lunedì 10 febbraio 2025

DESTEFANIS CANDIDO D'AN BERIA 1939 BORGOMALE

 


 


                    DESTEFANIS CANDIDO  DI

OCCHETTI JOLANDA DEL 1901 e di

LUIGI(1899)

NACQUE NEL 1939 NELLA CASCINA MULINO, SEGHERIA IN BERRIA DI BORGOMALE.

Papà Luigi Cavaliere di Vittorio Veneto fu chiamato alle armi appena diciottenne e combattè sul Carso. Dopo tre anni di guerra si ammalò di Spagnola a Bassano del Grappa. Fu caricato su di una tradotta(carro bestiame) e mèz mort,in gravi condizioni giunse a Modena dove fu ricoverato in ospedale. Se la cavò, ma tornò a casa debilitato. Nel 1940 pur con tre figli fu richiamato alle armi e vi rimase per un anno.

La mamma ricordava che andava a seminare la meliga con me in braccio. Avevo appena un anno ed avevo bisogno della mamma, ma lei doveva anche svolgere i lavori del papà in guerra!

Candido:

più di duecento anni fa, mio nonno Candidin, di una famiglia di mugnai   di Sinio venne ad acquistare il piccolo mulino già esistente in Berria. La Nonna Enrichetta Saffiro e lui fecero crescere una famiglia con tredici figli. Alcuni morirono  in tenera età, alcuni migrarono in America, uno, Andrea 1887, detto Andeirin morì in guerra. Andrea morì  l’otto giugno 1915 sul Monte Sabotino per ferite riportate in combattimento


I tre fratelli Destefanis Zefferino “Ferin”(1875) papà di don Mario  Gepin(1897) e Luigi (1899), con le loro famiglie gestirono e incrementarono l’attività con una segheria sempre con alimentazione ad acqua.

Cinque fratelli, tra i quali mio padre, misero su famiglia e portarono avanti l'attività del mulino. Si ingegnarono di migliorare gli impianti e ricordo che vidi ancora funzionare due Rodon, uno di sette metri di diametro che faceva muovere una ruota più piccola. L' acqua della bealera alimentava i Rodon che girando muovevano due macine. Nonostante le difficoltà che creavano le ricorrenti alluvioni sempre si ripresero.  Da ingegnosi quali erano, con un sistema di puleggie ed ingranaggi collegarono anche una segheria di cui vi è ancora traccia. Io, piccolino seguivo papà e " mi davo arie" da intenditore nel valutare la farina che usciva dai "buratti" macine. Quando il mulino viaggiava a pieno ritmo dovevano martellare le macine di notte e allora venivano sollevate e con maestria si procedeva a rinnovare le zigrinatura, prima con un tipo di martellina piatta, e poi con una a punta.Incuriosiva molto il lavoro che svolgevano e la precisione con cui controllavano i dentini con la vernice rossa. La alluvione del 1948 procurò parecchi danni ma  gli zii e papá seppero riparare muri ,canale e meccanismi e ripartire. Negli anni cinquanta funzionò a meraviglia. Ancora nei primi anni sessanta si funzionò soprattutto con la macinatura della meliga, poi con l'alluvione  del 1968 l'impianto subì gravissimi danni irreparabili e si terminò.

 

 


Mi hanno sempre incuriosito ed affascinato i meccanismi del mulino. Vi erano gli alberi in ferro e gli ingranaggi che trasmettevano il movimento che erano uno in ferro ed uno in gaggia, anche quelli che funzionavano come gli ingranaggi di un differenziale erano uno in legno ed uno in ferro. Questo perché se tutti in ferro facevano attrito e si surriscaldavano. Infatti i pochi ingranaggi in ferro dovevano essere continuamente ingrassati. Certo che quando si rompeva un dente di legno saltava tutto e si bloccava.

