domenica 6 ottobre 2024

CARDINO LIBERO NEIVE 1923

 



                  

CARDINO LIBERO Neive 1923 2015

A cura di Beppe Fenocchio di Neive Arguello

Libero è nato ai “Macolin”, un gruppo di cascine in fondo alla Borgata Balluri di Neive. Dal suo cortile mi dice “ da sì voghima èr mar!” (da qui vediamo il mare!) e mi indica con il bastone l’ampia ansa che effettua il fiume Tanaro laggiù tra le albere. Gli mostro una fotografia di mio padre sul Guzzino e subito ricorda: “Catro sì Michelino,  e ti, quante vote ro piate an brass!” (Ecco Michelino! e tu, quante volte ti ho tenuto tra le mie braccia!).E’ trascorso tanto tempo, e Libero indicando le ginocchia dolenti sospira” Noi abbiamo lavorato troppo! “ Lo dice ma non è convinto. La conferma che vorrebbe ancora svolgere del lavoro sta nelle parole della nipote Cinzia:” Dobbiamo nascondergli le chiavi del trattore, altrimenti si sentirebbe di andare nel noccioleto!”

I MAESTRI  LA SCUOLA E LA PASTURA NEI Gorèi

Andava a scuola a Neive “antèr pais”(Nel paese), lui e i suoi compagni  percorrevano i due chilometri per andare a scuola, tornavano per pranzo e nuovamente a scuola. Ricorda di aver avuto parecchi insegnanti: il Maestro Balbo, il Maestro Gallo, il Maestro Cigliutti, la maestra Natassia che veniva da un paese di montagna vicino a Mondovì e ancora la Maestra Bordino.

Fin dai primi anni di scuola Libero tornava alle 16 e - < Piava tre o quatr vache e sés o sèt fè>(prendevo le quattro mucche e le sei o sette pecore) e le portava <an pastura antì gorèi> al pascolo sulle sponde del Tanaro dove vi sono ancora oggi le piante di “gora”(salici). Aveva sempre il libro “sota r’asselle” (sotto il braccio), e mentre gli animali pascolavano lui studiava. A quei tempi da tutte le cascine del circondario, Balluri,Bordini,Albesani si portavano le mucche nei gorreti del Tanaro. C’erano circa ottanta o novanta mucche che pascolavano lungo il Tanaro, pagavano l’affitto al Comune. Le mucche erano valide come i buoi e le utilizzavano per tutti i lavori. Andò a scuola fino in quarta classe poi, il giorno che morì suo padre disse al Maestro Balbo:

 -< Doman vèn pì nèn a scora!>(domani non vengo più a scuola!> Doveva lavorare per  “fé andé rà cassina> (per tirare avanti la cascina). La mamma svolgeva il lavoro di sarta e produceva le tome da vendere, toccò a lui farsi carico del lavoro nelle vigne e nei campi. Per un po’ di anni lui e la mamma tennero il sistema del papà.

A VENDERE LE UVE

 Si portava a vendere l’uva ad Alba, tutte le piazze erano piene di “carton”(Carri) con “j’arbi”(navazze) piene di uva. A Neive e Alba vi erano tanti “Sènsàl “(Mediatori) e Libero ricorda Gepo Terranino, Giacon Tognin e Carlucio, Centin Vacca, Gioaninèt ma lui era molto amico con Leonin Giacosa.

Se però volevi guadagnare un po’ di più portavi il carro in piazza e aspettavi i compratori che venivano dalla pianura di Fossano, Savigliano, Saluzzo.

Libero dice che iniziò a portare le uve in piazza che aveva ancora i pantaloni corti. <èm piava in piazì!>(Mi divertivo!>. Caricava il contenuto di una “bonza giusta èd 90 miglia”(una botte di novanta Miriagrammi) dentro all’Arbi e col carton trainato dalla mula si recava ad Alba per effettuare tre Mercati alla settimana.

 

I PARROCI DI NEIVE

Libero ricorda i Parroci della sua infanzia che si recavano tutte le Domeniche alla Chiesetta di San Gervasio per celebrare la Messa. Don Tarditi, con i grandi zoccoli, lo si sentiva arrivare da in casa, Don Gallo era quello che “on fava ra dotrina”( ci faceva il catechismo), e ancora ricorda Don Bollano.


