Laneri Maestra Maria
Maria e la sorellina
Nà sota
na cheuv Nata sotto un covone
Sono nata a Verduno il 27 10 1926, mi dicevano
che ero nata sotto “na cheuv”(covone di grano) . Mi hanno trovata girando il
covone perché era piovuto e hanno detto a mio padre: “Pijra ti Mario che’t rei
gnune maznà!”(prendila tu Mario che non hai nessun bambino!) A casa mia eravamo
in 17 poiché vi erano anche le famiglie dei
due fratelli di mio padre più il Cé (il nonno) e la nonna.
A Verduno non si faceva la fame poiché c’era
abbondanza, tuttavia noi bambini e le donne non ci siamo mai seduti a tavola. Si
mangiava appoggiati “a r’erca”(la madia) sugli scalini della scala, poiché a tavola si sedevano gli uomini e chi
lavorava in campagna.
STORIE DEI MIEI
Anche la nonna sedeva davanti “ar fornèl”(Camino)
e appoggiava il piatto “a ra bocia der brandé”(alla boccia dell’alare). Il
camino rimaneva acceso finché si era cucinato poi si copriva la brace con la
cenere e al mattino aggiungendo qualche “rametta” si riaccendeva il fuoco.
La nonna non l’ho mai sentita comandare, tuttavia lasciava le indicazioni affinché in casa ci fosse sempre l’acqua nel secchio “ra fassina ed bosch” (la fascina di legna ) e “ra breza “ la brace" .Veniva da Sinio e mi raccontava che aveva iniziato a impastare per i Tajarin che era talmente piccola che per arrivare al tavolo le mettevano “ra mina “(Contenitore in legno per misurare il grano) sotto i piedi .
MINA O TUMMOLOLa mia mamma nacque in America del Nord dove
mio nonno Cichin emigrò per fare il minatore. Vissero in una baracca di legno in un villaggio di minatori
e la nonna acquistò un vocabolario di seconda o terza mano da un ambulante per
poter imparare qualche parola di inglese.
Poi, siccome mio nonno perdeva la salute
tornarono in Italia. La mamma ricordava che nel viaggio sulla nave “iero sota e
er papà o andava dzora a pié in bicel ed bira per ra mama perché mi pupava
ancora!” Eravamo sotto (nella stiva) e il papà andava sopra (in coperta) a
prendere un boccale di birra per la mamma affinché producesse latte per me che
poppavo ancora.” Il nonno morì per una
malattia polmonare contratta in miniera, lo chiamavano l’Americano! Rimase
orfano in quanto la mamma morì di parto e imparò ad arrangiarsi da solo.
Piccolino mungeva la mucca e mangiava il latte da bollire. Suo padre non si
interessò mai di lui.
GLI STUDI E LA GAVETTA
Sono andata a scuola a Verduno dove c’era fino
alla quarta classe ,la quinta l’ho frequentata a Balangero dove viveva mia
nonna. Pensa che in quell’anno in cui ero a Balangero (1937) hanno battezzato
il principe Vittorio Emanuele lo battezzarono con l’acqua del Piave!
In seguito frequentai l’avviamento con
indirizzo Commerciale e diedi l’esame di ammissione alle Magistrali. Siccome
avevo un sogno: andare a insegnare in America, volevo entrare in ruolo presto
per poter chiedere l’insegnamento all’estero e per questo accettai il posto in
una Scuola Sussidiata che forniva punteggio per tutto l’anno.
Per
arrivare al Colle La Margherita (1350 m) si impiegavano tre ore di cammino da
Dronero.La mamma mi preparò alcuni Fagòt (involucro in un fazzolettone) e mi
diede una bottiglietta d’olio, “che mi bèicava ma èisava nen”(che guardavo ma
non usavo) e cinque chili di farina . Venne ad accompagnarmi e giunte a Cuneo
dal viadotto Soleri ,in attesa del trenino per Dronero un impiegato
dell’Ispettorato mi portò la nomina. Il trenino era talmente lento che il
guidatore scendeva a fumare e poi risaliva. Da Dronero vi era una mulattiera
che si inerpicava verso il Colle e
Sembravano scatole di carne ma erano Bombe!
