il pericolo era terminato. Secondina ricorda che una volta vi erano Piero e un altro giovane di Lequio chiamato “èr frà”(il frate), i militi nazi fascisti arrivarono da sotto improvvisamente e i due giovani non ebbero il tempo di usare una fune per calarsi nel pozzo e utilizzarono la catena con la quale si pescava l’acqua col secchio. Fu molto rischioso poiché poteva rompersi un anello della catena, ma Piero disse:< piuttosto di finire nelle mani dei tedeschi preferisco rischiare di finire in acqua>.

 

 

I nazifascisti arrivavano improvvisamente transitando per i sentieri, in modo di non essere visti dai contadini. Sicuramente erano informati da spie che in quei tempi abbondavano.

Il cognato di Secondina, Luigi, stava effettuando dei lavori in un campo quando sentendo dei rumori si nascose in un cespuglio, per puro caso non lo videro, i tedeschi, fortunatamente senza cani, passarono a pochi metri.

In altre occasioni, Piero, i suoi fratelli Luigi del 1910 e Secondo del 1922 si nascosero in un Crotin che avevano realizzato sotto casa e mimetizzato con cura. La mamma era sempre in apprensione, prima li ebbe tutti e tre in guerra, poi quando tornarono furono sempre a rischio di essere catturati.

I repubblicani e i tedeschi fissarono anche la mitragliatrice nel cortile di Angelo di Vori che è situato proprio sopra la casa dei Delponte e spararono in direzione della Cascina Rosé situata in fondo alla collina oltre il rio e si seppe che centrarono la finestra colpendo fortunatamente solo il tavolo.



RICORDO DEL 29 GIUGNO 1944

 <IL 29 GIUGNO 1944 verso le 10,30 si sentirono degli spari che provenivano dalla cascina “FEDRIALE” di Celestino Gavarino. Si seppe dopo che erano tedeschi venuti apposta. I giovani che erano in piazza fuggirono verso il Santuario della Madonna.

Mio padre era andato per dei lavori proprio al “Vignasso” e siccome sparavano basso dovette mettersi a faccia in giù nella meliga. Si coprì la testa con della terra. Noi avevamo proprio un campo lì sotto la casa dove adesso abita Claudia Gavarino. Gli spari provenivano dalla strada che porta a Benevello e dai militari che venivano dai tre Cunei. Mio padre poi riuscì a rientrare a casa per miracolo procedendo “a gatass” rasoterra.

I tedeschi erano stati informati da qualche spia che da “Gavarin Attilio” (Comandante di Brigata Partigiana) si erano rifugiati i partigiani di Poli e di Muscun(Noè Renato). Amedeo Castagnotti scrisse poi anche il nome del Delatore “tal Crisseul” che faceva il servitò dai “Buerin. Prima era stato con i Partigiani e poi era passato con i fascisti. Fu poi ucciso  tra Alba e Ricca da un partigiano.

Celestino e Teresa Gavarin si erano già allontanati dalla cascina ma poi erano tornati per preparare da mangiare ai partigiani, invece la signora Annunziata con la figlia Anna, moglie e figlia di Gavarino si erano recate a Cerretto Langhe. Teresa fece appena in tempo a rifugiarsi nel boschetto vicino a casa e poi alla Borgata “Riale. Non avendo trovato nessun Partigiano i nazifascisti diedero fuoco alla cascina e poi se ne andarono. Però tornarono nel pomeriggio scendendo dal “Gallo” e arrivarono da sotto, cioè dallo “rian” e sorpresero Destefanis Luigi Partigiano di 19 anni, Noè Lorenzo che era andato con la fidanzata Margherita che non fu uccisa ma costretta  ad assistere alla fucilazione. Furono uccisi anche il Partigiano chiamato “Gilera”, un austriaco che era passato con i partigiani( Hans Enrich”Stenry”). Gavarin riuscì a nascondersi sotto delle sterpaglie e i tedeschi non lo videro e anzi gli passarono sopra, “Cimiru” il servitò riuscì a fuggire ed ebbe l giacca forata da una pallottola. Muscun e altri due partigiani si nascosero nel pagliaio che fortunatamente non fu incendiato perché i tedeschi furono scongiurati dalla vecchia “Fedelina ra Prucia”, amica dei Gavarino. Arrestarono anche “Crusin” che fu deportato ad Asti e rilasciato solo dopo alcuni giorni. Videro anche Gavarino Joseph che fuggiva e senza pietà lo ammazzarono. I morti furono recuperati solo il giorno

dopo dal Partigiano Ernesto Montanaro che con il carro di Fiorenzo Messeni furono trasferiti nella Chiesa di San Rocco e posti su della paglia.

>Cun cu rà dì Medeo fu proprio “un giorno di fuoco”!  >


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