Edoardo Grimaldi : Da Turin alle Langhe, sempre in fuga.
Sono nato a Settimo Torinese
nel Gennaio del 1922 ma ho vissuto a Torino. Ora che ho novant’anni vivo nella
Langa dopo aver sposato una Roerina che mi fece amare queste terre sconosciute
nella mia gioventù. Arrivo a raccontare della mia vita iniziando da una
passione per la montagna che non so dire da dove sia giunta. Da “avanguardista”
ricevetti in consegna “ doi ass e due rachette” gli sci e racchette, e la
Domenica prendevo il treno da Porta Nuova e andavo a Courmajeur a sciare. Gli
sci erano di quelli con i legacci e senza lamine, ma mi ci affezionai e non li
consegnai più. Abitavo in Borgo Rossini e andai a scuola fino a dodici
anni,quindi iniziai il primo lavoro in una officina dove realizzavano i tasti
per le macchine da scrivere. Mi insegnarono ad usare un “tornio a revolver” e
alla sera frequentavo la scuola serale per Elettrotecnico. Percorrevo un’ora di
strada a piedi per giungere in Piazza Vittorio e ascoltare due ore di lezione,
ma il diploma mi permise di diventare “bobineur” (Bobinatore) operaio
specializzato per la realizzazione dei motori elettrici e guadagnare qualcosa
in più per mantenere il mio pericoloso passatempo della Domenica: l’Alpinismo.
L’incoscienza giovanile,avevo diciassette anni, mi portò a coinvolgere un mio
amico che mai era andato a scalare e misi in gioco la sua e la mia vita. Fu
così che accadde il primo fatto che mi permette di dire che nella mia vita ho
sempre avuto un angelo che nelle situazioni più incredibili mi permesso di
venirne fuori indenne. Mi piace pensare che sia mia nonna che,come un angelo custode,
mi ha sempre posato le mani protettive!
Ci avviammo verso il Rifugio
Gonella e con l’assicurazione della corda superammo alcuni tratti
strapiombanti, senonchè ad un passaggio in cresta, il mio amico impaurito non
mi sostenne e precipitammo entrambi rimanendo fortunosamente illesi e però
sospesi nel vuoto senza possibilità di risalire. Qui entrò in azione il mio
angelo custode. Tre Alpini di un Battaglione del soccorso Alpino si stavano
allenando e ci notarono. Vennero in aiuto e ci recuperarono, senza di loro
saremmo finiti assiderati.
Arrivò il periodo del servizio
militare, fui arruolato nel reparto Alpini
Radiotelegrafisti e inviato in Finlandia col XX° Raggruppamento Alpini
sciatori facente parte di una divisione Bianca che aveva il compito di assalire
i Russi da dietro. Non riuscimmo neppure ad arrivare in Finlandia poiché i
tedeschi e gli italiani furono sconfitti sul Fronte del Don. Per me fu una
fortuna perché salvai la pelle ma iniziò un’altra peripezia. Il nostro Gruppo
collaborava con i tedeschi che con l’otto Settembre diventarono nostri nemici. Quella
mattina, infatti, fummo disarmati e diventammo prigionieri dei tedeschi. Eravamo
tra la Francia e l’Olanda e ci rinchiusero in un campo di prigionia. Dopo una
quindicina di giorni ci radunarono sul piazzale e ci proposero di indossare la
divisa tedesca per essere arruolati per il Fronte russo o rimanere prigionieri.
Chiaramente scelsi la seconda opzione e anche in questo caso fui illuminato dal
mio angelo. Un giorno, scavando trincee con “èl pich”(il piccone), scoprii un
tubo di cemento che compresi essere una condotta di scarico della fognatura di
un paesino che si vedeva là in alto. Ricordandomi del gioco che praticavo da
ragazzino entrando nei tubi fognari che scaricavano nel fiume Dora a Torino,
proposi ad altri compagni di cercare la fuga procedendo attraverso quei tubi
che avrebbero dovuto sfociare in qualche paese. “Spantianda la voz sota le
tende” (Spargendo la voce sotto le tende) rimanemmo in tre disposti a tentare
la fuga. Nella notte, attenti a non farci vedere dalle sentinelle, entrammo nel
tubo e muniti di qualche candela zolfanelli e coccio di mattone per segnare
eventuali crocevia ci infilammo nel condotto. Uscimmo in un piccolo campo di
aviazione che attraversammo procedendo “a gatagnao”( gattoni) e attraverso dei
prati capitammo in una cascina di contadini di origine italiana. Ci nascosero
in un pajé per una settimana,quindi ci fornirono abiti borghesi e ci diedero ad
ognuno una borsa di stoffa da mettere a tracolla con dentro un coniglio arrosto
per il viaggio. Il nonno anziano ci accompagnò a ridosso della montagna e ci
indicò di seguire “ Santa Teresa”(Costellazione del Triangolo che “culmina
appunto il 25 Novembre) per arrivare in Italia. Mi fece vedere che vi erano
delle stelle che formavano appunto la T di Santa Teresa. Procedemmo in cresta
per 12 giorni, incrociammo un gruppo di Maquì(partigiani francesi) che subito
volevano ucciderci, ma quando sentirono che parlavamo piemontese ci sfamarono e
ci indicarono la via per arrivare in Italia. Superammo anche una bufera e dopo
esserci riparati in una capanna di legno iniziammo la discesa su Entrèves.
