DESTEFANIS CANDIDO DI
OCCHETTI JOLANDA DEL 1901 e di
LUIGI(1899)
NACQUE NEL 1939 NELLA CASCINA MULINO, SEGHERIA
IN BERRIA DI BORGOMALE.
Papà Luigi Cavaliere di Vittorio
Veneto fu chiamato alle armi appena diciottenne e combattè sul Carso. Dopo tre
anni di guerra si ammalò di Spagnola a Bassano del Grappa. Fu caricato su di
una tradotta(carro bestiame) e mèz mort,in gravi condizioni giunse a Modena
dove fu ricoverato in ospedale. Se la cavò, ma tornò a casa debilitato. Nel
1940 pur con tre figli fu richiamato alle armi e vi rimase per un anno.
La mamma ricordava che andava
a seminare la meliga con me in braccio. Avevo appena un anno ed avevo bisogno
della mamma, ma lei doveva anche svolgere i lavori del papà in guerra!
Candido:
più di duecento anni fa, mio nonno Candidin, di una famiglia di mugnai di Sinio venne ad acquistare il piccolo mulino già esistente in Berria. La Nonna Enrichetta Saffiro e lui fecero crescere una famiglia con tredici figli. Alcuni morirono in tenera età, alcuni migrarono in America, uno, Andrea 1887, detto Andeirin morì in guerra. Andrea morì l’otto giugno 1915 sul Monte Sabotino per ferite riportate in combattimento
I tre fratelli Destefanis Zefferino “Ferin”(1875) papà di
don Mario Gepin(1897) e Luigi (1899),
con le loro famiglie gestirono e incrementarono l’attività con una segheria
sempre con alimentazione ad acqua.
Cinque fratelli, tra i quali
mio padre, misero su famiglia e portarono avanti l'attività del mulino. Si
ingegnarono di migliorare gli impianti e ricordo che vidi ancora funzionare due
Rodon, uno di sette metri di diametro che faceva muovere una ruota più piccola.
L' acqua della bealera alimentava i Rodon che girando muovevano due macine.
Nonostante le difficoltà che creavano le ricorrenti alluvioni sempre si
ripresero. Da ingegnosi quali erano, con
un sistema di puleggie ed ingranaggi collegarono anche una segheria di cui vi è
ancora traccia. Io, piccolino seguivo papà e " mi davo arie" da
intenditore nel valutare la farina che usciva dai "buratti" macine.
Quando il mulino viaggiava a pieno ritmo dovevano martellare le macine di notte
e allora venivano sollevate e con maestria si procedeva a rinnovare le
zigrinatura, prima con un tipo di martellina piatta, e poi con una a
punta.Incuriosiva molto il lavoro che svolgevano e la precisione con cui
controllavano i dentini con la vernice rossa. La alluvione del 1948 procurò
parecchi danni ma gli zii e papá seppero
riparare muri ,canale e meccanismi e ripartire. Negli anni cinquanta funzionò a
meraviglia. Ancora nei primi anni sessanta si funzionò soprattutto con la
macinatura della meliga, poi con l'alluvione
del 1968 l'impianto subì gravissimi danni irreparabili e si terminò.
Mi hanno sempre incuriosito ed
affascinato i meccanismi del mulino. Vi erano gli alberi in ferro e gli
ingranaggi che trasmettevano il movimento che erano uno in ferro ed uno in
gaggia, anche quelli che funzionavano come gli ingranaggi di un differenziale
erano uno in legno ed uno in ferro. Questo perché se tutti in ferro facevano
attrito e si surriscaldavano. Infatti i pochi ingranaggi in ferro dovevano
essere continuamente ingrassati. Certo che quando si rompeva un dente di legno
saltava tutto e si bloccava.
