DRAGO ALDO TRIFORAO con l'amico Carlo
https://youtu.be/yEVSh0lz-QA
ALDO DRAGO : l’intrepido Trifolao, dagli 8 agli 80
anni con più di duemila cani!”costumà” Addestrati.
Sono quasi settant’ anni che
vado per tartufi, ho iniziato verso gli otto anni con mio padre quando si
abitava ai Bordin di Treiso e devo dire che di “ trifore è rò rancane!” (di
tartufi ne ho trovati!). La salute mi ha sempre accompagnato e ancora adesso, che
ho ottant’anni, se qualcuno volesse fare una scommessa a chi arriva prima, a
piedi, da qui (Val Tinella) fino a Mango sarei disponibile. Però non trovo
nessuno! Forse han “pao èd pèrde”(hanno paura di perdere!). Una ventina di anni
fa eravamo al Sergentin (cascina di Val Tinella) si faceva ancora “ra rosa a
poé” (il gruppo a potare), eravamo in ventitre, qualcuno lanciò la scommessa a
chi riusciva a portare due sacchi di guano da 50 chili dalla Cascina èd Gori al
cortile del Sergentin e ritorno. Accettammo la sfida in una decina ed io che
ero il più anziano completai il percorso degli ottocento metri con il quintale
in spalla, mentre gli altri li persero per strada. La scommessa consisteva in
una cena che mi fu offerta in Pertinace.
Duemila
cani “costimà”addestrati da tartufi
Ho addestrato cani per dei
Tedeschi, per gente di Tortona ,Vercelli e ultimamente per un gruppo del Sud
Africa e uno della Norvegia.
Non vi svelerò il segreto per
addestrare i cani ma vi dirò soltanto che “mi ai can èi veui bèn!” (io ai cani
voglio bene!),parlo con loro e loro mi ascoltano. Basti dire che non ne ho mai
perso uno. Purtroppo me ne hanno ucciso alcuni con il boccone avvelenato e ho
persino pianto.
Na trifora grossa pèi d’na mica èd pan!
Quella notte Lila annusò
davanti a me, diede due raspate e si fermò, mi guardò e io le dissi “ a rè fora
neh!?”,diede un’altra raspata e si rannicchiò ai miei piedi, allora mi
inginocchiai e tolsi un po’ di sabbia con le mani per una superficie di venti
centimetri, ne scalfii un pezzo e assaggiai, era proprio un tartufo. Non usai
“èr sapin”(lo zappino), feci un buco molto grande ed estrassi “na bianca”(una
trifola bianca)di un chilo e due etti. La vendetti al Commendator Ponzio.
Tante soddisfazioni ma anche molti rischi.
Una mattina, era dalle otto di sera che giravo, incontrai due cacciatori, uno di questi fece un salto per scendere uno scalino di terra ma gli partì il colpo: non aveva la sicura! La rosa di pallini mi investì, ma devo ringraziare il giubbotto bagnato che aveva rallentato i pallini. Ne ho ancora sottopelle, ma lo spavento fu grande poiché sputavo sangue. I due cacciatori subito mi accompagnarono al Pronto soccorso e il Dottor Bubbio con la sua esperienza ci tranquillizzò. Spiegò che il giubbotto mi aveva salvato ma un pallino mi aveva centrato la faccia cicatrizzando la ferita esterna e lacerando l’interno della bocca. Infatti avevo una ferita nella guancia interna. Mi andò bene e son qui a raccontarlo! Dopo l’antitetanica mi accompagnò a casa mio fratello e ripartIi per tartufi preoccupando non poco il cacciatore che venuto a vedere come stavo non mi trovò a casa. Sgridò mia moglie perché mi aveva lasciato andare, “ah o rè sagrinasse bèn!”(ah era molto addolorato) per non avermi trovato! Come risarcimento per il danno procuratomi, mi avrebbe fatto assumere da Miroglio o alla Ferrero, ma non avendo la macchina e non essendoci la comodità della “corriera” rimasi a fare il contadino. Certo se avessi accettato il posto in fabbrica ora avrei una pensione ben più alta di quella dei Coltivatori, ma non avrei più trovato tanti tartufi!
Posti
da cinghiali
Due anni fa mi è successa
bella. Andai nello Rian (rocca) dei "Parod", che è proprio impervia. C’era tutto
un “bossoré”(intrico di rovi e bossi) con il sentiero dei cinghiali, questa
cagnetta novella “Lila” entrò nel sentiero, lo risalì per un po’ e tornò
scodinzolando. Capìi che aveva annusato il tartufo e mi infilai con lei nel
tunnel procedendo tutto piegato,quando fummo sul posto lei raspò e la fermai.
Ubbidì come sempre e estrassi un bel tartufo di un etto. Il problema era uscire
da quell’intrico, pensai un attimo e non trovai altra soluzione che proseguire
nel sentiero dei cinghiali finchè sbucai alla località Parodi con la cagnetta
che mi seguiva. Impiegai un’ora faticando ma il tartufo l’avevamo trovato.
Èr
sogn ‘n trà carzà!( un sonnellino nella carreggiata)
Una sera, verso le nove
arrivai ai Toninèt e i cani del cortile si misero ad abbaiare. Avevo già
trovato i tartufi e non avevo piacere di farmi vedere, così, mi accucciai con
la cagnetta nella fossa che aveva creato il carro e attesi che i cani si
zittissero. Mi addormentai e quando riaprii gli occhi il prato attorno a me non
era più verde bensì bianco “èd bruna”(di brina), non portavo l’orologio ma
compresi che stava facendo giorno. Attraversai il Tinella e mi avviai verso i
Barich per passare nella rocca di Neviglie, molto buona da tartufi. Neanche
quella volta non presi il raffreddore!
La
frana mi scoprì i tartufi
Dopo una settimana di pioggia,
neppure le raccomandazioni di mia moglie mi trattennero dall’uscire con Zor, il
mio cane, per andare nella rocca èd Rivaerta. Attraversai il Tinella che gonfio
d’acqua, se sbagliavo la pietra mi avrebbe trascinato fino a Neive. Mentre a
metà della rocca tiravo fuori un tartufo che Zor aveva fiutato sulla sponda
vicino all’acqua, mi cade un ramo sulla schiena e il cane era agitato. Alzo gli
occhi e vedo che si era staccata una frana grande come una casa che si portava
dietro pini pietre e terra. Con un balzo ci riparammo sulla costa, appena in
tempo per evitare di essere travolti. Certo ci fu lo “sbaruv!”, ma risalìi la
rocca e proprio dove si era staccata la frana trovai più di chilo di tartufi.
Tartufi
e pesci
Sempre in quell’anno, nella settimana di Natale, volli andare nei miei “Reu”, ma, tornando, per non farmi vedere da quelli del Sergentin, decisi di tenere il sentiero del Tinella. C’era il ghiaccio sul bordo del torrente e nonostante fosse ancora buio, con la Superpila(pila da trifolao),vidi un bel pesce che sgusciava sotto una pietra. Alzai la pietra e con grande sorpresa ne trovai altri otto dentro una piccola pozza, erano “Quaiastr” (cavedani) di tre, quattro etti l’uno. Li infilai nella tasca “cassadora”(posta dietro la schiena) e uscii dall’acqua bagnato fino alla pancia, con Zor che mi guardava stupito. Svuotai i gambali, mi tolsi le calze e mi avviai verso casa con il mio bottino di tartufi e pesci, il campanile di Trezzo batteva le otto.
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