RAPALINO LUIGI BENEVELLO 1923
REDUCE DELLA PRIGIONIA IN GERMANIA 1943 1945
https://youtu.be/7A4u0o8BbOw Da militare e
poi prigioniero
Rapalino Luigi, nato a Benevello il 29 Marzo del 1923.
Mio padre era Paolo e mia madre Degiorgis
Ernesta.
Frequentai le scuole fino alla
quarta elementare, poi iniziai ad aiutare la famiglia nei lavori di campagna.
All’età di sedici anni andai ad Alba per imparare il mestiere di panettiere.
L’anno dopo, con l’aiuto di un garzone aprii un forno a Benevello ma dopo soli
sei mesi il garzone fu richiamato alle armi. Lavorai da solo dal 1940 al 14
Settembre 1942 quando partii soldato e fui arruolato a Cuneo negli Alpini. A
dicembre fui trasferito a Limone Piemonte dove frequentai il corso sciatori.
Eravamo preparati per il fronte Russo, ma nel Gennaio 1943 ci fu la Ritirata di
Russia. Fummo quindi inviati a Piedicolle vicino a Gorizia e vi rimanemmo dal
23 febbraio ’43 fino alla metà di Agosto. Con la caduta del Fascismo, il 25
Luglio, iniziò un periodo in cui anche i comandanti non sapevano cosa fare. Io
ed altri avevamo la Licenza pronta ma ci fu revocata. Ci trasferimmo al Passo
della Mendola , presso Bolzano, per rinforzare il Reggimento. Fui inserito nel
2° Alpini 14° Compagnia Batt. Borgo San
Dalmazzo. La sera dell’8 Settembre, giorno dell’Armistizio, fummo in gran parte
catturati dai Tedeschi e trasferiti in Germania con delle tradotte.
MATRICOLA 50768 https://youtu.be/5IdqJVOlL5c
Rinchiuso nel Campo di Flossenbürg (situato tra Norimberga e Praga) al
Campo 12, mi venne assegnato il n. di Matricola 50768. Dopo pochi giorni, con
molti altri, fui trasferito a Mannheim sul Reno a spalare macerie. Verso la
fine di Settembre ’43 ci spostarono a Saarbruken al campo 2065. Eravamo oltre
850 prigionieri, una parte fu inviata a lavorare in fabbrica, altri come me
venivamo prelevati da borghesi per dei lavori. Con altri fui scelto da un
anziano borghese che selezionava. Quelli che riteneva idonei li prelevava , gli
altri li lasciava nel Campo. Formammo una squadra di 15, 13 dei quali Cuneesi,
un bergamasco e un calabrese. Il nostro
lavoro consisteva nello stendere linee elettriche per l’impresa A.E.G. .
Era un lavoro all’aria aperta e quindi abbastanza piacevole. Dal Novembre 1943
lavorammo in diversi paesi vicino a Saarbruchen, nell’inverno lavorammo nella
boscaglia a procurare legna, ed in primavera a stendere linee elettriche. A partire dal
mese di Marzo ci spostavamo in treno per andare sui posti di lavoro. Il giorno
sei Marzo, mentre lavoravo su una sponda di un torrente, mi sentii chiamare
dalla sponda opposta. Due persone, che poi mi dissero essere un Ingegnere
polacco e un geometra Cecoslovacco pure loro deportati e lavoratori dell’A.E.G..
Mi fecero comprendere di raggiungerli, ed io senza esitare né dire nulla agli
altri compagni, andai. Li aiutai a tracciare un tratto di linea, fu la prima e
unica giornata bella che passai in prigionia.
Quando verso le 15, smettemmo di lavorare mi
portarono in auto con loro a pranzare in una Trattoria. A tavola, l’Ingegnere
polacco vide che dal taschino della mia giacca usciva un nastrino azzurro e
volle vedere cos’era.