GIACOMO MAROLO FALEGNAME E
SARONÉ
( MASTRO CARRAIO)
A quel punto si faceva venire
Giaco Marolo di Manera che era falegname esperto e realizzava l’ingranaggio
nuovo. A Manera svolgeva anche l’attività di Saroné
( costruttore di carri). Giaco, lo ricordo bene, arrivava a piedi da Manera con uno zaino in spalla con dentro pialla, seghe e tutti gli attrezzi per lavorare il legno . Veniva subito e si fermava anche alcuni giorni. Lavorava volentieri an Berria poiché avendo la segheria disponibile poteva svolgere bene i suoi lavori manuali. Aveva attrezzi interessanti e io, ricordo che al vedere un’accetta “siròt” con il manico storto gli dicevo: < ma Giaco un falegname come te ha un’accetta col manico storto!> Lui mi sorrideva e mi faceva capire che quel manico era stato realizzato apposta per permettere di tagliare in particolari condizioni.
Erano personaggi che avevano
“ra marissia” per poter svolgere la loro attività con maestria e riducendo le
difficoltà dei lavori manuali.
Ad esempio, ricordo che quando
fu necessario “angeironé” inghiaiare la strada che dal Cimitero scende fino in
Berria furono portati dei mucchi di pietre e poi gli uomini con mazzette e
martelline provvidero a spezzarle e a produrre la ghiaia necessaria per fare il
fondo stradale, così da liberarsi dal fango
ATTREZZI E LAVORI DI UN TEMPO
Per "battere" le fave usavamo il ribat “Trebbio” che era un bijon Tronco con due perni che collegavamo a catene per il traino col Cavallo del vicino che di nome era “Aimo”, oppure con i nostri buoi.
Si preparava il cortile con acqua e sterco e quando era
Secco si mettevano le fave per passarci sopra col ribat
.
Nel cortile così preparato battevamo un po' di grano con le
cavaglie
.
Lo facevamo in tempo di guerra, prima che venisse la
trebbiatrice, perché al seguito aveva l'addetto dell'Annonaria che stabiliva
quanti sacchi dovevamo portare all'ammasso, e ce ne lasciava sempre poco!
I NOSTRI CARRI
An Beria avevamo quattro carri e ne sono rimasti due furono costruiti da Saroné (maestri Carrai) che erano dei veri artisti. Uno fu costruito da Vola di Bosia, uno da Marolo di Ricca, uno da Sibona di Lequio e uno da un Saroné di Benevello.Papà mi spiegava che per costruire le ruote usavano due o tre tipi di legno. Per i Gavèl ( i pezzi sui quali veniva inserito il LAMON DI FERRO A CALDO,era di legno di LAMBORN(MAGGIOCIONDOLO) perchè è un legno molto duro e che o s’amberborà nèn ( non si impregna d’acqua), i FUS E IL BOT DI LEGNO DI ACACIA (GAZIA)
Saroné Vola Teresio di Bosia intento a collegare i Gavel ai Fusi
GAMNA GIUSEPPE FU GIUSEPPE
LE MIE SCUOLE
Frequentai le scuole qui a
Borgomale fino alla quarta, poi i miei decisero che dovevo procedere negli
studi, e così dovetti frequentare la quinta che era a Benevello. Poi dovetti
accompagnare mio fratello per la quinta a Benevello e così feci nuovamente un
anno di quinta. Siccome avevo già imparato a leggere e scrivere dai libri delle
mie sorelle mi fecero effettuare due anni in uno e così al mattino ero in
classe prima e al pomeriggio ero in seconda. Al termine del secondo anno di
quinta mi dissero che avevano istituito un ulteriore anno che frequentai con
quelli di quinta in una sorta di “fuori corso”. Eravamo in due ma in classe non
rimanemmo poco. In quell’anno vi era un Maestro di Alessandria che aveva una
camera vicino alla scuola e noi gli accendevamo la stufa, riordinavamo la
camera e gli preparavamo da pranzo. Al termine delle lezioni ritiravamo i
quaderni col foglio dei compiti da effettuare a casa. Dopo sette anni di scuola
finalmente intrapresi il lavoro che desideravo svolgere “IL CONTADINO”
CASCINA “MORINÈT”
Ar Morinèt, la cascinotta che
era nei pressi della rocca del carro di Candido.
