PAGLIARINO GIUSEPPE 1927
PEPPINO DIJ’AIMASS TREZZO TINELLA
FAMIGLIA DI PAOLINA E ANGELO
Io sono Pagliarino Giuseppe, ma tutti mi conoscono come Peppino degli “Aimassi”. Sono nato nella camera qui sopra nel 1927. In famiglia eravamo: il nonno materno, mamma, papà e due sorelle.
A me è
sempre piaciuto stare qui. Andai a scuola a Trezzo Tinella e frequentai fino
alla quarta Elementare. Si andava a piedi, percorrendo sentieri e strade
sterrate per circa tre mesi con gli zoccoli.Se pioveva ci prendevamo un
ombrello e se pioveva quando si tornava ci bagnavamo e quando si era a casa ci
cambiavamo! Fino agli anni cinquanta nella borgata Aimassi vi erano ben cinque
famiglie. Una era la nostra, quella di mio nonno, l’altra era quella del
fratello di mio nonno. Si abitava in questa lunga casa divisa dalla scala che
era condivisa per salire alle stanze da letto. Vi erano inoltre tre famiglie di
Mezzadri, una del fratello di mio nonno e due che abitavano nella casa oltre la
strada. Ora è completamente disabitata e di proprietà di Stella di Coazzolo.
Questa
casa la acquistarono nel 1919 mio nonno e suo fratello che provenivano da san
Donato. Mia mamma fece tre anni di scuola e poi venne ad abitare qui. Era la
prima di quattro sorelle e sposò mio padre che proveniva da Canelli. Come si
diceva, mio padre< ò rà tacò èr capèl ao ciò!> ( ha attaccato il cappello
al chiodo) e visse qui finchè mancò nel 1976.
SQUADRA
PARTIGIANI GL ALLO “RIONDINO”
Nella
cascina qui sopra allo “RIONDINO” a Marzo Aprile 1944 arrivò la Squadra del
Partigiani di Giustizia e Libertà comandata da Libero Porcari. Mio papà mi
disse che a quel tempo, Libero o Partigiano Beni, era Tenente degli Alpini, poi
diventò Generale. La formazione era di una ventina di uomini. Rimasero qui
tutta l’estate e nel periodo che furono qui ricevettero due Lanci dagli
Alleati. Avvennero in due sere consecutive e ci chiesero di collaborare con
loro. Andammo su e furono accesi tanti mucchietti di paglia che formavano una
zeta lunga 50/60 metri. Quando giunse l’ora fu ordinato di accendere i fuochi
mentre Libero con un grosso faro faceva dei segnali. Arrivò l’aereo dalla valle
e dopo un giro o due sganciò tutti sti paracadute. Ci avevano detto di
preparare due buoi con il Rabèl(slitta) per andare a caricare i bidoni. Toccò a
mio padre e al vicino l’incarico di andare a recuperarli. Fecero il giro e in
dieci minuti tornarono con il carico e lo portarono allo Riondino.
La sera
successiva vi fu un altro lancio e a me e al vicino che aveva 10 anni più di
me, era del 1917 ed era un personaggio di due metri di altezza, chiesero di
andare ad appostarci all’imbocco della strada sulla provinciale, affinchè
pattugliassimo e non lasciassimo passare nessuno. Temevano che Partigaiani di
altri gruppi, stanziati alla Langa, o ai Fiori( i Matteotti e in altri posti
vicini approfittassero per venire a sottrarre qualche bidone.Ci diedero un
Moschetto ciascuno e si andò a pattugliare .La sera prima i lanci caddero tutti
vicino, invece la secona sera furono “sbardajà” sparpagliati e ne scesero
perfino alcuni nelle rive lontane della località “Feisseu”. Impiegarono più
tempo a recuperarli e solo verso le tre o le quattro di mattina ci segnalarono
di rientrare.
Avevano
occupato delle camere della lunga casa dello Riondino e non ci diedero mai
nessun problema. Certo ogni tanto chiedevano una gallina o qualcosa da
mangiare, ma noi glielo davamo ben volentieri. Rimasero fino all’Autunno poi se
ne andarono.
Veramente
un problema ce lo lasciarono. Noi della Borgata ci eravamo costruiti un
Nascondiglio che passava sotto la strada e permetteva di uscire verso lo rian.
