BEVIONE GIOVANNI " NINO" FEISOGLIO 1929
I MIEI
NATO NEL 1929 alla CASCINA
“SPAVENTO”, la mamma era Prandi Maria del 1899, il papà era Carlo del 1889.
Ricorda i nonni materni Tonina e Luigi e il nonno paterno anche lui Luigi.
Nonno Luigi si sposò tre volte, rimase vedovo a settant’anni, si risposò e
nuovamente gli morì la moglie. Il terzo matrimonio lo fece con una “ poco di
buono” molto più giovane di lui. Vennero i Carabinieri ad arrestarla, la
portarono via e non la videro più. Nonno Luigi se ne fece una ragione e morì a
100 anni.
Erano tre fratelli, due
sorelle e una “venturina” che i genitori avevano avuto da “r’ospidal” rimase
con loro finchè si sposò. Il fratello più grande era Luigi del 1921, il secondo
del 1925 la sorella del 1927, Nino del 1929 e nel 1944 nacque Romana.
LA MAESTRA “LIBERA”
Ninu Andava a scuola a Feisoglio e
la scuola era distante due chilometri. La maestra era proprio “grama” cattiva.
Il suo nome era Libera e veniva da Somano, aveva l’abitudine di punire gli
allievi chiudendoli nella scuola. Andava a mangiare e quando aveva terminato tornava
ad aprire! Per colpa di “Carlino d’o rè” la maestra puniva anche Nino e li
chiudeva nella scuola, così poi tornava a casa tardi e “m’ji ciapava ancora!” (
mi picchiavano ancora!). Un giorno, però lui e Carlino, essendo chiusi per
punizione, videro arrivare un carro alto di “fascine” aspettarono che fosse
sotto la finestra della scuola e ci saltarono sopra, così quando la maestra
tornò non li trovò! Nino tornò a casa e raccontò l’accaduto al padre che andò a
parlare al Podestà. Questi diede una bella sgridata alla maestra e da allora
non chiuse più nessuno nella scuola.
DURANTE LA GUERRA
Una volta era sulla strada per
Feisoglio e giunse un uomo, forse una “spia”, lo raggiunse e gli chiese di mostrargli
la strada per il paese. In quel periodo c’erano i nazifascisti a Feisoglio.
Quando furono da Vigio dèr Paré che aveva la”ressia” seghificio, videro un
soldato armato di moschetto che pattugliava sullo stradone. L’uomo che era con lui,
appena vide il soldato si girò e cominciò a correre in direzione opposta. Lui,
“maraiott” ragazzino, vedendo l’uomo
scappare lo seguì, il militare vedendoli correre fece dui “bram” urla.
Spaventato, Nino deviò nei cespugli e andò da “Vil” capendo che avrebbe potuto
sparargli! Si vede che quel tale era proprio una spia!
Un ‘altra volta: avevano un
“servitò” di nome Censo do Dego e con lui il papà lo mandò a prendere i due
buoi che tenevano da Reste ‘d Vilan. Appena girarono dietro la casa videro i
tedeschi da Moschin che venivano su per la strada vecchia. Questi vedendoli
iniziarono a sparare, loro iniziarono a correre nella discesa che portava al
cortile di “Reste” ma Nino vedeva la terra sollevata dai proiettili, finchè non
raggiunsero la casa. I tedeschi smisero di sparare e lui e Censo si guardarono
sbaruvà (spaventati)! Censo era stato colpito in uno zoccolo e il proiettile
glielo aveva rotto però senza ferirlo, Nino ero arrivato senza essere colpito! Anche
i tedeschi arrivarono nel cortile e
intimarono ai due ragazzini di alzare le mani, fortuna che il padre
giunse e disse loro che eravano solo bambini!
A quel punto se ne andarono, ma anche in quella occasione se la vide brutta!
Quel rumore dei proiettili e la terra che si sollevava durante la corsa a rotta
di collo, li sogna ancora adesso!
NOI DI CASCINA SPAVENTO IN MEZZO ALLA BATTAGLIA TRA GARIBALDINI E NAZIFASCISTI
Grazie al Racconto di Nino e Romana risalgo alla storia del
Comandante “PEREZ”
ROSSO FRANCESCO
26/07/1917 ASTI
PARTIGIANO 6° DIV
LANGHE 16° BRG PEROTTI
Da ISRAT 'Con un gruppo di giovani reclutati nel rione San Pietro
di Asti, entrai nella 16a Brigata Garibaldi - Langhe 'General Perotti', dislocata sulle alte Langhe, assumendo il nome di battaglia
PEREZ.”