Mio padre raccontava che fu
abitata da un "mazoé" mezzadro con famiglia. Gli avevano dato una vigna da
lavorare ed un campo. Le terre lungo il Berria erano bagnate e molto produttive. In seguito il
Morinèt divenne stalla e fienile dei Destefanis. In estate si portava su il
fieno e d'inverno si portavano gli animali nella stalla e venivano alimentati
con il fieno. Alla sera andavano a dormire
per custodire gli animali, due "servitó". Questi si erano
stabiliti dei pagliericci sopra la stalla e così stavano al caldo. L'obiettivo
del tenere gli animali al Morinèt era di ottenere il letame ed averlo vicino ai
campi in primavera. Papà ricordava che nei campi sabbiosi lungo il Berria un
anno vennero prodotti sedici quintali di patate. Le vendettero ad Alba a
ristoranti ed Ospedale e le trasportarono con il "carton" carro e
Cavallo. In Berria e al Morinèt fu
Sempre svolto tanto lavoro. Tra manovali e sèrvitò vi erano sempre dieci o
dodici lavoratori di campagna, al mulino, in segheria.
ALLA CASCINA DEL MULINO D’AN
BERRIA
In Berria vivevano ben cinque
famiglie di cui quattro Destefanis e una di Aimo Serafino che aveva acquistato
la parte di un fratello Dei Destefanis. Alcuni miei cugini studiarono. Don
Mario divenne Sacerdote, la sorella Emilia studiò da maestra. Il cugino Sergio
si diplomò ad Alba al Liceo classico poi essendo lui del 1924 ebbe vent'anni
nel periodo della guerra e visse tutte le difficoltà del periodo. Dopo la
guerra avrebbe voluto studiare da veterinario ma il padre si oppose e così
abbandonò gli studi e rimase a lavorare la campagna e poi andò anche a lavorare
alla"Ferrero" e non si sposò.
LA MAMMA E LE DONNE DEL MULINO
La cascina in Berria era tutto
un pullulare di lavoratrici e lavoratori. Ognuno aveva i suoi compiti poiché
tutte le famiglie avevano le pecore, le galline da portare al pascolo e da accudire. Ricordo mia mamma e le mie due
sorelle una del 34 e una del 36 che
venivano anche a lavorare in compagna, poi se avevamo del lavoro al
Morinèt o anche più distante ci portavano il mangiare a mezzogiorno. Mia mamma
e le altre donne producevano le tome e il sabato le portavano a vendere ad
Alba, con qualche uova e "pola", con il ricavato effettuavano un po'
di spesa. Alla sera "tacunavo" rammendavano il vestiario e
realizzavano le calze con la lana di pecora filata. E poi avevamo il forno che
utilizzavamo in tre famiglie. Si cuoceva
una volta alla settimana, si produceva una bella cesta di micche che
venivano coperte da un telo bianco e conservate. Mamma alla sera impastava
preparava la "alvà" nell'èrca( madia) poi al mattino produceva le
pagnotte tipo "biova" allungata e a volte qualche treccia. Da bambini
ci facevamo preparare " il cavagnin" il cestino. Erano striscioline
di pasta che avvolgevano una mela. A Pasqua si avvolgeva un uovo. È sempre
bello ricordare quei profumi e quei sapori che si vanno perdendo.
Nel periodo della guerra,
venne che scarseggiava la farina e allora la mamma si ingegnò di utilizzare le
patate per fare il pane. In questo modo si risparmiava la farina. Certo che era
un pane da mangiare in giornata, poiché a conservarlo diventava duro e
immangiabile, però se utilizzato ancora tiepido era piacevole e saziava. Si
effettuavano delle pagnottelle e le si consumavano subito.
A proposito di scarsità di
farina, ricordo che una volta il padre andò di notte ad acquistare mezzo
quintale di grano e lo pagò un’esagerazione, mi pare 2500 Lire. Purtroppo fu un
momento così e vi era chi ne approfittava. Inoltre quel grano risultò pieno di
“vessa” e macinando la farina fu grigia, tuttavia il pane, in mancanza d’altro
era buon ugualmente.
