sabato 5 ottobre 2024

CAVALLO ITALO 1936 Cerretto Langhe

 













LA MIA FAMIGLIA

Mio padre è Luigi e andò in guerra nel 1915/18, Quando tornò sposò mia Mamma Cavallo Maria. Da loro nascemmo mio fratello Giuseppe del 1921, mia sorella Paola, ed io del 1936

                             

 

 

MIO FRATELLO CAVALLO GIUSEPPE

Mio fratello era del 1921 e raccontò che dopo la Campagna di Francia, e quella Greco-albanese fu preso prigioniero e deportato in Germania come prigioniero. Lo facevano lavorare in una miniera dove per accedervi bisognava attraversare un corso d’acqua. Obbligavano lui e i suoi compagni a guadare il fiume immergendosi fino al petto e poi a lavorare tutto il giorno in miniera con gli abiti bagnati. Giuseppe si ammalò e perse la funzionalità di un polmone. Al termine della guerra rimase degente in Ospedale a Verona per parecchi mesi e poi fu trasferito a Gallarate vicino a Milano. Rientrò a casa solo dopo diciotto mesi di ospedale ma non ebbe lunga vita, morì a 59 anni.

 

 

DA MANOVALE E DA PAJARIN

                         

Quando avevo quindici sedici anni con Mario ‘d Fantin e Dolfo ‘d r’Ere si andava da manovali in Valle Talloria a “fé i rot” (fossati a scasso) nei filari” . Con la vanga realizzavamo un fosso con due vangate (60 /70 cm.) e gettavamo la terra nel fosso del filare precedente e coprivamo il letame che portavamo con la “Sivera” (barella di bastoni o assette). Il padrone che aveva già un trattore, portava il letame all’inizio del filare. Quanta fatica e freddo! Rimanemmo tre settimane e si era già ai Santi, ricordo una brina terribile. Si dormiva nella stalla, anche se non era “salute” poichè si respirava con sette o otto bestie e a rischio di essere calpestati. Al mattino presto, il padrone arrivava per “ciadlé èr bestie” ( dar da mangiare e pulire) e così noi eravamo costretti ad uscire e a riprendere il lavoro. Con i soldi guadagnati con quel lavoro mi acquistai la “vestimenta” Il vestito per andare alla Visita di Leva. Acquistai la stoffa e l’abito su misura me lo cucì Defabri Mario che faceva il sarto ed è il padre di Tiziana, Wilma ed Ugo.

Quando si andava alla Visita si faceva gran festa! Noi eravamo 13 “coscritti” e roma fara andé(abbiamo fatto festa) quattro giorni!

Prima di andare a lavorare alla Ferrero lavorai da manovale e da Pajarin dietro la machina da batè èr gran!(Trebbiatrice)

Mio padre aveva quindici giornate di terreni ma 8 giornate erano rive! E possedeva due mucche e un vitello. Andai perciò da Servitò a tre giorni la settimana o a tempo pieno. Non mi piaceva andare solo a tre giorni poiché mi lasciavano i lavori più pesanti! Iniziai poi a fare il Pajarin, io Mario e Vincenzo Sobrero eravamo al Servizio del Mancin del Ricca. Partivamo a piedi e la domenica pomeriggio andavamo a prendere la Corriera alla Pedaggera, poi da Ricca, il padre dei Rinaldi dell’olio con una Balilla trasformata in camioncino ci portava a Sommariva Perno ed arrivavamo verso le 20,00 e siccome a luglio vi erano ancora almeno due ore di giorno, si andava in un ‘Osteria dove faceva preparare un grande Grilèt di insalata  di pomodori e una fettina di gorgonzola per lui e noi cinque Pajarin si bevevano due bottiglie, poi si dormiva un po’ e al mattino presto si iniziava . Si effettuavano tanti “piazzamenti” e ci si doveva spostare tante volte per trebbiare dieci o venti o trenta sacchi di grano. Ricordo che il “mancin” urlava tantissimo per farci far presto! Si lavorava tutta la settimana e al sabato il Rinaldi ci veniva a prelevare a Sommariva o a Corneliano e ci portava qui in Piazza a Cerretto. Si arrivava che era mezzanotte. Quella vita la facemmo per tre o quattro  settimane per tre anni. Poi cambiammo padrone perché il Mancin ci pagava solo mille lire al giorno. Io e Mario ci sistemammo da uno di Monforte che ci pagava mille e trecento Lire per settanta giorni. Si andava anche nelle cascine di Corneliano. Una volta a causa di uno che fumava prese fuoco la macchina dalla postazione del “bateur” dove si immettevano i covoni dopo averli liberati della tortagna. Fortunatamente eravamo in un campo e siamo riusciti a spegnere rapidamente il fuoco!

