CARDINO
LIBERO Neive 1923 2015
A
cura di Beppe Fenocchio di Neive Arguello
Libero è nato ai “Macolin”, un
gruppo di cascine in fondo alla Borgata Balluri di Neive. Dal suo cortile mi
dice “ da sì voghima èr mar!” (da qui vediamo il mare!) e mi indica con il
bastone l’ampia ansa che effettua il fiume Tanaro laggiù tra le albere. Gli
mostro una fotografia di mio padre sul Guzzino e subito ricorda: “Catro sì
Michelino, e ti, quante vote ro piate an
brass!” (Ecco Michelino! e tu, quante volte ti ho tenuto tra le mie braccia!).E’
trascorso tanto tempo, e Libero indicando le ginocchia dolenti sospira” Noi
abbiamo lavorato troppo! “ Lo dice ma non è convinto. La conferma che vorrebbe
ancora svolgere del lavoro sta nelle parole della nipote Cinzia:” Dobbiamo
nascondergli le chiavi del trattore, altrimenti si sentirebbe di andare nel
noccioleto!”
I MAESTRI LA SCUOLA E LA PASTURA NEI Gorèi
Andava a scuola a Neive “antèr
pais”(Nel paese), lui e i suoi compagni
percorrevano i due chilometri per andare a scuola, tornavano per pranzo
e nuovamente a scuola. Ricorda di aver avuto parecchi insegnanti: il Maestro
Balbo, il Maestro Gallo, il Maestro Cigliutti, la maestra Natassia che veniva
da un paese di montagna vicino a Mondovì e ancora la Maestra Bordino.
Fin dai primi anni di scuola
Libero tornava alle 16 e - < Piava tre o quatr vache e sés o sèt fè>(prendevo
le quattro mucche e le sei o sette pecore) e le portava <an pastura antì
gorèi> al pascolo sulle sponde del Tanaro dove vi sono ancora oggi le piante
di “gora”(salici). Aveva sempre il libro “sota r’asselle” (sotto il braccio), e
mentre gli animali pascolavano lui studiava. A quei tempi da tutte le cascine
del circondario, Balluri,Bordini,Albesani si portavano le mucche nei gorreti
del Tanaro. C’erano circa ottanta o novanta mucche che pascolavano lungo il
Tanaro, pagavano l’affitto al Comune. Le mucche erano valide come i buoi e le
utilizzavano per tutti i lavori. Andò a scuola fino in quarta classe poi, il
giorno che morì suo padre disse al Maestro Balbo:
-< Doman vèn pì nèn a scora!>(domani non
vengo più a scuola!> Doveva lavorare per
“fé andé rà cassina> (per tirare avanti la cascina). La mamma
svolgeva il lavoro di sarta e produceva le tome da vendere, toccò a lui farsi
carico del lavoro nelle vigne e nei campi. Per un po’ di anni lui e la mamma
tennero il sistema del papà.
A VENDERE LE UVE
Si portava a vendere l’uva ad Alba, tutte le
piazze erano piene di “carton”(Carri) con “j’arbi”(navazze) piene di uva. A
Neive e Alba vi erano tanti “Sènsàl “(Mediatori) e Libero ricorda Gepo
Terranino, Giacon Tognin e Carlucio, Centin Vacca, Gioaninèt ma lui era molto
amico con Leonin Giacosa.
Se però volevi guadagnare un
po’ di più portavi il carro in piazza e aspettavi i compratori che venivano
dalla pianura di Fossano, Savigliano, Saluzzo.
Libero dice che iniziò a
portare le uve in piazza che aveva ancora i pantaloni corti. <èm piava in
piazì!>(Mi divertivo!>. Caricava il contenuto di una “bonza giusta èd 90
miglia”(una botte di novanta Miriagrammi) dentro all’Arbi e col carton trainato
dalla mula si recava ad Alba per effettuare tre Mercati alla settimana.
I PARROCI DI NEIVE
Libero ricorda i Parroci della sua infanzia che si recavano tutte le Domeniche alla Chiesetta di San Gervasio per celebrare la Messa. Don Tarditi, con i grandi zoccoli, lo si sentiva arrivare da in casa, Don Gallo era quello che “on fava ra dotrina”( ci faceva il catechismo), e ancora ricorda Don Bollano.
Don TarditiRICORDI DELLA GUERRA
In tutti gli angoli vi erano nascondigli, vi erano
camere sotto terra.