 

 


 

GIACOMO MAROLO FALEGNAME E SARONÉ

( MASTRO CARRAIO)

                                                                      

A quel punto si faceva venire Giaco Marolo di Manera che era falegname esperto e realizzava l’ingranaggio nuovo. A Manera svolgeva anche l’attività di Saroné

( costruttore di carri). Giaco, lo ricordo bene, arrivava a piedi da Manera con uno zaino in spalla con dentro pialla, seghe e tutti gli attrezzi per lavorare il legno . Veniva subito e si fermava anche alcuni giorni. Lavorava volentieri an Berria poiché avendo la segheria disponibile poteva svolgere bene i suoi lavori manuali. Aveva attrezzi interessanti e io, ricordo che al vedere un’accetta “siròt” con il manico storto gli dicevo: < ma Giaco un falegname come te ha un’accetta col manico storto!> Lui mi sorrideva e mi faceva capire che quel manico era stato realizzato apposta per permettere di tagliare in particolari condizioni.


 

Erano personaggi che avevano “ra marissia” per poter svolgere la loro attività con maestria e riducendo le difficoltà dei lavori manuali.

 

Ad esempio, ricordo che quando fu necessario “angeironé” inghiaiare la strada che dal Cimitero scende fino in Berria furono portati dei mucchi di pietre e poi gli uomini con mazzette e martelline provvidero a spezzarle e a produrre la ghiaia necessaria per fare il fondo stradale, così da liberarsi dal fango

                        



 

           

 

 

ATTREZZI E LAVORI DI UN TEMPO

Per "battere" le fave usavamo il ribat “Trebbio” che era un bijon Tronco con due perni che collegavamo a catene per il traino col Cavallo del vicino che di nome era   “Aimo”, oppure con i nostri buoi.


Si preparava il cortile con acqua e sterco e quando era Secco si mettevano le fave per passarci sopra col ribat

.                      

 

Nel cortile così preparato battevamo un po' di grano con le cavaglie

                     .  


Lo facevamo in tempo di guerra, prima che venisse la trebbiatrice, perché al seguito aveva l'addetto dell'Annonaria che stabiliva quanti sacchi dovevamo portare all'ammasso, e ce ne lasciava sempre poco!

I NOSTRI CARRI

An Beria avevamo quattro carri e ne sono rimasti due furono costruiti da Saroné (maestri Carrai) che erano dei veri artisti. Uno fu costruito da Vola di Bosia, uno da Marolo di Ricca, uno da Sibona di Lequio e uno da un Saroné di Benevello.Papà mi spiegava che per costruire le ruote usavano due o tre tipi di legno. Per i Gavèl ( i pezzi sui quali veniva inserito il LAMON DI FERRO A CALDO,era di legno di LAMBORN(MAGGIOCIONDOLO) perchè è un legno molto duro e che o s’amberborà nèn ( non si impregna d’acqua), i FUS E IL BOT DI LEGNO DI ACACIA (GAZIA)

Saroné Vola Teresio di Bosia intento a collegare i Gavel ai Fusi


 


 

 


           GAMNA GIUSEPPE FU GIUSEPPE

                  



                   

           

 

LE MIE SCUOLE

Frequentai le scuole qui a Borgomale fino alla quarta, poi i miei decisero che dovevo procedere negli studi, e così dovetti frequentare la quinta che era a Benevello. Poi dovetti accompagnare mio fratello per la quinta a Benevello e così feci nuovamente un anno di quinta. Siccome avevo già imparato a leggere e scrivere dai libri delle mie sorelle mi fecero effettuare due anni in uno e così al mattino ero in classe prima e al pomeriggio ero in seconda. Al termine del secondo anno di quinta mi dissero che avevano istituito un ulteriore anno che frequentai con quelli di quinta in una sorta di “fuori corso”. Eravamo in due ma in classe non rimanemmo poco. In quell’anno vi era un Maestro di Alessandria che aveva una camera vicino alla scuola e noi gli accendevamo la stufa, riordinavamo la camera e gli preparavamo da pranzo. Al termine delle lezioni ritiravamo i quaderni col foglio dei compiti da effettuare a casa. Dopo sette anni di scuola finalmente intrapresi il lavoro che desideravo svolgere “IL CONTADINO”

 

 

CASCINA “MORINÈT”

Ar Morinèt, la cascinotta che era nei pressi della rocca del carro di Candido.

