venerdì 20 ottobre 2023

 

         VOLPIANO BO GIOVANNA NATA IN

“ CRAVIE” CASCINA VOLPIANO 17 11 1921

                          BORGOMALE          

  Montelupo Albese  2011

                    

Montelupo Albese 2022

    Papà "Mini"

   

Marito Agostino

https://youtu.be/lLV2Q99ytiI              Volpiano Giovanna 1921 Borgomale 2011

 https://youtu.be/KRtWAM29GBc         Poesia l’uccellino 2022

 https://youtu.be/RO7Qb0THUNE         Poesia Il gatto   2022      

    

 https://youtu.be/s1IOpAA67lM                      ANDAVO A SCUOLA     2022

Giovanna è vivente a Montelupo Albese dal 1946 avendo sposato Agostino Bo del 1918 che fu militare con suo fratello Luigi.


 Mia mamma era Margherita Manera e veniva da Serravalle Langhe.  Mio papà Volpiano Giuseppe detto “Mini” era del 1881 e partecipò alla guerra europea del 1915 /18 fu nominato Cavaliere di Vittorio Veneto.. A causa delle fatiche della guerra morì nel 1944 a soli 62. Per i divieti imposti dai decreti nazifascisti non fu possibile effettuare il funerale e la bara fu trasportata al Cimitero con un Birocc(calesse). Mio fratello Luigi tornò dalla prigionia in Germania solo nel 1945 e seppe allora che nostro padre era deceduto.

In famiglia eravamo in 10: Papà, Mamma noi sei figli, un fratello di mio padre con sua moglie Cristina. Ricordo anche una prozia “Madlinin” sorella di mio nonno. Lei ci insegnò le preghiere e imparammo più da lei che dalla scuola. Però noi bambini se potevamo ci andavamo a nascondere! Poi vi era “Magna Cristina” che aveva problemi di salute ”i dolor” e stava a casa e preparava da mangiare per tutti. Noi bambini avevamo il compito di portarle il necessario per il fuoco della stufa, fascine e legna. Lo portavamo con una carriola dove qualcuno spingeva e altri la tiravano con una corda. A volte, dispettosi, facevamo finta di non riuscire a salire i due gradini per entrare in casa e facevamo tirare anche lei, povera donna.

Il primo dei figli era del 1910 ed era Antonio mio padrino di Battesimo. Poi vi era Cesarina del 1915, Luigi del 1920 io del ’21, Oreste del ’26 e Talina del 1928.  Mio nonno paterno morì del 1925 quando io avevo appena 4 anni e lo ricordo soltanto che mi faceva andare in “Sbilauta” sull’altalena.avevo appena 4 anni e lo ricordo soltanto che mi faceva andare in “Sbilauta” sull’altalena.

Ricordo Don Boeri, il parroco di Borgomale, originario di Serravalle che veniva a Benedire.

A SCUOLA

Si andava a scuola a Montemarino. Con la bella stagione avevamo le scarpe ma d’inverno, dopo che avevano “fatto la calà” ( era passato lo spazzaneve trainato dai buoi), si andava con gli zoccoli che erano un po’ duri ma ci si abituava presto.

 Eravamo bambini di quattro classi in una sola aula con una sola Maestra! Veniva da Asti ed era bravissima! Si chiamava Scarsi! La scuola distava dieci minuti a piedi da casa nostra, ma noi impiegavamo sempre di più, perché ne combinavamo di tutti i colori. Cercavamo delle pietre rotonde e poi giocavamo a bocce, prendevamo i rami di “svèirass” (la vitalba- liana) e ci costruivamo le sigarette, meno male che facevamo solo un po’ di fumo senza respirarlo!

I GIOCHI 

La mamma mi realizzò una bambola di lana  con una matassina di lana. 

