venerdì 14 febbraio 2025

RAPALINO SANDRI INES E ORESTE

 


 

        


Testimonianza di Oreste Sandri nipote di Oreste 1923


Oreste e Giacinto catturati

Il  13 Febbraio 1945 una colonna di repubblichini giunse per la strada della Langa, quella che arriva dai Matelotti e passa sulla cresta, videro che nel cortile della cascina Belmondo di Benevello vi erano due uomini. Erano Sandri Oreste del 1923 e il vicino Gallesio Giacinto del 1919. Erano rientrati, Giacinto dalla Russia, e Oreste dalla Germania. Sia pure felici di essere ritornati a casa, avevano capito che per loro la guerra non era ancora finita e si erano costruiti un nascondiglio per evitare di essere scovati dai nazifascisti, che incattiviti, agli ordini di Rossi e Gagliardi, procedevano con dei terribili rastrellamenti alla ricerca dei Partigiani.

Quel giorno, Oreste e Giacinto furono sorpresi dai”repubblican”e non fecero in tempo a nascondersi. Alla chiamata dei fascisti con le armi puntate: “ ehi, voi due, venite su!” Compresero che per fuggire era tardi e non rimaneva che presentarsi, sperando dovessero soltanto rispondere a qualche domanda. Risalirono per il sentiero e dissero che loro avevano già contribuito con il loro servizio in guerra e non sapevano nulla dei Partigiani. Il capo di quella banda di fascisti sghignazzò e ordinò fossero legati, poi li costrinsero a procedere avanti a loro per fungere da scudo. Quando furono oltre la Chiesa della Madonna di Langa sbucarono sullo stradone e i partigiani che erano al Brich di Benevello spararono alcuni colpi. Come risposta a quegli spari, per rappresaglia, uccisero barbaramente Oreste e Giacinto. Li lasciarono “an trà cunetta”(nel fosso) e si diressero verso il paese di Benevello.

Dal Cassinot e dal Belmondo udirono gli spari, ma nessuno degli uomini, anche anziani, osava muoversi. Avevano il timore di essere presi anche loro. Teresa di Rapalino cognata di Oreste racconta che furono le mamme a chiedere alle ragazze Albina la sorella di Giacinto e a Pierina sorella di Nando cognata di Oreste.

-        Presto fate il piacere, mettetevi un “golf” (maglia) e andate a vedere dove hanno portato “sì matòt”(ragazzi).

Avevano visto che li conducevano via ma non sapevano dove li avessero portati. Pierina e Albina li trovarono nel fosso, morti.  Tornarono sconvolte a riferire. I fascisti non lasciarono effettuare il funerale e costrinsero qualche vecchio a caricarli su di un carro e a portarli nel vecchio cimitero. Purtroppo gli uomini giovani stavano nascosti, temendo che arrivasse un’altra colonna, e così li portarono in fretta e furia al cimitero.

Testimonianza di Rapalino Ines cognata di Oreste Sandri 1923


Quel 13 febbraio era il giorno delle Ceneri e vi era stata la celebrazione della Messa con funzione.

-        Uscimmo dalla Chiesa- racconta Teresa- e trovammo i repubblican. Chiesero dove fossero i Partigiani e dissero che se non parlavamo ci avrebbero bruciato la casa. Presero me e altre due amiche insieme a qualche anziano e ci obbligarono a procedere davanti a loro armati. Non c’era neve ma faceva freddo e noi eravamo ancora “masnarole”(Ragazzine), avevamo 17 anni. Bonor!(fortuna!) che le nostre mamme ci fecero indossare calze di lana e scarponcini!, perché ci fecero andare fino a Castino a piedi. Ci fecero procedere in fila indiana e ogni due o tre vi era un giovane armato, inoltre obbligarono il vecchio della Ca’ Lunga a trascinare due pecore che avevano requisito. Quei giovani di leva erano stati reclutati a forza e svolgevano malvolentieri quel servizio, ci dicevano che avevano paura anche loro ma dovevano fare cosa dicevano Gagliardi e Rossi per non rischiare di essere fucilati. Arrivammo a Castino, ci misero in una grande camera e la vecchia di casa fu mandata in cucina, non potè nemmeno rimanere a consolarci. Per dormire ci fecero portare della paglia. Ricordo che un mio zio, anche lui preso in ostaggio cercò di tranquillizzarmi dicendomi che finchè c’era lui non correvo pericoli. Per spaventarci fecero irruzione nel camerone e presero un anziano, mi pare fosse Riverdì e dissero che lo avrebbero ucciso. Questo uomo faceva proprio pena, terrorizzato si muoveva in continuazione con una borsa con un po’ di pane. Noi, si disse ai repubblican di non far del male a quel povero vecchio poiché aveva moglie e figli che lo aspettavano e non sapeva nulla dei Partigiani. Non so se furono le nostre parole o se fece “compassion”(Tenerezza) anche a quei tipacci, ma al mattino lo ritrovammo salvo. Da lì da Castino mandarono indietro a Benevello tutti gli anziani poiché erano troppi e temevano si rivoltassero.