Con il trattore “testa calda” e la macchina terminavamo la stagione alle cascine di “Arbi” quasi a Montezemolo. Era un lavoro duro, ma da giovani ci si divertiva. Si mangiava bene perché ogni famiglia ci preparava dei buoni pranzi con due o tre antipasti , pasta asciutta e secondo. Se il piazzamento durava solo nel pomeriggio ci passavano cena e preparavano “ra mnestra dèr bate èr gran”.  Era di brodo di carne o di gallina con pasta fatta in casa o tortellini, pezzi di fegatini di pollo, cuore e “pera” (duroni), cresta del gallo  verdure e conserva. Era speciale, il Mancin ed altri ci mettevano un bicchiere di vino!

 Certo che ci si stancava poiché iniziavi  verso le tre di mattina e terminavi che era mezzanotte, ma il lavoro variava e con i cambi ci si riposava un po’.

SCHERZO DI MARIO

Una volta Mario ci fece un bello scherzo: Al suo turno di riposo si allontanò un po’ dall’aia per non avere tanta polvere e si andò a coricare sotto un albero e si addormentò. Su cinque si ruotava e per dieci sacchi uno era al riposo e poi doveva rientrare. Quando terminò il suo turno di riposo lo cercammo ma non ci fu verso di trovarlo e così terminammo tra noi senza riposo. Lui si svegliò al mattino successivo. Il proprietario della macchina, di nome Ernesto gli fece una bella ramanzina, ma ormai lui si era riposato e noi avevamo svolto doppio lavoro! Cambiai ancora un datore di lavoro, era di Perno e si chiamava Giacomo Destefanis.

Quando nel 1961 morì mia mamma Maria, rimanemmo io mio padre Luigi e il fratello Giuseppe che essendo Mutilato ebbe un lavoro in municipio. Mia sorella Paola si era sposata l’anno prima e mio cognato mi trovò il lavoro alla Ferrero dove lui era autista del pullman che trasportava gli operai da Montà d’Alba. E così entrai alla Ferrero e vi rimasi per trentotto anni finchè andai in pensione.

Ero proprio mal messo, pensa che non avevo neppure una bici per raggiungere Albaretto dove veniva il pullman a prenderci. Per un po’ me la feci prestare dal cugino Angelo, e la legavo ad un albero perché temevo la rubassero!

 

 




I TEDESCHI A CERRETTO LANGHE

La prima volta che arrivarono i tedeschi a Cerretto Langhe era una Domenica sera (16 Gennaio 1944 conferma di Castagnotti Amedeo, Secco Carlo di Arguello, ) verso le 21,30 22,00. I giovani del paese furono avvisati e fuggirono tutti a nascondersi. Anche le ragazze si nascosero poiché era giunta l’informazione che tagliavano loro i capelli e le violentavano. Anche mia sorella Paola, del 1925 si nascose con le sue amiche alla Cascina “Paròd” di Proglio il padre di Gina, Emma,Pina,Giovanni e Luigi (prigioniero,Caduto in Germania.). Anche mio padre Luigi che a quel tempo aveva solo una cinquantina d’anni andò a nascondersi nel Cimitero vecchio, mio fratello Giuseppe era già prigioniero in Germania. Ricordo che rimanemmo soltanto io di nove anni e mia mamma Maria. I soldati tedeschi piombarono in casa nostra e occuparono la cucina a piano terreno stendendo i materassi. A me, terrorizzato al vedere quei sessanta uomini armati,  tolsero il materasso su cui stavo dormendo. Io molto impaurito non mi staccavo dalla gonna di mia madre. Molti tedeschi si misero a dormire nella nostra cucina altri gironzolavano per il paese. Più tardi, verso le 23,30, 24,00, ne arrivarono altri e chiesero a mia madre una padella per cuocere dei salamini che avevano negli zaini.