Mamma Jolanda era proprio una
buona cuoca. Realizzava degli agnolotti al plin ottimi con la semplice
“empiura” Ripieno di riz e coi ( riso e cavolo).
LA FESTA DÈR “BATE ÈR GRAN”
Quando si trebbiava il grano era grande festa.
Ed aveva un significato festeggiare, perché voleva dire che producevi qualche
sacco di grano che dava sicurezza alla famiglia. Voleva dire che avevi il
prodotto per il pane di tutta l’annata! E allora effettuato il piazzamento
della Macchina e trebbiato si procedeva a mangiare e bere e far baldoria. Tutte
le famiglie del Mulino partecipavano e le donnee cucinavano il gallo e il pollo
migliore allevato per l’occasione. Ricordo un gran tavolata di persone che brindava
al lavoro ed all’annata fruttuosa.Silvana rammenta Zia Angiolina, che le ha
lasciato ricordi di sapori e profumi di vivande gustate da bambina e poi con
l’età mai più assaggiati.
MAGNA ANGIOLINA
Zia Angiolina era la mamma di
Sergio, andò avanti in età avanzata e ci ha lasciato dei bei ricordi. Gentile e
cordiale, seppur soffetrente a causa di una “zoppia” che la limitava nel
camminare, si appoggiava ad un bastone o al tavolo ed era sempre in movimento.
Non eri ancora entrato in casa che lei aveva già preparato il pentolino per
cucinare “il Sanbajon” zabaglione.
Candido la ricorda anche molto
parsimoniosa . Quando vedeva che nel cortile stavano “splanda” scortecciando un
tronco per poi metterlo sul piano della sega, lei pur clauticante, accorreva e
raccoglieva nel “faodarètt” grembiule, tutti i pezzi di corteccia per metterli
nella stufa e fare fuoco. Se non li avesse raccolti lei sarebbero finiti
calpestati e sprecati.
AL TEMPO DELLA GUERRA
Nel 1943 /45 ero piccolo, ma
certe scene le ho fissate nella memoria e non le dimenticherò più.
Una volta arrivò una lunga
colonna di militi che sentii denominare repubblican. Con le armi entrarono in
casa e nonostante mia madre dicesse di far piano perché c’era mio fratello del
’43 che dormiva, loro salirono rumorosamente la scala e ficcarono il naso in
camera poi entraono nello “stanssiot” cameretta dove erano appesi i salami ad
asciugare. Avevamo macellato il maiale da poco. Ne presero uno o due, e allora
la mamma con me in braccio prima che arrivassero altri militi svelta ne staccò
tre o quattro e li nascose in un armadio a muro. Furono gli unici che salvò,
man mano che passavano li portavano via.
Cercavano i Partigiani che
erano alloggiati in una nostra casa disabitata che era poco sopra il mulino.
Quella volta portarono via un
servitò di Lequio che lavorava da noi e anche mio cugino Don Mario che era del
1920. Fortunatamente li fecero andare fino a Lequio Berria, li spaventarono un
po’ e poi li lasciarono liberi.
Ogni tanto i partigiani
venivano a nascondersi nello spazio che c’era tra il muro e il Rodon(ruota del
mulino. Si infilavano in due o tre e chiedevano far scorrere l’acqua per
avviare la grande ruota. In tal modo non era possibile vedere l’anfratto del
muro e chi c’era dentro. Zio Gepin era preoccupato e non voleva si
nascondessero perché sapeva che se li trovavano davano fuoco a tutto. Ma loro
con le armi” favo i gram” intimorivano e lo obbligavano.
IL GENERATORE PER LA LUCE
Grazie all’acqua si faceva
funzionare un piccolo generatore da 1000 W. Avevamo tutte lampadine da 10 Volt
che lasciavamo sempre accese. Ricordo che a volte mandavano me ad alzare la
paratia per aprire l’acqua che scendeva in un tubo da 10 cm e azionava il
generatore, quando il manometro raggiungeva
i 120 volt le lampadine si accendevano. Però prima di mettere l’impianto
in funzione oscuravamo tutti le finestre poiché passavano gli aerei e dove
vedevano luci mitragliavano.
