ROSSELLO RENZO ROCCHETTA BELBO
1924
Alla Commemorazione dell’Eccidio della Canova di Neive tra i partigiani presenti fui attratto da un omino che mi incuriosì per la sua semplicità e vigoria. Gli chiesi di che paese fosse e mi rispose: “èd Rochetta”. Alla richiesta se potevo andare a farmi raccontare un po’ della sua storia , con un sorriso mi disse “sì sì, ma ciamomie a mia nora e mè fieù!” (Sì sì ma chiediamo a mia nuora e mio figlio). Compresi che avevo contattato un personaggio che mi avrebbe insegnato molto. Anche i figli acconsentirono e quando ad Agosto mi presentai fu un bell’incontro. Andai a cercare Renzo nell’orto. La nuora mi spiegò che il lavoro era il suo passatempo e che avrebbe raccontato volentieri della sua gioventù. Fin dalle prime battute capIi che raccontava non per fregiarsi ma per onorare i suoi coetanei e commilitoni che più sfortunati di lui avevano avuto una vita meno facile.
Insomma Renzo fu un Partigiano
che svolse il suo compito perché suo padre e sua madre gli avevano insegnato
che quando è necessario bisogna anche saper affrontare il pericolo. Durante il
racconto, più volte mi rivelò con parole e gesti la naturalezza del suo operato
di giovane militare e partigiano e mi fece comprendere che fu grazie a giovani
come lui che si realizzò una grande epopea e che è necessario rendere noti
questi racconti di vita affinchè non vadano persi insegnamenti importanti. Nel
dare a lui la parola ricordo che è comunque indescrivibile l’emozione che ti
trasmettono persone di grande semplicità ma di fondamentale importanza per la
nostra crescita morale e civile. Grazie Foco
Rossello Renzo Nome di
battaglia “Foco” classe 1924
Da Alba Caserma Govone a Saluzzo e poi Staffetta per Poli e Pinin
Nato nel 1924, fui arruolato
nel vecchio esercito in Fanteria il 28 Agosto 1943 e non essendo abile per
tutti i servizi fui inviato al deposito di Alba. Alla Caserma Govone arrivarono
ben tremila reclute che, con l’otto Settembre furono tenute come prigionieri
finchè non arrivarono i Tedeschi. Duemilacinquecento furono inviati in Germania
e altri cinquecento,tra i quali io, fummo destinati a svuotare i magazzini
della Caserma. Dopo tre giorni senza mangiare studiai il da farsi e andai a
nascondermi, poi sfruttando “er rigosiglio”(caos) sgattaiolai fuori. Devo
ringraziare quattro ragazze di Alba che insieme a tutta la popolazione fecero
di tutto per salvare i giovani militari. Quando decisi di scappare, in divisa,
perché avevo portato a casa gli abiti borghesi, due ragazze intrattenevano la
guardia e altre due mi fecero segno che era ora di uscire. Andò bene, ma
rischiai molto poiché le SS(guardie tedesche) avevano l’ordine di sparare
mirando al cervello e cervelletto così da “fete sté sèc”(ucciderti sul colpo).
Nei pochi giorni che rimasi dentro fui costretto a portare cadaveri di soldati
sulla letamaia della scuderia e ce n’era una catasta eh!
A quei tempi la porta carraia
della caserma dava sul buco della fornace dove adesso c’è Piazza Cristo Re e
io, presa quella scorciatoia, trovai mio fratello che era venuto a portarmi gli
abiti, così mi cambiai i vestiti e scampai la Germania. Una volta a casa avevo
preso talmente in odio i fascisti e i tedeschi che diventai staffetta per Pinin
Balbo e per Poli. Avevo anche l’esempio di mio padre che collaborava con i
partigiani informandoli sui movimenti dei nazifascisti eh!. Una volta a Castino
arrivò un’autocolonna di tedeschi e avevano messo un posto di blocco, mio padre
si presentò alla barriera e alla guardia tedesca che gli chiedeva dove andasse
rispose in Piemotese: “vagh a piémè in poch èd pan”(Vado a prendermi un po’ di
pane) la guardia non capì e gli disse di parlare italiano, lui disse “se ‘t
capisi nèn r’italian vèn nèn a fé o soldà an Italia”(se non capisci l’italiano
non venire a fare il soldato in Italia.) lo scortarono fino al forno ma lui
intanto aveva potuto vedere quanti erano. Diceva sempre: “ah mì ro nèn pao, ro
fat 4 agn èd guera!”(ah io non ho paura,ho fatto 4 anni di guerra!)
