martedì 4 febbraio 2025

FERRERO ARMANDO RODELLO 1937

 


              FERRERO ARMANDO 1937 RODELLO

 

Io sono nato nel 1937 a Rodello e già a sei, sette anni andavo al pascolo con le pecore.

 

FU TERRIBILE LA GUERRA!

 

Nel 1944 mi trovavo con le mie pecore sotto Rodello lungo la Cherasca al confine con Lequio Berria. Eravamo io e un mio compagno e notammo che dall’altra parte della Cherasca, sulla strada denominata Belvedere transitavano i repubblicani. Ad un certo punto ci presero di mira ed iniziarono a spararci, corremmo a nasconderci in un fosso e sentivamo che miravano in basso per colpirci poiché ci cadeva la terra sulla schiena.

Quando abitavo ancora a Rodello, in uno dei tanti bombardamenti avvenuti, successe che un aereo  nell’abbassarsi per scaricare uccise un contadino che transitava con il bue nella strada che porta a Montelupo. Un'altra volta un aereo mitragliò il gruppo di contadini che avevano effettuato il piazzamento della trebbiatrice per “battere” il grano”. Quella volta lì non ferirono né uccisero nessuno.

 

Mio papà Maggiorino era del 1909, fu richiamato e dopo l’otto Settembre 1943, con lo sbandamento tornò a casa. Eravamo nel 1945 e io e mio padre che ci trovavamo io al pascolo lungo la Cherasca e lui in un campo al lavoro, vedemmo un piccolo Aereo “caccia” che attaccò una flotta di aerei inglesi che si distinguevano poiché avevano un’ala scura.

Erano due flotte da dodici aerei. Iniziarono a mitragliare il piccolo aereo, Io mi gettai in un grande cespuglio di edera per proteggermi e le pecore impaurite mi seguirono. Ad un certo punto l’aereo fu colpito e andò ad abbattersi in località Leviti di Arguello. Anche questo fatto lo vidi con i miei occhi e mi spaventò tantissimo.

E ancora successe che ero a scuola, in un banco vicino alla finestra e una raffica di mitragliatrice mandò in frantumi i vetri ed io rimasi colpito dalle schegge.

Avevo sette, otto anni e questi fatti  mi procurarono tremende paure, per parecchio tempo fui spaventato e a causa delle ferite e paure mi irrigidii al punto che non riuscivo più a piegarmi per legare le scarpe.

 

 

 

 

 

In Urss gli Alpini videro cose terribili ma si comportarono talmente bene da ricevere gli Onori dei Russi. A fine guerra, gli alti comandi russi dissero che le uniche Divisioni a non essere state sconfitte furono quelle degli Alpini.

Quando abitavo a Lequio Berria si raccontava della storia dei due fratelli Noè, Modesto  e …che per non perdersi nel gelo durante i ripiegamento decisero di legarsi con le cinture. Si erano detti:<o torniamo tutti e due o restiamo qui tutti e due.   

Filippo Boffa, zio di un mio coscritto, raccontò di averli trovati avvinghiati nel gelo e caricò sulla slitta trainata dal mulo il fratello ancora vivo. Ne salvò anche altri, ma non raccontava volentieri. Fu talmente traumatizzato dalla guerra che quando tornò scelse di fare una vita solitaria senza sposarsi.

PIERA: La guerra rovinò tante vite. La fidanzata di mio zio “Rina” per mantenere la promessa fatta al suo amato Angelin, mio zio, non si sposò

                 NONNA CELESTINA BATTAGLIA


Armando racconta:

Mia Nonna Celestina Battaglia era di San Benedetto Belbo, si sposò in prime nozze a Murazzano ma rimase vedova e si sposò nuovamente ad Albaretto con Conterno. Raccontava che quando aveva 15 o 16 anni per farsi luce in casa accendevano dei ramoscelli di pino che erano oleosi di “pinora”.

Raccontava che venivano delle nevicate talmente copiose che per andare dai vicini spalavano dei tunnel, e ancora facevano spesa a novembre ed in paese andavano poi in primavera.

LA NONNA E LE NUORE

La famiglia dei Conterno Gioanin tra la figlia delle prime nozze e i figli e nuore era composta da 17 persone. Non fu facile gestire soprattutto le tre donne che a volte litigavano e peu iss parlavo pì nen!( e poi non si rivolgevano più la parola!). Lei faceva da intermediario, riferiva quanto le dicevano! Una volta all’anno andava con loro nella bottega del paese e comprava loro la stoffa per realizzarsi un vestito o “paltò” del colore che preferivano. Questo era un modo astuto per cercare di tenerle unite!