                                          DON Bollano
                                 Don Tarditi

RICORDI DELLA GUERRA

In tutti gli angoli vi erano nascondigli, vi erano camere sotto terra.

Quando qui ai Balluri vi fu il rastrellamento io dormii!-rimasi una notte su di un salice. I salici venivano “copà”potati e sarà stato ampio due volte questo tavolo. Era situato di fronte alla Chiesa di San Gervasio.

Qui era un inferno, i nazifascisti giravano casa per casa a cercare i partigiani e prelevavano giovani e uomini.

Fuggii a Magliano Alfieri da mia sorella e potevo starmene tranquillo, ma non lo ero e pensavo sempre a mia madre e alla casa, così una notte feci ritorno. Aprii lentamente “na girosia”(persiana), per vedere se tutto era a posto ed ebbi la sorpresa di notare due “ufficiali tedeschi” che dormivano in cucina, stazionarono una settimana a casa nostra. A quel punto richiusi piano la persiana e ripresi la strada per Magliano.

Nella nostra stalla, una sera rinchiusero 47 giovani rastrellati partendo da Castagnole Lanze. Si resero conto che tra gli animali e il posto ristretto sarebbero morti, e allora li trasferirono alla “Creusa” da Nando, poi furono tutti deportati in Germania.

QUEL LANCIO DEVIATO

Un aereo sorvolò la nostra zona e avrebbe dovuto effettuare un lancio per i partigiani che avevano la base qui sotto. Improvvisamente però, quando fu dalla galleria ferroviaria fu deviato da segnalazioni di qualcuno che avendo conosciuto i segnali fece sganciare in un’altra zona. Fu un gioco da ragazzi asserire che l’aereo aveva sbagliato il lancio. Corsero ad avvisare di andare a ritirare i bidoni con i materiali! Peccato che altri bidoni, quelli con i soldi, erano stati prelevati e nascosti. Fu la fortuna di qualcuno! Ormai son tutti morti.

Qualcuno però li vide, ma non parlò mai!

RACONTI REALIZZATI DA BEPPE 

ISPIRATI A STORIE CONFIDATE DA LIBERO

Vigina di PianPonga

La moglie di Remo era originaria di Vesime e per questo le avevano appioppato il soprannome di ra Vezmina. Donna energica e senza paura, Vigina, la prima prova della sua vita l’ebbe quando dovette salvare il fratello Ezio preso prigioniero da gentaglia che si spacciava per partigiani. Era successo che Ezio, ragazzino amante dei cavalli, ne trovò uno in Belbo che pascolava libero e guardatosi attorno non vide nessuno che potesse essere il proprietario. Lo prese per la cavezza e lo portò a casa. Lo mise nella stalla e lo accudì strigliandolo e rifocillandolo. Dopo qualche giorno arrivarono quattro o cinque giovinastri armati che entrarono nella stalla della “Cà sotera” e diedero del ladro al fratello. Presero lui e il cavallo senza fornire tante informazioni sul dove lo avrebbero portato e cosa gli avrebbero fatto. Vigina li seguì per un po’, poi questi la allontanarono in malo modo dicendole che se continuava a seguirli sarebbe stato peggio per entrambi e se invece fosse tornata a casa dopo qualche giorno avrebbero rilasciato il fratello. Tornò a casa a consolare Papà e mamma che già avevano  un dolore immenso nel cuore: dell’altro figlio ”Mario” era arrivato il “Mortorio dalla Germania”.

 I giorni trascorsero lenti e lei si andò ad informare presso i vari gruppi di Partigiani finchè non riuscì a sapere che chi aveva portato via suo fratello non erano partigiani ma delinquenti che approfittavano della situazione per effettuare ruberie e procurarsi soldi. Vigina non voleva crederci, ma se ne convinse quando individuò il gruppo che teneva prigioniero il fratello. Si recò oltre Cisterna d’Asti e trovò gli pseudo partigiani che senza tanta delicatezza le chiesero se aveva portato dei soldi. Lei volle vedere suo fratello poi ritornò a casa e riferì a suo padre. Trovò i genitori che disperati si erano rivolti a dei conoscenti Veri Partigiani. Vigina accompagnata da Moscon (Renato Noè) e da tre o quattro dei suoi tornò dove tenevano prigioniero il fratello. Il rischio fu altissimo, ma gli amici Partigiani la scortarono e quando furono al covo, armi in pugno intimarono di liberare Ezio. Quei delinquenti furono costretti a consegnare Ezio. Il Partigiano Renato si fece consegnare anche il cavallo che servì a Ezio e Vigina per tornare. Mentre i Partigiani amici tenevano a bada i rapitori, Vigina e Ezio attaccarono il calesse e si avviarono raggianti, sia pure con la tristezza nel cuore per il lutto dell’altro fratello Mario. Dopo un po’ li raggiunsero Gion e Renato col sidecar e Fredo e Ciapabeu in bicicletta. Il corteo  al porto di Neive fu accolto dai Portonè e dai ragazzi che pascolavano le mucche nei gorreti.

