FERRERO ARMANDO 1937 RODELLO
Io sono nato nel 1937 a
Rodello e già a sei, sette anni andavo al pascolo con le pecore.
FU TERRIBILE LA GUERRA!
Nel 1944 mi trovavo con le mie
pecore sotto Rodello lungo la Cherasca al confine con Lequio Berria. Eravamo io
e un mio compagno e notammo che dall’altra parte della Cherasca, sulla strada
denominata Belvedere transitavano i repubblicani. Ad un certo punto ci presero
di mira ed iniziarono a spararci, corremmo a nasconderci in un fosso e
sentivamo che miravano in basso per colpirci poiché ci cadeva la terra sulla
schiena.
Quando abitavo ancora a
Rodello, in uno dei tanti bombardamenti avvenuti, successe che un aereo nell’abbassarsi per scaricare uccise un
contadino che transitava con il bue nella strada che porta a Montelupo. Un'altra
volta un aereo mitragliò il gruppo di contadini che avevano effettuato il
piazzamento della trebbiatrice per “battere” il grano”. Quella volta lì non
ferirono né uccisero nessuno.
Mio papà Maggiorino era del
1909, fu richiamato e dopo l’otto Settembre 1943, con lo sbandamento tornò a
casa. Eravamo nel 1945 e io e mio padre che ci trovavamo io al pascolo lungo la
Cherasca e lui in un campo al lavoro, vedemmo un piccolo Aereo “caccia” che
attaccò una flotta di aerei inglesi che si distinguevano poiché avevano un’ala
scura.
Erano due flotte da dodici
aerei. Iniziarono a mitragliare il piccolo aereo, Io mi gettai in un grande
cespuglio di edera per proteggermi e le pecore impaurite mi seguirono. Ad un
certo punto l’aereo fu colpito e andò ad abbattersi in località Leviti di
Arguello. Anche questo fatto lo vidi con i miei occhi e mi spaventò tantissimo.
E ancora successe che ero a
scuola, in un banco vicino alla finestra e una raffica di mitragliatrice mandò
in frantumi i vetri ed io rimasi colpito dalle schegge.
Avevo sette, otto anni e
questi fatti mi procurarono tremende
paure, per parecchio tempo fui spaventato e a causa delle ferite e paure mi
irrigidii al punto che non riuscivo più a piegarmi per legare le scarpe.
In Urss gli Alpini videro cose
terribili ma si comportarono talmente bene da ricevere gli Onori dei Russi. A
fine guerra, gli alti comandi russi dissero che le uniche Divisioni a non
essere state sconfitte furono quelle degli Alpini.
Quando abitavo a Lequio Berria
si raccontava della storia dei due fratelli Noè, Modesto e …che per non perdersi nel gelo durante i
ripiegamento decisero di legarsi con le cinture. Si erano detti:<o torniamo
tutti e due o restiamo qui tutti e due.
Filippo Boffa, zio di un mio
coscritto, raccontò di averli trovati avvinghiati nel gelo e caricò sulla
slitta trainata dal mulo il fratello ancora vivo. Ne salvò anche altri, ma non
raccontava volentieri. Fu talmente traumatizzato dalla guerra che quando tornò
scelse di fare una vita solitaria senza sposarsi.
PIERA: La guerra rovinò tante vite. La fidanzata di mio zio “Rina” per mantenere la promessa fatta al suo amato Angelin, mio zio, non si sposò
NONNA CELESTINA BATTAGLIA
Armando racconta:
Mia Nonna Celestina Battaglia
era di San Benedetto Belbo, si sposò in prime nozze a Murazzano ma rimase
vedova e si sposò nuovamente ad Albaretto con Conterno. Raccontava che quando
aveva 15 o 16 anni per farsi luce in casa accendevano dei ramoscelli di pino
che erano oleosi di “pinora”.
Raccontava che venivano delle
nevicate talmente copiose che per andare dai vicini spalavano dei tunnel, e
ancora facevano spesa a novembre ed in paese andavano poi in primavera.
LA NONNA E LE NUORE
La famiglia dei Conterno
Gioanin tra la figlia delle prime nozze e i figli e nuore era composta da 17
persone. Non fu facile gestire soprattutto le tre donne che a volte litigavano
e peu iss parlavo pì nen!( e poi non si rivolgevano più la parola!). Lei faceva
da intermediario, riferiva quanto le dicevano! Una volta all’anno andava con
loro nella bottega del paese e comprava loro la stoffa per realizzarsi un vestito
o “paltò” del colore che preferivano. Questo era un modo astuto per cercare di
tenerle unite!