I MIEI PORTAFORTUNA
Si trattava del nastrino con la medaglietta della Madonna dell’Alpino, Mi chiese se ero Cattolico e alla mia risposta <Ja> mi abbracciò e sbottonatosi la camicia mi mostrò la corona del Rosario. Mi spiegò che in patria non poteva usarla se non per dire Messa di nascosto. Mi fece capire che se gli donavo la medaglietta lui mi avrebbe ricompensato, io accettai e in cambio mi consegnò tre buoni pane da un kg e 10 Marchi per fare acquisti. Intanto che loro pranzavano con il padrone mi spinsero in cucina dove trovai due donne, una anziana e una più giovane. Mi diedero di tutto da mangiare e poi la più giovane volle sapere da dove provenivo, prese una carta geografica e io le indicai Torino, dalla contentezza mi baciò, non seppi mai il perché. Si fece notte e i miei compagni erano già rientrati, fui accompagnato in auto al campo con il mio carico di pane e viveri e nessuno mi disse nulla.
Il giorno seguente, quando il mio vecchio "Responsabile" mi vide scoppiò a piangere, temeva fossi fuggito e si era preoccupato per le grane che avrebbe avuto con i militari. Iniziarono anche i primi allarmi aerei con qualche bombardamento. Di giorno non davano fastidio, poiché noi eravamo al lavoro in aperta campagna, ma di notte bisognava correre nel rifugio e succedeva anche due o tre volte per notte e poi di giorno si andava a lavorare!. In quel periodo eravamo vicino alla città di Faagherin dove vi era un gruppo di case. Due volte la settimana veniva un furgone a vendere il pane a noi prigionieri, avevamo dei buoni da 1 Kg., ma ce ne dava mezzo kg in più e così riuscivamo a effettuare un po’ di compra-vendita per procurarci sigarette e qualche soldo. Purtroppo questa situazione non durò molto perché una bomba colpì la sede dell’Azienda e noi non fummo più condotti a lavorare in campagna ma trattenuti in città dove vi era maggior pericolo. Quando giungeva l’allarme i nostri capi fuggivano nei rifugi a ripararsi e a noi ordinavano di portare i macchinari nelle cantine e riportarli negli uffici al cessato allarme. Intanto con lo sbarco degli Americani in Normandia, i raid aerei erano sempre più intensi. Anche i civili tedeschi correvano grandi rischi ed erano impauriti come noi. I militari di Hitler avevano requisito tutte le radio affinchè non si potessero avere notizie e passavano con gli altoparlanti a comunicare cosa faceva comodo a loro. Il mio capo, di nome Paolo aveva quattro figli: uno sul fronte Russo, uno sul fronte italiano, uno a casa mutilato e un altro era deceduto. Dopo qualche giorno dalla requisizione delle radio, mi confidò che l’aveva messa in cantina e così iniziammo ad andare a sentire Radio Londra di notte.
Durante un bombardamento io e il mio gruppo fummo
sepolti nello scantinato di un palazzo che crollò, riuscimmo a uscire scavando
a mani nude. Se non ci fossimo dati da fare noi, saremmo rimasti sepolti,
poiché i tedeschi non sarebbero venuti a cercarci! Tuttavia ci misero subito al
lavoro per ricostruire le case per noi e per gli uffici. Giunse Novembre con
giornate corte , fredde e piovose. Una notte, non facemmo in tempo a rifugiarci
che arrivò l’allarme e subito iniziò il bombardamento più intenso che vidi.
Durò 56 minuti, caddero più di cento bombe nel raggio di cento metri. Si era
nei pressi del ponte della ferrovia sul fiume Saar. Il ponte rimase in piedi ma
si vedevano i vagoni precipitare nel fiume. A causa di quel bombardamento vi
furono 14.000 morti, 18.000 feriti e oltre 100.000 senza tetto nella città di
Santinberg.