Secondo i documenti
ufficiali Perez combattè come partigiano dal 17 luglio 1944 fino all'8 giugno
1945, diventando, prima caposquadra, poi comandante, del distaccamento
'Alvarez', infine comandante di brigata dal 18 febbraio 1945 fino alla fine
della lotta di liberazione. Si distinse per valore e coraggio tanto da meritare
il riconoscimento della medaglia d'argento al valore militare, come recita la
motivazione per l'assegnazione del riconoscimento:
ROSSO FRANCESCO Valoroso
combattente della lotta di liberazione si segnalava anche per capacità di
animatore e di comandante raggiungendo posto di responsabilità
nell'organizzazione partigiana. Particolarmente si
distingueva in quel di Feisoglio il 12 aprile 1945 quando, essendo stata la sua
brigata attaccata da importanti forze, appoggiate da artiglieria resisteva per diverse ore e, passato al contrattacco,
risolveva vantaggiosamente la situazione.
Difronte a Cascina Spaventa
c’è un “Brich” (altura), e lì i Partigiani si erano creati come dei bunker con
tronchi di pino, Da quelle trincee videro i tedeschi che arrivavano dalla
Niella e cominciarono a sparare. La famiglia Bevione era in mezzo, i Partigiani
dissero loro di scappare. Nino e gli uomini scesero sullo stradone che va verso
Feisoglio, mamma Maria aveva Romana piccola e scelse di scendere nella “pinera”(Pineta)
di fianco alla casa e con Romana in braccio si accucciò in un affossamento da
dove sentiva che i tedeschi transitavano sopra di loro. I tedeschi andarono
alla cascina, fecero due buchi nel muro della stalla e drà “fnera” fienile e si
misero a sparare a loro volta. La sparatoria durò per alcune ore poi i tedeschi
se ne andarono e pare che chi risolvette la situazione fossero stati due russi
che erano con i Partigiani e che appostati su dei pini avevano colpito i
mitraglieri tedeschi e i soldati che cercavano di risalire la collina. I
Partigiani di Perez avevano costruito un capanno dentro il quale non c’era
nessuno ma servì a far sprecare munizioni ai tedeschi. Inoltre il vicino, il
vecchio “muschin” che non era andato via dalla casa, ai tedeschi che chiedevano
quanti fossero i Partigiani li spaventò dicendo che erano più di mille, mentre
in realtà erano una trentina. Terminata la battaglia Nino e gli uomini attesero
per vedere che non tornassero i tedeschi e poi andarono alla cascina. Trovarono
il cane che era stato ucciso, dovettero portare via due carriole di bossoli dal
fienile e soprattutto non trovarono la mamma Maria e Romana! La cercarono
finchè lei impaurita, non udendo più colpi risalì alla casa. Nino dice che era
“bianca pèì drà fioca!” pallida come la neve e si stringeva Romana al petto che
era stata proprio buona e l’unica parola che pronunciò sotto quella pioggia di
proiettili fu alla vista di una lepre anche lei spaventata dai colpi: oh Pilu!
Nino commosso dice:<La povera mamma rimase mezza giornata nascosta nella
pineta col terrore di essere colpita o scoperta, non solo un’ora!>
L’UCCISIONE DEL PARTIGIANO CACCIA PIETRO 28/04/1925 MONTABONE (ASTI)
CANELLI 78° BRG GARIBALDI
CADUTO IL 04/05/1944
Nino rivive quel giovedì del
maggio 1944. Assistette a tutta la scena. Lui era presente quando catturarono
il Partigiano “Macario”. A Feisoglio la base dei nazifascisti era proprio
davanti all’Osteria. Lui Partigiano era all’osteria con altri militi della repubblica
anche loro di Canelli. Vedendo arrivare il comandante gli consigliarono di scappare, ma il giovane
disse:<io non ho fatto nulla e non scappo!> Arrivato il comandante ordinò
ad ognuno dei militi di sparargli, ma questi tutti si rifiutarono di sparare ad
un loro compaesano. Il Comandante a quel punto esclamò: <se non sparate voi
allora gli sparò io. Nino era davanti all’osteria con altri e lo obbligarono a
rimanere. Il fascista o nazista lo mise contro il muro di fianco alla Chiesa di
San Lorenzo e sotto gli occhi dei presenti sparò una raffica elo uccise. Nino
dice:< mi tèrmorava pèi ‘dnà feuja>(io tremavo come una foglia) .Certo,
era un ragazzino e allo sparo si voltò ma visse quel momento terribile
dell’eroica morte del giovane Partigiano Pietro.