 Si complimentarono con Ezio per il cavallo e offrirono un po’ di vino. Dopo il trasbordo e la bevuta la combriccola riprese il cammino dopo aver ringraziato per l’ospitalità e con la promessa che sarebbero ritornati con tome e castagne per ricambiare. Scortati dai quattro Partigiani ritornarono a casa e abbracciarono i genitori che non sapevano più cosa pensare. La giornata si chiudeva, Ezio mise in stalla il cavallo e lo asciugò e strigliò. I porcellini d’India e i conigli gli fecero festa. Il Padre, Gepo ëd Pianponga e la mamma Clarin ringraziarono Moscon e i suoi e dissero loro che sarebbero sempre stati i benvenuti alla loro cascina.   

Grazie alla risolutezza di Vigina e all’aiuto di quei bravi Partigiani si era ottenuto ciò  che a tutta la famiglia stava a cuore: portare a casa il fratello sano e salvo. Mentre i Partigiani scendevano in Belbo sentirono musica di fisarmonica arrivare dai boschi. Era Mariolin di Arguello che andava a Vijé dai Vezmin. La gioia per il ritorno di Ezio e Vigina diede il via a una piccola festa. Vennero dalle cascine vicine e si ballò nell’aia. Clarin, la mamma, guardava ballare dalla finestra e asciugandosi le lacrime rilesse quel foglio che diceva del suo Mario morto lontano. Si alzò dalla sedia, ripose anche l’ultima lettera di Mario che diceva di stare tranquilli e che dov’era stava bene. Con quel pensiero si diede un “andi”(si avviò) e aggiunse un pezzo di legno alla stufa. Poi chiamò il marito e gli disse <pijme ra bota  ëd řeuři, fass doi fricieu!>. Gepo obbedì, andò in cantina e prese una bottiglia del prezioso olio di nocciole, lo portò a Clarin e attese. Lei gli disse< va’ vai a cantarne due, al nostro Mario farebbe piacere sentirvi!> non se lo fece ripetere due volte. Le diede un bacio sulla guancia e raggiunse Gioanin, Vigin e Celin che, al tavolo, aspettavano solo “co tachèissa!”(che iniziasse). Cantarono sottovoce, per rispetto al dolore della famiglia ma quando le ugole furono calde alzarono il tono e dedicarono a Mario quella lode che fece voltare anche la mamma . “Al ciel al ciel al ciel, andrò a vederla un dì!” Celin si superò, la sua voce da sopranin, salì veramente quasi in cielo. Anche Mariolin il fisarmonicista si fermò e si unì al canto, i ballerini entrarono ad ascoltare, poi la festa continuò. 

 

I LANCI INTERCETTATI

Nel periodo dei lanci degli alleati avvennero dei fatti che furono a conoscenza di tutti ma che furono fatti cadere nell’oblio con la scusante che erano tempi brutti e la paura e l’invidia regnava sovrana. Marisa, dal Brich dra Casurera godeva di un palco privilegiato per vedere che un tale che abitava poco distante effettuava strani segnali con delle torce. Si sapeva che gli alleati dovevano effettuare lanci  per i Partigiani. Tutto fu preparato, ma quando arrivarono gli aerei invece di sganciare i tubi sul prato della Pellea, stranamente virarono e andarono a sganciare sul prato della Nicchia. I Partigiani, pronti a recuperare i contenitori furono clamorosamente beffati ma compresero bene dove erano caduti. Andarono sul posto ma arrivarono tardi. Qualcuno aveva fatto sparire ogni traccia dei tubi e soprattutto del contenuto. Pare che insieme ad armi, vestiario e cibo vi fossero dei manifesti arrotolati che rappresentavano biglietti da mille ancora da tagliare.