LAVORI IN CAMPAGNA

Io, fin da giovane andai a lavorare in campagna. I lavori di casa li facevano mia mamma e la zia, così io aiutavo mio padre nella vigna. Il lavoro era tanto, si iniziava con Torzè( legare la Tirassa(ramo della vite da dove partono i tralci) verso il basso)   peu scarzoravò( sfrondavamo)  peu  riavo(legavamo i tralci ai pali e ai filidi ferro)  peu spianavo(spianavamo le cime dei nuovi virgulti). Fino alla vendemmia vi era lavoro. Noi avevamo soprattutto viti da Dolcetto e poche da Barbera.

Con il grano andavamo a tagliare con la faussija (falce messoira) e poi a “Giavlé” ( accovonare: mettere insieme le giavele ( mannelli) per farne un covone: cheuv.

L’ACQUA

Poco distante da casa, avevamo una dòz sorgente con una vasca di raccolta e dietro casa una tampa per la raccolta dell’acqua piovana. Fin da quando ero bambinami ricordo che avevamo un rubinetto fuori e uno nella stalla che portava l’acqua dalla cisterna. Nella tampa si andava a lavare sulla pietra.

Avevamo anche un Crotin (piccola grotta scavata nella marna) dove gocciolava sempre un’acqua fresca molto buona!

RÀ LÈSSIJA (il bucato)

Ricordo sempre il profumo delle lenzuola e dei vestiti lavati con solo acqua calda e cenere: mettevamo le lenzuola dentro una sija (mastello) sopra si poneva una tela con della cenere, si versava dell’acqua bollenteche colava dentro un altro recipiente. Quel liquido lo si faceva nuovamente passare sopra. Poi andavamo ad “arzèntéje (risciacquarle ) nella tampa per poi stenderle sulla corda tesa delle cavaglie ( tronchi incrociati) o direttamente sull’erba del prato. Solo con cenere e acqua questi panni emanavano un ottimo profumo. 

LE VIJÀ

Nella nostra casa avevamo una camera chiamata ”rà stanssia scura”, lì c’era il caminetto” fornèl” dove si faceva scaldare l’acqua per la Lessija e poi, alla sera si facevano cuocere le patate nella brace. Intanto che si aspettava che le patate cuocessero ci scaldavamo lì attorno. A volte venivano le famiglie dei fratelli e delle sorelle e allora andavamo nella stalla perchè in casa non ci stavamo più.


        Giovanna raccontò di suo zio e dei dispetti

                      della Masca di Mompiano

Lo zio di Giovanna viveva a Benevello ed aveva dei poderi e un Ciabòt (casotto per attrezzi e da riparo) nei pressi di Mompiano. A quei tempi si diceva ci fosse nei paraggi una vecchia donna che possedeva il “libro del Comando” e creava problemi ai contadini o passanti che transitavano per la scorciatoia che da Benevello portava alla Cascina Langa e poi a Mompiano e Cappelletto di Trezzo Tinella.

Una volta lo zio di Giovanna si trovò in fondo al Vallone dal quale si risale per la strada di San Bovo e gli successe che si trovò bloccato nell’andatura e non riusciva a procedere. Sentì una voce che diceva:<Girmè antorna due vote e mi ‘t lass andé!(Girami attorno due volte ed io ti lascio andare> Si guardò intorno ma non vide nessuno se non una grande quercia. Si stropicciò gli occhi e si diede due manate in testa per scrollarsi, ma nulla da fare, non riusciva a muovere i piedi e le gambe. Nuovamente sentì la voce, si sedette per riposare un momento, ma quando si rimise in piedi sentì i piedi ancora bloccati al terreno. Dopo essersi guardato nuovamente attorno, sommessamente chiese: <Chi séti? Chi sei?> ma come risposta ricevette nuovamente l’indicazione precedente:<Girmè antorna due vote e mi ‘t lass andé!(Girami attorno due volte ed io ti lascio andare>. Cominciava ad adirarsi ed era già quasi un quarto d’ora che era lì bloccato, si decise di accondiscendere alla richiesta e disse: < và bèn giroma antorna a sa pianta! Va bene giriamo intorno a quest’albero!> Detto questo i piedi si sbloccarono, ma fece per avviarsi nel sentiero e sentì la voce:<fa nèn èr furb! Non fare il furbo!> e si trovò nuovamente inchiodato con un piede avanti e uno dietro. Veramente spazientito esclamò due bestemmie e disse:<sa-sa, fomra finija, giroma antorna a sa pianta! facciamola finita, giriamo attorno a sto albero!>. Appena sentì i piedi liberi girò una volta attorno all’albero e si avviò, ma fu nuovamente bloccato e sentì la voce:< reu ditè doi gir! ho detto due giri!>, effettuò il secondo giro intorno alla quercia e fu libero di risalire per il sentiero. Continuava a guardarsi indietro e attorno ma non vide e non incontrò nessuno. Quando superò l’arrabbiatura sorrise e sperò di non essere impazzito. Quando arrivò in Serra, incontrò Pasqualin, un anziano suo amico e gli raccontò il fatto accaduto. Questi sorridendo:< pijtra nèn, à rè sà veija malefica ca sè smora e an fà pèrdè tèmp! Non preoccuparti, è quella vecchia malefica che si diverte e ci fa perder tempo!>.