Mio padre raccontava che fu abitata da un "mazoé" mezzadro  con famiglia. Gli avevano dato una vigna da lavorare ed un campo. Le terre lungo il Berria erano  bagnate e molto produttive. In seguito il Morinèt divenne stalla e fienile dei Destefanis. In estate si portava su il fieno e d'inverno si portavano gli animali nella stalla e venivano alimentati con il fieno. Alla sera andavano a dormire  per custodire gli animali, due "servitó". Questi si erano stabiliti dei pagliericci sopra la stalla e così stavano al caldo. L'obiettivo del tenere gli animali al Morinèt era di ottenere il letame ed averlo vicino ai campi in primavera. Papà ricordava che nei campi sabbiosi lungo il Berria un anno vennero prodotti sedici quintali di patate. Le vendettero ad Alba a ristoranti ed Ospedale e le trasportarono con il "carton" carro e Cavallo.  In Berria e al Morinèt fu Sempre svolto tanto lavoro. Tra manovali e sèrvitò vi erano sempre dieci o dodici lavoratori di campagna, al mulino, in segheria.

ALLA CASCINA DEL MULINO D’AN BERRIA

In Berria vivevano ben cinque famiglie di cui quattro Destefanis e una di Aimo Serafino che aveva acquistato la parte di un fratello Dei Destefanis. Alcuni miei cugini studiarono. Don Mario divenne Sacerdote, la sorella Emilia studiò da maestra. Il cugino Sergio si diplomò ad Alba al Liceo classico poi essendo lui del 1924 ebbe vent'anni nel periodo della guerra e visse tutte le difficoltà del periodo. Dopo la guerra avrebbe voluto studiare da veterinario ma il padre si oppose e così abbandonò gli studi e rimase a lavorare la campagna e poi andò anche a lavorare alla"Ferrero" e non si sposò.

 

 

LA MAMMA E LE DONNE DEL MULINO

La cascina in Berria era tutto un pullulare di lavoratrici e lavoratori. Ognuno aveva i suoi compiti poiché tutte le famiglie avevano le pecore, le galline da portare al pascolo e  da accudire. Ricordo mia mamma e le mie due sorelle una del 34 e una del 36 che  venivano anche a lavorare in compagna, poi se avevamo del lavoro al Morinèt o anche più distante ci portavano il mangiare a mezzogiorno. Mia mamma e le altre donne producevano le tome e il sabato le portavano a vendere ad Alba, con qualche uova e "pola", con il ricavato effettuavano un po' di spesa. Alla sera "tacunavo" rammendavano il vestiario e realizzavano le calze con la lana di pecora filata. E poi avevamo il forno che utilizzavamo in tre famiglie. Si cuoceva  una volta alla settimana, si produceva una bella cesta di micche che venivano coperte da un telo bianco e conservate. Mamma alla sera impastava preparava la "alvà" nell'èrca( madia) poi al mattino produceva le pagnotte tipo "biova" allungata e a volte qualche treccia. Da bambini ci facevamo preparare " il cavagnin" il cestino. Erano striscioline di pasta che avvolgevano una mela. A Pasqua si avvolgeva un uovo. È sempre bello ricordare quei profumi e quei sapori che si vanno perdendo.

Nel periodo della guerra, venne che scarseggiava la farina e allora la mamma si ingegnò di utilizzare le patate per fare il pane. In questo modo si risparmiava la farina. Certo che era un pane da mangiare in giornata, poiché a conservarlo diventava duro e immangiabile, però se utilizzato ancora tiepido era piacevole e saziava. Si effettuavano delle pagnottelle e le si consumavano subito.