Quando qui ai Balluri vi fu il rastrellamento io
dormii!-rimasi una notte su di un salice. I salici venivano “copà”potati e sarà
stato ampio due volte questo tavolo. Era situato di fronte alla Chiesa di San
Gervasio.
Qui era un inferno, i nazifascisti giravano casa per
casa a cercare i partigiani e prelevavano giovani e uomini.
Fuggii a Magliano Alfieri da mia sorella e potevo
starmene tranquillo, ma non lo ero e pensavo sempre a mia madre e alla casa,
così una notte feci ritorno. Aprii lentamente “na girosia”(persiana), per
vedere se tutto era a posto ed ebbi la sorpresa di notare due “ufficiali
tedeschi” che dormivano in cucina, stazionarono una settimana a casa nostra. A
quel punto richiusi piano la persiana e ripresi la strada per Magliano.
Nella nostra stalla, una sera rinchiusero 47 giovani
rastrellati partendo da Castagnole Lanze. Si resero conto che tra gli animali e
il posto ristretto sarebbero morti, e allora li trasferirono alla “Creusa” da
Nando, poi furono tutti deportati in Germania.
QUEL LANCIO DEVIATO
Un aereo sorvolò la nostra zona e avrebbe dovuto
effettuare un lancio per i partigiani che avevano la base qui sotto.
Improvvisamente però, quando fu dalla galleria ferroviaria fu deviato da
segnalazioni di qualcuno che avendo conosciuto i segnali fece sganciare in
un’altra zona. Fu un gioco da ragazzi asserire che l’aereo aveva sbagliato il
lancio. Corsero ad avvisare di andare a ritirare i bidoni con i materiali!
Peccato che altri bidoni, quelli con i soldi, erano stati prelevati e nascosti.
Fu la fortuna di qualcuno! Ormai son tutti morti.
Qualcuno però li vide, ma non parlò mai!
RACONTI REALIZZATI DA BEPPE
ISPIRATI A STORIE CONFIDATE
DA LIBERO
Vigina di PianPonga
La moglie di Remo era
originaria di Vesime e per questo le avevano appioppato il soprannome di ra
Vezmina. Donna energica e senza paura, Vigina, la prima prova della sua vita
l’ebbe quando dovette salvare il fratello Ezio preso prigioniero da gentaglia
che si spacciava per partigiani. Era successo che Ezio, ragazzino amante dei
cavalli, ne trovò uno in Belbo che pascolava libero e guardatosi attorno non
vide nessuno che potesse essere il proprietario. Lo prese per la cavezza e lo
portò a casa. Lo mise nella stalla e lo accudì strigliandolo e rifocillandolo.
Dopo qualche giorno arrivarono quattro o cinque giovinastri armati che
entrarono nella stalla della “Cà sotera” e diedero del ladro al fratello.
Presero lui e il cavallo senza fornire tante informazioni sul dove lo avrebbero
portato e cosa gli avrebbero fatto. Vigina li seguì per un po’, poi questi la
allontanarono in malo modo dicendole che se continuava a seguirli sarebbe stato
peggio per entrambi e se invece fosse tornata a casa dopo qualche giorno avrebbero
rilasciato il fratello. Tornò a casa a consolare Papà e mamma che già
avevano un dolore immenso nel cuore:
dell’altro figlio ”Mario” era arrivato il “Mortorio dalla Germania”.
I giorni trascorsero lenti e lei si andò ad
informare presso i vari gruppi di Partigiani finchè non riuscì a sapere che chi
aveva portato via suo fratello non erano partigiani ma delinquenti che
approfittavano della situazione per effettuare ruberie e procurarsi soldi.
Vigina non voleva crederci, ma se ne convinse quando individuò il gruppo che
teneva prigioniero il fratello. Si recò oltre Cisterna d’Asti e trovò gli
pseudo partigiani che senza tanta delicatezza le chiesero se aveva portato dei
soldi. Lei volle vedere suo fratello poi ritornò a casa e riferì a suo padre.
