CAVALLOTTO FILIPPO LEQUIO BERRIA 1925
Nato nel 1925 in una Cascina sotto la frazione
Garabelli di Borine, Filippo “Lipo” Cavallotto ricorda che aveva tre anni e
aiutava già la nonna. Andava a prendere una piccola “fascina” di legna e le
scopava la casa, lei in cambio gli dava due soldi e gli preparava “ra corniéla”
con “ra cognà”(treccina ripiena di Cotognata: mostarda di mosto fichi, mele, pere
cotogne, noci, nocciole) quando si
andava a cuocere il pane. A quei tempi si mangiavamo trenta chili di pane alla
settimana!
INCIDENTE AL NONNO
Il nonno, che proveniva da
Cerretto, “ o rava tacò èr capèl ao ciò” (aveva sposato la proprietaria della
cascina) portava la legna e le fascine ai panettieri di Alba. Con i figli
andava a tagliare legname nei boschi, lo preparava e con i buoi lo andava a
prendere in seguito. Con il cavallo e il carro lo consegnava ad Alba. Una
volta, mentre “oi dava ao torn” ( mentre tendeva le funi del verricello), in
località Sciapairon, rimase impigliato
con il mantello “ar Vapor”(Cavalletto a piramide rovesciata per l’appoggio del
carro) e toccò le gambe del cavallo che si avviò e fu fermato solo in Valgaia.
Il nonno fu trascinato sotto il carro e si conciò veramente male, tanto da non
poter più effettuare le consegne di legna. Aveva anche impiantato le viti e produceva
dell’ottimo vino. Venivano ad acquistarlo da Alba con i cavalli con “i ciochin”
(con i campanelli) e si sentivano già quando erano ai Tre Cunei! I
cartonè(carrettieri) si portavano il “barlèt” (barilotto da 5 litri) per averlo
gratuitamente, questa era l’usanza. Si produceva dell’ottimo vino anche perché
erano buone le posizioni dei vigneti. Una volta si beveva molto vino, ricorda
che un muratore disse alla nonna: Tanto
mi piace il vino che andrei volentieri dentro la botte(caréra).
ALLA VISITA DI LEVA
Da Lequio erano in 20 della
Leva del 1925. Li fecero andare alla visita nel 1943 perché c’era la guerra. Fu
dichiarato abile e partì solo Lui. Ascoltò il Podestà che gli disse: < Vai
tranquillo alla visita di leva che hai da vedere che siccome sei Mugnaio o ti
lasciano a casa oppure ti mettono nella Sussistenza!> Invece andò alla
Visita il sette Luglio e otto giorni dopo ricevette la cartolina Precetto. Fu
inviato in Francia e vi rimase tre mesi e mezzo. Qui a casa non sapevano dove
fosse finito e se fosse vivo o morto. Non poteva scrivere a casa e inoltre non
aveva documenti perché avevano preso loro tutto.
L’otto Settembre 1943 con l’Armistizio furono
radunati e chiesero loro cosa volevano fare. Erano un gruppetto di amici,
alcuni di Dogliani altri di Serralunga e si consultarono, decisero di accettare
di andare a lavorare, pensando che così
avrebbero avuto qualcosa da mangiare e invece capirono subito che erano
prigionieri. Ricorda che il giorno dei Santi vi erano due giorni di festa e
siccome erano affamati entrarono in un forno dove producevano e vendevano pane
e chiesero di acquistarne ma non lo ebbero poiché non avevano la Tessera
Annonaria. Usciti dalla “boulangerie”, dopo pochi passi si sentirono chiamare
da un signore francese che offrì loro un “filone di pane.
La situazione si faceva sempre più critica e qualcuno li avvisò di stare attenti perché sarebbero stati inviati in Germania. Infatti si vedeva sparire la gente e si diceva li avessero trasferiti in Germania. Allora decisero di fuggire, partirono alle due dopo mezzanotte, salirono su di un treno senza sapere dove si andava poi si incamminarono verso le montagne con l’intento di rientrare in Italia.
Fu una esperienza terribile, salirono verso il
“Colle delle Munie”2542 m. attraverso quelle montagne che, dice Filippo:-< noi non
avevamo mai viste.!> Partirono in cinque ma due compagni
non riuscirono a sopravvivere a quel gelo e alla fatica. Furono
costretti ad abbandonarli assiderati in un capanno di alta montagna dove si
erano riparati per alcune ore. Trovarono un montanaro che indicò un sentiero per valicare il Colle delle Munie ma finirono
in un burrone dove vi erano solo neve e sassi e a un certo punto avevano solo più la testa fuori! Non sa come
fece a uscirne vivo ma riuscì a raggiungere Chiappera e poi la casa a Lequio
Berria dove lo avrebbero atteso altre peripezie.