A proposito di scarsità di farina, ricordo che una volta il padre andò di notte ad acquistare mezzo quintale di grano e lo pagò un’esagerazione, mi pare 2500 Lire. Purtroppo fu un momento così e vi era chi ne approfittava. Inoltre quel grano risultò pieno di “vessa” e macinando la farina fu grigia, tuttavia il pane, in mancanza d’altro era buon ugualmente.

Mamma Jolanda era proprio una buona cuoca. Realizzava degli agnolotti al plin ottimi con la semplice “empiura” Ripieno di riz e coi ( riso e cavolo).

 

LA FESTA DÈR “BATE ÈR GRAN”

 Quando si trebbiava il grano era grande festa. Ed aveva un significato festeggiare, perché voleva dire che producevi qualche sacco di grano che dava sicurezza alla famiglia. Voleva dire che avevi il prodotto per il pane di tutta l’annata! E allora effettuato il piazzamento della Macchina e trebbiato si procedeva a mangiare e bere e far baldoria. Tutte le famiglie del Mulino partecipavano e le donnee cucinavano il gallo e il pollo migliore allevato per l’occasione. Ricordo un gran tavolata di persone che brindava al lavoro ed all’annata fruttuosa.Silvana rammenta Zia Angiolina, che le ha lasciato ricordi di sapori e profumi di vivande gustate da bambina e poi con l’età mai più assaggiati.

MAGNA ANGIOLINA

Zia Angiolina era la mamma di Sergio, andò avanti in età avanzata e ci ha lasciato dei bei ricordi. Gentile e cordiale, seppur soffetrente a causa di una “zoppia” che la limitava nel camminare, si appoggiava ad un bastone o al tavolo ed era sempre in movimento. Non eri ancora entrato in casa che lei aveva già preparato il pentolino per cucinare “il Sanbajon” zabaglione.

Candido la ricorda anche molto parsimoniosa . Quando vedeva che nel cortile stavano “splanda” scortecciando un tronco per poi metterlo sul piano della sega, lei pur clauticante, accorreva e raccoglieva nel “faodarètt” grembiule, tutti i pezzi di corteccia per metterli nella stufa e fare fuoco. Se non li avesse raccolti lei sarebbero finiti calpestati e sprecati.

AL TEMPO DELLA GUERRA

Nel 1943 /45 ero piccolo, ma certe scene le ho fissate nella memoria e non le dimenticherò più.

Una volta arrivò una lunga colonna di militi che sentii denominare repubblican. Con le armi entrarono in casa e nonostante mia madre dicesse di far piano perché c’era mio fratello del ’43 che dormiva, loro salirono rumorosamente la scala e ficcarono il naso in camera poi entraono nello “stanssiot” cameretta dove erano appesi i salami ad asciugare. Avevamo macellato il maiale da poco. Ne presero uno o due, e allora la mamma con me in braccio prima che arrivassero altri militi svelta ne staccò tre o quattro e li nascose in un armadio a muro. Furono gli unici che salvò, man mano che passavano li portavano via.

Cercavano i Partigiani che erano alloggiati in una nostra casa disabitata che era poco sopra il mulino.

Quella volta portarono via un servitò di Lequio che lavorava da noi e anche mio cugino Don Mario che era del 1920. Fortunatamente li fecero andare fino a Lequio Berria, li spaventarono un po’ e poi li lasciarono liberi.

Ogni tanto i partigiani venivano a nascondersi nello spazio che c’era tra il muro e il Rodon(ruota del mulino. Si infilavano in due o tre e chiedevano far scorrere l’acqua per avviare la grande ruota. In tal modo non era possibile vedere l’anfratto del muro e chi c’era dentro. Zio Gepin era preoccupato e non voleva si nascondessero perché sapeva che se li trovavano davano fuoco a tutto. Ma loro con le armi” favo i gram” intimorivano e lo obbligavano.