Trovò i genitori che disperati si erano rivolti a dei conoscenti Veri
Partigiani. Vigina accompagnata da Moscon (Renato Noè) e da tre o quattro dei
suoi tornò dove tenevano prigioniero il fratello. Il rischio fu altissimo, ma
gli amici Partigiani la scortarono e quando furono al covo, armi in pugno
intimarono di liberare Ezio. Quei delinquenti furono costretti a consegnare
Ezio. Il Partigiano Renato si fece consegnare anche il cavallo che servì a Ezio
e Vigina per tornare. Mentre i Partigiani amici tenevano a bada i rapitori,
Vigina e Ezio attaccarono il calesse e si avviarono raggianti, sia pure con la
tristezza nel cuore per il lutto dell’altro fratello Mario. Dopo un po’ li
raggiunsero Gion e Renato col sidecar e Fredo e Ciapabeu in bicicletta. Il
corteo al porto di Neive fu accolto dai
Portonè e dai ragazzi che pascolavano le mucche nei gorreti.
Si complimentarono con Ezio per il cavallo e
offrirono un po’ di vino. Dopo il trasbordo e la bevuta la combriccola riprese
il cammino dopo aver ringraziato per l’ospitalità e con la promessa che
sarebbero ritornati con tome e castagne per ricambiare. Scortati dai quattro
Partigiani ritornarono a casa e abbracciarono i genitori che non sapevano più
cosa pensare. La giornata si chiudeva, Ezio mise in stalla il cavallo e lo
asciugò e strigliò. I porcellini d’India e i conigli gli fecero festa. Il
Padre, Gepo ëd Pianponga e la mamma Clarin ringraziarono Moscon e i suoi e
dissero loro che sarebbero sempre stati i benvenuti alla loro cascina.
Grazie alla risolutezza di Vigina e
all’aiuto di quei bravi Partigiani si era ottenuto ciò che a tutta la famiglia stava a cuore:
portare a casa il fratello sano e salvo. Mentre i Partigiani scendevano in
Belbo sentirono musica di fisarmonica arrivare dai boschi. Era Mariolin di
Arguello che andava a Vijé dai Vezmin. La gioia per il ritorno di Ezio e Vigina
diede il via a una piccola festa. Vennero dalle cascine vicine e si ballò
nell’aia. Clarin, la mamma, guardava ballare dalla finestra e asciugandosi le
lacrime rilesse quel foglio che diceva del suo Mario morto lontano. Si alzò
dalla sedia, ripose anche l’ultima lettera di Mario che diceva di stare
tranquilli e che dov’era stava bene. Con quel pensiero si diede un “andi”(si
avviò) e aggiunse un pezzo di legno alla stufa. Poi chiamò il marito e gli
disse <pijme ra bota ëd řeuři, fass
doi fricieu!>. Gepo obbedì, andò in cantina e prese una bottiglia del
prezioso olio di nocciole, lo portò a Clarin e attese. Lei gli disse< va’
vai a cantarne due, al nostro Mario farebbe piacere sentirvi!> non se lo
fece ripetere due volte. Le diede un bacio sulla guancia e raggiunse Gioanin,
Vigin e Celin che, al tavolo, aspettavano solo “co tachèissa!”(che iniziasse).
Cantarono sottovoce, per rispetto al dolore della famiglia ma quando le ugole
furono calde alzarono il tono e dedicarono a Mario quella lode che fece voltare
anche la mamma . “Al ciel al ciel al ciel, andrò a vederla un dì!” Celin si
superò, la sua voce da sopranin, salì veramente quasi in cielo. Anche Mariolin
il fisarmonicista si fermò e si unì al canto, i ballerini entrarono ad
ascoltare, poi la festa continuò.
I LANCI INTERCETTATI
Nel periodo dei lanci degli
alleati avvennero dei fatti che furono a conoscenza di tutti ma che furono
fatti cadere nell’oblio con la scusante che erano tempi brutti e la paura e
l’invidia regnava sovrana. Marisa, dal Brich dra Casurera godeva di un palco
privilegiato per vedere che un tale che abitava poco distante effettuava strani
segnali con delle torce. Si sapeva che gli alleati dovevano effettuare
lanci per i Partigiani. Tutto fu
preparato, ma quando arrivarono gli aerei invece di sganciare i tubi sul prato
della Pellea, stranamente virarono e andarono a sganciare sul prato della
Nicchia. I Partigiani, pronti a recuperare i contenitori furono clamorosamente
beffati ma compresero bene dove erano caduti. Andarono sul posto ma arrivarono
tardi. Qualcuno aveva fatto sparire ogni traccia dei tubi e soprattutto del
contenuto. Pare che insieme ad armi, vestiario e cibo vi fossero dei manifesti
arrotolati che rappresentavano biglietti da mille ancora da tagliare.