A me successe che andavo a
esplorare verso Cossano e fui fermato da una pattuglia, mi chiesero cosa facevo
e io pronto: “vagh a consgneme”(vado a consegnarmi). Per i giovani del 1924
c’era la possibilità di consegnarsi in caserma onde evitare di essere
denunciati come renitenti alla leva.
Andò bene che non avevo armi
né tessera e così mi portarono al distretto di Alessandria. Scendendo dal treno
incontrai un mio vicino di casa di Perletto che aveva studiato da prete, e gli
confidai cos’era successo e che intendevo farmi mandare in una caserma in Val
Casotto per collaborare con i Partigiani di Mauri, questo mi consigliò di non
andare in Val Casotto poiché Mauri stava preparando gli assalti alle caserme
per recuperare armi e potevo rischiare la vita se mi trovavano con la divisa
dell’Esercito. Ascoltai il suo consiglio e rimasi ad Alessandria in ospedale
dove con il mio modo di fare “disponibile” fui preso a benvolere da un Capitano
medico che mi mandò a Saluzzo ad aiutare i militari mutilati. Anche qui ebbi
modo di passare informazioni ai gruppi partigiani e intanto venivo a casa in
permesso e mi tenevo in contatto con Pinin Balbo. Dopo tre mesi a Saluzzo ebbi
una Licenza di sette giorni e..” devo ancora vogme adèss, son pi nèn
tornà!”(Devono ancora vedermi adesso, non sono più tornato.)
Mi nascosi per un po’ di
giorni presso una mia zia a San Giorgio Scarampi che viveva da sola con i
proventi della “Tessera” e per questo mio padre mi portava da mangiare.
Dopo un po’ di tempo tornai alla mia squadra Partigiana che aveva come Capo un certo "Sgancia" di origini siciliane.
GRISAFI GIUSEPPE 09/09/1921 PALERMO (PALERMO) - ITALIA Cittadinanza ITA
PERITO
ELETTROTECNICO
FANTERIA Reparto BERSAGLIERI
MARESCIALLO
Reparto RSI 101°
BERSAGLIERI DEPOSITO Grado conseguito Dal 04/05/1944 Al 01/08/1944
Nome di
battaglia SGANCIA
Ultima
formazione 2° DIV LANGHE
2° DIV
LANGHE Dal 01/11/1943 Al 01/01/1944
COMANDANTE PLOTONE Dal 01/08/1944 Al 07/06/1945
Ripresi i miei giri tra Mango, San Donato, Cortemilia, Vesime e
secondo gli ordini portavo messaggi nei vari comandi. Quando a Rocchetta si
insediò la commissione inglese feci la spola tra Rocchetta e San Donato dove
c’era il comando di Poli. Non entrai mai nell’ufficio di Poli poiché non volevo
essere a conoscenza di informazioni che ,qualora mi avessero catturato avrei
potuto rivelare. Perché bisogna dire che “lor iavo i sistemi per fété parlé”! (Loro
avevano i metodi per farti parlare!) Ricordo che presero una staffetta come me
a Mango. Questi aveva dei documenti e non volle parlare, ben, lo legarono alla
Jepp e lo trascinarono fino a San Donato facendolo a pezzi. Non mi fidavo
neppure delle staffette ragazze poiché avevo sentito che delle donne erano
riuscite a carpire la parola d’ordine a un “betè di partigiano di Perletto” e
poi avendolo riferito ai Fascisti ne fecero uccidere sette! Per questi motivi
agii sempre con molta cautela .