IL GENERATORE PER LA LUCE

Grazie all’acqua si faceva funzionare un piccolo generatore da 1000 W. Avevamo tutte lampadine da 10 Volt che lasciavamo sempre accese. Ricordo che a volte mandavano me ad alzare la paratia per aprire l’acqua che scendeva in un tubo da 10 cm e azionava il generatore, quando il manometro raggiungeva  i 120 volt le lampadine si accendevano. Però prima di mettere l’impianto in funzione oscuravamo tutti le finestre poiché passavano gli aerei e dove vedevano luci mitragliavano.

MASSÉ ÈR CRIN

La macellazione del maiale era un momento importante per le famiglie contadine. Anche noi al mulino  avevamo la tradizione e si utilizzava tutto del maiale. Escluso setole unghie ed ossa non si buttava altro. Con il lardo si produceva ro slinguà( strutto liquido) Ra sionzà( grasso rancido) Er gorù( pancetta arrotolata con la cuna) e poi salami.

Subito, si producevano la salsiccia e èr frissé. Mia madre preparava un Oriòt( orecchie, muso coda) eccezionale e insieme ad aceto e altri aromi come peperoni, aglio,prezzemolo, pepe ed un po' di peperoncino aggiungeva anche i granarèt (bacche di ginepro) che lo rendeva profumato e gustoso.

BATSOÀ           

Io ho imparato da mia mamma la ricetta dei "batsoà" e ogni tanto con Valentina mia moglie e I figli Silvana e Giorgio li prepariamo. La ricetta è segreta, ma per amicizia te la svelo:  < si cuociono a lungo gli zampini del maiale in acqua ed aceto. Si disossano e si tagliano a pezzetti, vengono bagnati nell'aceto quindi impanati nell'uovo sbattuto e poi ben impanati nel Pane pesto.Si friggono in olio bollente in modo da renderli croccanti. Quando li facciamo, sotto la supervisione dello Chef, che sono mi, ognuno ha il proprio compito

 

                LA MOGLIE VALENTINA



Io sono nata in una cascina situata prima della galleria di Gorzegno. In famiglia eravamo papà, mamma e quattro figli poi vi era una zia sorella di mio papà, che viveva con noi e che lavorò per venticinque anni alla Filatura di Monesiglio poi, quando la Filatura chiuse intraprese l’attività di raccoglitrice di uva, di olive e di nocciole. Con lei andava mia sorella e poi ci andai anch’io prima di andare a lavorare da Ferrero.

A me è sempre piaciuto leggere ed avrei avuto piacere di studiare da Maestra, ma non fu possibile. Nei quattro anni di scuola andando a Gorzegno, avevo l’incarico da una vicina di acquistare le riviste Sorrisi e Canzoni e Grand Hotel. Durante il tragitto riuscivo a leggerli completamente entrambi, nonostante ci fosse la Sternija( acciottolato) in salita.

Con Candido ci conoscemmo ad Alba in via Maestra. Io e mia sorella passeggiavamo  quando fummo fermate da un conoscente, Giovanni di Lequio Berria che era con Candido. Ci chiese se al sabato saremmo andate a ballare a Santo Stefano Belbo, Noi dicemmo che abitavamo a Gorzegno ma subito Candido: <ah ma veniamo a prendervi in macchina!> Fecero così e da lì iniziammo a frequentarci. Io andavo già alla Ferrero.

Vale: Candido astutamente mi propose di sposarlo   prima di settembre quando si raccoglievano le nocciole  così una volta sposati io trascorsi sempre le ferie sotto le nocciole!.

CANDIDO: Il periodo del matrimonio è anche legato al carro con il fieno che misi sotto la rocca dèr Morinèt. Al venerdì mi resi conto che avevo un po' di fieno a terra che a forza di bagnarsi era diventato inutilizzabile.

Pensando che alla domenica ci saremmo sposati, decisi di toglierlo e caricarlo su quel carro che non utilizzavamo più e di trainarlo  sotto la rocca col proposito di toglierlo quando fossimo tornati dal viaggio di nozze. Poi non lo tolsi mai ed è diventato un Monumento al lavoro contadino!  Per quanto riguarda la raccolta delle nocciole, un tempo era un lavoro piacevole e persino romantico! Raccoglievano tutto a mano e oltre a noi venivano delle ragazze con le quali  si chiacchierava, si raccontava e si cantava. Venivano solo al pomeriggio perché al mattino andavano a scuola.