RICORDO DEI LANCI DEGLI AEREI
ALLEATI
Nino ricorda che a Gorzegno,
gli aerei alleati effettuarono parecchi lanci per i Partigiani. Quando erano
previsti accendevano delle “acetilene” e formavano delle lettere “w” o “z” che
fungevano da bersaglio affinchè sganciassero i paracadute con i bidoni ripieni
di materiali e armi. Nino e suo fratello Piero andavano ad aiutare i Partigiani
a recuperare i materiali lanciati e li portavano nella Cappella di San Giovanni.
Venivano ricompensati con i cordini e la tela dei paracadute. La seta dei
paracadute veniva utilizzata per realizzare camicie, pantaloni, mentre i
cordini venivano “sfirà” (sfilati) e si facevano delle maglie ed altro.
Parecchi ragazzini e giovani andavano a curiosare dalla Cappella di San
Giovanni che è adiacente alla piana dei lanci e così i Partigiani decisero di
richiedere il loro aiuto fornendo loro la parola d’ordine da “pronunciare” alle
sentinelle che presidiavano la zona. Una volta Nino e Piero ritornando dal
lavoro di recupero dei lanci, al chiarore della luna videro che in una riva vi
era un paracadute che non era stato recuperato, ma non si fidarono di
avvicinarsi per timore di essere visti e fatti oggetto di qualche raffica.
I SALAMI SALVARONO
DALL’ARRESTO IL FRATELLO PIERO DEL 1925
Il fratello Piero , essendo
del 1925 avrebbe dovuto presentarsi alla “repubblica sociale” ma come molti
altri non lo fece e perciò correva il forte rischio di essere deportato in
Germania essendo renitente alla leva. Una volta era in casa che mangiava e si
sentì il cane lupo alla catena che abbaiava. Nino uscì e si trovò i tedeschi
nel cortile. Piero scappò nelle camere sopra e si nascose sotto ad un letto. I
tedeschi entrarono in casa e salirono nella camera sopra dove avevano appeso i
salami ad asciugare avendo da poco ucciso il maiale. Piero era proprio nascosto
sotto quel letto, ma loro colpiti dai salami li staccarono tutti per portarseli
via e non stettero a controllare se ci fosse qualcuno sotto il letto. Se
avessero scoperto il giovane lo avrebbero ucciso sicuramente, invece la scampò.
La mamma Maria con la piccola
Romana tra le braccia pregò quei soldati di lasciare qualche salame per la
famiglia ma un milite ridendo la colpì in faccia con un salame. La mamma
raccontava sempre il fatto alla figlia Romana che aveva assistito alla scena ma
fortunatamente aveva rimosso i ricordi di quelle paure.
UCCISIONE DI “FORTUNIN”
CAMERA LUIGI FEISOGLIO 16/01/1916 di LORENZO
Contadino ucciso dai nazifascisti FEISOGLIO il
07/03/1945
Nino rammenta anche
l’uccisione di un uomo che era il fratello di “Nin” marito di Rina una loro
vicina. Questo uomo era chiamato “Fortunin” e vedendo arrivare i nazifascisti
si prese paura e iniziò a correre nel ”Bojeu”, un vallone che scende verso il
Bormida. Fu visto e gli spararono senza pietà. Dice Nino: Jera di desgrassiò,
fascista o tedesch che set voghivo a rabèl tè sparavo!>( c’erano dei
disgraziati che se ti vedevano in giro ti sparavano!)
COME NINO DIVENNE SUONATORE
Il padre di Nino lo mandava
al pascolo ed aveva acquistato una fisarmonica al figlio Piero. Nino si lamentò
col papà e gli disse se per ripagarlo del lavoro di pastorello gli avesse
comprato anche una fisa, ma questi gli rispose che a lui avrebbe comprato il
clarinetto. Lo portò a Savona e spese 12.000 lire per un “Clarin”.
Così lui iniziò ad andare a lezione da Dino do Scaron. Dopo il pascolo andava da Dino per un’ora a suonare. Continuò a migliorarsi e fino a trent’anni girò con il gruppo a suonare alle Leve, e soprattutto a Carnevale. Si stava tre o quattro giorni senza tornare a casa. Suonava con il fratello Piero, con il cognato e con molti altri. Andavano in bicicletta e lui e il fratello affittavano un tandem. Andavano alla Torsella verso Dogliani, e si recavano persino in Liguria. Qualcosa lo guadagnavano ma più che altro vi era la passione per la musica e il divertimento di far divertire altri. Poi a trent’anni iniziò a lavorare alla Ferrero e divenne operaio notturno, mansione che mantenne per trent’anni, e così “addio musica” di notte lavoro alla Ferrero e di giorno lavoro in campagna. Ma quando andò in pensione riprese a “scaldare” il clarinetto per qualche occasione come “Carnevale o Canté i’euv” ,e così si riprendono le tradizioni e si propone ai bambini e ragazzi la semplice allegria della Langa.