Chi comandava in casa ed amministrava i soldi era la nonna!

Ricordo  due anziani del paese che di nome facevano Medeo e Giovanin. Portavano il bastone ma non per aiutarsi nel camminare, bensì per “blaga”. A me piaceva ascoltare cosa si dicevano e ricordo che una volta uno chiese : Ma ti, a cà seti èr padron?(tu a casa sei padrone?) L’altro rispose: Sì, sì padron son  mi, ma chi comanda a rè mia fomra!( sì sì, padron son mi, ma chi o comanda à rè chila!( sì sì, padrone sono io, ma chi comanda è lei!)

 

Il nonno, mè Parin (Padrino), gestiva da “mazoè” mezzadro, ben due cascine della Famiglia Borgna. Doveva preoccuparsi di lavorare 80 giornate di terreni! produceva 800 Mg. di uve Dolcetto. Pur non essendo proprietario riusciva a prestare soldi ai ”Pianfré” che erano noti “negossiant da bestie” (commercianti di animali.) Erano tre fratelli: Gepin, Paolin e Vigin. Il nonno, nel 1920 prestò loro 10.000 Lire e così avviarono l’attività. Gli furono sempre riconoscenti.

Nel 1946, poco prima che noi venissimo via da Lequio, passò Vigin ‘d Pianfré con tre mucche, stava andando a Mombarcaro. Mio padre  gli disse: < che belle mucche! Ne acquisterei una, ma non ho soldi.>

Questi gli disse: <scegli quella che preferisci, me la paghi quando puoi> .

Mio padre riferì al suocero Giovanin Conterno e gli disse: < speriamo non mi chieda i soldi, perché noi non ne abbiamo!> il nonno lo tranquillizzò:< sta tranquill fin a quandi mi èi ciam nèn i sod, chial o tij ciama nèn a ti!> ( stai tranquillo, finchè io non gli chiedo di restituirmi i soldi che gli ho prestato lui non chiede i soldi a te!). Loro per commerciare avevano sempre bisogno di liquidi!

 

 

 

I PARTIGIANI GL E GARIBALDINI

Ad Albaretto si insediarono i Partigiani di Giustizia e Libertà. Una volta il Comandante chiese alla nonna di preparare “ èr raviore” gli agnolotti per i suoi uomini. Erano circa duecento! La nonna radunò le donne del paese e riuscirono a preparare il pranzo per tutti. Il Capitano Libero (Porcari) fu talmente soddisfatto che volle pagare la nonna e le donne non solo per i prodotti utilizzati ma anche per le ore di lavoro dedicate! I GL di soldi ne avevano poiché ricevevano i lanci dagli alleati! Invece i Garibaldini non ricevevano nulla e speravano nei contadini. Avevano persino poche armi e qualcuno aveva solo un “bastone”. Loro erano a Lequio, Montelupo, Serravalle, San Benedetto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                        PIERA SAROTTO:


Mio papà per tutta la vita si fece il problema di essersi salvato dalla guerra, mentre il fratello  Angelo di un anno appena più giovane fu inviato in U.R.S.S. e  preso prigioniero dai russi trovò la morte nel terribile campo di Tambow. Diceva sempre che il fratello era una persona mite e che se fosse andato lui in U.R.S.S. se la sarebbe cavata

 

 


 

 

 

            

SAROTTO: ANGELO DI  PIETRO

CASTAGNITO (CN/I) il 06/07/1915

GUARENE (CN/I)

Contadino FFAA Regie

DIV ALPINA CUNEENSE 2^ RGT

SOLDATO Luogo di morte: TAMBOW (URSS) il 05/05/1943

 

Papà Giuseppe


SAROTTO GIUSEPPE DI PIETRO

CASTAGNITO 1914

CALZOLAIO

ARMANDO: Il papà di Piera raccontava che lui fu fortunato poiché quando fu portato nel grande campo di prigionia si presentò al sindaco del paese che cercava un idraulico. Pur non sapendo nulla di quel lavoro fu preso a ben volere dalla famiglia che non lo lasciò più tornare nel campo. Anche se non conosceva la lingua tedesca si dimostrò volenteroso e gran lavoratore. Quando seppe che erano arrivati gli americani nonostante il Borgomastro (sindaco) e la famiglia che lo ospitava insistesse perché non andasse via da loro, lui si avviò per rientrare in Italia. Fu preso dagli americani e spiegò che i tdeschi che lo avevano aiutato erano brave persone e così evitarono ritorsioni.