 



VALENTINA: A raccogliere le nocciole  da noi veniva anche Bina, una donna anziana che viveva qui in paese. Era simpatica e gentile e finché riuscì venne a nn che per svolgere semplici lavori come lavori in vigna e la vendemmia.

CANDIDO: Quando la accompagnavo a casa in macchina caricavo sempre anche un po' di erba che aveva tagliato per i conigli che allevava.Fui moto amico con suo genero che quando fu in pensione veniva volentieri a Borgomale per andare per funghi e a pescare. Una volta andammo a pescare in una Riserva del Tanaro, poi tornando verso sera decidemmo di fermarci a mangiare a Piana Biglini. Si fece tardi e quando arrivammo davanti a casa della suocera e della moglie fu preoccupato per l'ora tarda e non sapeva come fare ad entrare. So che gli dissi <vuoi che entri prima io per giustificarti? > Ma prese coraggio ed entrò a sorbirsi la sgridata.

 

 

CANDIDO: Una volta mentre con degli amici si andava a mangiare a Torre Bormida superammo il Pullman della Ferrero. Mi ricordai che poteva esserci Valentina sopra, e così lasciai gli amici in piola ed io andai alla fermata di Gorzegno a salutarla. Chiacchierammo un po’ e tornai dagli amici. Questi che intanto avevano finito cena si alzarono e mi dissero che potevo pagare, così pagai senza mangiare!

Valentina: quando fummo sposati alcune volte mi lasciò ad aspettare alla fermata del pullman!

Una volta vedendo che non c’era mi sedetti sulla panchina qui a Borgomale. E dopo un bel po’ di tempo vidi arrivare suo fratello Angelo. Candido era andato a trebbiare il grano non so dove e rientrò al mattino dopo.

Un'altra volta facevo il turno del Mattino e non lo vidi arrivare. Mi feci accompagnare al Pullman e quando fui a manera lo vidi che tornava. Era andato con un suo cugino alla festa di San Bovo.

Candido si giustifica dicendo che la Festa di San Bovo era un evento speciale e con molti “imprevisti”

Silvana: Papà, per la sua disponibilità è sempre stato apprezzato da tanti amici più grandi e più giovani. Tutti, quando volevano fare festa sapevano che da Candido e Valentina an Beria vi er asempre la porta aperta.

 

 


              

CANDIDO: Una sera tardi, ero già a letto sentii dei rumori sotto nella cucina, scesi a vedre e trovai un gruppo di amici che mi dissero che avevano piacere di mangiare un’insalata di cavolo e bere un bicchiere an Beria. Avevano già preso il cavolo nell’orto e lo stavano preparando. Mi dissero anche che mi avevano portato un “cacciatorino”, era minuscolo! Ma basta il pensiero!

Io li salutai e dissi che sarei tornato a dormire. Al mattino trovammo la ciotola dove avevano condito ll cavolo, sul fondo vi era un po’ di aceto con qualche “gata” bruco del cavolo. Forse non lo avevano lavato bene!

Per la serie che in Beria vi era sempre qualcosa di pronto da mangiare: una volta,  venne l’amico Elio con altri e portarono una torta gelato. Elio entrò e sapendo che in frigo vi era sempre qualcosa di pronto, lo aprì e trovo quattro trote  in carpione. Le prese, mise da parte la torta gelato e con gli altri sbafarono le trote.