QUANDO TORNAI A CASA
FILIPPO:< Quando tornai, il
17 novembre venne una nevicata di mezzo metro, e ancora mi trovai in grande
difficoltà. Dovevo nascondermi, ma anche aiutare mio padre nella attività. Noi
compravamo il grano dai "partcolar" contadini della zona che ne
avevano un po' di più e temevano glielo requisissero . Lo compravamo, ma
dovevamo portarlo in Belbo da Bonino padre e figlio che erano commercianti non
solo di grano ma anche di uova ed altro. Con loro eravamo d'accordo che noi si
portava il carico in Belbo e poi da lì se ne prendevano responsabilità loro.
Purtroppo erano tempi in cui si rischiava molto ed era pericoloso girare con
carichi di roba che faceva gola a molti. Una notte, poiché a viaggiare di notte
non ci fidavamo, feci venire uno col carro e i cavalli e partimmo scendendo
verso la borgata Pianfré. Dopo un po' che viaggiavamo, a causa della pioggia
che aveva reso fangosa la strada, rimanemmo piantati e i cavalli non c'è la
facevano a procedere. Andammo a chiamare Filipin Castagnot che era un'ottima
persona e venne subito con le due mucche che riuscirono a rimuovere il carro.
Poi i cavalli non si fermarono più. Giunti in Belbo però, i Bonino non c'erano
e dovetti andare di corsa a casa loro. Però non li trovai e dovetti tornare dal
carro ad aspettarli. Dopo poco
arrivarono col camion e si potè trasferire il carico. Terminato, partii per
tornare, ma incontrai il padre che veniva ad avvisarmi di non tornare perché vi
erano i posti di blocco sia a Cerretto che a Lequio. Consegnai i soldi al papá
e gli dissi di nasconderli, poi mi
rifugiai in uno rian sotto Cravanzana. Feci in tempo ad accucciarmi sotto un
grande castagno, che vidi arrivare una colonna di S.S., contai 41 militi e mi
passarono a non più di due metri nel sentiero.
Un altra volta ero con due miei amici di Cravanzana PAGLIERI E RABINO, a casa di Rinaldo, e si decise di ascoltare i loro famigliari(Condino che aveva fatto l'altra guerra)
I
lavori di un tempo
Lipo rammenta che un tempo, in
Langa, vi erano persone che si massacravano col lavoro. Andavano a
“Piché”(arare il terreno (marna) con il picco poiché non vi erano altre
attrezzature. Il terreno morbido”cotura”, dove poter usare la zappa era poco e
così rompevano il tufo con il picco. La paga era di due lire al giorno con il
mangiare, polenta a colazione e pranzo. Erano anche molti i “manuà”(manovali)
che andavano a “sié”(falciare) tutta la giornata mentre il padrone andava alla
Fiera. Ricorda che erano molti i proprietari che avevano il “sèrvitò” o il
Manovale e afferma: “comandavo lor! Ra tassa ‘d famija ra favo paghé ai
cit!”(Comandavano loro! E la “tassa famiglia” la facevano pagare ai contadini o
artigiani che tribolavano a tirare avanti!” Con molta semplicità Filippo mi ha
fornito un quadro socio-economico degli anni quaranta. Grazie Lipo.
Il Mulino marca Zarelli
Il mulino Cavallotto fu
costruito nel 1910 dal nonno di Lipo e toccò al padre che era il più grande dei
quattro fratelli. Nel 1929 il nonno procedette al sorteggio dei beni e fece
scegliere i biglietti con le quattro parti per i figli.A scegliere i biglietti
fu lui, cioè il nipote che portava il nome del capostipite, nonno Filippo. Mise quattro “bièt antèr capèl”
foglietti nel cappello con scritto su ognuno una parte di averi e così i quattro figli ebbero
la loro eredità.
Negli anni della guerra si
macinava di notte per evitare i controlli e poter accantonare il macinato in
nero.
Orgoglioso del suo Mulino
afferma che nonostante l’età e il lavoro svolto è tuttora “ancèrmà”(Robusto).
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