Nel frattempo, siccome mio padre dal suo nascondiglio non sentiva più rumori, decise di fare il giro largo dal “Borgàt” e non trovando nessuno giunse fin sotto casa nostra. Sentì che c’era gente che mangiava e togliendosi gli zoccoli fece finta di essersi svegliato da poco ed entrò. I militari continuarono a mangiare e a “batajé” (vociare nella loro lingua) senza dirgli nulla. Mio padre scese in cantina e portò un fiasco di vino che mise sul tavolo. I tedeschi ringraziarono e continuarono la loro cena.

Rimasero fino al mattino, poi presero in ostaggio “Gusto Defabri” il papà di Luciano e zio di Clara e si fecero “guidare”, obbligandolo in testa, verso Cravanzana. A quel tempo lo “stradone”(provinciale) non c’era ancora e vi era una “carraia”. Mi rimase impresso il rumore e la massa di uomini che scendeva verso il Belbo!, inquadrati per 4 la testa dello squadrone era da “r’Ere e gli ultimi erano ancora qui.

Quando questi se ne andarono, noi “marajon” (ragazzi) andammo a curiosare poiché, dove ora abita Mariulin il meccanico stazionarono per qualche giorno quattro carri armati. Avevano le bocche da fuoco che puntavano verso Feisoglio e verso Cravanzana.

Un altro ricordo è di quando venne un Partigiano che voleva nascondersi nelle nostre cantine. Mio padre lo seguì e gli intimò di saltare dalla finestra. Se fossero venuti i tedeschi e avessero trovato un Partigiano avrebbero incendiato casa e fienile come era successo al Bricco da Bertino dove distrussero casa e fienile. Anche da “Loùizèt dove vi era una casa utilizzata dai Partigiani i nazifascisti appiccarono il fuoco, ma non fu distrutta. Sempre in quell’occasione diedero alle fiamme anche la casa con Tabaccheria e osteria di Pedaggera di Filomena. Incendiarono anche la cascina in località ”Guardian” poiché avevano trovato nascosto un partigiano.

Durante quei rastrellamenti, i tedeschi arrestarono alcuni uomini del paese e li portarono a Ceva per interrogarli. Presero Augusto d’r’Ere,, Beppe Gelori del 1924 e Dolfo dèr Borgat padre di Beppe Valeria Fiorenza e Giorgio.

DEFABRI LORENZO                                           

                 
           " BILINO" FRATELLO            di De FABRI LORENZO





Il primo personaggio di cui voglio raccontare è il nonno di Clara. Il suo nome è Defabri Lorenzo, era una “Maznà dr’ospidal” un trovatello adottato dalla famiglia Broccardo genitori di Amabile detto”Bilino” qui di Cerretto Langhe. Lorenzo era il gestore della Tabaccheria che era nella casa lì di fronte, degli Abbate. Fino a pochi anni fa vi era ancora la scritta SALI E TABACCHI in blu. Un giorno decise di far sbancare il tratto di rocca dove siamo ora, che collegava il Castello all’Asilo. Non vi era né la strada né questa casa che fece poi costruire. Per andare in Castello la strada era quella che c’è dietro al bed and breackfast. Qui c’era la rocca alta dieci metri come il pezzo esistente! Lui era del 1874 e avrà avuto vent’anni o venticinque quando decise di abbattere sto pezzo di Rocca. Assunse un po’ di manovali a lavorare con piccone e carriola. A quei tempi vi erano tanti giovani che avevano poca campagna se non addirittura niente e quindi lavoravano come manovali per guadagnarsi il pane, Lorenzo oltre alla Tabaccheria  aveva una bottega e forno nella casa dove ora c’è il bed and breackfast  e cuoceva il pane. Si lavorò cinque o sei anni per sbancare questa rocca e la terra la portarono tutta nel versante che guarda Arguello( dove oggi io ho l’orto) con le carriole o con carretti trainati da bestie. Fu un imprenditore lungimirante poiché volle e realizzò l’idea di creare uno spazio per costruire una casa e spostare il negozio. Lui nacque a Monforte ma non volle conoscere sua madre che venne a cercarlo. Fu risoluto, si dice le abbia detto: <Non ti voglio vedere, mi hai abbandonato ed ora non ti accetto più!> Si sposò con Agostina Sobrero ed ebbero una bimba di nome Clelia che morì di Tifo a soli sei anni e sei figli: Giuseppe, Luigi, Augusto, Carlo, Mario e Roberto.

