ERMINIA BIANCHINI nata a Bra nel 1908 fu adottata da una famiglia di Rocchetta Belbo
La famiglia che mi prese “jero nèn bon a bèicheme, im davo poch da mangé e robe poche!” Non erano capaci di allevarmi, mi davano poco da mangiare e mi vestivano malamente, mi lasciavano nuda su di un tavolaccio e così, mi ricordo, faceva male! Successe che la donna che mi aveva “presa” all’ospedale morì e i famigliari non mi guardavano
Fu
Madlinin Defilippi Diotti che si prese cura di Erminia e la portò a Vesime.
Dice Erminia: Madlinin a jera propi brava e a ra portame a Vezme! A rava i fréi
an Campèi, eh ma o rè ampèss! Mi jerà propi cita!>(Madlinin Defilippi era
proprio brava, e mi ha portata nella sua famiglia a Vesime. Lei aveva i
fratelli a Campetto di Bosia. Eh ma questo è successo tanto tempo fa! Io ero
molto piccola.
Non
conobbi mai la mia vera famiglia, seppi che era di Bra ma mia madre e mio padre
non vennero mai da me! Nella mia lunga vita sovente li pensai! Fu molto triste!
Quando,
pur piccolina andavo già a prendere l’acqua con una Tola” alla “tampa” (vasca) con
una lastra di ghiaccio di dieci cm., finii nell’acqua gelida. Il tolin rimase
sul ghiaccio ed io finii nel buco. Cercarono “Minia” e qualcuno vide il tolin
sul ghiaccio, chiamo degli uomini che mi ripescarono, ben! non sono morta! Avrò
avuto due o tre anni e avendo sentito dire che occorreva andare a prendere
l’acqua per far cuocere i “Patatin”, io presi il “tolin e andai finendo
nell’acqua!
A
sette o otto anni, venne da noi nel cortile un tale che aveva la bicicletta, io
curiosa provai a salirci sopra, ma fatti pochi metri caddi suscitando le risate
di Armando Defilippi. Ci rimasi molto male,
per la caduta ma soprattutto per le risate e promisi che non sarei mai
più salita su di una bicicletta, e fu così!. Non va mai bene ridere quando uno
cade, occorre aiutarlo e chiedere se si è fatto del male ma mai ridere!
Andai
sempre a piedi oppure, se qualcuno mi caricava salivo sui “birocin “ col
cavallo oppure sulla motocicletta. Vi era Cin di Camo che aveva i cavalli e
faceva servizio con i “ birocin”
Nel
’18 ci fu la “Spagnola”! La presero tutti , ma io no! Così andavo ad aiutare i
vicini malati e guardavo i bambini. Fu proprio una brutta influenza, ma io non
temevo di ammalarmi e così facevo anche i “papin” a chi aveva la polmonite!
A
scuola andavo a Rocchetta Belbo,ma dopo la spagnola non la frequentai più.
Poi
incontrai Luigi ‘d Pianprissio, mi sposai e lì mi vollero sempre bene. Mio
marito era ambizioso e preciso nei lavori in campagna e anch’io “lavorai sempre
la terra”.
Quando
ero ancora da sposare, una volta andai in festa e c’era il ballo, Venne un
giovane e mi chiese se volevo ballare, io acconsentii, poi i famigliari
avendomi vista ballare con quel giovane mi dissero di tornare a casa. Io feci
per avviarmi e il ballerino chiese di accompagnarmi e io gli dissi di sì, ma
quando fummo vicino a casa i miei fratelli e sorelle gli tirarono delle pietre,
così quel giovane si spaventò a tal punto che non lo vidi mai più.
MÈI
UN CON DRA TERA Meglio uno con della terra
Dovevo sposare un
Bona di San Donato poi, i miei mi consigliarono: < pija un con drà tera,
armeno ‘t mangi sempre!> (sposa un uomo che possiede terreni, perlomeno
avrai sempre di che mangiare!> Li ascoltai e sposai Vigin ‘d Pianprissio che
aveva “tanta tèra”. Vi fu anche Andrea di San Donato che voleva
sposarmi, ma anche lui era figlio di una maestra e con suo padre Luigi non
avevano “Terra”. Si che suo padre propose di comprare una casa per non pagare
affitti, ma mio padre disse: ricorda che “chi semina raccoglie”ma se non hai
terra come fai?
MACH A BALÈ CON VIGIN! Solo a ballare con Luigi
Fino ai
diciassette diciotto anni andavo a ballare e mi piaceva tanto! “Reu parlaje !
Uscii qualche volta con Morando di Castiglione Tinella che aveva già la
motocicletta a quei tempi, era anche un bravo giovane, ma preferii Vigin! Una
volta sposata, andavo solo più a ballare con Vigin, ma poi con il lavoro si
pensava “ar’interesse”( economia di casa) e non si avevano più tanti “driveri”.