MASSÉ ÈR CRIN
La macellazione del maiale era
un momento importante per le famiglie contadine. Anche noi al mulino avevamo la tradizione e si utilizzava tutto
del maiale. Escluso setole unghie ed ossa non si buttava altro. Con il lardo si
produceva ro slinguà( strutto liquido) Ra sionzà( grasso rancido) Er gorù(
pancetta arrotolata con la cuna) e poi salami.
Subito, si producevano la
salsiccia e èr frissé. Mia madre preparava un Oriòt( orecchie, muso coda)
eccezionale e insieme ad aceto e altri aromi come peperoni, aglio,prezzemolo,
pepe ed un po' di peperoncino aggiungeva anche i granarèt (bacche di ginepro)
che lo rendeva profumato e gustoso.
BATSOÀ
Io ho imparato da mia mamma la
ricetta dei "batsoà" e ogni tanto con Valentina mia moglie e I figli
Silvana e Giorgio li prepariamo. La ricetta è segreta, ma per amicizia te la
svelo: < si cuociono a lungo gli
zampini del maiale in acqua ed aceto. Si disossano e si tagliano a pezzetti,
vengono bagnati nell'aceto quindi impanati nell'uovo sbattuto e poi ben
impanati nel Pane pesto.Si friggono in olio bollente in modo da renderli
croccanti. Quando li facciamo, sotto la supervisione dello Chef, che sono mi, ognuno
ha il proprio compito
LA MOGLIE VALENTINA
Io sono nata in una cascina
situata prima della galleria di Gorzegno. In famiglia eravamo papà, mamma e quattro
figli poi vi era una zia sorella di mio papà, che viveva con noi e che lavorò
per venticinque anni alla Filatura di Monesiglio poi, quando la Filatura chiuse
intraprese l’attività di raccoglitrice di uva, di olive e di nocciole. Con lei
andava mia sorella e poi ci andai anch’io prima di andare a lavorare da
Ferrero.
A me è sempre piaciuto leggere
ed avrei avuto piacere di studiare da Maestra, ma non fu possibile. Nei quattro
anni di scuola andando a Gorzegno, avevo l’incarico da una vicina di acquistare
le riviste Sorrisi e Canzoni e Grand Hotel. Durante il tragitto riuscivo a
leggerli completamente entrambi, nonostante ci fosse la Sternija( acciottolato)
in salita.
Con Candido ci conoscemmo ad
Alba in via Maestra. Io e mia sorella passeggiavamo quando fummo fermate da un conoscente,
Giovanni di Lequio Berria che era con Candido. Ci chiese se al sabato saremmo
andate a ballare a Santo Stefano Belbo, Noi dicemmo che abitavamo a Gorzegno ma
subito Candido: <ah ma veniamo a prendervi in macchina!> Fecero così e da
lì iniziammo a frequentarci. Io andavo già alla Ferrero.
Vale: Candido astutamente mi
propose di sposarlo prima di settembre
quando si raccoglievano le nocciole così
una volta sposati io trascorsi sempre le ferie sotto le nocciole!.
CANDIDO: Il periodo del matrimonio è anche legato al carro con il fieno che misi sotto la rocca dèr Morinèt. Al venerdì mi resi conto che avevo un po' di fieno a terra che a forza di bagnarsi era diventato inutilizzabile.
Pensando che alla domenica ci saremmo sposati, decisi di toglierlo e caricarlo su quel carro che non utilizzavamo più e di trainarlo sotto la rocca col proposito di toglierlo quando fossimo tornati dal viaggio di nozze. Poi non lo tolsi mai ed è diventato un Monumento al lavoro contadino! Per quanto riguarda la raccolta delle nocciole, un tempo era un lavoro piacevole e persino romantico! Raccoglievano tutto a mano e oltre a noi venivano delle ragazze con le quali si chiacchierava, si raccontava e si cantava. Venivano solo al pomeriggio perché al mattino andavano a scuola.