Renzo dèr Fuin provvide a
nascondere i soldi in un fassiné e a comunicare ai Partigiani dove trovare le
armi e i tubi dei lanci, poi riuscì a trovare un nascondiglio sicuro: un campo
di grano in aperta campagna.
I Partigiani, compreso che
erano stati derubati dei soldi e si recarono nella zona della Zuppiera per
ottenere informazioni ma trovarono soltanto donne, ragazzini e anziani. Per
impaurire misero al muro qualche uomo e qualche giovane donna intimando che se
non avessero parlato li avrebbero fucilati. Vi era solo una ragazza che aveva
visto Renzo che segnalava e l’aereo che sganciava, ma non disse nulla e si
portò il segreto nella tomba. Ogni tanto sognava di quei lanci e del rumore
dell’aereo ma al mattino guardava la sua bella famiglia e si convinceva di
avere fatto la scelta giusta.
DA UNA STORIA VERA CON NOMI DI FANTASIA
Vigina di Pian Ponga
La moglie di Remo era
originaria di Vesime e per questo, come a tutti i Virot le avevano appioppato
il soprannome di ra Vezmina . Donna energica e senza paura, Vigina, la prima
prova della sua vita l’ebbe quando dovette salvare il fratello Ezio preso
prigioniero da gentaglia che si spacciava per partigiani. Era successo che
Ezio, ragazzino amante dei cavalli, ne trovò uno in Belbo che pascolava libero
e guardatosi attorno non vide nessuno che potesse essere il proprietario. Lo
prese per la cavezza e lo portò a casa. Lo mise nella stalla e lo accudì
strigliandolo e rifocillandolo. Dopo qualche giorno arrivarono quattro o cinque
giovinastri armati che entrarono nella stalla della “Cà sotera” e diedero del
ladro al fratello. Presero lui e il cavallo senza fornire tante informazioni
sul dove lo avrebbero portato e cosa gli avrebbero fatto. Vigina li seguì per
un po’, poi questi la allontanarono in malo modo dicendole che se continuava a
seguirli sarebbe stato peggio per entrambi e se invece fosse tornata a casa dopo
qualche giorno avrebbero rilasciato il fratello. Tornò a casa a consolare Papà
e mamma che già avevano un dolore
immenso nel cuore: dell’altro figlio”Mario” di cui era arrivato il “Mortorio
dalla Germania”.
I giorni trascorsero lenti e lei si andò ad
informare presso i vari gruppi di Partigiani finchè non riuscì a sapere che chi
aveva portato via suo fratello non erano partigiani ma delinquenti che
approfittavano della situazione per effettuare ruberie e procurarsi soldi.
Vigina non voleva crederci, ma se ne convinse quando individuò il gruppo che
teneva prigioniero il fratello. Si recò oltre Cisterna d’Asti e trovò gli
pseudo partigiani che senza tanta delicatezza le chiesero se aveva portato dei
soldi. Lei volle vedere suo fratello poi ritornò a casa e riferì a suo padre.
Trovò i genitori che disperati si erano rivolti a dei conoscenti Veri
Partigiani. Vigina accompagnata da Moschin e da tre o quattro dei suoi tornò dove
tenevano prigioniero il fratello. Il rischio fu altissimo, ma gli amici
Partigiani la scortarono e quando furono al covo, armi in pugno intimarono di
liberare Ezio. Quei delinquenti furono costretti a consegnare Ezio. Il
Partigiano Renato si fece consegnare anche il cavallo che servì a Ezio e Vigina
per tornare. Mentre i Partigiani amici tenevano a bada i rapitori, Vigina e
Ezio attaccarono il calesse e si avviarono raggianti, sia pure con la tristezza
nel cuore per il lutto dell’altro fratello Mario. Dopo un po’ li raggiunsero
Nigio e Renato col sidecar e Fredo e Ciapabeu in bicicletta. Il corteo al porto di Neive fu accolto dai Portonè e
dai ragazzi che pascolavano le mucche nei gorreti.
Si complimentarono con Ezio per il cavallo e
offrirono un po’ di vino. Dopo il trasbordo e la bevuta la combriccola riprese
il cammino dopo aver ringraziato per l’ospitalità e con la promessa che
sarebbero ritornati con tome e castagne per ricambiare. Scortati dai quattro
Partigiani ritornarono a casa e abbracciarono i genitori che non sapevano più
cosa pensare. La giornata si chiudeva, Ezio mise in stalla il cavallo e lo
asciugò e strigliò. I porcellini d’India e i conigli gli fecero festa. Il
Padre, Gepo ëd Pianponga e la mamma Clarin ringraziarono Moscon e i suoi e
dissero loro che sarebbero sempre stati i benvenuti alla loro cascina.