In un’altra occasione, lo zio di Giovanna si recava con il cavallo e il carro a portare qualche coppo delle assi e una damigiana al Ciabòtt nei pressi di Mompiano, per effettuare delle riparazioni poiché era grandinato e il temporale aveva guastato vigna recinzione e tetto, e quando arrivò alla discesa della Cascina Langa, per il sentiero carro e cavallo si rovesciarono effettuando due giri. Lui aveva la cavezza in mano, poiché procedeva a piedi davanti al cavallo, ma non vi fu verso di trattenerlo. Mollò la cavezza e il carro e cavallo si fermarono trenta metri più avanti con il carico al posto come nulla fosse successo. Raggiunse il cavallo e il carro e constatò che tutto era in ordine e il cavallo stava bene, non era neppure spaventato! Lui invece raccontò il fatto solo a Giovanna, che era bambina, poiché temeva che gli adulti non gli credessero e lo prendessero per matto.

Zio Pietrin, per giustificare le sue esperienze con la Masca di Mompiano, raccontava volentieri e chiedeva conferma al fratello e ai vicini portando Giovanna e altri bambini alle “vijà” veglie” e diceva : nèh ‘t ricordti cola vota, che vita per porté rà machina da bate èr gran? ti ricordi quella volta, che fatica per portare la trebbiatrice?>

Dovevano trainare con i buoi, la trebbiatrice. Per salire alla cascina del Brich, da Monte Marino vi era una salita molto ripida e dovettero attaccare ben quattro coppie di buoi. Quando furono a metà salita i buoi si bloccarono e non vi fu verso di smuoverli. Provarono ad andare a prendere i buoi di Rapalin, che avevano fama di essere buoi speciali, ma non successe nulla. Neanche a sostituire quelli di Minòt che erano i più deboli perché non li teneva bene, non successe nulla. Tribolarono due belle ore poi dettero retta a Pasqualin , che era il più anziano e da parecchio tempo diceva: <sì jè re man èd Ginassa! Se ra porti nèn sì risolvima gnènte! Qui c’è la mano di Gina la Masca, se non la portate qui non risolviamo niente!> Il padre di Giovanna che era il più garbato, andò da Gina e la pregò di recarsi dalla salita dèl Brich per risolvere quel problema con i buoi e riuscire a trainare la trebbiatrice nell’aia. La donna fu fatta salire sul calesse e trasportata dalla salita. Appena fu sul posto chiese di rimanere da sola con i buoi e disse agli uomini di allontanarsi. Girò un po’ attorno al traino, quasi a studiare il da farsi, poi chiamò Pasqualin e gli diede le direttive:< beuta sa cobia e ès beu da sol s’atra cobia e ès beu sì e ancora parèi e parèi. Metti questa coppia e questo bue da solo, quest ‘altra coppia e questo da solo e ancora così e così> Quando Pasqualin  ebbe terminato di agganciare tutti i buoi Gina disse allo zio di Giovanna: < ti ch’èt sèi èr pi giovo stà davanti e tèn èr sovastr. Vojatri daré a possé! Tu che sei il più giovane vai davanti e tieni la corda. Voi dietro a spingere>. Pasqualin toccò il primo bue e diede una voce: <euh su!> Questi partirono e trainarono la pesante trebbia come fosse un fuscello. Riportarono Gina al suo casolare e lo zio ricorda che il padre non solo gli diede un barlètt di vino, ma per tenersela buona la invitò al pranzo “ dèr bate èr gran”. Nonostante il Prevosto avesse fatto gli occhiacci al capo famiglia quando la vide, la trattarono come una persona di riguardo e non ebbero mai più problemi. 