Lorenzo molto intraprendente , ogni settimana con il carro e due cavalli andava a Savona a effettuare commerci di alimentari e di utensili da cucina. Piatti, posate e pentolame. Dai paesi vicini, Arguello, Serravalle e altri venivano ad acquistare da lui ciò che serviva. Commerciava anche in uova, tome, agnelli e pollame e si diceva che anche sua madre di Monforte fosse commerciante dello stesso genere.

BAGNASCO DEI QUATTRO MULINI

Bagnasco, padre di Andrea e nonno di Flavia e Grazia anche lui “Venturin” fu un imprenditore di Mulini a pietra. Realizzò un primo mulino a pietra in località “Cavallotti” di Cerretto, in seguito mise in funzione il mulino dei Tre Cunei ed ancora mise in funzione un Mulino a Serravalle Langhe. Infine andò a Cervere e avviò un altro mulino. Proprio in questo mulino ebbe un incidente sul lavoro e morì!

Il figlio Andrea tenne per anni il negozio di alimentari a Cerretto e commerciava in nocciole, agnelli ,ecc.

RINALDI FILIPPO

Rinaldi Filippo fu un grande “Mirador” Muratore, lo ricordo che a piedi, armato solo di martello e cazzuola, si recava al lavoro. Se fosse vissuto ai giorni nostri sarebbe sicuramente un grande architetto. Realizzò, da solo delle case che imprese albesi non seppero terminare.

 

 PIETRO GORGIANI “GUARDIAN”

“Guardian” era il padre di Onorina della cascina “Erè”. Il suo nome era Gorgiani Pietro ed era anche lui un “Trovatello”

Era il Becchino del paese “sotrao”. Si racconta che nonostante fosse una persona molto forte, una volta gli successe un fatto che lo spaventò molto!

Tornò dal lavoro nella vigna che era sera e disse alla moglie: <Pinota vach ancora  a sotré col mort> (Pinota vado ancora a seppellire quel morto). Andò al Cimitero, scavò la fossa e intanto venne buio. Entrò nella Camera Mortuaria e da solo sollevò la cassa per andarla a deporre nella fossa, ma girandosi fece chiudere la porta. Che si apriva solo da fuori! Fu costretto a rimanere un po’ di ore chiuso là dentro al buio ed ammise di aver provato paura.

A Pietro, i tedeschi bruciarono il fienile poiché avevano trovato tracce del pernottamento di uno o più partigiani.

RICORDO DI “MOSCHIN”

                                        
  
                 

 

Mosca detto “Moschin”, era un personaggio caratteristico. Viveva con suo padre e poi da solo quando il padre morì. Andava a lavorare alla fornace di Monforte, poi quando questa chiuse svolgeva lavori da manovale. Alla sera veniva all’Osteria da Carolina ed aveva sempre una sciarpa rossa avvolta al collo.

Era un abile giocatore da Bresca(Briscola) e Marchè o ré( CARTÉ.) Giocava solo “testa a testa” Traficon, maneggiava rapidamente le carte e vinceva sempre lui, si giocava solo per come premio un caffè o cinque caramelle.