Chi comandava in casa ed
amministrava i soldi era la nonna!
Ricordo due anziani del paese che di nome facevano
Medeo e Giovanin. Portavano il bastone ma non per aiutarsi nel camminare, bensì
per “blaga”. A me piaceva ascoltare cosa si dicevano e ricordo che una volta
uno chiese : Ma ti, a cà seti èr padron?(tu a casa sei padrone?) L’altro
rispose: Sì, sì padron son mi, ma chi
comanda a rè mia fomra!( sì sì, padron son mi, ma chi o comanda à rè chila!( sì
sì, padrone sono io, ma chi comanda è lei!)
Il nonno, mè Parin (Padrino),
gestiva da “mazoè” mezzadro, ben due cascine della Famiglia Borgna. Doveva
preoccuparsi di lavorare 80 giornate di terreni! produceva 800 Mg. di uve
Dolcetto. Pur non essendo proprietario riusciva a prestare soldi ai ”Pianfré”
che erano noti “negossiant da bestie” (commercianti di animali.) Erano tre
fratelli: Gepin, Paolin e Vigin. Il nonno, nel 1920 prestò loro 10.000 Lire e
così avviarono l’attività. Gli furono sempre riconoscenti.
Nel 1946, poco prima che noi
venissimo via da Lequio, passò Vigin ‘d Pianfré con tre mucche, stava andando a
Mombarcaro. Mio padre gli disse: <
che belle mucche! Ne acquisterei una, ma non ho soldi.>
Questi gli disse: <scegli
quella che preferisci, me la paghi quando puoi> .
Mio padre riferì al suocero
Giovanin Conterno e gli disse: < speriamo non mi chieda i soldi, perché noi
non ne abbiamo!> il nonno lo tranquillizzò:< sta tranquill fin a quandi
mi èi ciam nèn i sod, chial o tij ciama nèn a ti!> ( stai tranquillo, finchè
io non gli chiedo di restituirmi i soldi che gli ho prestato lui non chiede i
soldi a te!). Loro per commerciare avevano sempre bisogno di liquidi!
I PARTIGIANI GL E GARIBALDINI
Ad Albaretto si insediarono i
Partigiani di Giustizia e Libertà. Una volta il Comandante chiese alla nonna di
preparare “ èr raviore” gli agnolotti per i suoi uomini. Erano circa duecento!
La nonna radunò le donne del paese e riuscirono a preparare il pranzo per
tutti. Il Capitano Libero (Porcari) fu talmente soddisfatto che volle pagare la
nonna e le donne non solo per i prodotti utilizzati ma anche per le ore di
lavoro dedicate! I GL di soldi ne avevano poiché ricevevano i lanci dagli
alleati! Invece i Garibaldini non ricevevano nulla e speravano nei contadini.
Avevano persino poche armi e qualcuno aveva solo un “bastone”. Loro erano a
Lequio, Montelupo, Serravalle, San Benedetto.
PIERA SAROTTO:
Mio papà per tutta la vita si
fece il problema di essersi salvato dalla guerra, mentre il fratello Angelo di un anno appena più giovane fu
inviato in U.R.S.S. e preso prigioniero
dai russi trovò la morte nel terribile campo di Tambow. Diceva sempre che il
fratello era una persona mite e che se fosse andato lui in U.R.S.S. se la
sarebbe cavata
SAROTTO: ANGELO DI
PIETRO
CASTAGNITO (CN/I) il 06/07/1915
GUARENE (CN/I)
Contadino FFAA Regie
DIV ALPINA CUNEENSE 2^ RGT
SOLDATO Luogo di morte: TAMBOW (URSS) il 05/05/1943
Papà Giuseppe
SAROTTO GIUSEPPE DI PIETRO
CASTAGNITO 1914
CALZOLAIO
ARMANDO: Il
papà di Piera raccontava che lui fu fortunato poiché quando fu portato nel
grande campo di prigionia si presentò al sindaco del paese che cercava un idraulico.
Pur non sapendo nulla di quel lavoro fu preso a ben volere dalla famiglia che
non lo lasciò più tornare nel campo. Anche se non conosceva la lingua tedesca
si dimostrò volenteroso e gran lavoratore. Quando seppe che erano arrivati gli
americani nonostante il Borgomastro (sindaco) e la famiglia che lo ospitava
insistesse perché non andasse via da loro, lui si avviò per rientrare in
Italia. Fu preso dagli americani e spiegò che i tdeschi che lo avevano aiutato
erano brave persone e così evitarono ritorsioni.
