giovedì 26 ottobre 2023

RAPALINO LUIGI BENEVELLO 1923

 RAPALINO LUIGI BENEVELLO 1923

REDUCE DELLA PRIGIONIA IN GERMANIA 1943 1945




https://youtu.be/7A4u0o8BbOw                                  Da militare e poi prigioniero


 Rapalino Luigi, nato a Benevello il 29 Marzo del 1923.

 Mio padre era Paolo e mia madre Degiorgis Ernesta.

Frequentai le scuole fino alla quarta elementare, poi iniziai ad aiutare la famiglia nei lavori di campagna. All’età di sedici anni andai ad Alba per imparare il mestiere di panettiere. L’anno dopo, con l’aiuto di un garzone aprii un forno a Benevello ma dopo soli sei mesi il garzone fu richiamato alle armi. Lavorai da solo dal 1940 al 14 Settembre 1942 quando partii soldato e fui arruolato a Cuneo negli Alpini. A dicembre fui trasferito a Limone Piemonte dove frequentai il corso sciatori. Eravamo preparati per il fronte Russo, ma nel Gennaio 1943 ci fu la Ritirata di Russia. Fummo quindi inviati a Piedicolle vicino a Gorizia e vi rimanemmo dal 23 febbraio ’43 fino alla metà di Agosto. Con la caduta del Fascismo, il 25 Luglio, iniziò un periodo in cui anche i comandanti non sapevano cosa fare. Io ed altri avevamo la Licenza pronta ma ci fu revocata. Ci trasferimmo al Passo della Mendola , presso Bolzano, per rinforzare il Reggimento. Fui inserito nel 2° Alpini 14° Compagnia  Batt. Borgo San Dalmazzo. La sera dell’8 Settembre, giorno dell’Armistizio, fummo in gran parte catturati dai Tedeschi e trasferiti in Germania con delle tradotte.

MATRICOLA 50768    https://youtu.be/5IdqJVOlL5c        

Rinchiuso nel Campo di  Flossenbürg (situato tra Norimberga e Praga) al Campo 12, mi venne assegnato il n. di Matricola 50768. Dopo pochi giorni, con molti altri, fui trasferito a Mannheim sul Reno a spalare macerie. Verso la fine di Settembre ’43 ci spostarono a Saarbruken al campo 2065. Eravamo oltre 850 prigionieri, una parte fu inviata a lavorare in fabbrica, altri come me venivamo prelevati da borghesi per dei lavori. Con altri fui scelto da un anziano borghese che selezionava. Quelli che riteneva idonei li prelevava , gli altri li lasciava nel Campo. Formammo una squadra di 15, 13 dei quali Cuneesi, un bergamasco e un calabrese. Il nostro  lavoro consisteva nello stendere linee elettriche per l’impresa A.E.G. . Era un lavoro all’aria aperta e quindi abbastanza piacevole. Dal Novembre 1943 lavorammo in diversi paesi vicino a Saarbruchen, nell’inverno lavorammo nella boscaglia  a procurare legna, ed in primavera  a stendere linee elettriche. A partire dal mese di Marzo ci spostavamo in treno per andare sui posti di lavoro. Il giorno sei Marzo, mentre lavoravo su una sponda di un torrente, mi sentii chiamare dalla sponda opposta. Due persone, che poi mi dissero essere un Ingegnere polacco e un geometra Cecoslovacco pure loro deportati e lavoratori dell’A.E.G.. Mi fecero comprendere di raggiungerli, ed io senza esitare né dire nulla agli altri compagni, andai. Li aiutai a tracciare un tratto di linea, fu la prima e unica giornata bella che passai in prigionia.

Quando verso le 15, smettemmo di lavorare mi portarono in auto con loro a pranzare in una Trattoria. A tavola, l’Ingegnere polacco vide che dal taschino della mia giacca usciva un nastrino azzurro e volle vedere cos’era.