Una volta mise un pezzo di pollo in una pentola a cuocere e andò all’osteria. Qualcuno entrò in casa che lasciava sempre aperta e al posto del pollo mise un pezzo di legno. Quando tornò verso mezzanotte, al chiarore del fuoco del fornèl con una forchetta toccò per vedere se era cotto, sentì duro e andò a coricarsi lasciando la pentola sul fuoco tutta la notte. Al mattino nuovamente toccò senza guardare e riaccese il fuoco, lasciò la pentola sul fuoco commentando: ‘ss polastr o rè ancora dur paid in toch èd bosch! Stò pollo è ancora duro come un pezzo di legno!) Andò al lavoro e lo lasciò tutto il giorno. Alla sera finalmente guardò e capì che gli avevano fatto uno scherzo.

https://youtu.be/Jg4rtd4b7TY                 Cavallo Italo ricordo delle donne

SCHERZO AD ADELAIDE DELLA “BÈRTA”

Alla Cascina Bérta viveva una donna anziana di nome Adelaide, una volta invitò mia madre e tutte le donne anziane come lei forse a “taconè” Rammendare, e per invitarle disse che avrebbe fatto cuocere il gallo e così a mezzanotte avrebbero bevuto una tazza di brodo e mangiato un pezzo insieme. Mio padre, Cina ‘d Leo e altre che sapevano che andavano, verso le ventitrè entrarono nella cucina e senza farsi vedere, presero il gallo e misero nella pentola un mattone. Vennero a mangiarselo in paese e la povera Adelaide quando fu ora di servire il gallo trovò solo più il brodo. Si dice che comunque Adelaide e le sue amiche dopo il primo stupore riuscirono a scherzarci su!

RÀ PARTIJA A FIRÈ RÀ LANA (INCONTRO A FILARE)

Le donne si riunivano da noi o in altre cascine per filare la lana che sarebbe servita per realizzare Caossèt, corpèt, majè, bérte. Mi ricordo che molte volte arrivavano alle cinque di mattina e si riunivano nella stalla che era il posto più caldo, poi per pranzo si spostavano in cucina a mangiare i cizi o un pollo o una fetta di salame. Le rivedo, ognuna con la loro Roca: c’era mia madre  Maria, Cesarina,Fina, Leone Felicina, Albertina detta Beta che erdr’ospidal(trovatella) Ernesta, Borello Teresina, Corinta Cavallo la bisnonna di Clara ed altre ancora. Mentre lavoravano cantavano vecchi canti ed io e altri bambini ci incantavamo ad ascoltare quei bei motivi e le loro voci.

RÒ “SCARPÈNTON DIJ GIÒLÌ (Rà rissa, rà Masca)

Alla cascina Giòlì, abitava una donna anziana di nome Angiolina che aveva una gran capigliatura riccia e spettinata. Le avevano affibbiato parecchi “stranòm” soprannomi: Rà rissa, rà masca, ro scarpènton dij Giòlì.

 

CAMIOT DI MONFORTE

Qui in paese veniva anche Camiòt di Monforte , dedito alla compra-vendita di animali tome ,uova. Era imprevedibile e commetteva gesti che lo resero leggendario: una volta aveva due maialini da latte grandi quanto conigli e non riuscì a venderli, forse un po’ bevuto, li sbattè contro il muro della bottega uccidendoli, un’altra volta venne a vendere delle tome e a una donna che gli disse che non le comprava perché poco stagionate, Camiòt, per dimostrare che erano asciutte ne fece rotolare due o tre in piazza sprecandole!

Una volta, per una scommessa e per dimostrare che era un “mascon” gettò il portafogli con i soldi nella stufa di quattro piazze accesa, meno male che qualcuno si affrettò a tirarlo via dal fuoco. Non sapeva né leggere né scrivere ma guidava la macchina e una volta a Pedaggera lo fermarono i Carabinieri, lui, mentre il maresciallo gli diceva : <Patente e libretto> scese dall’auto si gettò la giacca in spalla e rispose mentrE si avviava a piedi: èr librèt o rè antèr cassiot, rà patente reu mai avura, tenive ra machina e lò chi jè ansuma!.