Grazie ad Armando e Piera si viene a conoscenza delle storie
di alcuni loro conoscenti che patirono la guerra in Prigionia ed è doveroso
onorarli!
SAROTTO
GIOVANNI 16 2 1922 CASTAGNITO caporale fanteria 260 ftr mobile
catturato il
12 9 1943
liberato il 5
maggio 1945
rientrato il
22 8 1945
SAROTTO LORENZO GUARENE 19 4
1921
SOLD FANTERIA 37 RGT. FTR.
CATTURATO A RODI 11 9 1943
LIBERATO IL 28 4 1945
Carlo Brondo, dice Armando,
subì la stessa sorte dello zio di Piera. Angelo fu Alpino e Carlo Soldato di
Fanteria, ma entrambi trovarono la morte dopo essere stati presi Prigionieri
dai Cosacchi o sovietici e portati nel
terribile Campo 188 di Tambow
da
IL Lager degli Italiani nel Paese dei Lupi –
1943 – 60 anni dopo. Inverno 2003 Rada. Casella postale 188, Unione Sovietica
-.
…………………………………………Quando
il treno raggiungeva i campi di smistamento e venivano aperti i vagoni
piombati, erano più i morti che quelli rimasti vivi. E' proprio in questa
foresta che verso il Natale del '42 arrivarono, mezzi congelati e vestiti di
cenci, i primi fanti dell'Armir, riempiendo uno dei più grandi campi di
concentramento dell'Urss, il lager 188 di Rada, nei pressi di Tambov, circa 480
chilometri a sud-est di Mosca. Accanto alla stazioncina ferroviaria c'è la
prima fossa comune. In sei mesi, dal dicembre del '42 entrarono a Rada 24mila
prigionieri, di cui 10.118 italiani. Il lager non era attrezzato per accogliere
tanti uomini, gli stessi carcerieri dormivano in ricoveri di fortuna. La
mortalità era altissima: 1.464 a gennaio, 2.581 a febbraio, 2.770 a marzo. In 10
mesi sono state registrate 14.433 morti. La percentuale dei deceduti fra gli
italiani del campo 188 è spaventosa: oltre il 70%. I racconti dei sopravvissuti
di quel periodo sono semplicemente agghiaccianti: fame, freddo, malattie.
Mancava tutto, fino alle cose più elementari. Le risse per un pezzo di pane
erano frequentissime. I morti non venivano nemmeno sepolti, così gli uomini del
bunker avevano una porzione in più da mangiare. L'abbrutimento era completo. Il
lager diventò presto un letamaio ed un lazzaretto: la dissenteria faceva strage
insieme al tifo petecchiale. I pidocchi non davano tregua e non si riusciva in
nessun modo a debellarli………………….
BRONDO CARLO di BOSIO ISIDORA E GIUSEPPE
NEVIGLIE (CN/I) il 29/01/1914
Fanteria
SOLDATO deceduto RADA (URSS) il 11/05/1945
Dopo essere già stato Prigioniero dei nazisti!
BRONDO CARLO NEVIGLIE 29 1
1914
SOLDATO FTR 82 BTG DI Cpl
(complemento) FTR
CATTURATO A LICLA IL 9 7 1944
INVIATO SUL FRONTE RUSSO
DECEDUTO A TAMBOW U.R.S.S.CAMPO
188 30 GIUGNO 1945
Sappiamo poco della storia del Fante Carlo Brondo, ma
effettuando collegamenti tra i fatti che coinvolsero il Battaglione “Torino” al
quale apparteneva Carlo si possono dedurre le vicissitudini che dovette patire
prima di morire!
il sacrificio del 81° e 82° Reggimento Fanteria
“Torino”.
Arbusow, conosciuta anche come Arbusovo è il palcoscenico
di una delle battaglie più cupe e sanguinose della seconda difensiva del Don,
svoltasi dal 21 al 25 dicembre 1942. In questo tratto del fronte orientale si è
svolta una lotta epica tra le forze italiane dell’ARMIR e le truppe sovietiche.