Il mio incarico era portare
messaggi e ordini ai vari comandi e tuttavia viaggiavo armato con il Novantuno
rimodernato, due caricatori nelle giberne e due bombe Sipe che avevamo ricevuto
con i lanci degli americani. Fortunatamente non ho mai dovuto sparare ma in
alcune occasioni mi spaventai veramente. Una volta, stavo salendo a San Donato
per incarico della Commissione Inglese, quando a metà strada, nel bosco, sentìi
parlare e non capivo che lingua, allora mi liberai delle armi che nascosi e
quando compresi che erano Francesi con lo zaino affardellato che salivano a San
Donato provenienti da Vesime, mi tranquillizzai e tornai a riprendere il mio
armamentario.
Nei miei ricordi che vanno sfumando, rimangono personaggi come Pinin Balbo che era Esattore a Cossano e amico di mio padre perché entrambi combattenti della guerra del ’15. Io seguivo sempre mio padre e li sentivo parlare della guerra e compresi che pur odiando le armi bisognava prendere posizione. Conobbi anche “Miliano” “Romolo” (Carrero Giuseppe 1925) “Rosamunda”(Bertero Pietro 1925, Giorgio(Adriano Balbo) “Napoleon”( Carle Pietro Torino 1914 un Trovatello di Cossano e soprattutto ebbi a che fare con Poli Piero Balbo.
Ho sempre odiato le armi, ma
erano tempi in cui venivano usate con grande facilità e pur avendo a cuore la
mia e altrui vita in parecchi casi vidi da vicino il rischio di uccidere o
essere fatto fuori.
Quando eravamo di pattuglia a
Canelli eravamo una squadra di Azzurri "Badogliani" e una di Rossi "Garibaldini" e ricordo che per
sicurezza andai ad accordarmi sulla parola d’ordine con Rocca il comandante dei
Garibaldini perché avevo compreso che si poteva sparare con troppa facilità. In
un’altra situazione, intimai l’alto là a una persona che veniva verso il posto
di blocco e non si fermava, poi nuovamente “alto là chi va là” e questo
procedeva. Fortunatamente non sparai, era un militare sbandato che andava verso
casa e io lo capii, ma quando gli fui vicino gli dissi che poteva ringraziare
che di pattuglia c’ero io, perché chiunque altro lo avrebbe fatto secco! Ci
voleva buonsenso e umanità ma in quei momenti là era complicato!
MIO PADRE FERMATO DAI NAZISTI
Nel 43/’44 mio padre Carlo aveva sessantatre anni e avendo
partecipato alla guerra del ‘15/’18, anche lui “ò podiva nèn voghè i tedèsch!”
non sopportava i nazisti. Collaborava con il gruppo dei Partigiani di Rocchetta
Belbo e quando serviva, girava a prendere informazioni. Una volta c’erano i
tedeschi a Castino , e lui andò, quando fu sulla strada del paese, fu fermato
al posto di blocco da una guardia armata che puntandogli il fucile gli chiese
dove andasse. Mio padre, che capiva un po’ di tedesco gli rispose in piemontese:
<a vagh à pième an poch èd pan> la guardia spintonandolo con l’arma gli
disse: < ich verstehe nicht (non capisco)> e lui < se’t capissi nèn r’italian
vèn nèn an Italia!> e si avviò continuando a parlare in piemontese < mi
reu nèn pao, reu fat quattr agn èd guèra! Io non ho paura,ho fatto quattro anni
di guerra!> Due guardie lo seguirono fino in piazza dal panettiere e lui, quando ebbe visto quanti mezzi e uomini c’erano e parlato con il panettiere se
ne tornò sui suoi passi sempre scortato dai soldati e riportò le informazioni.
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