Il Parroco forse “o jera genà” (era timido) ma
pretendeva che andassi a Messa e tuttavia mi invitò una volta sola nel ”Pèilo”(Tinello)
poi non mi chiamò più. In questa scuola rimasi un anno “Ma o rè bastò!!” (Ma è
stato sufficiente!!). A Saretto ,una borgata vicina,viveva una famiglia di Ancioé(venditori ambulanti di
acciughe) che avevo conosciuto a Balangero. Anin, la mamma, mi invitò parecchie
volte a pranzo e mi fece conoscere la loro maestra che veniva da San Remo. Il
pranzo consisteva in un piatto unico: patate a fette con qualche fettina
d’aglio e se c’era qualche fettina di pane.Si mangiava quello “e bin, soma pà
mort”(ebbene siamo sopravvissuti!) .La guerra era finita a Maggio ma non si
trovava né pane né sale né tantomeno olio,”patate,patate e patate”
In una grotta trovai delle “scatolette “che pensavo
fossero piene di carne e fortuna volle che non riuscii ad aprirle perché Anin
mi disse che erano “Bombe Balilla “lasciate dai Partigiani! La nipote di Anin
che era staffetta partigiana mi procurò qualche pagnotta di pane. Mi portavano
il latte ,lo scremavo e con una bottiglia “ra sopatava e fava er bur”(la
scrollavo e facevo il burro).
Nonostante questa penuria di cibo non “feci mai
la fame” !
Una volta mi invitarono con le maestre delle
altre borgate a mangiare la polenta. Accesero la stufa nella stalla e mangiammo
polenta e gatto! Era ottimo,lo lasciavano 15 giorni sotto una pietra nell’acqua
corrente , poi lo cucinavano con gli aromi e “bon co jera!” Per questa
occasione “ravo fina lustrà er
bestie”(Avevano persino lucidato gli animali) , mangiammo “con er piat an
fada”(con il piatto in grembo) poiché tavoli non ne avevano.
Metodo di insegnamento: Arangesse!
Siccome il mio metodo di insegnamento era
limitato al ricordo di come avevano insegnato a me alla scuola e non sapendo
che altro proporre decisi di andare a consultarmi con il Direttore a Dronero.
La mia consigliera Tin mi disse di andare ad accordarmi con una donna di una
baita vicina. Questa non conoscendomi mi aizzò il cane che mi morse , e porto
ancora i segni,e mi alzò il bastone per picchiarmi. Quando le ebbi detto chi ero mi disse che sarebbe
scesa a Dronero il martedì “partinda con er stejre!”, e non si preoccupò
minimamente del mio ginocchio che sanguinava! Non avendo nulla per
disinfettarlo usai un po’ di sale, “s’vough che iera sana”
Dal Direttore ebbi poche soddisfazioni , non
c’era e parlai con un’insegnante che mi consigliò di fare il Diario delle
attività .Io feci il diario consuntivo anziché stilare il preventivo del
programma, comunque il Direttore a fine anno non mi redarguì. Non diedi l’esame
di quinta poiché dopo un fatto che ora racconto l’Ispettore disse al Direttore
di non lasciarmi più alla Margherita perché troppo rischioso. I montagnin erano
gelosi delle loro ragazze e non volevano che venissero dei pretendenti
“fidanzati” a far la corte alle loro figlie e sorelle. Successe una sera che un
gruppo di una borgata si vestì di bianco per spaventare giovani di un’altra
borgata,peccato che invece eravamo io e la mia collega che tornavamo da una
“Vijà”.Questi urlavano e facevano rumori lugubri ed effettivamente ci
spaventammo molto. Poi ci spiegarono, ma i superiori temendo altri problemi
decisero di tenere gli esami nella scuola più sicura.
Fui pagata per tutto l’anno e mi comprai un
bellissimo cappotto di pelo di cammello e un orologio d’oro di
contrabbando, tutta roba che proveniva dalla Svizzera.