 

VALENTINA: Tra le tante persone della nostra famiglia Vogliamo anche ricordare magna Gepina, dice Silvana. Era la zia della nonna che venne ad abitare con noi. Per me e mio fratello fu come una mamma. La nostra mamma, quando noi eravamo bambini, lavorava alla Ferrero e facendo i turni era molto impegnata. Con noi e mio papà, magna fu fantastica. Candido: Quando io mi alzavo la trovavo già in cucina ed aveva il tavolo ricoperto di Tajarin appena preparati.  Valentina: magna Gepina voleva un gran bene a Candido. Un Esempio: lei sapeva che a lui non piaceva il merluzzo e nel giorno che cucinava il merluzzo per lui preparava lo spezzatino e teneva il tegame col merluzzo dalla parte opposta di Candido. SILVANA: Anche con noi fu un' educatrice meravigliosa. Ci chiedeva cosa volevamo mangiare e noi dicevamo i maccheroni, lei pronta, ci coinvolgeva e ci insegnava a preparare i maccheroni. Noi eravamo felici di effettuare quelle attività e siamo cresciuti con gli insegnamenti di zia.

 

Grazie a Silvana e a Candido Destefanis abbiamo recuperato ulteriori info circa i  famigliari deI Caduti Carlo e Costantino.

Il primo era figlio di Zefferino fratello del papà di Candido(1939) Luigi del 1899(combattente sulle montagne del B renta nella Guerra Europea 1915 /18. Carlo aveva un fratello, Don Mario che fu Parroco di San Rocco Cherasca per 35 anni, era del 1920. La sorella Candida gli fu al servizio come Perpetua. Lei era deL 1912 e finí il suo tempo in terra quando aveva 95 anni. Costantino era cugino di secondo grado con papà.

Candido ricorda che mamma, Occhetti Jolanda di Monteu Roero e papà, dicevano sempre che Carlo e Costantino erano sempre insieme e andavano a giocare a bocce ed in festa insieme. Della stessa leva del 14 erano anche partiti Soldato insieme e inseriti entrambi nell'8° Rgt Alpini della Julia. Il destino volle che dovessero anche morire insieme nello stesso giorno in quella sciagurata Campagna di Russia durante il Terribile Ripiegamento

DESTEFANIS CARLO DI ZEFFERINO

 BENEVELLO (CN/I) il 16/05/1914

Contadino FFAA Regie

DIV ALPINA JULIA 8^ RGT

SOLDATO URSS il 17/01/1943


DESTEFANIS COSTANTINO DI GIUSEPPE

BENEVELLO (CN/I) il 03/04/1914

Contadino FFAA Regie

DIV ALPINA JULIA 8^ RGT

SOLDATO

URSS il 17/01/1943


 

 

 

 

La storia della morte di zio Andrea nella Grande guerra la conobbi da Ninu d'an Berria. Dai miei seppi che lo zio si era sposato a Cravanzana e nient'altro.

                      DESTEFANIS NINO Lequio Berria 1927

                     



                      

STORIA DI MICHELE E ANDREA ALLA GRANDE GUERRA

Il padre di Nino Destefanis, Michele, era nato nel 1889 e fu arruolato nel 34° reggimento Fanteria Brigata Livorno. Quando giunse con la sua compagnia all’accampamento tra San Martino di Quisca  e San Floriano del Collio trovò Destefanis Andrea di Candido del 1887 CADUTO Martedì 8 Giugno 1915, suo grande amico e vicino di casa. Furono felici di essersi trovati ma entrambi sapevano che era un brutto momento. Andeirin era già sotto le armi da qualche mese e si fece raccontare dei suoi, poi non ci fu molto tempo per le confidenze. Il 26 Maggio iniziarono gli attacchi della Brigata. L’obiettivo era la conquista del M.Sabotino, il piano italiano di Cadorna, aveva individuato nella valle dell’Isonzo la sola via percorribile verso il cuore dell’impero asburgico, così  trincea dopo trincea, pietra dopo pietra, l'esercito italiano arrivò davanti al campo trincerato di Gorizia, formato dalle colline del Calvario (Podgora), dell'Oslavia e del pilastro roccioso del Sabotino. Il VI corpo d'armata sferrò ripetuti sanguinosissimi attacchi nel corso della Terza e Quarta battaglia dell'Isonzo (ottobre-novembre 1915), senza riuscire a intaccare la linea di resistenza nemica. Il Comando italiano alla fine comprese che l'assalto frontale portato dalla pianura a ondate sempre più numerose, verso la montagna, era soltanto una carneficina.