VALENTINA: A raccogliere le nocciole da noi veniva anche Bina, una donna anziana che viveva qui in paese. Era simpatica e gentile e finché riuscì venne a nn che per svolgere semplici lavori come lavori in vigna e la vendemmia.
CANDIDO: Quando la accompagnavo a casa in macchina caricavo sempre anche un po' di erba che aveva tagliato per i conigli che allevava.Fui moto amico con suo genero che quando fu in pensione veniva volentieri a Borgomale per andare per funghi e a pescare. Una volta andammo a pescare in una Riserva del Tanaro, poi tornando verso sera decidemmo di fermarci a mangiare a Piana Biglini. Si fece tardi e quando arrivammo davanti a casa della suocera e della moglie fu preoccupato per l'ora tarda e non sapeva come fare ad entrare. So che gli dissi <vuoi che entri prima io per giustificarti? > Ma prese coraggio ed entrò a sorbirsi la sgridata.
CANDIDO: Una volta mentre con
degli amici si andava a mangiare a Torre Bormida superammo il Pullman della
Ferrero. Mi ricordai che poteva esserci Valentina sopra, e così lasciai gli
amici in piola ed io andai alla fermata di Gorzegno a salutarla. Chiacchierammo
un po’ e tornai dagli amici. Questi che intanto avevano finito cena si alzarono
e mi dissero che potevo pagare, così pagai senza mangiare!
Valentina: quando fummo
sposati alcune volte mi lasciò ad aspettare alla fermata del pullman!
Una volta vedendo che non
c’era mi sedetti sulla panchina qui a Borgomale. E dopo un bel po’ di tempo
vidi arrivare suo fratello Angelo. Candido era andato a trebbiare il grano non
so dove e rientrò al mattino dopo.
Un'altra volta facevo il turno
del Mattino e non lo vidi arrivare. Mi feci accompagnare al Pullman e quando
fui a manera lo vidi che tornava. Era andato con un suo cugino alla festa di
San Bovo.
Candido si giustifica dicendo
che la Festa di San Bovo era un evento speciale e con molti “imprevisti”
Silvana: Papà, per la sua
disponibilità è sempre stato apprezzato da tanti amici più grandi e più
giovani. Tutti, quando volevano fare festa sapevano che da Candido e Valentina
an Beria vi er asempre la porta aperta.
CANDIDO: Una sera tardi, ero
già a letto sentii dei rumori sotto nella cucina, scesi a vedre e trovai un
gruppo di amici che mi dissero che avevano piacere di mangiare un’insalata di
cavolo e bere un bicchiere an Beria. Avevano già preso il cavolo nell’orto e lo
stavano preparando. Mi dissero anche che mi avevano portato un “cacciatorino”,
era minuscolo! Ma basta il pensiero!
Io li salutai e dissi che
sarei tornato a dormire. Al mattino trovammo la ciotola dove avevano condito ll
cavolo, sul fondo vi era un po’ di aceto con qualche “gata” bruco del cavolo.
Forse non lo avevano lavato bene!
Per la serie che in Beria vi
era sempre qualcosa di pronto da mangiare: una volta, venne l’amico Elio con altri e portarono una
torta gelato. Elio entrò e sapendo che in frigo vi era sempre qualcosa di
pronto, lo aprì e trovo quattro trote in
carpione. Le prese, mise da parte la torta gelato e con gli altri sbafarono le
trote.