PER FORTUNA CONOBBI GIUSEPPINA
Giuseppina, mia moglie,
originaria della Campania, lavorava a Roma ed era in contatto con Franca mia
cognata. Venne a Feisoglio per salutare Franca che voleva fargli conoscere
Bruno il nIpote di Gigi do Scaron il mio maestro di musica.
Bruno era uno grosso e “rozzo”
e Pina un po’ spaventata chiese dove abitava Franca. Le fu indicata la nostra
casa, e anzi fu proprio Bruno ad accompagnarla. Ricordo che arrivarono nel
nostro cortile lui 50 metri prima e lei dopo un po’, sconvolta!
Entrarono in casa e lui pur
con il caldo forte, non si sbottonava la giacca. Lo invitammo a togliere la
giacca poiché grondava sudore, ma lui era veramente impacciato. Io gli dissi:
< Bruno complimenti, hai trovato “nà bela moroza” (una bella ragazza)>
Lui disse :< sì sì ma è troppo piccola, se dovesse spostare un quintale non
sarebbe capace!>
GIUSEPPINA di Filomena Palmieri e Pietro di VibonatI (Salerno)RACCONTA:
Andò così: Dal paese andai a
Roma a salutare mio fratello e conobbi Franca, sua cognata che lavorava presso
un Dottore. Franca era venuta via dal suo paese Caselle in Pittari( Salernoa) poiché
da nubile ebbe un bimbo da un giovane che non volle riconoscerlo. Con Franca
diventammo amiche e mi confidò che aveva già una sorella in Piemonte e le aveva
trovato un giovane che l’avrebbe sposata. La mentalità della gente del
meridione era molto ristretta e maltrattavano le ragazze che avevano figli al
di fuori del matrimonio!
Diventammo amiche e rimanemmo
in contatto anche quando venne qui a Feisoglio e sposò il fratello di Nino. Mi
scrisse che voleva farmi conoscere Bruno dello Scarrone. Mi inviò una foto e
devo dire che era un bell’uomo! Venni accompagnata da mio fratello e andai allo
Scarrone di Gorzegno in questa Borgata di Capii subito che Bruno non era
convinto di sposarmi perché mi valutò “piccolina” e non adatta alla vita di
campagna.
Io avevo 26 anni e chiesi di
essere accompagnata da Franca qui alla cascina Spavento di Feisoglio. Da incosciente
mi incamminai con lui attraverso il bosco, ma compresi che non c’era pericolo!
Bruno era un bonaccione che procedeva quasi non ci fossi e guardava gli
animali, le piante, le castagne!
La mia intenzione era quella
di salutare Franca e poi di ritornarmene a Roma. Invece incontrai Nino e
parlandoci scoprimmo di avere qualcosa che poteva maturare. Ricordo che nella
casa c’era la mamma e la nonna e Nino col vestito della festa poiché era di
Domenica. Scambiammo qualche parola mentre mi mostrava il portico e la stalla, e gli chiesi se aveva già una fidanzata. Lui
che forse pensava già a qualcosa mi disse che, sì aveva una ragazza ma nulla di
impegnativo, sarebbe bastato restituirle l’orologio che gli aveva regalato e
tutto sarebbe finito. Io non ci pensai più, anche perché lui aveva undici anni
più di me, e me ne tornai a Roma.
Dopo poco Nino mi scrisse,
facendosi dare l’indirizzo dalla cognata e ci scambiammo un po’ di lettere per
un anno.
Nelle sue lettere mi scriveva
che lavorava alla Ferrero e faceva il contadino e che voleva sposarmi. Io lo
giudicai un buona persona, lavoratore ed affidabile ed accettai. Quando venni
in Piemonte io avevo già 12 anni di contributi per il lavoro svolto presso una
famiglia e speravo di venire a continuare la mia vita ed a formare una famiglia
con un uomo adatto a me, e fu così.
Pur giovane avevo un passato
da lavoratrice, due anni a Napoli e poi dieci a Roma e fui sempre benvoluta. Alla
sua richiesta di matrimonio risposi decisa che mi era sembrato un uomo onesto e
che poteva essere adatto ad essere mio marito, ma che non ero venuta in Piemonte
per “essere presa in giro”.
Lui mi disse che aveva intenzioni serie, e che sarebbe venuto a parlare con la famiglia. Nell’autunno venne a casa mia e ricordo che parlò molto con la mia mamma Filomena e mio papà e li rassicurò che avrebbe voluto bene alla loro figlia. Si fece il matrimonio giù da noi e poi i miei vennero ancora parecchie volte a farci visita.