lunedì 11 dicembre 2023

BRUNO RENATO MARSAGLIA 1927

 









Renato Bruno(1927) e Romana Canavese di Marsaglia

Con l’amico Agostino andammo a prendere il caffè da Romana e Renato di Marsaglia in una fredda ma “sclinta”(limpida) giornata di Dicembre. Da casa loro si spazia con lo sguardo sulle montagne e si chiacchiera delle cose di una volta come si fosse in un’altra epoca. Mentre prepara il caffè, Romana mi chiarisce che la loro famiglia si compone di ben 23 persone. I 5 figli con i nipoti hanno la buona abitudine di produrre il pane nel forno di famiglia e già questo lascia capire come l’unione famigliare dei Bruno e Canavese sia ancora un valore ben fondato. Un po’ di tristezza vela la voce di Romana nel chiarire che purtroppo, un figlio, Fotografo “o iè pù”(non c’è più), abitava con la famiglia a Ceresole e ha lasciato moglie e due figli.    

Maistant

La parlata di Renato e Romana è quella della Langa Cebana ma con inflessioni Murazzanesi e risulta dolce anche  se su alcuni termini oso chiedere lumi poiché da Langhetto della bassa Neivese fatico a comprenderne il significato. Ad esempio stoppo Renato sul termine “maistant” e mentre la signora Romana prende il vocabolario Rastlèire, il marito mi spiega che significa “squasi” e verificheremo che è usato proprio per dire a”malapena- a stento”.  

 

La Maestrina

Nei ricordi di Renato vi è un personaggio che mi incuriosisce e che mi servirà da spunto per approfondimenti. La Maestrina, una staffetta partigiana che scrisse un libro donatogli dallo zio Pietro Prete a Mondovì, fratello di sua mamma. “mio zio che era un Prete-Prete(per dire che aveva le idee giuste), aveva fatto la prima guerra Mondiale era Cavaliere di Vittorio Veneto, nascose la Maestrina in Canonica e scoperto dai Fascisti fu messo al muro perché parlasse, ma lui non parlò!”.

La Lambretta a ra pià feu!


Renato si infervora a raccontarmi che da giovane, dopo la bicicletta acquistò una Lambretta nel 1952 ma appena uscì la Vespa la preferì. In zona non si trovava e lui andò a comprarla a Savona. Costava ben cento e ottantamila lire ma “era più completa della Lambretta, aveva il raffreddamento ad aria!”. Passò alla Vespa dopo che portando “il cavagn dèr tome” e la mamma a Murazzano, quando fu dar Pilon, il motore si surriscaldò e la cesta si incendiò con gran spavento per la mamma. Fu così che diventò Vespista. Con la vespa si portavano ben due “cavagne”, ricorda Agostino, e Romana conferma: eh già, una delle uova e una con le tome!

Il Mercato a Murazzano

La signora Romana ricorda che dalla Chiesa dei Battuti a Murazzano mettevano il banco i commercianti di Canale, di Dogliani, i Mazzocchi di Barolo per acquistare le Tome, le uova e le galline. Mettevano il banco la   Occelli delle stoffe, Rita Oderda  di Dogliani. Da Carrù veniva il Materassaio, comprava la lana delle pecore oppure se la portava in laboratorio e realizzava i materassi. “Era una forma di scambio, la gente vendeva robiole, uova, galline e conigli e con i soldi ricevuti comprava stoffe, attrezzi ecc.”

L’organo della Chiesa


 Il motivo per cui l’organo della Chiesa non fu più suonato: “Molto prima della seconda guerra c’era un organista che al termine della Messa suonava con andamento ritmico non gradito al Parroco don Dotta che lo guastò  e l’organo non venne più suonato. Era organista Pietrin Schellino il fratello più vecchio di Mario ‘d Pinin quello che andò in America. Suonava la fisarmonica ed è su molte fotografie delle leve come “sonador”. Questa è la storia dell’organo dismesso perché sabotato dal Parroco che non accettava che in un luogo sacro si suonassero musiche laiche o peggio da ballo. Peraltro nel 1930 il Papa Pio XI aveva emanato una bolla affinchè non si suonassero in Chiesa musiche non religiose!

Negli anni 40, Renato con l’amico Schellino andò a scuola di organo a Dogliani dal maestro Cerato che era non vedente. Sospesero le lezioni nel 1943 quando a causa della guerra divenne pericoloso viaggiare. Nel frattempo, però, Renato acquistò per una brenta di vino un armonium a un pedale solo. “il maestro non è che avesse grandi risorse e per mangiare e bere fu costretto a vendere molte cose!”       

Il Gerarca Fascista

Nel periodo della guerra anche Renato , pur essendo giovane corse il rischio di essere arrestato. Era nei filari e sulla strada vide che saliva una autocolonna di nazifascisti. Piano piano si avvicinò al "cesso" in fondo alla vigna e vi entrò. Era una capanna con una “rairola”(tela di sacco). Fu notato e accusato di nascondersi, fortunatamente riuscirono a dimostrare che aveva solo sedici anni e non infierirono. Il gerarca era Farina, rinomato per la sua ferocia.

PRESTAI IL CAPPELLO AL PARTIGIANO GILDO MILANO

Renato rammenta quando per onorare il Maggiore Temple morto in seguito all’incidente successo a Marsaglia, venne una troupe per girare un film. Erano attori gli ex partigiani Bogliolo, Augusto Pregliasco,Milano(Gildo) e altri. A Gildo prestò il suo cappello da sposo e in cambio ne ebbe il libro: “Nebbia sulla Pedaggera”.

La Signora Romana ricorda i lanci che effettuavano gli Americani per sostenere i Partigiani. In particolare l’ultimo che avvenne l’11 Novembre del 1944. La famiglia Canavese fornì le lenzuola che furono stese a formare un aereo per segnalare dove doveva essere effettuato il lancio. Il campo era un pezzo unico di circa 6 giornate proprio dietro la cascina “Barela”

 

Borsa nera

Ai suoi nipoti, Renato e Romana raccontano di quando non avendo il sale producevano il pane con l’acqua di mare che portavano delle donne Liguri. Queste, in bicicletta venivano a scambiare l’acqua con vino e farina. “e a quei tempi ancora grazia ed mangé r’uva!” non come adesso che lasciamo marcire l’uva della “topia”(pergolato).

Prima di congedarci, Renato mi offre ancora la memoria della nonna. Ebbe 5 maschi e tre femmine, ai maschi tutti e 5 in guerra scriveva nella stalla. Si inginocchiava e sulla panca scriveva 5 lettere ai figli. Fortunatamente tornarono tutti sani e salvi.

Del nonno anziano ricorda un fatto che offre un grande insegnamento. Già molto anziano e malato di cuore si dedicava ai nipoti, faceva spostare delle pietre dalla stalla a dietro la casa e viceversa. Alla domanda del nipote più grande: a cosa servisse quel lavoro, la risposta fu: “Per gaveve da r’ossio!”.(Per togliervi dall’ozio).  E’ questo un principio educativo che non è più di moda ma che è servito a forgiare generazioni come quella di Renato e Romana che sanno coniugare sia in piemontese che in italiano il verbo “travajé”!  


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