Grazie ad Armando e Piera si viene a conoscenza delle storie di alcuni loro conoscenti che patirono la guerra in Prigionia ed è doveroso onorarli!

 

SAROTTO GIOVANNI 16 2 1922 CASTAGNITO    caporale fanteria 260 ftr mobile

catturato il 12 9 1943

liberato il 5 maggio 1945

rientrato il 22 8 1945

 

 

SAROTTO LORENZO GUARENE 19 4 1921

SOLD FANTERIA 37 RGT. FTR.

CATTURATO A RODI 11 9 1943

LIBERATO IL 28 4 1945

 

 

Carlo Brondo, dice Armando, subì la stessa sorte dello zio di Piera. Angelo fu Alpino e Carlo Soldato di Fanteria, ma entrambi trovarono la morte dopo essere stati presi Prigionieri dai Cosacchi o sovietici e portati  nel terribile Campo 188 di Tambow

da

 IL Lager degli Italiani nel Paese dei Lupi – 1943 – 60 anni dopo. Inverno 2003 Rada. Casella postale 188, Unione Sovietica -.

…………………………………………Quando il treno raggiungeva i campi di smistamento e venivano aperti i vagoni piombati, erano più i morti che quelli rimasti vivi. E' proprio in questa foresta che verso il Natale del '42 arrivarono, mezzi congelati e vestiti di cenci, i primi fanti dell'Armir, riempiendo uno dei più grandi campi di concentramento dell'Urss, il lager 188 di Rada, nei pressi di Tambov, circa 480 chilometri a sud-est di Mosca. Accanto alla stazioncina ferroviaria c'è la prima fossa comune. In sei mesi, dal dicembre del '42 entrarono a Rada 24mila prigionieri, di cui 10.118 italiani. Il lager non era attrezzato per accogliere tanti uomini, gli stessi carcerieri dormivano in ricoveri di fortuna. La mortalità era altissima: 1.464 a gennaio, 2.581 a febbraio, 2.770 a marzo. In 10 mesi sono state registrate 14.433 morti. La percentuale dei deceduti fra gli italiani del campo 188 è spaventosa: oltre il 70%. I racconti dei sopravvissuti di quel periodo sono semplicemente agghiaccianti: fame, freddo, malattie. Mancava tutto, fino alle cose più elementari. Le risse per un pezzo di pane erano frequentissime. I morti non venivano nemmeno sepolti, così gli uomini del bunker avevano una porzione in più da mangiare. L'abbrutimento era completo. Il lager diventò presto un letamaio ed un lazzaretto: la dissenteria faceva strage insieme al tifo petecchiale. I pidocchi non davano tregua e non si riusciva in nessun modo a debellarli………………….


 

 

 

BRONDO CARLO di BOSIO ISIDORA E GIUSEPPE

NEVIGLIE (CN/I) il 29/01/1914

Fanteria

SOLDATO deceduto RADA (URSS) il 11/05/1945

Dopo essere già stato Prigioniero dei nazisti!

BRONDO CARLO NEVIGLIE 29 1 1914

SOLDATO FTR 82 BTG DI Cpl (complemento) FTR

CATTURATO A LICLA IL 9 7 1944

INVIATO SUL FRONTE RUSSO

DECEDUTO A TAMBOW U.R.S.S.CAMPO 188        30 GIUGNO 1945

 

 

 

Sappiamo poco della storia del Fante Carlo Brondo, ma effettuando collegamenti tra i fatti che coinvolsero il Battaglione “Torino” al quale apparteneva Carlo si possono dedurre le vicissitudini che dovette patire prima di morire!

il sacrificio del 81° e 82° Reggimento Fanteria “Torino”.