UNA
COPERTA IN DUE E 56 GIORNI DI PUNIZIONE
Rimanemmo tutta la notte nel rifugio, al mattino
trovammo solo macerie e rimanemmo con gli abiti che indossavamo. Ci condussero
in periferia a lavorare e di notte, si dormiva con una coperta in due e niente
altro. Ai primi di Dicembre fummo radunati in cortile e incolonnati per cinque,
scelsero cento di noi. Ci fecero uscire dai cancelli e ci condussero in un
altro campo vicino a uno dei più grandi scali ferroviari vicino a Kaiserlautern
a Einsiedlerhof e andavamo a lavorare sulla ferrovia chi sui binari chi agli
smistamenti ma con l’avvertenza di lavorare pronti a ripararci. Infatti gli
americani avvisavano, con volantini scritti in varie lingue, di stare lontani
dai punti pericolosi come ferrovie e ponti. Quando si lavorava ai fossi
anticarro successe che gli americani gettarono anche cioccolato e sigarette!
Un giorno io e un mio compagno eravamo presso la
stazione di Kaiserlautern a smistare pacchi da un vagone all’altro con un carrello,
eravamo in molti a lavorare ed eravamo controllati dai militari. Tutti noi
prigionieri, se potevamo cercavamo di recuperare qualcosa da mangiare pur
sapendo che se venivamo scoperti sarebbero state grane. Infatti io e il mio
compagno fummo perquisiti e ci trovarono un formaggino, fummo portati dalla
polizia e picchiati per bene poi rinchiusi in cella. Ci dissero che il giorno
dopo saremmo stati fucilati. Al buio e al freddo, quella notte, un po’
piangevamo e un po’ pregavamo, disperati. Ci consolò un prigioniero spagnolo
che buttarono in cella con noi, ci disse di non preoccuparci che per lui era la
seconda esperienza e che al massimo ci avrebbero inviati in un campo di
disciplina. Al mattino ci inviarono in un campo dove l’esperienza fu terribile:
non vi erano servizi né bagni né acqua, non si poteva parlare tra noi e il
mangiare era veramente poco. Andando a lavorare non si poteva uscire dalla fila
e ci dissero che nel campo dove eravamo saremmo stati uccisi. Io temevo
veramente fosse finita perché le guardie erano veramente gente da manicomio.
Una volta, a Gennaio, stavamo tornando al campo, incrociai un mio compagno e,
senza pensare alle conseguenze corsi a salutarlo, ma una guardia ci volò
addosso e ci colpì con violenza incredibile, tuttavia fui felice di aver
abbracciato quel mio amico.
A metà Gennaio del 1945 mi condussero a lavorare in
una segheria e fui affidato ad un tedesco di 65 anni che mi insegnò a guidare
una macchina a vapore che spostava dei tronchi alla segheria e a manovrare dei
vagoncini per spostare legname segato e farne delle cataste. Qui terminai i
miei 56 giorni di punizione.
Il tre Febbraio tornai a lavorare al campo di
Einsiederhof con un foglio da consegnare al Capo-campo. Con due ore di viaggio
per effettuare quindici Km. ritornai dai miei vecchi compagni e ripresi a
lavorare con loro. Nello scalo vi erano migliaia di vagoni bloccati dai
bombardamenti e binari rotti dalle bombe, rottami di locomotive e vagoni
incastrati, bruciati e accatastati uno sull’altro. Vi erano molti vagoni
bloccati e che si sapeva erano carichi di mobiglio e biancheria dei comandanti
militari provenienti dai fronti, e vi erano anche vagoni carichi di patate,
riso e tabacco, zucchero sigarette, maglie, scarpe , camicie. Ci organizzammo e mentre di notte qualcuno
lavorava, altri prendevano da mangiare e vestiario e lo nascondevano nel bosco. Prendevamo anche borsate di patate che erano nei vagoni scoperti e le portavamo in caserma. Avevamo trovato un nascondiglio sicuro: le mettevamo sotto le assi del pavimento, così avevamo il magazzino a portata di mano.