Purtroppo per Michele e Andeirin(Andreino), come per tanti altri loro commilitoni fu terribile la sopravvivenza in quelle condizioni.

 

 


 

                               I buchi nel M.Sabotino

Gli austriaci sparavano, ben riparati nelle grotte scavate nella montagna e i Fanti dovevano procedere sotto quel fuoco sapendo che non sarebbero mai riusciti ad arrivare a stanare gli “Schutzen” ( bersaglieri tirolesi, erano una milizia volontaria adibita alla difesa territoriale.) Eppure bisognava andare avanti, ripari non se ne scorgevano e i rari massi che potevano proteggere erano presto occupati . A ogni assalto si conquistava una roccia, ma si avanzava di pochi metri. Le granate esplodevano in continuazione, i proiettili sibilavano e in continuazione compagni venivano feriti. I loro lamenti erano coperti dal tuonare delle bombarde e dalle voci degli ufficiali che intimavano di procedere. Michele e Andeirin stavano sempre insieme, sia quando dovevano cambiar postazione sia nei rari momenti di riposo dietro a qualche riparo. I giorni erano tutti uguali, il terrore di non arrivare al giorno dopo rendeva taciturni e pensierosi. Qualcuno andava fuori di testa e o tentava di arrendersi o si nascondeva, ma sempre faceva una brutta fine. Andrea e Michele avevano una buona intesa e riuscirono a infondersi coraggio solo con degli sguardi. Andeirin, seppur più grande di qualche anno soffriva maggiormente la lontananza da casa e ogni tanto estraeva il suo libretto, col craion annotava poche parole e lo riponeva nel  tascapane. Quel martedì fatale si ripararono dietro a un masso, in attesa che arrivasse l’ordine di assaltare all’arma bianca. Siccome il fuoco di copertura era sospeso Andreino confidò a Michele l’intenzione di scrivere alla sua futura sposa. Aggiunse di essere felice poiché la famiglia di lei aveva dato “èr contènt”( concesso la mano della figliola). Michele più grande di qualche anno, poiché “richiamato alle armi”, lo incoraggiò a scrivere e anzi, vedendo che il libretto della carta da lettera era ormai sgualcito, gli porse il suo ancora nuovo poiché era arrivato da poco al Battaglione. Andreino ringraziò e inizio a scrivere ma una granata proveniente dall’artiglieria italiana cadde proprio dov’erano i due compagni. Andreino fu disintegrato e Michele fu sbalzato a dieci metri. Accorsero i barellieri e constatando che Michele pur ferito gravemente respirava ancora, lo sollevarono per condurlo all’infermeria da campo, lasciando i poveri resti di Andreino. Dovendo attraversare un pendio scoperto, attesero un po’ e valutarono se Michele spirava per abbandonarlo e mettersi al riparo. Furono coscienziosi e lo condussero in salvo. Si ritrovarono, portantini e Michele, tutti feriti all’Ospedale a Firenze. Gli raccontarono cosa era successo al M.Sabotino e Michele seppe che il suo giovane compaesano era andato avanti. Gli toccò il gravoso compito di portare le notizie della morte di Andreino alla famiglia e alla fidanzata.

Candido ed io, ci siamo commossi ad ascoltare il racconto di Nino e lo abbiamo ringraziato per aver mantenuto e riportato la memoria del padre e del giovane soldato alla Grande Guerra. Essendo venuti a conoscenza di quei fatti siamo diventati a nostra volta Testimoni e ci auguriamo che chi avrà modo di leggere o ascoltare storie di vita e di morte nella Guerra si senta in dovere di essere Testimone portatore di idee di Pace. Onore e Memoria per Michele Destefanis e Andeirin Destefanis.    

 

 

 

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