La situazione era critica per le truppe italiane, costrette a una ritirata
disastrosa a causa del crollo del fronte sul Don, causato dall’offensiva
dell’Armata Rossa iniziata il 16 dicembre 1942. Circondate dal nemico, tre
divisioni italiane e reparti tedeschi si trovarono accerchiati ad Arbusow. La
battaglia che ne seguì si trasformò in un inferno in cui il coraggio dei
soldati italiani fu messo duramente alla prova. Nonostante gli sforzi eroici,
la superiorità numerica e la potenza di fuoco delle truppe sovietiche si
dimostrarono schiaccianti. Molti soldati italiani persero la vita durante gli
scontri, mentre solo pochi fortunati riuscirono a sfuggire alla trappola
mortale. La conca di Arbusow fu denominata il “vallone della morte”, improntata
nella memoria dei superstiti italiani. Il prezzo pagato per questa vittoria fu
altissimo con il Reggimento che perse il 90% dei suoi uomini, le perdite subite
furono enormi
Dal sito dell’ASSOCIAZIONE “MEMENTO”
22 dicembre 1942: Arbusow il «Vallone della morte»
Un episodio leggendario circa l’ardimento dei militari italiani, si ebbe il
22 dicembre 1942 (tre giorni prima di un altro Natale di guerra). All’epoca i
superstiti della Divisione Torino, durante la ritirata si trovarono
completamente accerchiati, nella conca di Arbusow (Russia Bianca) dove, in un
mare di ghiaccio e continue tempeste di neve, la temperatura spesso raggiungeva
i 50 gradi sotto lo zero. Tutto concorreva a suscitare un’impressione orribile
di scompiglio e di morte. In un contesto tanto drammatico, non per niente i
nostri militari chiamarono Arbusow: «Vallone della morte», improvvisamente dal
blocco dei soldati italiani all’addiaccio, partirono al galoppo due cavalieri
che, come «Valchirie», invitavano gli altri a seguirli contro il nemico. Uno
dei due era il Carabiniere Giuseppe Plado Mosca, di anni 24, l’altro Mario
Iacovitti. In una mano stringeva il nostro Tricolore che divenne subito simbolo
di riscossa per tutti. Su questi due intrepidi militari si scatenò il fuoco
nemico, ma intanto il loro gesto aveva rianimato le energie superstiti di tutti
i soldati che, combattendo anche all’arma bianca, riuscirono a rompere
l’accerchiamento. Placatasi la furia della battaglia «riapparve», tra lo
stupore di tutti, il cavallo del Carabiniere «trascinatore». Era ferito ed
aveva la groppa macchiata con il sangue del suo cavaliere. Alla memoria del
Carabiniere Giuseppe Plado Mosca, fu concessa una Medaglia d’Oro al Valor
Militare.
Iacovitti Mario, nato nel 1921 a
Tufillo (Chieti)Esperto meccanico si arruolò volontario a 18 anni presso
l’auto-centro a Torino e nel maggio 1940 fu destinato al btg. chimico militare.
Dopo la breve parentesi delle Alpi occidentali nel luglio 1941 partiva con la
prima compagnia del primo btg. Chimico “A” d’armata destinato a far parte del
Corpo di spedizione italiano in Russia rimanendovi per oltre un anno e mezzo.
Durante il ripiegamento del dic. 1942 Iacovitti fu protagonista, ad Arbusow, il
cosiddetto “Vallone della morte” di un singolare atto di valore.
Dalla menzione della medaglia
d’oro: “Volontario in durissimi combattimenti difensivi, mentre l’unità di cui
faceva parte, completamente circondata, era premuta da soverchianti forze
nemiche, sfinito da più giorni di combattimento e con gli arti inferiori
menomati da principio di congelamento, in un disperato ritorno di energie,
riusciva a montare su di un cavallo e, tenendo alto sulla destra un drappo
tricolore, si lanciava contro il nemico, trascinando con l’esempio centinaia di
uomini all’attacco. Incurante della reazione avversaria, attaccava
ripetutamente. Alla quinta carica,rimasto miracolosamente illeso, dopo che una
raffica di mitragliatrice gli aveva abbattuto il cavallo, si trascinava ancora
avanti, carponi, verso una postazione di arma automatica nemica, della quale,
con fredda astuzia e straordinario coraggio, riusciva a d impadronirsi con
lancio di bombe a mano. Nel prosieguo della lotta disperata, travolto dalla
marea nemica veniva catturato. – Arbusow (Russia), 22 dicembre 1942”.
Sopravvissuto alla prigionia, anche perché aveva imparato il russo, giunse a
Milano fra i primi rientri, il 26 novembre 1945.
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