DAI
BOMBARDAMENTI ALLA LIBERAZIONE
Ai primi di Marzo si intensificarono i bombardamenti
e i tedeschi non riuscivano più a difendersi. Misero dei cannoni antiaerei a una quindicina di metri
dal nostro campo ma dopo gli aerei da ricognizione giunsero con le bombe e
fecero una ventina di morti tra i soldati tedeschi ai cannoni e trenta
prigionieri italiani. Dopo aver accompagnato dei nostri compagni feriti in
ospedale, andammo a ripararci dentro dei tubi di cemento sotto una
super-strada. Al mattino, un sergente tedesco venne ad avvisarci che era morto
un nostro compagno ferito e che dovevamo andarlo a riconoscere per informare la
famiglia. Verso sera del 5 Marzo ci condussero in una scuola bombardata a
kaiserlautern, eravamo circa ottanta. Si dormiva sul pavimento come cani e ci davano gli avanzi
dei loro pasti, inoltre eravamo guardati a vista dalle guardie. Il 19 Marzo ci
fecero andare a lavorare su una strada ma vi erano allarme in continuazione e
dovevamo fuggire a ripararci nel bosco, Vedevamo sulla strada e passavano
continuamente prigionieri italiani e militari tedeschi sbandati e impauriti,
capimmo che era ora di decidere, ma ognuno aveva una propria idea. Tra noi
tredici c’era chi voleva stare nel bosco e chi voleva rientrare in città. Verso
le sei di sera individuammo una jeep al posto di blocco con delle persone a
bordo e decidemmo di rientrare per capire cosa stesse succedendo. Le guardie
stavano spostando i prigionieri verso l’interno e anche a noi diedero cinque
minuti per prepararci. Salimmo ai piani superiori e poi nelle cucine per avere
da mangiare ma non vollero darcene. Vedendo che erano tutti senza armi ci
servimmo mettendo la roba su dei carretti e ci avviammo senza che nessuno ci
dicesse nulla, ormai anche i tedeschi stavano fuggendo spaventati. Con un’ora
di cammino giungemmo a Saarbruchen e ad uno scalo ci fu un cecoslovacco che
gestiva la mensa ferroviaria che si offrì di prepararci risotto alla milanese e
polli arrosto. Ormai i tedeschi erano scappati a nascondersi. Mangiammo e
dormimmo, poi al mattino ci recammo a frugare sui vagoni per vedere di recuperare
un vestiario decente, era tutto un brulicare di gente che cercava chi vestiario
chi cibo. Vi era gente che caricava materiali(balle di fieno e sacchi di biada)
su dei carri con i cavalli, a questi chiedemmo di portarci fino a Saarbruchen,
ma si rifiutarono. Senza tante parole prendemmo un carro con cavallo e ce ne
andammo dopo aver legato il proprietario. Rimanemmo in quella città per una
decina di giorni, il 31 Marzo sentimmo un altoparlante che avvisava gli
Italiani di radunarsi nella piazza della scuola che sarebbero stati portati in
Francia. Il primo Aprile era il giorno di Pasqua, verso le 13 ci caricarono
sopra degli articolati che trasportavano cento persone con rispettivo bagaglio,
erano sette. Senza fermate, viaggiammo
otto ore e ci condussero in un campo di smistamento. Qui ci disinfettarono e ci
vaccinarono, eravamo circa 4000 di tutte le nazioni: Greci Tedeschi Francesi
spagnoli. Rimanemmo circa due mesi, poi fecero un appello, noi italiani fummo suddivisi tra quelli provenienti da
Roma in su e da oltre Roma. Era arrivato l’ordine di tenerci pronti per partire
per Marsiglia, da qui una nave ci avrebbe condotti a Napoli, Non ho mai
compreso perché, noi del Nord Italia ci abbiano portati a Napoli quando una nave
aveva fatto rotta per Genova.
DA
ROMA A GENOVA E AD ALBA…..A PIEDI
Rimane il fatto che da Napoli andammo a Roma in
treno, quindi puntammo su Genova , ma a
piedi, così impiegammo dal lunedì al Sabato per arrivare ad Alba. Dopo 30 mesi
riuscii ad abbracciare i miei cari e a sentire da loro le brutte avventure
passate, e io raccontai le mie. Auguro a tutti di non dover subire esperienze
come le mie e dico loro di confidare sempre nel buon Dio, come feci io che non
smisi mai di sperare nel suo aiuto.