   

I MIEI PORTAFORTUNA



Si trattava del nastrino con la medaglietta della Madonna dell’Alpino, Mi chiese se ero Cattolico e alla mia risposta <Ja> mi abbracciò e sbottonatosi la camicia mi mostrò la corona del Rosario. Mi spiegò che in patria non poteva usarla se non per dire Messa di nascosto. Mi fece capire che se gli donavo la medaglietta lui mi avrebbe ricompensato, io accettai e in cambio mi consegnò tre buoni pane da un kg e 10 Marchi per fare acquisti. Intanto che loro pranzavano con il padrone mi spinsero in cucina dove trovai due donne, una anziana e una più giovane. Mi diedero di tutto da mangiare e poi la più giovane volle sapere da dove provenivo, prese una carta geografica e io le indicai Torino, dalla contentezza mi baciò, non seppi mai il perché. Si fece notte e i miei compagni erano già rientrati, fui accompagnato in auto al campo con il mio carico di pane e viveri e nessuno mi disse nulla.

https://youtu.be/HpOMM_IgmNQ             

Petar Mueller era un borghese addetto ad accompagnarci dal Campo dove si dormiva ai posti di lavoro. Aveva più di settant’anni. Mi raccontò sottovoce che lui apprezzava gli italiani e l’Italia poiché aveva avuto modo di capirne la bontà. Prima della guerra del 1915/18, lui e un suo compagno, per fame facevano i bracconieri. Spararono ad un capriolo e mentre lo pulivano, traditi da una spia, furono sorpresi. Siccome era proibita la caccia, la guardia voleva arrestarli, ma il suo compagno estrasse una pistola e lo uccise  Dopo poco tempo vennero due camionette con dei poliziotti che arrestarono lui, nonostante dicesse che era stato il compagno ad uccidere, e lo portarono in carcere. Rimase tre anni in prigione poi, essendo scoppiata la guerra del 1915 e siccome avevano necessità di soldati, presero lui e tutti i carcerati e li inviarono a combattere in prima linea contro gli italiani. Dopo due anni di trincea scelse di disertare, gettò le armi e si arrese agli italiani. Fu portato nelle carceri a Firenze e vi rimase per due anni. Aveva imparato un po’ di italiano e qualcosa lo ricordava ancora. Fu lui che formò il nostro gruppo dei tredici piemontesi un bergamasco e un calabrese. Era simpatico, ma se vedeva che non lavoravi ti lasciava nel campo, con quanto ne conseguiva. Per noi fu una fortuna averlo avuto come responsabile. Certo che anche lui correva i suoi rischi poiché seppur contrario al regime quando incontrava un suo compagno o graduato scattava col saluto e “Heil Hitler”!

Il giorno seguente, quando il mio vecchio "Responsabile" mi vide scoppiò a piangere, temeva fossi fuggito e si era preoccupato per le grane che avrebbe avuto con i militari. Iniziarono anche i primi allarmi aerei con qualche bombardamento. Di giorno non davano fastidio, poiché noi eravamo al lavoro in aperta campagna, ma di notte bisognava correre nel rifugio e succedeva anche due o tre volte per notte e poi di giorno si andava a lavorare!. In quel periodo eravamo vicino alla città di Faagherin dove vi era un gruppo di case. Due volte la settimana veniva un furgone a vendere il pane a noi prigionieri, avevamo dei buoni da 1 Kg., ma ce ne dava mezzo kg in più e così riuscivamo a effettuare un po’ di compra-vendita per procurarci sigarette e qualche soldo. Purtroppo questa situazione non durò molto perché una bomba colpì la sede dell’Azienda e noi non fummo più condotti a lavorare in campagna ma trattenuti in città dove vi era maggior pericolo. Quando giungeva l’allarme i nostri capi fuggivano nei rifugi a ripararsi e a noi ordinavano di portare i macchinari nelle cantine e riportarli negli uffici al cessato allarme. Intanto con lo sbarco degli Americani in Normandia, i raid aerei erano sempre più intensi. Anche i civili tedeschi correvano grandi rischi ed erano impauriti come noi. I militari di Hitler avevano requisito tutte le radio affinchè non si potessero avere notizie e passavano con gli altoparlanti a comunicare cosa faceva comodo a loro. Il mio capo, di nome Paolo aveva quattro figli: uno sul fronte Russo, uno sul fronte italiano, uno a casa mutilato e un altro era deceduto. Dopo qualche giorno dalla requisizione delle radio, mi confidò che l’aveva messa in cantina e così iniziammo ad andare a sentire Radio Londra di notte.