Intanto che eravamo ancora a Castino vedemmo arrivare mio padre e la mamma di una delle mie amiche. Erano venuti per cercare di convincere i fascisti a rilasciarci, ma non ci fu nulla da fare. A mala pena ci lasciarono scambiare qualche parola. Per ascoltare cosa dicevamo c’era una guardia tra noi e mio padre e quella mamma. Fu in quella occasione che sapemmo dell’uccisione di Oreste e Giacinto. Noi pensavamo avessero ucciso dei Partigiani e invece avemmo quella triste notizia.

Mi viene in mente che a Messa c’era anche una mia cugina di Alba. Era sfollata a Benevello con la sua famiglia, ed era sempre con me. Costrinsero anche lei a camminare verso Castino, ma questa dopo poca strada, scivolò nel fango e cominciò a piagnucolare e lamentarsi, allora uno di quei capoccia disse: <scaraventatela indietro quella lì!> . Fu la sua fortuna, la fecero tornare indietro e fu affidata alle suore.

 

 Tennero solo noi tre e ci fecero camminare fino Lequio Berria, ma nel tragitto subimmo la sparatoria che i Partigiani iniziarono con i mitragliatori dal Bricco di Manera. Ci buttammo nelle cunette e riuscimmo a sfuggire e con grande paura arrivammo a Lequio. Qui ci sistemarono nuovamente a dormire su della paglia nelle aule della scuola e senza mangiare. Fortunatamente venne un brav’uomo che timorosamente ci portò qualcosa. Al mattino obbligarono le donne di Lequio a preparare le tagliatelle per la truppa di soldati. Ne fecero preparare così tanti che non sapevano più dove metterli, riempirono tutte le ceste da pasta di vimini e li fecero caricare sul camion dove fecero salire anche noi. Ci prendemmo un’altra grande paura perché mentre attendevamo la partenza, arrivò la notizia che la staffetta che doveva comunicare il via libera era stata uccisa dai Partigiani. Ci dissero che se la staffetta era tedesca non sarebbe successo nulla ma se fosse stata italiana avrebbero ucciso tre ostaggi, cioè noi. Ci abbracciammo piangenti ma andò bene che era italiana e così si partì alla volta di Diano d’Alba. La paura era molta poiché su quel camion non eravamo per niente sicure e temevamo che i Partigiani sparassero nuovamente. Un altro brutto momento lo passammo quando un’altra ragazza che avevano preso non so più dove,  a causa dei sobbalzi finì a sedersi sui tajarin. Apriti cielo! La sgridarono e malmenarono e tememmo se la prendessero anche con noi!

Attendemmo un po’ sul camion mentre loro portarono le tagliatelle a cuocere nell’osto di Perrone. Intanto vedemmo arrivare un’altra truppa di fascisti da Rodello. Questi avevano un “baso”(bastone per portare i secchi d’acqua) con appesi galletti polli e galline. Li gettarono sul velluto verde del biliardo e chiamarono noi a spiumarli, finito il lavoro se li fecero cucinare e noi ci inviarono in San Secondo ad Alba. Ci diedero delle coperte “pine èd pieui”(piene di pidocchi), e fummo sistemate, donne e uomini tutti in un sottoscala. Ci tennero due giorni e ogni tanto venivano a dirci:< se i vostri amici Partigiani ci fanno qualche attentato, vi bruciamo la casa, tanto sappiamo qual è!> Eravamo sempre più impaurite e speravamo che i Partigiani non effettuassero nessuna azione. Già una volta, per richiamare i partigiani avevano lasciato un camion carico di munizioni nella piazza proprio sopra casa nostra e volevano bruciare la casa perché i partigiani avevano sparato qualche colpo di mortaio dalla loro postazione del Brich di Manera.  I Partigiani erano di casa, da noi. Passavano dietro la casa e vedendo mia mamma che preparava i tajarin(taglierini) bussavano ai vetri e all’invito ad entrare cortesemente ringraziavano ma dicevano di dargliene un piatto da mangiare fuori!

Nel sottoscala della Chiesa di san Secondo ci tennero una notte e la paura fu proprio tanta. Si pensava anche ai nostri genitori che non avevano notizie di noi. Pensa, mia madre e mio padre avevano mio fratello Luigi prigioniero in Germania, senza alcuna notizia, ed ora me prigioniera dei fascisti e senza saper dove fossi finita! Quando, la mattina seguente ci rilasciarono trovai mia mamma che avendo immaginato ci avessero portato ad Alba era scesa a chiedere notizie. Al comando le avevano detto di non saper niente e di ripassare il giorno dopo. Così, lei, per non tornare a casa andò da una mia zia. Ci riabbracciamo dopo aver trascorso una notte insonne e piena di tristi pensieri e tornammo a Benevello a piedi.

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