I partigiani quando scoprirono quel tunnel ce lo riempirono di bidoni dei
lanci. Per noi fu un duplice rischio. Primo perché non avevamo più dove
scappare in caso di emergenza. Ma soprattutto se i “fenomeni repubblican di
Alba “ avessero scoperto quel materiale potevano bruciarci tutto! Ma andò bene,
un giorno decisero di andare via. Svuotarono il nascondiglio, chiesero a mio
padre e ad un altro in fondo alla collina di attaccare i buoi al carro e
caricarono tutto. Partirono una sera per andare al Bricco Avene al confine con
Mango e Valdivilla. Non passarono per la strada più breve cioè dal Pilone del
Chiarla e Mango ma scesero a Neive per risalire da Coazzolo e Valdivilla, così
con i carri tornarono al mattino successivo.
Il
comandante dei Partigiani, un giorno, chiese alle donne di preparare da cena
per 27 partigiani. Era una Domenica pomeriggio e stavamo giocando a pallapugno.
Le donne e i capofamiglia si parlarono e organizzarono cosa preparare. Si
mangiò tutti insieme nella nostra cucina. Dopo la cena si avvicinò a me un
giovane partigiano meridionale e mi chiese che nome aveva la nostra borgata.
Libero sentì e gli chiese perché volesse saperlo. Questi gli disse che era per
scriverlo su di un quadernetto delle memorie. Il comandante si fece dare il
quaderno e lo sfogliò, poi gli disse: <Non va bene perché se questo quaderno
cade nelle mani dei fascisti, loro risalgono a queste famiglie e creano grandi
problemi!> Mentre diceva ciò, si avvicinò alla stufa accesa, alzò il
coperchio e vi lasciò cadere il quaderno. Il partigiano cominciò a sbraitare e
a dire che non ne poteva più e a inveire contro Libero. Questi lo lasciò
sfogare , poi battè un pugno sul tavolo e disse che era ora di andare a
riposare nella stalla. Sarebbero ripartiti alle 4 di mattina. Questo avvenne
prima che si trasferissero al Bricco Avene.
Noi non
avemmo mai problemi, né ricevemmo rastrellamenti. Invece poco distante, alla
borgata “Fiori” a cento metri dalla Chiesetta fu bruciata completamente una
casa che era stata utilizzata dai partigiani del gruppo “Matteotti”. , Il
Vescovo Luigi Maria Grassi, che cercava prigionieri da scambiare con persone
imprigionate da Gagliardi e Rossi.venne a parlare con Farinetti, proprio lì in
quel Ciabot.
Un giorno
d’estate vennero i nazifascisti e lo distrussero completamente.
CIARDI GIUSEPPE 30/01/1924 NAPOLI
Professione
ATTORE
FANTERIA CAPORALE
Nome di
battaglia TOTO'
PATRIOTA Formazione 6° BRG BELBO 2° DIV LANGHE Dal
01/03/1945 Al 07/06/1945
Giuseppe Ciardi del 1924 , essendo
del primo scaglione di leva, fu arruolato nei primi mesi del 1943 e
inviato ad Alba alla Caserma "Govone".
Dopo l’8
Settembre 1943, sarà stato il nove o il dieci, arrivò qui da noi. Giuseppe era
del 1924 ed era riuscito a fuggire dalla Caserma di Alba. Scongiurò i miei di
nasconderlo e a mio padre che gli chiese perché non andava con i Partigiani
disse piagnucolando che non gli piacevano le armi e che voleva solo lavorare in
cambio di un po’ di cibo o anche solo degli avanzi nostri. Mia nonna disse a
mio padre : <finchè abbiamo del pane per i cani possiamo mantenere anche
lui!> E così rimase con noi dal Settembre ’43 fino alla fine del ’44. Gli
ultimi mesi del periodo della guerra andò poi con i Partigiani di SAN DONATO
Aiutava
nei lavori di campagna, anche se non era capace poiché a Napoli svolgeva il
lavoro di barista, però si impegnava e “oi ra bitava tuta! E peu ancò an poch!
Al
termine della guerra ritornò a Napoli ma tutti gli anni in Primavera veniva a
trascorrere qualche giorno da noi, e io e la mia famiglia andammo da lui una
decina di volte. Io scendevo in inverno quando il lavoro in campagna era fermo.