Arbusow, conosciuta anche come Arbusovo è il palcoscenico di una delle battaglie più cupe e sanguinose della seconda difensiva del Don, svoltasi dal 21 al 25 dicembre 1942. In questo tratto del fronte orientale si è svolta una lotta epica tra le forze italiane dell’ARMIR e le truppe sovietiche. La situazione era critica per le truppe italiane, costrette a una ritirata disastrosa a causa del crollo del fronte sul Don, causato dall’offensiva dell’Armata Rossa iniziata il 16 dicembre 1942. Circondate dal nemico, tre divisioni italiane e reparti tedeschi si trovarono accerchiati ad Arbusow. La battaglia che ne seguì si trasformò in un inferno in cui il coraggio dei soldati italiani fu messo duramente alla prova. Nonostante gli sforzi eroici, la superiorità numerica e la potenza di fuoco delle truppe sovietiche si dimostrarono schiaccianti. Molti soldati italiani persero la vita durante gli scontri, mentre solo pochi fortunati riuscirono a sfuggire alla trappola mortale. La conca di Arbusow fu denominata il “vallone della morte”, improntata nella memoria dei superstiti italiani. Il prezzo pagato per questa vittoria fu altissimo con il Reggimento che perse il 90% dei suoi uomini, le perdite subite furono enormi 

Dal sito dell’ASSOCIAZIONE “MEMENTO”

22 dicembre 1942: Arbusow il «Vallone della morte»

Un episodio leggendario circa l’ardimento dei militari italiani, si ebbe il 22 dicembre 1942 (tre giorni prima di un altro Natale di guerra). All’epoca i superstiti della Divisione Torino, durante la ritirata si trovarono completamente accerchiati, nella conca di Arbusow (Russia Bianca) dove, in un mare di ghiaccio e continue tempeste di neve, la temperatura spesso raggiungeva i 50 gradi sotto lo zero. Tutto concorreva a suscitare un’impressione orribile di scompiglio e di morte. In un contesto tanto drammatico, non per niente i nostri militari chiamarono Arbusow: «Vallone della morte», improvvisamente dal blocco dei soldati italiani all’addiaccio, partirono al galoppo due cavalieri che, come «Valchirie», invitavano gli altri a seguirli contro il nemico. Uno dei due era il Carabiniere Giuseppe Plado Mosca, di anni 24, l’altro Mario Iacovitti. In una mano stringeva il nostro Tricolore che divenne subito simbolo di riscossa per tutti. Su questi due intrepidi militari si scatenò il fuoco nemico, ma intanto il loro gesto aveva rianimato le energie superstiti di tutti i soldati che, combattendo anche all’arma bianca, riuscirono a rompere l’accerchiamento. Placatasi la furia della battaglia «riapparve», tra lo stupore di tutti, il cavallo del Carabiniere «trascinatore». Era ferito ed aveva la groppa macchiata con il sangue del suo cavaliere. Alla memoria del Carabiniere Giuseppe Plado Mosca, fu concessa una Medaglia d’Oro al Valor Militare.

Iacovitti Mario, nato nel 1921 a Tufillo (Chieti)Esperto meccanico si arruolò volontario a 18 anni presso l’auto-centro a Torino e nel maggio 1940 fu destinato al btg. chimico militare. Dopo la breve parentesi delle Alpi occidentali nel luglio 1941 partiva con la prima compagnia del primo btg. Chimico “A” d’armata destinato a far parte del Corpo di spedizione italiano in Russia rimanendovi per oltre un anno e mezzo. Durante il ripiegamento del dic. 1942 Iacovitti fu protagonista, ad Arbusow, il cosiddetto “Vallone della morte” di un singolare atto di valore.

Dalla menzione della medaglia d’oro: “Volontario in durissimi combattimenti difensivi, mentre l’unità di cui faceva parte, completamente circondata, era premuta da soverchianti forze nemiche, sfinito da più giorni di combattimento e con gli arti inferiori menomati da principio di congelamento, in un disperato ritorno di energie, riusciva a montare su di un cavallo e, tenendo alto sulla destra un drappo tricolore, si lanciava contro il nemico, trascinando con l’esempio centinaia di uomini all’attacco. Incurante della reazione avversaria, attaccava ripetutamente. Alla quinta carica,rimasto miracolosamente illeso, dopo che una raffica di mitragliatrice gli aveva abbattuto il cavallo, si trascinava ancora avanti, carponi, verso una postazione di arma automatica nemica, della quale, con fredda astuzia e straordinario coraggio, riusciva a d impadronirsi con lancio di bombe a mano. Nel prosieguo della lotta disperata, travolto dalla marea nemica veniva catturato. – Arbusow (Russia), 22 dicembre 1942”. Sopravvissuto alla prigionia, anche perché aveva imparato il russo, giunse a Milano fra i primi rientri, il 26 novembre 1945.

 


 

 

 

 

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