Renzo dèr Fuin provvide a nascondere i soldi in un fassiné e a comunicare ai Partigiani dove trovare le armi e i tubi dei lanci, poi riuscì a trovare un nascondiglio sicuro: un campo di grano in aperta campagna.

I Partigiani, compreso che erano stati derubati dei soldi e si recarono nella zona della Zuppiera per ottenere informazioni ma trovarono soltanto donne, ragazzini e anziani. Per impaurire misero al muro qualche uomo e qualche giovane donna intimando che se non avessero parlato li avrebbero fucilati. Vi era solo una ragazza che aveva visto Renzo che segnalava e l’aereo che sganciava, ma non disse nulla e si portò il segreto nella tomba. Ogni tanto sognava di quei lanci e del rumore dell’aereo ma al mattino guardava la sua bella famiglia e si convinceva di avere fatto la scelta giusta.    

 

 DA UNA STORIA VERA CON NOMI DI FANTASIA

Vigina di Pian Ponga

La moglie di Remo era originaria di Vesime e per questo, come a tutti i Virot le avevano appioppato il soprannome di ra Vezmina . Donna energica e senza paura, Vigina, la prima prova della sua vita l’ebbe quando dovette salvare il fratello Ezio preso prigioniero da gentaglia che si spacciava per partigiani. Era successo che Ezio, ragazzino amante dei cavalli, ne trovò uno in Belbo che pascolava libero e guardatosi attorno non vide nessuno che potesse essere il proprietario. Lo prese per la cavezza e lo portò a casa. Lo mise nella stalla e lo accudì strigliandolo e rifocillandolo. Dopo qualche giorno arrivarono quattro o cinque giovinastri armati che entrarono nella stalla della “Cà sotera” e diedero del ladro al fratello. Presero lui e il cavallo senza fornire tante informazioni sul dove lo avrebbero portato e cosa gli avrebbero fatto. Vigina li seguì per un po’, poi questi la allontanarono in malo modo dicendole che se continuava a seguirli sarebbe stato peggio per entrambi e se invece fosse tornata a casa dopo qualche giorno avrebbero rilasciato il fratello. Tornò a casa a consolare Papà e mamma che già avevano  un dolore immenso nel cuore: dell’altro figlio”Mario” di cui era arrivato il “Mortorio dalla Germania”.

 I giorni trascorsero lenti e lei si andò ad informare presso i vari gruppi di Partigiani finchè non riuscì a sapere che chi aveva portato via suo fratello non erano partigiani ma delinquenti che approfittavano della situazione per effettuare ruberie e procurarsi soldi. Vigina non voleva crederci, ma se ne convinse quando individuò il gruppo che teneva prigioniero il fratello. Si recò oltre Cisterna d’Asti e trovò gli pseudo partigiani che senza tanta delicatezza le chiesero se aveva portato dei soldi. Lei volle vedere suo fratello poi ritornò a casa e riferì a suo padre. Trovò i genitori che disperati si erano rivolti a dei conoscenti Veri Partigiani. Vigina accompagnata da Moschin  e da tre o quattro dei suoi tornò dove tenevano prigioniero il fratello. Il rischio fu altissimo, ma gli amici Partigiani la scortarono e quando furono al covo, armi in pugno intimarono di liberare Ezio. Quei delinquenti furono costretti a consegnare Ezio. Il Partigiano Renato si fece consegnare anche il cavallo che servì a Ezio e Vigina per tornare. Mentre i Partigiani amici tenevano a bada i rapitori, Vigina e Ezio attaccarono il calesse e si avviarono raggianti, sia pure con la tristezza nel cuore per il lutto dell’altro fratello Mario. Dopo un po’ li raggiunsero Nigio e Renato col sidecar e Fredo e Ciapabeu in bicicletta. Il corteo  al porto di Neive fu accolto dai Portonè e dai ragazzi che pascolavano le mucche nei gorreti.