VALENTINA: Tra le tante
persone della nostra famiglia Vogliamo anche ricordare magna Gepina, dice
Silvana. Era la zia della nonna che venne ad abitare con noi. Per me e mio
fratello fu come una mamma. La nostra mamma, quando noi eravamo bambini,
lavorava alla Ferrero e facendo i turni era molto impegnata. Con noi e mio
papà, magna fu fantastica. Candido: Quando io mi alzavo la trovavo già in
cucina ed aveva il tavolo ricoperto di Tajarin appena preparati. Valentina: magna Gepina voleva un gran bene a
Candido. Un Esempio: lei sapeva che a lui non piaceva il merluzzo e nel giorno
che cucinava il merluzzo per lui preparava lo spezzatino e teneva il tegame col
merluzzo dalla parte opposta di Candido. SILVANA: Anche con noi fu un'
educatrice meravigliosa. Ci chiedeva cosa volevamo mangiare e noi dicevamo i
maccheroni, lei pronta, ci coinvolgeva e ci insegnava a preparare i maccheroni.
Noi eravamo felici di effettuare quelle attività e siamo cresciuti con gli
insegnamenti di zia.
Grazie a Silvana e a Candido Destefanis abbiamo recuperato ulteriori info circa i famigliari deI Caduti Carlo e Costantino.
Il primo era figlio di Zefferino
fratello del papà di Candido(1939) Luigi del 1899(combattente sulle montagne
del B renta nella Guerra Europea 1915 /18. Carlo aveva un fratello, Don Mario
che fu Parroco di San Rocco Cherasca per 35 anni, era del 1920. La sorella
Candida gli fu al servizio come Perpetua. Lei era deL 1912 e finí il suo tempo
in terra quando aveva 95 anni. Costantino era cugino di secondo grado con papà.
Candido ricorda che mamma,
Occhetti Jolanda di Monteu Roero e papà, dicevano sempre che Carlo e Costantino
erano sempre insieme e andavano a giocare a bocce ed in festa insieme. Della
stessa leva del 14 erano anche partiti Soldato insieme e inseriti entrambi
nell'8° Rgt Alpini della Julia. Il destino volle che dovessero anche morire
insieme nello stesso giorno in quella sciagurata Campagna di Russia durante il
Terribile Ripiegamento
DESTEFANIS CARLO
DI ZEFFERINO
BENEVELLO (CN/I) il 16/05/1914
Contadino FFAA
Regie
DIV ALPINA
JULIA 8^ RGT
SOLDATO URSS il 17/01/1943
DESTEFANIS COSTANTINO
DI GIUSEPPE
BENEVELLO
(CN/I) il 03/04/1914
Contadino FFAA
Regie
DIV ALPINA
JULIA 8^ RGT
SOLDATO
URSS il 17/01/1943
La storia della morte di zio
Andrea nella Grande guerra la conobbi da Ninu d'an Berria. Dai miei seppi che
lo zio si era sposato a Cravanzana e nient'altro.
DESTEFANIS
NINO Lequio Berria 1927
STORIA DI MICHELE E
ANDREA ALLA GRANDE GUERRA
Il padre di Nino Destefanis,
Michele, era nato nel 1889 e fu arruolato nel 34° reggimento Fanteria Brigata
Livorno. Quando giunse con la sua compagnia all’accampamento tra San Martino di
Quisca e San Floriano del Collio trovò
Destefanis Andrea di Candido del 1887 CADUTO Martedì 8 Giugno 1915, suo grande
amico e vicino di casa. Furono felici di essersi trovati ma entrambi sapevano
che era un brutto momento. Andeirin era già sotto le armi da qualche mese e si
fece raccontare dei suoi, poi non ci fu molto tempo per le confidenze. Il 26
Maggio iniziarono gli attacchi della Brigata. L’obiettivo era la conquista del
M.Sabotino, il piano italiano di
Cadorna, aveva individuato nella valle dell’Isonzo la sola via
percorribile verso il cuore dell’impero asburgico, così trincea dopo
trincea, pietra dopo pietra, l'esercito italiano arrivò davanti al campo
trincerato di Gorizia, formato dalle colline del Calvario (Podgora),
dell'Oslavia e del pilastro roccioso del Sabotino. Il VI corpo d'armata
sferrò ripetuti sanguinosissimi attacchi nel corso della Terza e Quarta
battaglia dell'Isonzo (ottobre-novembre 1915), senza riuscire a intaccare la
linea di resistenza nemica. Il Comando italiano alla fine comprese che
l'assalto frontale portato dalla pianura a ondate sempre più numerose, verso la
montagna, era soltanto una carneficina.
