OLIVERO ILMA 12 LUGLIO 1931 TORRE BORMIDA Nata in Loc. “Patriot- a ra Grela” poi vissi 3 anni a “la Villa di Cherasco”
Grazie al nonno che viveva a
Castino, mio papà seppe che era in vendita
la cascina del “Tornin” a Cravanzana e il 30 Aprile 1938 ci trasferimmo qui dopo aver venduto a Cherasco.
Iniziai le scuole a Villa di
Cherasco e poi frequentai fino alla quarta. Con la guerra, a maggio del ’40 i
bambini non andarono più a scuola e anche io rimasi a casa.
NONNO MICHLIN 1881 NONNA 1890
Mio nonno Gavarino Giovanni detto
“Michlin” del 1881 partecipò alla Guerra Europea e fu ferito. Tornato a casa
avviò un ‘ottima attività di “strop” (gregge e allevamento di bestiame). Lui
allevava pecore e buoi e quando venivano venduti, come da contratto veniva
diviso a metà il ricavato. Purtroppo con la svalutazione dovuta alla guerra, i
proprietari dei capi li acquistarono e il nonno rimase con un po’ di soldi
svalutati. Il tracollo segnò l’uomo e ne subì una forte depressione. A
sessant’anni si ammalò di tumore e pur operato a Cuneo non sopravvisse.
Mia mamma, Virginia si sposò a
sedici anni e nel 1927 partorì il primo figlio, nel ’29 nacque la sorellina
Secondina che morì a 18 mesi in seguito alle ustioni che si procurò
rovesciandosi addosso il caffè della caffettiera che era sulla stufa.
La mamma ne parlava
malvolentieri di quel fatto, ma si capiva che era rimasta turbata per sempre.
Aveva un “Ricciolo” della sua piccola e lo teneva gelosamente in un “tubicino”
alla catenina.
Anche il fratello Francesco a 28 anni morì in un
incidente con il camion . Si era sposato la Domenica ma il datore di lavoro di
Cossano gli chiese di sostituire un collega indisposto. Portò anche la moglie e
partirono per la Toscana con un carico di Cioccolato. Al ritorno con un carico
di paglia si schiantò contro un altro camion nei pressi di Cecina, lui morì sul
colpo, la moglie fu illesa poiché nella cuccetta.
PERIODO DELLA GUERRA
Con lo “sbandamento” dell’otto
Settembre, arrivarono tanti militari (dalle Caserme) e la nostra era la prima
cascina dove si fermavano, ricordo che la nonna e la mamma preparavano loro da
mangiare. Da noi si fermò un militare “Polizzi Giovanni del 1911 di Licata
Prov. Di Agrigento” rimase con noi fino al termine della guerra. Un altro
militare rimase solo pochi giorni poi si trasferì a Torre Bormida e rimase
presso un’ altra famiglia. Giovanni anche quando ritornò a casa continuò a
scriverci e a ringraziare per l’ospitalità.
Seppur bambina ricordo quando
venivano i partigiani e le partigiane e si fermavano a dormire sulla cascina.
Quando vennero i tedeschi
bruciarono per rappresaglia il mulino di Cravanzana e poi anche le cascine
della zona Vernea di Castino dove aveva la Cascina anche il nonno! Ben l’unica
che non bruciarono fu proprio quella deli nonni perché la nonna vedendo che
bruciavano tutto mise fuori tutte le masserizie. I nazifascisti le chiesero
perché avesse messo tutto fuori e lei con forza e coraggio:< se bruciate
tutto almeno salviamo qualcosa!> Il Comandante non la fece bruciare, e
pensare che in un Ciabot vicino alla casa vi erano gli Alpini della Monterosa
con il Capitano Franco. Io ero affascinata da quel gruppo che in quel casotto
si facevano da mangiare e alla sera si mettevano nel prato dietro e cantavano i
cori alpini. Ricordo che la nonna a volte preparava per loro gli gnocchi
cuocendo sulla stufa di ghisa a due buchi.
Ai bei ricordi si uniscono
anche fatti terribili. Quegli alpini a volte portavano nella sede dei fascisti
catturati e li fucilavano e poi seppellivano nel nostro terreno. Una volta mio
papà vide arrivare una donna scalza con il rosario in mano e sospinta da
Partigiani armati, fu fucilata. Mio padre quella sera non mangiò, tanto era
rimasto scosso da quella visione.
UN BRUTTO RISCHIO
Una volta ero andata dai nonni
a prendere una capra allo “strop”. Tornando, quando fui nello “rian”
(avallamento del rio) mi trovai davanti un uomo che era stato preso prigioniero
dagli Alpini della Monterosa ed aveva un barbone nero. Non sapendo che
intenzioni avesse tirai la capra e imboccai la strada che portava alla “Cà
rossa” dove mi confidai con quella donna. Quando fui a casa non dissi nulla del
pericolo vissuto e i miei lo seppero dalla donna. Mi vergognavo a raccontare il
fatto, ma erano altri tempi e noi si aveva paura di niente. Io andavo dalla
nonna, rimanevo fino a notte e con lei si faceva la torta sulla stufa “ed doi
buch” e poi al buio prendevo il sentiero, quando ero da “Bèrtromé”Bartolomeo, scendevo per la scorciatoia nello “rian” e
indovinavo il sentiero senza vedere nulla perché era già buio! Tolto quel
periodo della guerra in cui arrivarono dei forestieri, prima ci si conoscevamo
tutti sulla “Langa”.
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