“TALIO” MIO COGNATO LO VIDI L’ULTIMA VOLTA
FAZIO ITALO DI REMIGIO COSSANO BELBO 1913
CONTADINO
SOLDATO
DIVISIONE MESSINA 93° RGT FANTERIA
Mio Cognato Italo venne a casa in
Licenza, ma io non lo riconobbi,ero nell’aia con una cesta “marandà” (malmessa)
del pane, era la prima volta che cuocevo il pane e stavo andando a farmene
preparare una nuova, arrivò sto soldato col quale discorremmo un po’, quindi mi
disse “ma am anvitla manch a entré an cà?(ma non mi invita neppure ad entrare
in casa?) Arrivò Vigin che lo riconobbe e allora ci salutammo. Quella fu
l’ultima volta che lo vidi, Ripartì richiamato e non tornò più, per molto tempo
fui dispiaciuta di non averlo riconosciuto!
AH LA
GUERRA!
Quanti spaventi e difficoltà durante la
guerra!
Una volta davanti alla nostra cascina
passò un cavallo con “birocin” senza nessuno alle briglie. Andava al trotto e
non lo fermai, ma per una buca perse un fucile. Io presi quel fucile, lo misi
in un sacco e lo portai ai partigiani a San Donato, certo ebbi un po’ paura ma
andò tutto bene. Quel cavallo lo avevano requisito i partigiani ma lui era
scappato e stava tornando alla sua stalla. In quel periodo si viveva male
poiché arrivavano sia i partigiani che i repubblican e tutti volevano mangiare.
Noi si nascondeva farina e Bruz perchè te lo portavano via, e nemmeno ad avere
dei soldi non trovavi a comperare nulla, né zucchero, sale olio o caffè.
Mi ricordo di un partigiano di nome
Bagnèt di San Pé. che veniva sempre a cercare da mangiare anche per i suoi
compagni, ma noi avevamo poco. Qualche cosa glielo davamo, però,un po’ di
generi commestibili li nascondevamo in un pozzo che poi coprivamo, dove non era
possibile trovarli!
Da noi venne a nascondersi un partigiano
e mi chiese di scrivere una lettera a sua mamma per avvisarla che lui stava
bene. Io scrissi con piacere e tranquillizzai la mamma, il partigiano mi
ringraziò e poi se ne andò. Finì la guerra e di quel giovane non seppi più
nulla, un giorno,quarant’anni dopo si presentò un signore e mi mostrò la
lettera che avevo scritto io. Mi fece piacere sapere che avevano conservato la
lettera.
Don Servetti Antonio
foto Archivio Luigi Chiarle San DonatoRICORDO DI DON SERVETTI
Mio
Marito fu amico di Don Antonio, di don Camillo e soprattutto di Don Servetti.
Una volta il Parroco disse a mio marito< lascia venire tua moglie Minia a
rifarmi il letto! Mi son nèn bon!(io non sono capace). Aveva uno di quei letti
dove si formavano tutti buchi e si dormiva male. Vigin gli disse < Già ch’a
ven!(certo che viene!). Lui si comportò da persona molto educata, mentre io
facevo il letto non entrò nella camera e “o rà sempre spassgià da na stanssia a
r’atra! Ha sempre passeggiato da una camera all’altra.
Molto
collaborativo con i Partigiani, Don Servetti fu condotto alle carceri di Cuneo
e fu anche torturato Povr om! Povero uomo.
I TEDESCHI A COSSANO E SAN DONATO
I tedeschi essendo amici di un avvocato di
Cossano Belbo rimasero parecchio tempo in paese spadroneggiando e creando
paura. Poi vennero anche a San Donato e incendiarono la casa dove vi erano
stati i Partigiani. Quella casa era stata acquistata dalla famiglia di mio
marito i Fazio e fu distrutta. Ah che tempi! Non tornino mai più quei periodi di
guerra!
R’ABITUDINI ‘DNA VOTA
Quando
“is fava passé”( si arava a mano) si prendevano i manovali e”d’o dì!”(appena
faceva giorno) erano già nel cortile, allora io avevo già pronta sul tavolo una
polenta alta una spanna e coniglio o pollo, così sti lavoratori mangiando
presto fino, a mezzogiorno non si fermavano più.
Quando
ero più giovane ma già sposata, in Pianprissio e dintorni ero rinomata perché
mangiavo poco. Quando si chiamavano le donne a raccogliere l’erba queste
dicevano: <se c’è anche Minia non veniamo perché lei mangia poco e ci tocca
lavorare tanto e “mangè poch anche noi”