Testimonianza di Oreste Sandri nipote di Oreste 1923
Oreste
e Giacinto catturati
Il 13 Febbraio 1945 una colonna di repubblichini
giunse per la strada della Langa, quella che arriva dai Matelotti e passa sulla
cresta, videro che nel cortile della cascina Belmondo di Benevello vi erano due
uomini. Erano Sandri Oreste del 1923 e il vicino Gallesio Giacinto del 1919.
Erano rientrati, Giacinto dalla Russia, e Oreste dalla Germania. Sia pure
felici di essere ritornati a casa, avevano capito che per loro la guerra non
era ancora finita e si erano costruiti un nascondiglio per evitare di essere
scovati dai nazifascisti, che incattiviti, agli ordini di Rossi e Gagliardi,
procedevano con dei terribili rastrellamenti alla ricerca dei Partigiani.
Quel giorno, Oreste e Giacinto
furono sorpresi dai”repubblican”e non fecero in tempo a nascondersi. Alla
chiamata dei fascisti con le armi puntate: “ ehi, voi due, venite su!”
Compresero che per fuggire era tardi e non rimaneva che presentarsi, sperando dovessero
soltanto rispondere a qualche domanda. Risalirono per il sentiero e dissero che
loro avevano già contribuito con il loro servizio in guerra e non sapevano
nulla dei Partigiani. Il capo di quella banda di fascisti sghignazzò e ordinò
fossero legati, poi li costrinsero a procedere avanti a loro per fungere da
scudo. Quando furono oltre la Chiesa della Madonna di Langa sbucarono sullo
stradone e i partigiani che erano al Brich di Benevello spararono alcuni colpi.
Come risposta a quegli spari, per rappresaglia, uccisero barbaramente Oreste e
Giacinto. Li lasciarono “an trà cunetta”(nel fosso) e si diressero verso il
paese di Benevello.
Dal Cassinot e dal Belmondo
udirono gli spari, ma nessuno degli uomini, anche anziani, osava muoversi.
Avevano il timore di essere presi anche loro. Teresa di Rapalino cognata di
Oreste racconta che furono le mamme a chiedere alle ragazze Albina la sorella
di Giacinto e a Pierina sorella di Nando cognata di Oreste.
-
Presto fate il piacere, mettetevi un “golf”
(maglia) e andate a vedere dove hanno portato “sì matòt”(ragazzi).
Avevano
visto che li conducevano via ma non sapevano dove li avessero portati. Pierina
e Albina li trovarono nel fosso, morti.
Tornarono sconvolte a riferire. I fascisti non lasciarono effettuare il
funerale e costrinsero qualche vecchio a caricarli su di un carro e a portarli
nel vecchio cimitero. Purtroppo gli uomini giovani stavano nascosti, temendo
che arrivasse un’altra colonna, e così li portarono in fretta e furia al
cimitero.
Testimonianza di Rapalino Ines cognata di Oreste Sandri 1923
Quel
13 febbraio era il giorno delle Ceneri e vi era stata la celebrazione della
Messa con funzione.
-
Uscimmo dalla Chiesa- racconta Teresa- e
trovammo i repubblican. Chiesero dove fossero i Partigiani e dissero che se non
parlavamo ci avrebbero bruciato la casa. Presero me e altre due amiche insieme
a qualche anziano e ci obbligarono a procedere davanti a loro armati. Non c’era
neve ma faceva freddo e noi eravamo ancora “masnarole”(Ragazzine), avevamo 17
anni. Bonor!(fortuna!) che le nostre mamme ci fecero indossare calze di lana e
scarponcini!, perché ci fecero andare fino a Castino a piedi. Ci fecero
procedere in fila indiana e ogni due o tre vi era un giovane armato, inoltre
obbligarono il vecchio della Ca’ Lunga a trascinare due pecore che avevano
requisito. Quei giovani di leva erano stati reclutati a forza e svolgevano
malvolentieri quel servizio, ci dicevano che avevano paura anche loro ma
dovevano fare cosa dicevano Gagliardi e Rossi per non rischiare di essere
fucilati. Arrivammo a Castino, ci misero in una grande camera e la vecchia di
casa fu mandata in cucina, non potè nemmeno rimanere a consolarci. Per dormire
ci fecero portare della paglia. Ricordo che un mio zio, anche lui preso in
ostaggio cercò di tranquillizzarmi dicendomi che finchè c’era lui non correvo
pericoli. Per spaventarci fecero irruzione nel camerone e presero un anziano,
mi pare fosse Riverdì e dissero che lo avrebbero ucciso. Questo uomo faceva
proprio pena, terrorizzato si muoveva in continuazione con una borsa con un po’
di pane. Noi, si disse ai repubblican di non far del male a quel povero vecchio
poiché aveva moglie e figli che lo aspettavano e non sapeva nulla dei
Partigiani. Non so se furono le nostre parole o se fece “compassion”(Tenerezza)
anche a quei tipacci, ma al mattino lo ritrovammo salvo. Da lì da Castino
mandarono indietro a Benevello tutti gli anziani poiché erano troppi e temevano
si rivoltassero.