LA GUERRA

Non parlo volentieri del periodo della guerra!

Non si stava mai tranquilli, un giorno passavano i partigiani e loro dovevano mangiare, poi passavano i fascisti e si prendevano uova galline e salami. Il peggio accadeva quando veniva la polizia annonaria che ci lasciava un po’ di grano e un po’ di meliga e si prendeva tutto. Così bisognava rischiare a nascondere grano e altro per sopravvivere.Si arrivò al punto che non trovando più né olio, né sapone né verderame occorreva ingegnarsi di produrre tutto.

Per l’olio ci eravamo costruito un piccolo torchio che applicavamo al torchio da uva e così producevamo l’olio di nocciola.

Per produrre il sapone acquistavamo dai Bona di Manera, il grasso animale, poi lo facevamo bollire con della soda caustica e una dose di acqua per due ore. La poltiglia ottenuta si versava in un recipiente e poi in un cassetto affinchè si indurisse, a quel punto tagliavamo i pezzi e li utilizzavamo per la lavare. 

Il Fratello Luigi del 1920 partecipò alla Campagna di Guerra della Russia e fu poi preso prigioniero.  Deportato in Germania. Lavorò in una fonderia e raccontò che si scaldava dove uscivano le rotaie fuse, costruite per le strade ferrate. Come tanti altri patì la fame e il freddo.Tornò a guerra terminata ma non trovò più nostro padre Andato Avanti nel 1944.

LA MORTE DI PAPÀ

In tempo di guerra passavano i partigiani e i repubblicani e a tutti bisognava preparare da mangiare. Ve ne erano anche di “gram” cattivi che prendevano i vitelli.

Una volta si fecero prestare il cavallo perché dovevano trasportare qualcosa. Il padre glielo diede ma lo riportarono che era ammalato e così dovemmo chiamare il Veterinario. Dopo un po’ di tempo vennero nuovamente per prendere il cavallo ma il papà disse che sarebbe andato con loro. Quando furono a Manera uno di quei “malviventi” tirò fuori una pistola e puntandola al papà lo costrinse a scendere dal carro. Il papà rimase spaventato, tornò, e in famiglia non disse nulla. Lo si venne a sapere in seguito da conoscenti di Manera. Il papà rimase talmente male per il fatto operato, oltretutto da un vicino del posto che si ammalò e dopo poco tempo morì, era il 1944. 

Mio zio Giovanni raccontava di un suo vicino, Torchio Giovanni , che fu anche deportato in un campo di prigionia in Germania.

TORCHIO GIOVANNI 21-04-1915

Borgomale

Grado Caporale Reparto 2 Rgt. Alp. Alpini

CATTURA Fronte Italiano

Luogo di cattura 09-09-1943

Liberato il 21aprile1945

RIENTRO 06-1945.

INTERNAMENTO  Stalag XI B/ZKZ Mauthausen

NUORA DI GIOVANNA RACCONTA

Mio papà Bonan Angelo era del 1909 , richiamato alle armi fu preso prigioniero e deportato in Campo di lavoro in Germania. Riuscì a superare i reticolati e a fuggire. Quando tornò i medici dissero a mia mamma di non farsi illusioni poiché non avrebbe avuto vita lunga. Infatti a 53 anni morì improvvisamente con noi figli attorno. Io avevo nove anni, mio fratello 11  mia sorella 15 e il fratellino più piccolo 4 anni soltanto.

 

 

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