Voglio ancora ricordare alcuni miei compagni dei
giorni della prigionia dal Novembre 1944:
Castagno Sebastiano 1917 Dronero
Ferrero Giuseppe 1915 San Donato di Mango
Giuliano Luigi
1921 Tarantasca
Tonello Eliadoro
1915 Dalmasso Michele 1911 Tetti Pesio
Bosso Maurizio 1915
Eliotropio Giacomo e Delfino 1923 Bernezzo
Re Pietro 1917 Savigliano
Belleini Marcello 1924 Bergamo
Panzera Francesco 1918 Catanzaro
Massolino Giovanni 1912 Diano D’Alba
Gozzelino Giuseppe 1912 Vaccheria D’Alba Guarene
Bosio Fiorino 1920 Montelupo
Pasquero Giuseppe 1914 Roagna Celeste 1923 Priocca
Volpiano Luigi 1920 Borgomale
Giuliano luigi Tarantasca 1921
Negro Egidio di San Pietro Govone che era Capo cucina al Campo 2065, merita un ricordo particolare per il bene che fece soprattutto ai più bisognosi. Di notte girava nelle baracche con un barattolo di minestra e lo portava a chi era rimasto senza per punizione. Inoltre divideva con altri due prigionieri una cameretta che si poteva chiudere a chiave e così custodiva quanto ci veniva inviato da casa nei pacchi e lo consegnava quando a sera si tornava dal lavoro. Grazie ancora Egidio, non so che fine hai fatto, ma spero che il buon Dio ti abbia ricompensato per quanto hai fatto.
MINERDO SECONDO DI GIUSEPPE
MANGO 16 04 1913
CONTADINO
FORZE ARMATE REGIE
SOLDATO(PRIGIONIERO) DIV.REGINA 10°
RGT FANTERIA
SAINT MANDRIER(F) 02 05 1945
https://youtu.be/OiOm-hEEbFc In prigionia gli amici Volpiano e Destefanis
Soldato RepartoSquadra Recupero Salme
Data cattura 09-09-1943
RIENTRO Data rientro08-09-1945
liberato il 20 aprile 1945.
Stalag VI C/Z: Meppen
Mario, fu scelto per il lavoro in una fonderia. Era una lavoro massacrante e non ce la faceva più. Una sera venne nella mia baracca e mi portò orologio e portafogli perché li portassi a casa ai famigliari. Aveva deciso di gettarsi nel lago dove scendeva la colata di ferro come avevano già fatto altri due addetti agli altiforni.
Era ridotto a pelle e ossa, ed io cercai di consolarlo. Anche il nostro comune amico Luigi Volpiano, di qualche anno più grande di me, si preoccupò per il “morale” di Mario e dicendomi che dovevamo escogitare qualcosa per salvarlo pensammo di agire. Si fece bollire dell’acqua nel gavettino e poi, facendo finta di inciampare glielo rovesciò procurandogli una brutta bruciatura. Ben, fu portato in infermeria dove, curato e nutrito meglio riprese qualche Kg ed ebbe modo di tornare a casa anche lui. Facendogli del male gli faemmo del bene e lo salvammo.
BASTIANIN CASTAGNO del
1917 era di Villar San Costanzo. Quando
lo trovai nel Campo di prigionia, aveva già sette anni di guerra alle spalle.
Partecipò alla guerra di Francia, alla Campagna Greco Albanese, alla Campagna
di Russia dove aveva effettuato dal tre gennaio 1942 il ripiegamento con
temperature di
-42 °e aveva visto i
carrarmati dei russi attraversare il Don ghiacciato.Arrivò in Italia e senza
tornare a casa fu preso prigioniero anche lui al Brennero e deportato. Era
analfabeta e mi faceva leggere le lettere che scriveva sua sorella. Gli
scrivevo le lettere di risposta, gli cucivo gli strappi dei pantaloni e i
bottoni della giacca.