Durante un bombardamento io e il mio gruppo fummo sepolti nello scantinato di un palazzo che crollò, riuscimmo a uscire scavando a mani nude. Se non ci fossimo dati da fare noi, saremmo rimasti sepolti, poiché i tedeschi non sarebbero venuti a cercarci! Tuttavia ci misero subito al lavoro per ricostruire le case per noi e per gli uffici. Giunse Novembre con giornate corte , fredde e piovose. Una notte, non facemmo in tempo a rifugiarci che arrivò l’allarme e subito iniziò il bombardamento più intenso che vidi. Durò 56 minuti, caddero più di cento bombe nel raggio di cento metri. Si era nei pressi del ponte della ferrovia sul fiume Saar. Il ponte rimase in piedi ma si vedevano i vagoni precipitare nel fiume. A causa di quel bombardamento vi furono 14.000 morti, 18.000 feriti e oltre 100.000 senza tetto nella città di Santinberg.

UNA COPERTA IN DUE E 56 GIORNI DI PUNIZIONE

Rimanemmo tutta la notte nel rifugio, al mattino trovammo solo macerie e rimanemmo con gli abiti che indossavamo. Ci condussero in periferia a lavorare e di notte, si dormiva con una coperta in due e niente altro. Ai primi di Dicembre fummo radunati in cortile e incolonnati per cinque, scelsero cento di noi. Ci fecero uscire dai cancelli e ci condussero in un altro campo vicino a uno dei più grandi scali ferroviari vicino a Kaiserlautern a Einsiedlerhof e andavamo a lavorare sulla ferrovia chi sui binari chi agli smistamenti ma con l’avvertenza di lavorare pronti a ripararci. Infatti gli americani avvisavano, con volantini scritti in varie lingue, di stare lontani dai punti pericolosi come ferrovie e ponti. Quando si lavorava ai fossi anticarro successe che gli americani gettarono anche cioccolato e sigarette!

Un giorno io e un mio compagno eravamo presso la stazione di Kaiserlautern a smistare pacchi da un vagone all’altro con un carrello, eravamo in molti a lavorare ed eravamo controllati dai militari. Tutti noi prigionieri, se potevamo cercavamo di recuperare qualcosa da mangiare pur sapendo che se venivamo scoperti sarebbero state grane. Infatti io e il mio compagno fummo perquisiti e ci trovarono un formaggino, fummo portati dalla polizia e picchiati per bene poi rinchiusi in cella. Ci dissero che il giorno dopo saremmo stati fucilati. Al buio e al freddo, quella notte, un po’ piangevamo e un po’ pregavamo, disperati. Ci consolò un prigioniero spagnolo che buttarono in cella con noi, ci disse di non preoccuparci che per lui era la seconda esperienza e che al massimo ci avrebbero inviati in un campo di disciplina. Al mattino ci inviarono in un campo dove l’esperienza fu terribile: non vi erano servizi né bagni né acqua, non si poteva parlare tra noi e il mangiare era veramente poco. Andando a lavorare non si poteva uscire dalla fila e ci dissero che nel campo dove eravamo saremmo stati uccisi. Io temevo veramente fosse finita perché le guardie erano veramente gente da manicomio. Una volta, a Gennaio, stavamo tornando al campo, incrociai un mio compagno e, senza pensare alle conseguenze corsi a salutarlo, ma una guardia ci volò addosso e ci colpì con violenza incredibile, tuttavia fui felice di aver abbracciato quel mio amico.

 

A metà Gennaio del 1945 mi condussero a lavorare in una segheria e fui affidato ad un tedesco di 65 anni che mi insegnò a guidare una macchina a vapore che spostava dei tronchi alla segheria e a manovrare dei vagoncini per spostare legname segato e farne delle cataste. Qui terminai i miei 56 giorni di punizione.