Incontrammo un montanaro che ci sconsigliò di scendere a Courmajeur poiché
c’erano i tedeschi e ci accompagnò presso un rifugio del signor Grivel che ci
ospitò per qualche giorno. Tuttavia ,noi avevamo piacere di tornare a casa e
rischiammo di prendere il treno fino ad Ivrea e poi l’autobus fino a
Castellamonte per evitare Pattuglie tedesche e fasciste. A Castellamonte viveva
un mio zio e potemmo darci una ripulita poiché eravamo in uno stato pietoso:
abiti primaverili stracciati, sporchi e il mio addirittura bruciacchiato dalle
fiamme del falò improvvisato nella baracca in mezzo alla bufera, barbe incolte
di due settimane. Arrivammo a Settimo Torinese e saltammo dal treno in corsa
prima della stazione ferroviaria, qui c’era la cascina di mia nonna. Il giorno
dopo,avvisati, arrivarono i miei e i famigliari degli altri compagni e fu festa
grande ma motivo di grandi emozioni. Mia madre per poco sveniva e la nonna non
mi aveva riconosciuto, al pensarci mi viene il “magon” (mi commuovo).
Dopo il rientro in Italia non
ci fu molto tempo per festeggiare, lo zio “Comunista” di Castellamonte (così
rosso che quando morì non lo accettarono in Chiesa!) mi consigliò di aggregarmi
ad una banda di Partigiani che erano a Ribordone in valle dell’Orco a mille e
passa metri. Questo Borgo di un centinaio di abitanti era stracolmo di giovani
che come me erano saliti in montagna per nascondersi e ben presto ci rendemmo
conto che dovevamo munirci di armi per difenderci da un’eventuale incursione
dei Tedeschi che infatti furono informati e vennero per stanarci. La dotazione
della Banda partigiana era di 6 moschetti mod.91 e una cassetta di bombe a
mano.
Li attendemmo fin dalle
quattro del mattino nella gola dove la valle si restringeva ma loro arrivarono
con gli autoblindo quando ormai pensavamo fosse stato un falso allarme. Ci
aggredirono alle spalle e ci costrinsero a fuggire. Ci salvammo io e un altro
compagno che riuscimmo a scendere per un costone ghiacciato e innevato e a
mimetizzarci su di un terrazzino di roccia da dove vedemmo trucidare tutti i
nostri amici. Mano a mano che li prendevano li uccidevano, fu terribile.
Rimanemmo in quella scomodissima posizione finchè non se ne furono andati,
cambiammo valle ma il mio socio ebbe un principio di congelamento e gli dovetti
tagliare le scarpe poiché i piedi erano gonfi e bluastri. Riuscimmo a trovar
rifugio in una grangia dove ricoveravano gli animali d’estate e rimanemmo
alcuni giorni. Il terzo giorno vidi arrivare mio padre, il quale, avendo
sentito per radio che era successo un rastrellamento in Valle Orco partì alla
mia ricerca. Si era recato prima a Ribordone e avendo visto che tra tutti i
cadaveri non c’era il mio intuì che potevo aver trovato salvezza nell’altra
valle e mi trovò. Potete immaginare la gioia quando ci abbracciammo. Ricordo
che mio padre raccontò tra le lacrime il sollievo che ebbe nel non vedere il
cadavere “ èd sò cìt” (il suo piccolo).Impiegammo due giorni per tornare a casa
a Torino e rimasi nascosto nelle due camere della nostra abitazione
finchè,stufi di stare rinchiusi,io e i commilitoni fuggiti dalla prigionia
decidemmo di rischiare un giro fino in Piazza Castello. Guardinghi che non ci
fossero pattuglie destino volle che trovassimo il nostro Colonnello che ci
fornì un incarico di vigili del fuoco che con documenti e divisa ci permetteva
di girare indisturbati.
Fummo sistemati presso la
Prefettura,con l’incarico di avvisare le autorità appena arrivava l’allarme del
bombardamento, affinchè accorressero nei rifugi antisismici situati proprio nei
sotterranei di Piazza Castello. Naturalmente io correvo prima ad avvisare il
barista del Borgo dove abitavano mio padre e mia madre affinchè comunicasse
loro di rifugiarsi!
Un giorno,però, arrivarono due
Ufficiali tedeschi che vedendoci così giovani ci dissero che saremmo stati
inviati al fronte. Nuovamente fuggìi e raggiunsi con i miei compagni la Sacra
di San Michele dove andai a lavorare nella fabbrica di dinamite. Anche da qui
dovetti fuggire poiché in seguito ad un agguato dei partigiani che uccisero dei
tedeschi che pattugliavano la fabbrica vi fu una rappresaglia dei nazifascisti
che arrivarono da Torino e arrestarono uccisero o deportarono tutti i giovani
che riuscivano a catturare. Nuova fuga in montagna e nuovamente mi aggregai ai
partigiani questa volta di una banda operativa in Fiat. Qui, con la copertura
di lavoratori Fiat avevamo il compito di recuperare armi prendendole ai
tedeschi. Durante la consegna di una rivoltella ad un partigiano fui catturato
e imprigionato dopo un interrogatorio in cui fui malmenato a pugni e schiaffi.
Avendomi preso in possesso di un’arma volevano sapere se ero un partigiano e
siccome non riuscirono a individuarmi fui rinchiuso per tre mesi al Carcere
delle Nuove. A Febbraio fui prelevato per essere condotto alla fucilazione ma
in extremis fui ricondotto in cella. Anche in questo caso credo sia intervenuto
il mio Angelo custode!
L’atto finale avvenne il 24
Aprile quando in una azione per recuperare delle armi da un magazzino su di un
corso, fummo sorpresi da una camionetta munita di mitragliatore. Fece fuoco e
uccise un partigiano e l’autista, io e un altro riuscimmo a fuggire. Il 25
Aprile a Torino scesero i partigiani dalle montagne e dalle colline e fu festa
grande.
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