            

FOTO MURIALDO BRUNO

                Camiot a Roddino Trattoria la Miniera

 

                        FOTO Beppe Fenocchio

QUANTI BAMBINI A CERRETTO NEGLI ANNI 40!

Si parlava con Luciano e Clara e si ricordavano quanti bambini giocavano in piazza fino a non molti anni fa.  A me son tornati in mente quanti eravamo i nati del 1936. Eravamo 13 maschi e cinque femmine. Oggi ne nasce uno ogni dieci anni. Si giocava alla sera nella piazza ed in confronto al gruppo di quindici anni fa che erano già molti, una quindicina, quando ero bambino io a giocare a Tingolo saremo stati quattro o cinque gruppi da quindici.

Alle “Ere un gruppo, dalla valle del Roman e da me un altro gruppo e ancora qui in piazza, da Fantin, alla Capletta, al Bricco. Era tutto un vociare di “maraje” bambini

IL GIOCO DEL “TINGOLO”

Questo era il gioco che si faceva nelle sere in piazza. Praticamente il gioco del “Nascondino” Un bambino veniva scelto per contare al muro fino a trenta o sessanta mentre i compagni si andavano a nascondere, poi  girava a cercare e quando scopriva qualcuno andava a toccare il muro urlando Tingolo. Così facevano quei bambini che riuscivano ad arrivare prima al muro. L’ultimo scoperto diventava quello che avrebbe dovuto cercare nel gioco successivo.

RICORDO DEI MAESTRI E MAESTRE

Ricordo il maestro Bracco che veniva da Sinio. Molto severo, molte volte mi chiuse con altri nella scuola, per punirmi perché non avevamo svolto il compito.Era il fratello del marito di Pina.

Venne anche un maestro da Monchiero, che avendo un “tichio” (tic facciale) suscitava la nostra curiosità e smorfie, nascostamente neh!

La maestra della prima elementare fu Lubatti Gina e veniva da Carrù, abitava da Pinot.

Quando iniziai l’Asilo verso il 1940 era da due anni che lo avevano aperto qui a Cerretto.Fu il primo paese qui dei dintorni che ebbe l’asilo. Ricordo le suore e tantissimi bambini, poiché ne portavano anche da Serravalle Langhe. Già in quei tempi era Parroco Don Ravina che aveva l’abitudine di dire sempre “oh santa paz” oh santa pace!

IL PERIODO DEL “FASCIO”

Negli anni del “fascio” , io e mio fratello partecipavamo alle esercitazioni  che si tenevano il “SABATO FASCISTA” vestiti con la divisa e le “bandoliere incrociate!. I più piccoli eravamo chiamati Balilla e ci facevano marciare qui in piazza, Guai se scartavi o sbagliavi! I più grandi adavano a Serravalle.

Ci dirigeva un ”fascistone” che adesso è già morto. Ci obbligavano a salutare urlando “w il duce A NOI!”

 


STORIA DI UN FATTO DI “MASCHE”

Il nonno di Clara raccontò che una volta mentre scendeva per la strada del Belbo, improvvisamente gli apparve una “Caréra” in mezzo alla strada, aveva i cerchie occupava tutta la strada! Lui faceva anche il muratore ed aveva sempre il martello al seguito, lo estrasse e disse: <sa che ij tir ana poch i cérc! ( batto i cerchi affinchè siano meno lenti) e diede qualche martellata sui cerchi. Il giorno dopo dissero che una donna che dicevano fosse una “masca” era tutta livida alle braccia e al volto come avesse subito delle martellate. <Elo vèì ò rèlo in borèi!? >Sarà vero o sarà una storia?

A  me raccontarono questo!

 

 

 

 

 ITALO HA RICORDATO 

 CASCINE E LOCALITÀ DI CERRETTO LANGHE





 

 










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