Il tre Febbraio tornai a lavorare al campo di Einsiederhof con un foglio da consegnare al Capo-campo. Con due ore di viaggio per effettuare quindici Km. ritornai dai miei vecchi compagni e ripresi a lavorare con loro. Nello scalo vi erano migliaia di vagoni bloccati dai bombardamenti e binari rotti dalle bombe, rottami di locomotive e vagoni incastrati, bruciati e accatastati uno sull’altro. Vi erano molti vagoni bloccati e che si sapeva erano carichi di mobiglio e biancheria dei comandanti militari provenienti dai fronti, e vi erano anche vagoni carichi di patate, riso e tabacco, zucchero sigarette, maglie, scarpe , camicie.  Ci organizzammo e mentre di notte qualcuno lavorava, altri prendevano da mangiare e vestiario e lo nascondevano nel bosco. Prendevamo anche borsate di patate che erano nei vagoni scoperti e le portavamo in caserma. Avevamo trovato un nascondiglio sicuro: le mettevamo sotto le assi del pavimento, così avevamo il magazzino a portata di mano.

DAI BOMBARDAMENTI ALLA LIBERAZIONE

https://youtu.be/wyoLXRsyXQw    

Ai primi di Marzo si intensificarono i bombardamenti e i tedeschi non riuscivano più a difendersi. Misero dei  cannoni antiaerei a una quindicina di metri dal nostro campo ma dopo gli aerei da ricognizione giunsero con le bombe e fecero una ventina di morti tra i soldati tedeschi ai cannoni e trenta prigionieri italiani. Dopo aver accompagnato dei nostri compagni feriti in ospedale, andammo a ripararci dentro dei tubi di cemento sotto una super-strada. Al mattino, un sergente tedesco venne ad avvisarci che era morto un nostro compagno ferito e che dovevamo andarlo a riconoscere per informare la famiglia. Verso sera del 5 Marzo ci condussero in una scuola bombardata a kaiserlautern, eravamo circa ottanta. Si dormiva  sul pavimento come cani e ci davano gli avanzi dei loro pasti, inoltre eravamo guardati a vista dalle guardie. Il 19 Marzo ci fecero andare a lavorare su una strada ma vi erano allarme in continuazione e dovevamo fuggire a ripararci nel bosco, Vedevamo sulla strada e passavano continuamente prigionieri italiani e militari tedeschi sbandati e impauriti, capimmo che era ora di decidere, ma ognuno aveva una propria idea. Tra noi tredici c’era chi voleva stare nel bosco e chi voleva rientrare in città. Verso le sei di sera individuammo una jeep al posto di blocco con delle persone a bordo e decidemmo di rientrare per capire cosa stesse succedendo. Le guardie stavano spostando i prigionieri verso l’interno e anche a noi diedero cinque minuti per prepararci. Salimmo ai piani superiori e poi nelle cucine per avere da mangiare ma non vollero darcene. Vedendo che erano tutti senza armi ci servimmo mettendo la roba su dei carretti e ci avviammo senza che nessuno ci dicesse nulla, ormai anche i tedeschi stavano fuggendo spaventati. Con un’ora di cammino giungemmo a Saarbruchen e ad uno scalo ci fu un cecoslovacco che gestiva la mensa ferroviaria che si offrì di prepararci risotto alla milanese e polli arrosto. Ormai i tedeschi erano scappati a nascondersi. Mangiammo e dormimmo, poi al mattino ci recammo a frugare sui vagoni per vedere di recuperare un vestiario decente, era tutto un brulicare di gente che cercava chi vestiario chi cibo. Vi era gente che caricava materiali(balle di fieno e sacchi di biada) su dei carri con i cavalli, a questi chiedemmo di portarci fino a Saarbruchen, ma si rifiutarono. Senza tante parole prendemmo un carro con cavallo e ce ne andammo dopo aver legato il proprietario. Rimanemmo in quella città per una decina di giorni, il 31 Marzo sentimmo un altoparlante che avvisava gli Italiani di radunarsi nella piazza della scuola che sarebbero stati portati in Francia. Il primo Aprile era il giorno di Pasqua, verso le 13 ci caricarono sopra degli articolati che trasportavano cento persone con rispettivo bagaglio, erano sette.  Senza fermate, viaggiammo otto ore e ci condussero in un campo di smistamento. Qui ci disinfettarono e ci vaccinarono, eravamo circa 4000 di tutte le nazioni: Greci Tedeschi Francesi spagnoli. Rimanemmo circa due mesi, poi fecero un appello, noi italiani  fummo suddivisi tra quelli provenienti da Roma in su e da oltre Roma. Era arrivato l’ordine di tenerci pronti per partire per Marsiglia, da qui una nave ci avrebbe condotti a Napoli, Non ho mai compreso perché, noi del Nord Italia ci abbiano portati a Napoli quando una nave aveva fatto rotta per Genova.