Mi raccontò la storia della
sua infanzia e mi fece piangere come mi emoziono ancora a raccontarla a voi.
A quattro anni suo padre lo
vendette per mille Lire ad un uomo che aveva già altri due figli. Questo uomo,
come anche sua moglie, fu una persona che lo teneva come un figlio suo. A sei
anni si rese però conto che non aveva lo stesso cognome dei fratelli e se ne
scappò di casa. L'uomo che lo aveva comprato lo cercò, e fattosi spiegare
perché fosse andato via, gli assicuró che lo avrebbero ritenuto loro figlio
come gli altri. Il giorno successivo si recarono dal Parroco e davanti a lui e
ai figli, il papà firmò il testamento che lo riteneva erede alla pari degli
altri fratelli. Quando ebbe una quindicina di anni si organizzò per trovarsi un
lavoro che lo rendesse autosufficiente. Si mise a trasportare il fieno con la
mula e la Leza (slitta) dai prati alti alla valle. Un giorno il proprietario
dell'Osteria gli fece conoscere le due sue zie materne che gli raccontarono
della sua povera mamma morta di stenti e gli rivelarono che aveva una sorella
più giovane di lui che era in Orfanotrofio a Fossano.
Bastianin andò a conoscerla e dopo averla
abbracciata e pianto per la mamma, le chiese se il papà andasse a trovarla.
Questa gli disse che andava due volte all'anno. Bastianin le chiese se avesse
avuto una foto del padre e lei gliela mostrò chiedendogli perché volesse
vederla. La risposta fu terribile: voglio conoscere il volto, così se lo
incontro lo ammazzo. La sorella, pia e buona ragazzina lo fece desistere
dall'idea e lui andava sovente a trovarla.
Poi andò in guerra e sempre
aveva il pensiero per sua sorella del 1924. A fine guerra nel ’45, quando la
sorella ebbe 21 anni, uscì dall’Orfanotrofio con il Diploma da “Sartòra” e lo
comunicò a Bastianin. Il fratello era comunque preoccupato e mi diceva: “a rà
21 an, ma a rè pèid na fè apènna sortija da rà stala!” ha 21 anni ma è come una
pecorella che esce per la prima volta dall’ovile! Con la preoccupazione di
tornare per sistemare la sorella, tenne duro e con l’aiuto del Signore tornò a
casa.
Ritrovò la sorella e la aiutò
ad avviare la sua attività, ritrovò anche la “
morosa” fidanzata, che si era fatta prima di partire per la guerra di
Albania. Io per tutto il tempo della prigionia gli avevo letto le lettere che
questa le scriveva e le rispondevo!
Seppur malato a causa dei
lunghi anni di guerra, si sposarono ed ebbero due bambini e una bimba che da
grandi trovarono la loro strada. Bastianin non potendo più lavorare a causa
della “tubercolosi” contratta in guerra, svolse l’attività di Commerciante di
pecore.
Quando fummo a casa
continuammo a rimanere in contatto con la moglie e ci inviavamo gli Auguri di
Pasqua e Natale.
Con la mia povera moglie dissi
tante volte che avrei avuto voglia di andare a Villar San Costanzo per
incontrare Bastianin e la sua famiglia, ma un giorno ricevetti il ricordino da
morto. Dopo qualche giorno ci decidemmo e ci recammo a Villar per una Preghiera
sulla tomba. Trovammo il Cimitero chiuso, ma una donna della borgata di Villar
mi disse che la moglie di Bastianin svolgeva la mansione di bidella presso le
scuole di Busca, quel giorno era di riposo ma la trovammo a casa. Appena suonai
e le dissi che ero l’amico di Bastianin, quello che dalla Germania scrivevo per
lui, si precipitò ad accoglierci, ci abbracciammo e rimanemmo a lungo a
raccontarci di Bastianin e delle nostre famiglie. Anche lei era una persona che
come Bastianin “meritava di essere conosciuta!”
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