Grazie alla risolutezza di Vigina e
all’aiuto di quei bravi Partigiani si era ottenuto ciò che a tutta la famiglia stava a cuore:
portare a casa il fratello sano e salvo. Mentre i Partigiani scendevano in
Belbo sentirono musica di fisarmonica arrivare dai boschi. Era Mariolin di
Arguello che andava a Vijé dai Vezmin. La gioia per il ritorno di Ezio e Vigina
diede il via a una piccola festa. Vennero dalle cascine vicine e si ballò
nell’aia. Clarin, la mamma, guardava ballare dalla finestra e asciugandosi le
lacrime rilesse quel foglio che diceva del suo Mario morto lontano. Si alzò
dalla sedia, ripose anche l’ultima lettera di Mario che diceva di stare
tranquilli e che dov’era stava bene. Con quel pensiero si diede un “andi”(si
avviò) e aggiunse un pezzo di legno alla stufa. Poi chiamò il marito e gli
disse <pijme ra bota ëd řeuři, fass
doi fricieu!>. Gepo obbedì, andò in cantina e prese una bottiglia del
prezioso olio di nocciole, lo portò a Clarin e attese. Lei gli disse< va’
vai a cantarne due, al nostro Mario farebbe piacere sentirvi!> non se lo
fece ripetere due volte. Le diede un bacio sulla guancia e raggiunse Gioanin,
Vigin e Celin che, al tavolo, aspettavano solo “co tachèissa!”(che iniziasse).
Cantarono sottovoce, per rispetto al dolore della famiglia ma quando le ugole
furono calde alzarono il tono e dedicarono a Mario quella lode che fece voltare
anche la mamma . “Al ciel al ciel al ciel, andrò a vederla un dì!” Celin si
superò, la sua voce da sopranin, salì veramente quasi in cielo. Anche Mariolin
il fisarmonicista si fermò e si unì al canto, i ballerini entrarono ad
ascoltare, poi la festa continuò.
DA UNA STORIA VERA CON NOMI DI
FANTASIA I lanci intercettati
Nel periodo dei lanci degli
alleati avvennero dei fatti che furono a conoscenza di tutti ma che furono
fatti cadere nell’oblio con la scusante che erano tempi brutti e la paura e
l’invidia regnava sovrana. Marisa, dal Brich dra Casurera godeva di un palco
privilegiato per vedere che un tale che abitava poco distante effettuava strani
segnali con delle torce. Si sapeva che gli alleati dovevano effettuare
lanci per i Partigiani. Tutto fu
preparato, ma quando arrivarono gli aerei invece di sganciare i tubi sul prato
della Pellea, stranamente virarono e andarono a sganciare sul prato della
Nicchia. I Partigiani, pronti a recuperare i contenitori furono clamorosamente
beffati ma compresero bene dove erano caduti. Andarono sul posto ma arrivarono
tardi. Qualcuno aveva fatto sparire ogni traccia dei tubi e soprattutto del
contenuto. Pare che insieme ad armi, vestiario e cibo vi fossero dei manifesti
arrotolati che rappresentavano biglietti da mille ancora da tagliare.
Renzo dèr Fuin provvide a
nascondere i soldi in un fassiné e a comunicare ai Partigiani dove trovare le
armi e i tubi dei lanci, poi riuscì a trovare un nascondiglio sicuro: un campo
di grano in aperta campagna.
I Partigiani, compreso che
erano stati derubati dei soldi si recarono nella zona della Topinera per
ottenere informazioni ma trovarono soltanto donne, ragazzini e anziani. Per
impaurire misero al muro qualche uomo e qualche giovane donna intimando che se
non avessero parlato li avrebbero fucilati. Vi era solo una ragazza, aveva
visto Renzo che segnalava e l’aereo che sganciava, ma non disse nulla e si
portò il segreto nella tomba. Ogni tanto sognava di quei lanci e del rumore
dell’aereo ma al mattino guardava la sua bella famiglia e si convinceva di
avere fatto la scelta giusta.
Nessun commento:
Posta un commento