Intanto
che eravamo ancora a Castino vedemmo arrivare mio padre e la mamma di una delle
mie amiche. Erano venuti per cercare di convincere i fascisti a rilasciarci, ma
non ci fu nulla da fare. A mala pena ci lasciarono scambiare qualche parola.
Per ascoltare cosa dicevamo c’era una guardia tra noi e mio padre e quella
mamma. Fu in quella occasione che sapemmo dell’uccisione di Oreste e Giacinto.
Noi pensavamo avessero ucciso dei Partigiani e invece avemmo quella triste
notizia.
Mi
viene in mente che a Messa c’era anche una mia cugina di Alba. Era sfollata a
Benevello con la sua famiglia, ed era sempre con me. Costrinsero anche lei a
camminare verso Castino, ma questa dopo poca strada, scivolò nel fango e
cominciò a piagnucolare e lamentarsi, allora uno di quei capoccia disse:
<scaraventatela indietro quella lì!> . Fu la sua fortuna, la fecero
tornare indietro e fu affidata alle suore.
Tennero solo noi tre e ci fecero camminare
fino Lequio Berria, ma nel tragitto subimmo la sparatoria che i Partigiani
iniziarono con i mitragliatori dal Bricco di Manera. Ci buttammo nelle cunette
e riuscimmo a sfuggire e con grande paura arrivammo a Lequio. Qui ci
sistemarono nuovamente a dormire su della paglia nelle aule della scuola e
senza mangiare. Fortunatamente venne un brav’uomo che timorosamente ci portò
qualcosa. Al mattino obbligarono le donne di Lequio a preparare le tagliatelle
per la truppa di soldati. Ne fecero preparare così tanti che non sapevano più
dove metterli, riempirono tutte le ceste da pasta di vimini e li fecero caricare
sul camion dove fecero salire anche noi. Ci prendemmo un’altra grande paura
perché mentre attendevamo la partenza, arrivò la notizia che la staffetta che
doveva comunicare il via libera era stata uccisa dai Partigiani. Ci dissero che
se la staffetta era tedesca non sarebbe successo nulla ma se fosse stata
italiana avrebbero ucciso tre ostaggi, cioè noi. Ci abbracciammo piangenti ma andò
bene che era italiana e così si partì alla volta di Diano d’Alba. La paura era
molta poiché su quel camion non eravamo per niente sicure e temevamo che i
Partigiani sparassero nuovamente. Un altro brutto momento lo passammo quando
un’altra ragazza che avevano preso non so più dove, a causa dei sobbalzi finì a sedersi sui
tajarin. Apriti cielo! La sgridarono e malmenarono e tememmo se la prendessero
anche con noi!
Attendemmo
un po’ sul camion mentre loro portarono le tagliatelle a cuocere nell’osto di
Perrone. Intanto vedemmo arrivare un’altra truppa di fascisti da Rodello.
Questi avevano un “baso”(bastone per portare i secchi d’acqua) con appesi
galletti polli e galline. Li gettarono sul velluto verde del biliardo e
chiamarono noi a spiumarli, finito il lavoro se li fecero cucinare e noi ci
inviarono in San Secondo ad Alba. Ci diedero delle coperte “pine èd
pieui”(piene di pidocchi), e fummo sistemate, donne e uomini tutti in un
sottoscala. Ci tennero due giorni e ogni tanto venivano a dirci:< se i
vostri amici Partigiani ci fanno qualche attentato, vi bruciamo la casa, tanto
sappiamo qual è!> Eravamo sempre più impaurite e speravamo che i Partigiani
non effettuassero nessuna azione. Già una volta, per richiamare i partigiani
avevano lasciato un camion carico di munizioni nella piazza proprio sopra casa
nostra e volevano bruciare la casa perché i partigiani avevano sparato qualche
colpo di mortaio dalla loro postazione del Brich di Manera. I Partigiani erano di casa, da noi. Passavano
dietro la casa e vedendo mia mamma che preparava i tajarin(taglierini)
bussavano ai vetri e all’invito ad entrare cortesemente ringraziavano ma
dicevano di dargliene un piatto da mangiare fuori!
Nel
sottoscala della Chiesa di san Secondo ci tennero una notte e la paura fu
proprio tanta. Si pensava anche ai nostri genitori che non avevano notizie di
noi. Pensa, mia madre e mio padre avevano mio fratello Luigi prigioniero in
Germania, senza alcuna notizia, ed ora me prigioniera dei fascisti e senza
saper dove fossi finita! Quando, la mattina seguente ci rilasciarono trovai mia
mamma che avendo immaginato ci avessero portato ad Alba era scesa a chiedere
notizie. Al comando le avevano detto di non saper niente e di ripassare il
giorno dopo. Così, lei, per non tornare a casa andò da una mia zia. Ci
riabbracciamo dopo aver trascorso una notte insonne e piena di tristi pensieri
e tornammo a Benevello a piedi.
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