 Si complimentarono con Ezio per il cavallo e offrirono un po’ di vino. Dopo il trasbordo e la bevuta la combriccola riprese il cammino dopo aver ringraziato per l’ospitalità e con la promessa che sarebbero ritornati con tome e castagne per ricambiare. Scortati dai quattro Partigiani ritornarono a casa e abbracciarono i genitori che non sapevano più cosa pensare. La giornata si chiudeva, Ezio mise in stalla il cavallo e lo asciugò e strigliò. I porcellini d’India e i conigli gli fecero festa. Il Padre, Gepo ëd Pianponga e la mamma Clarin ringraziarono Moscon e i suoi e dissero loro che sarebbero sempre stati i benvenuti alla loro cascina.   

Grazie alla risolutezza di Vigina e all’aiuto di quei bravi Partigiani si era ottenuto ciò  che a tutta la famiglia stava a cuore: portare a casa il fratello sano e salvo. Mentre i Partigiani scendevano in Belbo sentirono musica di fisarmonica arrivare dai boschi. Era Mariolin di Arguello che andava a Vijé dai Vezmin. La gioia per il ritorno di Ezio e Vigina diede il via a una piccola festa. Vennero dalle cascine vicine e si ballò nell’aia. Clarin, la mamma, guardava ballare dalla finestra e asciugandosi le lacrime rilesse quel foglio che diceva del suo Mario morto lontano. Si alzò dalla sedia, ripose anche l’ultima lettera di Mario che diceva di stare tranquilli e che dov’era stava bene. Con quel pensiero si diede un “andi”(si avviò) e aggiunse un pezzo di legno alla stufa. Poi chiamò il marito e gli disse <pijme ra bota  ëd řeuři, fass doi fricieu!>. Gepo obbedì, andò in cantina e prese una bottiglia del prezioso olio di nocciole, lo portò a Clarin e attese. Lei gli disse< va’ vai a cantarne due, al nostro Mario farebbe piacere sentirvi!> non se lo fece ripetere due volte. Le diede un bacio sulla guancia e raggiunse Gioanin, Vigin e Celin che, al tavolo, aspettavano solo “co tachèissa!”(che iniziasse). Cantarono sottovoce, per rispetto al dolore della famiglia ma quando le ugole furono calde alzarono il tono e dedicarono a Mario quella lode che fece voltare anche la mamma . “Al ciel al ciel al ciel, andrò a vederla un dì!” Celin si superò, la sua voce da sopranin, salì veramente quasi in cielo. Anche Mariolin il fisarmonicista si fermò e si unì al canto, i ballerini entrarono ad ascoltare, poi la festa continuò. 

 

DA UNA STORIA VERA CON NOMI DI FANTASIA I lanci intercettati

Nel periodo dei lanci degli alleati avvennero dei fatti che furono a conoscenza di tutti ma che furono fatti cadere nell’oblio con la scusante che erano tempi brutti e la paura e l’invidia regnava sovrana. Marisa, dal Brich dra Casurera godeva di un palco privilegiato per vedere che un tale che abitava poco distante effettuava strani segnali con delle torce. Si sapeva che gli alleati dovevano effettuare lanci  per i Partigiani. Tutto fu preparato, ma quando arrivarono gli aerei invece di sganciare i tubi sul prato della Pellea, stranamente virarono e andarono a sganciare sul prato della Nicchia. I Partigiani, pronti a recuperare i contenitori furono clamorosamente beffati ma compresero bene dove erano caduti. Andarono sul posto ma arrivarono tardi. Qualcuno aveva fatto sparire ogni traccia dei tubi e soprattutto del contenuto. Pare che insieme ad armi, vestiario e cibo vi fossero dei manifesti arrotolati che rappresentavano biglietti da mille ancora da tagliare.

Renzo dèr Fuin provvide a nascondere i soldi in un fassiné e a comunicare ai Partigiani dove trovare le armi e i tubi dei lanci, poi riuscì a trovare un nascondiglio sicuro: un campo di grano in aperta campagna.

I Partigiani, compreso che erano stati derubati dei soldi si recarono nella zona della Topinera per ottenere informazioni ma trovarono soltanto donne, ragazzini e anziani. Per impaurire misero al muro qualche uomo e qualche giovane donna intimando che se non avessero parlato li avrebbero fucilati. Vi era solo una ragazza, aveva visto Renzo che segnalava e l’aereo che sganciava, ma non disse nulla e si portò il segreto nella tomba. Ogni tanto sognava di quei lanci e del rumore dell’aereo ma al mattino guardava la sua bella famiglia e si convinceva di avere fatto la scelta giusta.   

 

 

 

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