DA ROMA A GENOVA E AD ALBA…..A PIEDI

Rimane il fatto che da Napoli andammo a Roma in treno, quindi  puntammo su Genova , ma a piedi, così impiegammo dal lunedì al Sabato per arrivare ad Alba. Dopo 30 mesi riuscii ad abbracciare i miei cari e a sentire da loro le brutte avventure passate, e io raccontai le mie. Auguro a tutti di non dover subire esperienze come le mie e dico loro di confidare sempre nel buon Dio, come feci io che non smisi mai di sperare nel suo aiuto.

Voglio ancora ricordare alcuni miei compagni dei giorni della prigionia dal Novembre 1944:

Castagno Sebastiano 1917 Dronero

Ferrero Giuseppe 1915 San Donato di Mango

Giuliano Luigi  1921 Tarantasca

Tonello Eliadoro  1915 Dalmasso Michele 1911 Tetti Pesio

Bosso Maurizio 1915  Eliotropio Giacomo e Delfino 1923 Bernezzo

Re Pietro 1917 Savigliano

Belleini Marcello 1924 Bergamo

Panzera Francesco 1918 Catanzaro

Massolino Giovanni 1912 Diano D’Alba

Gozzelino Giuseppe 1912 Vaccheria D’Alba Guarene

Bosio Fiorino 1920 Montelupo

Pasquero Giuseppe 1914 Roagna Celeste 1923  Priocca


Volpiano Luigi 1920 Borgomale


Giuliano luigi Tarantasca 1921

Negro Egidio  di San Pietro Govone che era Capo cucina al Campo 2065, merita un ricordo particolare per il bene che fece soprattutto ai più bisognosi. Di notte girava nelle baracche con un barattolo di minestra e lo portava a chi era rimasto senza per punizione. Inoltre divideva con altri due prigionieri una cameretta che si poteva chiudere a chiave e così custodiva quanto ci veniva inviato da casa nei pacchi e lo consegnava quando a sera si tornava dal lavoro. Grazie ancora Egidio, non so che fine hai fatto, ma spero che il buon Dio ti abbia ricompensato per quanto hai fatto.



MINERDO SECONDO DI GIUSEPPE 

MANGO 16 04 1913

CONTADINO

FORZE ARMATE REGIE

SOLDATO(PRIGIONIERO) DIV.REGINA 10° RGT FANTERIA

SAINT MANDRIER(F) 02 05 1945

  https://youtu.be/OiOm-hEEbFc            In prigionia gli amici Volpiano e Destefanis 

 DESTEFANIS MARIO  01-10 1913- Lequio Berria

Soldato RepartoSquadra Recupero Salme

Data cattura 09-09-1943

RIENTRO Data rientro08-09-1945

liberato il 20 aprile 1945.

Stalag VI C/Z: Meppen

Mario, fu scelto per il lavoro in una fonderia. Era una lavoro massacrante e non ce la faceva più. Una sera venne nella mia baracca e mi portò orologio e portafogli perché li portassi a casa ai famigliari. Aveva deciso di gettarsi nel lago dove scendeva la colata di ferro come avevano già fatto altri due addetti agli altiforni.

 Era ridotto a pelle e ossa, ed io cercai di consolarlo. Anche il nostro comune amico Luigi Volpiano, di qualche anno più grande di me, si preoccupò per il “morale” di Mario e dicendomi che dovevamo escogitare qualcosa per salvarlo pensammo di agire. Si fece bollire dell’acqua nel gavettino e poi, facendo finta di inciampare glielo rovesciò procurandogli una brutta bruciatura. Ben, fu portato in infermeria dove, curato e nutrito meglio riprese qualche Kg ed ebbe modo di tornare a casa anche lui. Facendogli del male gli faemmo del bene e lo salvammo.