Purtroppo
per Michele e Andeirin(Andreino), come per tanti altri loro commilitoni fu
terribile la sopravvivenza in quelle condizioni.
I buchi nel
M.Sabotino
Gli austriaci sparavano, ben
riparati nelle grotte scavate nella montagna e i Fanti dovevano procedere sotto
quel fuoco sapendo che non sarebbero mai riusciti ad arrivare a stanare gli “Schutzen” ( bersaglieri tirolesi, erano una milizia volontaria adibita alla difesa
territoriale.) Eppure bisognava andare avanti, ripari non se ne
scorgevano e i rari massi che potevano proteggere erano presto occupati . A
ogni assalto si conquistava una roccia, ma si avanzava di pochi metri. Le
granate esplodevano in continuazione, i proiettili sibilavano e in
continuazione compagni venivano feriti. I loro lamenti erano coperti dal
tuonare delle bombarde e dalle voci degli ufficiali che intimavano di
procedere. Michele e Andeirin stavano sempre insieme, sia quando dovevano
cambiar postazione sia nei rari momenti di riposo dietro a qualche riparo. I
giorni erano tutti uguali, il terrore di non arrivare al giorno dopo rendeva
taciturni e pensierosi. Qualcuno andava fuori di testa e o tentava di arrendersi
o si nascondeva, ma sempre faceva una brutta fine. Andrea e Michele avevano una
buona intesa e riuscirono a infondersi coraggio solo con degli sguardi.
Andeirin, seppur più grande di qualche anno soffriva maggiormente la lontananza
da casa e ogni tanto estraeva il suo libretto, col craion annotava poche parole
e lo riponeva nel tascapane. Quel
martedì fatale si ripararono dietro a un masso, in attesa che arrivasse
l’ordine di assaltare all’arma bianca. Siccome il fuoco di copertura era
sospeso Andreino confidò a Michele l’intenzione di scrivere alla sua futura
sposa. Aggiunse di essere felice poiché la famiglia di lei aveva dato “èr
contènt”( concesso la mano della figliola). Michele più grande di qualche anno,
poiché “richiamato alle armi”, lo incoraggiò a scrivere e anzi, vedendo che il
libretto della carta da lettera era ormai sgualcito, gli porse il suo ancora
nuovo poiché era arrivato da poco al Battaglione. Andreino ringraziò e inizio a
scrivere ma una granata proveniente dall’artiglieria italiana cadde proprio
dov’erano i due compagni. Andreino fu disintegrato e Michele fu sbalzato a
dieci metri. Accorsero i barellieri e constatando che Michele pur ferito
gravemente respirava ancora, lo sollevarono per condurlo all’infermeria da
campo, lasciando i poveri resti di Andreino. Dovendo attraversare un pendio
scoperto, attesero un po’ e valutarono se Michele spirava per abbandonarlo e
mettersi al riparo. Furono coscienziosi e lo condussero in salvo. Si
ritrovarono, portantini e Michele, tutti feriti all’Ospedale a Firenze. Gli
raccontarono cosa era successo al M.Sabotino e Michele seppe che il suo giovane
compaesano era andato avanti. Gli toccò il gravoso compito di portare le
notizie della morte di Andreino alla famiglia e alla fidanzata.
Candido ed io, ci siamo
commossi ad ascoltare il racconto di Nino e lo abbiamo ringraziato per aver
mantenuto e riportato la memoria del padre e del giovane soldato alla Grande
Guerra. Essendo venuti a conoscenza di quei fatti siamo diventati a nostra
volta Testimoni e ci auguriamo che chi avrà modo di leggere o ascoltare storie
di vita e di morte nella Guerra si senta in dovere di essere Testimone
portatore di idee di Pace. Onore e Memoria per Michele Destefanis e Andeirin
Destefanis.
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