Al colle della Margherita ci tornai nel 1981
con Sandro Nada e Gioanin er fratel ed Teresa
trovai tantissima gente convenuta
per la Marcia sui sentieri Partigiani ma soprattutto per la festa “d’j’anciouè
a Ruata Prato. Al Colle della Margherita della scuola non vi era più traccia
ora vi erano un Pilone con la lapide ANTIKESSERLING,IL CIPPO AI CADUTI DELLA 2°
DIVISIONE G.L.e la Cappella ai Caduti della 10°
Div. G.L.
DOPO CINQUE RIFIUTI ARRIVO IO!
Al secondo anno di insegnamento effettuai
domanda all’Ispettorato e ottenni un posto alla Sanità di Savigliano. Ero la
sesta maestra che andava, delle altre 5 nessuna aveva accettato. Era un posto
scomodo da arrivarci e con il papà dovemmo fermarci a dormire in uno
stallaggio. La scuola era in una camera al piano terreno e sopra vi era
l’alloggio però occupato da una famiglia della Guardia Municipale .Papà non
voleva mi fermassi, ma con la testardaggine che mi ha sempre contraddistinta io
rimasi. Mi toccò il cuore il vedere quei bambini schierati che attendevano
la maestra ed erano stati delusi per ben
cinque volte. Mi fermai un anno e ricordo che una bambina “Angiolina”,alla
mamma che le chiedeva se era contenta di finalmente avere la maestra rispose :
“stalì a ré mach na fomra!!” quella è solo una donna!, La sua ultima insegnante
era stata una Suora! Le famiglie e i bambini mi coccolarono e quasi a
ringraziarmi per avere accettato mi portavano sempre uova, tome, frutta,
verdura, e non dovetti comprare nulla.
Maestra Maria insegnò per sei anni da supplente
poi finalmente vicino a casa a Bra e Pollenzo per diciassette anni. Destino
volle che approdasse a Trezzo Tinella dove sposò Filippo Revello.
Nei cuori dei
Trezzesi è rimasta tutta la cultura e l’amore che Maria ha saputo dispensare. A
me, che pur l’ho conosciuta già in pensione, ha lasciato un ricordo di amicizia
e di affetto che può trasparire dal testo della poesia “Mia Mare” di Oreste
Gallina . Grazie Maria.
Un saluto a Maria
Beppe di ANNA E
MICHELINO
Cara Maria , porterò per sempre nel cuore il
ricordo di una amica che sapeva dire tanto sia con le parole che con gli
sguardi e con i sorrisi. Ci siamo conosciuti che già tu avevi l’esperienza
dell’insegnamento e della vita,ma sapesti offrirmi le tue conoscenze con semplicità
e umiltà. Mi raccontavi dei tuoi allievi e lasciavi a me cogliere l’umanità che
ne scaturiva. Per te era stato normale
aiutare a crescere tanti bambini e sempre ringraziavi per quello che
quei fanciulli ti avevano insegnato.
Era un piacere ascoltarti e grande insegnamento
sentire quanta gioia ti procuravano i ricordi. In ogni occasione ,bella o
triste sapevi pescare nel mare degli scritti e delle traduzioni e fornire aiuto
adatto all’anima felice o dolente. Sì ,la grande abilità ti permetteva di
sempre istruire con amore e pazienza.
Quando mia mamma ci lasciò mi facesti avere la
poesia e la traduzione di“Mia Mare” di Oreste Gallina .La leggo e la tengo a
mente quando penso a mia madre e ti ringrazio per il bel dono. Quando assunsi
l’incarico di Padrino di Enrico mi donasti “Spendi l’amore “ di Anonimo e
abbracciandomi mi sussurrasti “Staje sempre daozin !” ,in seguito rinforzasti
l’ insegnamento con una preghiera a Maria scritta di tua mano. Ti ringrazio per
gli aiuti che mi hai fornito e per la guida che tuttora mi fornisci col ricordo
del tuo esempio.
Ti vedo passeggiare con la mia mamma e …….come
bei fiori vi vedo lì… poi là…, in ogni luogo da dove me li riporta il mio
amore, a rifiorire per sempre nel mio cuore. E infine ,come hai insegnato,
Spenderò l’amore a piene mani !.......
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