  

BASTIANIN CASTAGNO del 1917  era di Villar San Costanzo. Quando lo trovai nel Campo di prigionia, aveva già sette anni di guerra alle spalle. Partecipò alla guerra di Francia, alla Campagna Greco Albanese, alla Campagna di Russia dove aveva effettuato dal tre gennaio 1942 il ripiegamento con temperature di   

-42 °e aveva visto i carrarmati dei russi attraversare il Don ghiacciato.Arrivò in Italia e senza tornare a casa fu preso prigioniero anche lui al Brennero e deportato. Era analfabeta e mi faceva leggere le lettere che scriveva sua sorella. Gli scrivevo le lettere di risposta, gli cucivo gli strappi dei pantaloni e i bottoni della giacca.

Mi raccontò la storia della sua infanzia e mi fece piangere come mi emoziono ancora a raccontarla a voi.

A quattro anni suo padre lo vendette per mille Lire ad un uomo che aveva già altri due figli. Questo uomo, come anche sua moglie, fu una persona che lo teneva come un figlio suo. A sei anni si rese però conto che non aveva lo stesso cognome dei fratelli e se ne scappò di casa. L'uomo che lo aveva comprato lo cercò, e fattosi spiegare perché fosse andato via, gli assicuró che lo avrebbero ritenuto loro figlio come gli altri. Il giorno successivo si recarono dal Parroco e davanti a lui e ai figli, il papà firmò il testamento che lo riteneva erede alla pari degli altri fratelli. Quando ebbe una quindicina di anni si organizzò per trovarsi un lavoro che lo rendesse autosufficiente. Si mise a trasportare il fieno con la mula e la Leza (slitta) dai prati alti alla valle. Un giorno il proprietario dell'Osteria gli fece conoscere le due sue zie materne che gli raccontarono della sua povera mamma morta di stenti e gli rivelarono che aveva una sorella più giovane di lui che era in Orfanotrofio a Fossano.

 Bastianin andò a conoscerla e dopo averla abbracciata e pianto per la mamma, le chiese se il papà andasse a trovarla. Questa gli disse che andava due volte all'anno. Bastianin le chiese se avesse avuto una foto del padre e lei gliela mostrò chiedendogli perché volesse vederla. La risposta fu terribile: voglio conoscere il volto, così se lo incontro lo ammazzo. La sorella, pia e buona ragazzina lo fece desistere dall'idea e lui andava sovente a trovarla.

Poi andò in guerra e sempre aveva il pensiero per sua sorella del 1924. A fine guerra nel ’45, quando la sorella ebbe 21 anni, uscì dall’Orfanotrofio con il Diploma da “Sartòra” e lo comunicò a Bastianin. Il fratello era comunque preoccupato e mi diceva: “a rà 21 an, ma a rè pèid na fè apènna sortija da rà stala!” ha 21 anni ma è come una pecorella che esce per la prima volta dall’ovile! Con la preoccupazione di tornare per sistemare la sorella, tenne duro e con l’aiuto del Signore tornò a casa.

Ritrovò la sorella e la aiutò ad avviare la sua attività, ritrovò anche la “  morosa” fidanzata, che si era fatta prima di partire per la guerra di Albania. Io per tutto il tempo della prigionia gli avevo letto le lettere che questa le scriveva  e le rispondevo!

Seppur malato a causa dei lunghi anni di guerra, si sposarono ed ebbero due bambini e una bimba che da grandi trovarono la loro strada. Bastianin non potendo più lavorare a causa della “tubercolosi” contratta in guerra, svolse l’attività di Commerciante di pecore.

Quando fummo a casa continuammo a rimanere in contatto con la moglie e ci inviavamo gli Auguri di Pasqua e Natale.

Con la mia povera moglie dissi tante volte che avrei avuto voglia di andare a Villar San Costanzo per incontrare Bastianin e la sua famiglia, ma un giorno ricevetti il ricordino da morto. Dopo qualche giorno ci decidemmo e ci recammo a Villar per una Preghiera sulla tomba. Trovammo il Cimitero chiuso, ma una donna della borgata di Villar mi disse che la moglie di Bastianin svolgeva la mansione di bidella presso le scuole di Busca, quel giorno era di riposo ma la trovammo a casa. Appena suonai e le dissi che ero l’amico di Bastianin, quello che dalla Germania scrivevo per lui, si precipitò ad accoglierci, ci abbracciammo e rimanemmo a lungo a raccontarci di Bastianin e delle nostre famiglie. Anche lei era una persona che come Bastianin “meritava di essere conosciuta!”

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