Giuseppe si sposò ma non ebbe figli, si arruolò nella Polizia Marittima e
faceva servizio sulle navi. Quando io mi recavo a casa sua lui si prendeva una
settimana di ferie e mi faceva conoscere Napoli. Mantenemmo rapporti finchè 3 o
4 anni fa la moglie ci comunicò che “o jera mancà!”(era morto). In segno di
riconoscenza ci lasciò una medaglia con il Maschio Angioino e dietro i nomi di
mio nonno e mia nonna.
FERRERO SECONDIN DÒ CIABOTÉ
Secondin
Sarto e Barbiere viveva con la moglie che proveniva da Cappelletto, nella casa
a Trezzo dove adesso abita Sandri. Andai anch’io a fami preparare pantaloni e
giacca. Assumeva anche ragazze ad imparare il mestiere di Sarta. La Domenica
svolgeva anche attività di Barbiere. Tagliava soprattutto i capelli, poiché la
gente di campagna si arrangiava a rasarsi la barba. Ricordo che mio papà aveva
una cassetta, che conservo ancora, con dentro due macchinette per capelli,
forbice pettine e spazzola. Tagliava i capelli a tutti quelli della borgata e
si accontentava di 10 centesimi, mentre Secondin richiedeva una lira! Le
persone risparmiavano e lui diceva: < èm vagn da fumè!> MI guadagno da
fumare( fumava un pacchetto di sigarette alla settimana neh!).
Secondin
aveva invece il suo bel lavoro a Trezzo, dove ai tempi prima della guerra
contava più di 1000 abitanti!
I FENOCCHIO DI TREZZO TINELLA
Io ho
conosciuto Pinoto Fnoj ( Giuseppe Fenocchio) che fu Podestà al tempo del fascio
e padre di Onorina e Felice. La moglie era Pierina. La sorella Marieta sposò Revello
della Salumeria Panetteria di Neive.
Ricordo
bene Gepin Fnoj, era il messo Comunale ed il più temuto di Trezzo. Era un tipo
severo e incuteva un certo timore. Aveva due baffoni ed emetteva un Brrr! Con
le labbra per farsi obbedire. Anche in Chiesa, teneva l’ordine e se c’era chi
parlava li invitava ad andare fuori, e se erano marajott li prendeva per il
colletto e con un calcio in culo li sbatteva fuori! Noi ragazzi si giocava a
Riga o a Cioca con i”sod” e facevamo attenzione che non arrivasse Gepin ,
perché lui prendeva i soldi e li portava nell’Elemosine in Chiesa.
Fu il
padre di Gioanin e Gepina che sposò Scavino. Gioanin prese il suo posto come
Messo Comunale.
Fui amico
con Ernesto Fenocchio fratello di Tonin. Quando veniva a Trezzo da Benevello si
fermava sempre a far due parole. Era figlio di Quinto che conobbi.
Conobbi
anche i Fenocchio di Bossania, genitori di Gioacchino ucciso dal Camposanto
insieme a Luigi Patetta. Che morte insensata!
CHI ANDÒ IN
AMERICA
Qui sopra
alla Cascina Riondino abitava un vecchio soprannominato l’Americano, proprio
perché era stato in America. Anche i cognati di mio nonno erano emigrati in
America e finchè ci fui lui in vita si scrivevano due o tre volte all’anno, poi
non scrissero più.
PARTIGIANI
Dei
partigiani conobbi anche Lino Pelassa, un omone alto e giusto. Andai a scuola
con Sacco Maggiore
Quando
dopo le scuole, avrei potuto anche facilmente trovare un lavoro diverso dal
contadino, non lo feci perché non mi andava di lasciare papà e mamma da soli.
Si lavorava la campagna e nella stalla tenevamo i buoi, tre mucche e sette otto
vitelli. Finchè non arrivò il trattore utilizzammo buoi e mucche. La nostra
produzione era orientata all’uva Moscato e alle nocciole. Già a quei tempi
producevamo 25 /30 quintali di nocciole all’anno.
Partii
militare nel 1951 e svolsi il Servizio nei Bersaglieri rimanendo sempre in
Toscana.
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